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2.4. Le Private Label

2.4.1. Nozione

Con il termine Private Label (anche detto, in italiano, marca privata, prodotto a marchio, o marca commerciale) si definiscono i prodotti e/o servizi solitamente realizzati da aziende produttrici terze e venduti con il marchio del distributore, ovvero con il nome della catena distributiva o del supermercato che li distribuisce. Lo scopo perseguito, con il ricorso ad un tale tipo di prodotti, è quello di offrire al cliente consumatore un’alternativa di pari qualità ai prodotti di marca industriale, ma ad un prezzo inferiore.75

Le principali tipologie di private label sono:

- Store brand (marca-insegna). Si tratta di una marca privata che ripropone l’insegna commerciale dell’azienda di distribuzione, ad esempio Coop Italia che, per i propri prodotti private label, utilizza la stessa marca Coop.

- Store sub-brand. E’ una marca creata utilizzando una denominazione

di fantasia, la quale richiama comunque l’insegna del distributore. - Own label. Espressione utilizzata per indicare il ricorso fatto dal

retailer ad una marca propria, composta da una denominazione di fantasia indicativa di una provenienza certa. Esempio significativo è quello di Esselunga, che offre prodotti alimentari con una pluralità di marche quali Fidel, Naturama, Bio, I pronti in tavola.

- Generic brand. Non deve essere confusa con la store brand. Se quest’ultima, infatti, si caratterizza per una forte affermazione dell’identità del venditore sul prodotto, la generic brand, invece, prevede una semplice confezione, contraddistinta da un minimo sforzo grafico: indicazione della tipologia merceologica di cui trattasi e marca del distributore, generalmente coincidente con l’insegna.

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- Primi prezzi. Con tale termine si indicano i prodotti che hanno il minor prezzo nella categoria, la cui confezione riporta esclusivamente la denominazione del prodotto stesso e, in alcuni casi, anche un nome di fantasia che non richiama, nel logo o nel colore, quello dell’insegna. Sono esempio di ciò i prodotti 1€ di Carrefour, oppure i prodotti con l’immagine “dell’euro nel salvadanaio” di Coop.

- Marchi di qualità. Si tratta di prodotti caratterizzati da alta qualità e che hanno un prezzo maggiore rispetto a quello dei corrispettivi prodotti della marca leader. Attraverso questi marchi la grande distribuzione organizzata garantisce i consumatori circa la provenienza e la qualità dei loro acquisti. La marca di qualità diviene essenziale per la soddisfazione e la fidelizzazione degli acquirenti.76

La marca privata presenta due principali peculiarità: la disponibilità della stessa in capo al distributore e l’esclusività della sua vendita, poiché di fatto è solo il distributore ad offrire il prodotto al cliente. Questa seconda prerogativa è elemento fondamentale di una strategia commerciale basata su un preciso posizionamento, finalizzato alla costruzione di una specifica identità e di un rapporto duraturo con il cliente.77

Oggi sotto il marchio del distributore viene offerto quasi ogni tipo di prodotto. Le marche commerciali coprono intere gamme di prodotti freschi, in scatola, surgelati ed essiccati, snack, specialità etniche, cibo per animali domestici, prodotti di bellezza, medicinali da banco, cosmetici, prodotti per la casa e per il bucato, articoli da giardinaggio, prodotti per il bricolage, vernici, ferramenta e accessori per la manutenzione delle automobili. Le private label offrono al consumatore l’opportunità di acquistare abitualmente prodotti, alimentari e non alimentari, di qualità ad un prezzo

76 F. Gnecchi, La private label nell’economia d’impresa, Giappichelli, Torino, 2002.

77 A. Bavaro, Le private label nei supermercati italiani e la propensione all’acquisto dei consumatori, http://www.slideshare.net/TargetResearch/anna_bavaro_pl/ (21/11/2015).

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inferiore rispetto a quelli con il marchio di fabbrica, senza dover attendere le vendite promozionali. I prodotti con il marchio del distributore hanno ingredienti medesimi di quelli che compongono i prodotti a marchio industriale e, poiché il nome o il simbolo del dettagliante sono presenti sulla confezione, il consumatore sarà sicuro che il prodotto soddisferà gli standards e i requisiti di qualità propri del rivenditore.78

Alle private label possiamo, quindi, riconoscere la duplice funzione di offrire ai consumatori un’alternativa avente pari qualità rispetto alla marca industriale, ma ad un prezzo inferiore e, contemporaneamente, quella di permettere ai retailers di ottenere margini importanti di profitto. Questo è reso possibile dal fatto che il distributore non deve sopportare i costi di marketing che, invece, sono tipici delle industrie di marca, potendo così conseguire un margine di profitto più alto.79

2.4.2. Origini

L’origine della marca commerciale risale a tempi remoti, senza dubbio antecedenti a quelli in cui si affermarono le marche industriali.80

La cultura commerciale che ha definito i principi delle private label è quella britannico-statunitense, espressiva di mercati nei quali la distribuzione ha giocato, e gioca tutt’ora, un ruolo di primo piano nell’economia. Negli Stati Uniti, le prime tracce dello sviluppo dei prodotti a marchio commerciale risalgono agli anni trenta del secolo scorso; nel 1934 l’azienda Jewel Tea, in seguito ad una ricerca di mercato che coinvolse 18.000 casalinghe di

78 http://www.plmaiternational.com/it/industry-news/private-label-today

(21/11/2015).

79 http://www.tendenzeonline.info/articoli/2008/10/28/il.2008-l-anno-della-marca-

privata-e-del-discount (21/11/2015).

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Chicago, scrisse i “Jewel Ten Commandaments”, contenenti principi relativi all’acquisizione e al consolidamento della fedeltà dei consumatori.81

In Italia, il primo e isolato caso di prodotti a marchio privato risale al 1896. Fu l’Unione Cooperativa Milanese, antesignana dell’attuale catena leader Coop Italia, la prima azienda ad immettere sul mercato un prodotto a marca propria (nella fattispecie un dolce, il tipico panettone meneghino); facendosi garante della qualità del prodotto, offriva al pubblico un articolo con un prezzo inferiore rispetto a quello dei produttori industriali.82

In origine, quindi, la marca commerciale aveva il compito di fornire garanzie in merito a caratteristiche e qualità di prodotti anonimi, i quali, in tal modo, venivano personalizzati dai distributori. Questi ultimi spendevano così la propria credibilità verso la clientela.

Fu soltanto con la successiva affermazione della marca industriale che le imprese di distribuzione videro modificare il proprio ruolo. Esse passarono, infatti, ad essere semplici rivenditori di prodotti di terzi ai clienti. In tal modo le industrie produttrici assunsero un ruolo predominante nella catena delle transazioni. Difatti, favorita dall’affermarsi di un’economia di scarsità, nella quale la domanda è quantitativamente superiore all’offerta, l’industria fu in grado di imporre le proprie condizioni, sia ai retailers che ai consumatori.

Il contesto nel quale l’impresa di distribuzione tornò ad essere nuovamente propositiva verso il cliente, a discapito della precedente assoluta discrezionalità dell’industria, fu quello nel quale si verificò un riallineamento del potere tra produttore e distributore. Questa uniformazione fu originata da situazioni competitive caratterizzate da un’accresciuta capacità produttiva che aumentava in misura più che

81 Riferimento tratto da: P. Fitzell, The Explosive Growth of Private Labels in North America.

Past, Present and Future. Global Book LLC, New York, 1998.

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proporzionale rispetto all’incremento dei consumi e del reddito spendibile e che fu in grado di riequilibrare la domanda e l’offerta.83

A partire dagli anni ottanta del secolo scorso, le economie più evolute si sono assestate in una situazione caratterizzata da una domanda costantemente inferiore all’offerta e questo, sul versante della distribuzione, si è tradotto in un incremento del potere del commerciante a discapito del produttore. La florida evoluzione delle marche commerciali ne fu la palese conferma. Infatti, fu proprio durante la crisi economica che colpì la Gran Bretagna agli inizi di quel decennio che le private label iniziarono, soprattutto per motivi economici, a prendere il posto di brand storici. Inizialmente, i prodotti a marchio del distributore, non avendo confezioni attraenti e non offrendo alcuna garanzia di qualità del prodotto, avevano assunto il semplice ruolo di alternativa di mercato a minor costo dei corrispettivi articoli a marchio industriale. Tale posizione, assieme alla poca gratificazione che il loro acquisto procurava al consumatore, fu alla base della veloce regressione di cui le private label furono protagoniste durante il boom economico verificatosi nella seconda metà degli anni ottanta. Ma sarà proprio questo rapido declino a costituire un passaggio importante per la presa di coscienza della necessità di valorizzare questo tipo di prodotti.84

Le ragioni alla base della scelta dei distributori di seguire una strategia commerciale basata sullo sviluppo delle private label sono molteplici. Queste, nello specifico, variano per ogni singola azienda, dato che diverse sono le circostanze, interne ed esterne alla stessa, che le determinano. Flavio Gnecchi, fra le possibili motivazioni che sono alla base della scelta di questa strategia commerciale, riconosce:

- L’immagine del punto vendita (store image); - Il miglioramento dei margini di redditività;

83 Ibidem.

84 A. Santambrogio, 2013. http://www.liquid-communication.it/2013/06/10/private-

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- Il controllo sul prodotto o sula gamma di prodotti;

- La differenziazione dell’offerta e conseguente maggiore scelta per il consumatore;

- La fedeltà del cliente;

- Il contenimento dei costi commerciali; - Lo sviluppo dell’innovazione;

- La riduzione del potere dei produttori, proprietari di marche industriali;

- L’eliminazione dei concorrenti di piccole dimensioni.

L’obiettivo comune di tutte queste possibili ragioni è quello di affermare l’identità aziendale attraverso lo sviluppo di marche private. Queste ultime, infatti, grazie ad una costante evoluzione, sono destinate a rafforzarsi nel confronto con le marche industriali. L’evoluzione delle private label ha comportato una nuova forma di cooperazione tra retailers e produttori, finalizzata al miglioramento qualitativo dei prodotti, alla razionalizzazione del loro confezionamento e ad un incremento qualitativo degli stessi.85

La necessità delle imprese di distribuzione di allargare l’offerta dei prodotti a marca propria deriva dal sempre maggiore interesse dimostrato dai consumatori verso questo tipo di articoli. Infatti, come afferma Matteo Barboni,86 l’iniziale diffidenza dimostrata dai clienti verso questa tipologia

di prodotto è scemata nel corso degli anni grazie al miglioramento dell’offerta. La migliore percezione delle private label che oggi hanno i consumatori premia l’impegno che le insegne commerciali dedicano all’innovazione di questi prodotti, in particolar modo per quelli rientranti nella fascia premium, come testimonia il calo delle vendite dei prodotti delle fasce più basse di prezzo. I distributori, infatti, grazie ai dati raccolti fra gli acquirenti mediante l’utilizzo di forme di personalizzazione degli

85 F. Gnecchi, La private label nell’economia d’impresa, Giappichelli, Torino, 2002.

86 Matteo Barboni, La marca commerciale sotto i riflettori, Largo Consumo, N.12, 2011, pp.

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acquisti, quali ad esempio le carte fedeltà, sono in grado di sviluppare nuovi prodotti, maggiormente rispondenti alle esigenze della domanda. Un esempio è offerto dall’ingresso che, da qualche anno, i prodotti a marchio del distributore stanno facendo in ambito ristorativo per opera di retailers attivi nella filiera della ristorazione commerciale e collettiva. Le grandi insegne stringono rapporti di partnership con le migliori imprese produttrici presenti nei diversi mercati; queste sono impegnate nella ricerca e nello sviluppo di prodotti e di imballaggi volti ad accrescere il valore e la funzionalità del prodotto per il consumatore professionale e, attraverso lo studio dei materiali, il design, la funzionalità ed il contenuto di informazioni, mirano a facilitarne l’utilizzo. Nel settore della ristorazione è esemplare la pluriennale collaborazione fra Metro Italia e Alma, la scuola di cucina internazionale di Gualtiero Marchesi. Come spiegato da Bruno Bianchini, Head of Marketing and Branding at Metro Cash and Carry, le due linee di prodotti a marchio, Horeca Select (linea professionale per la cucina) e Columbus (il marchio che rappresenta il partner di qualità per il bar), sono sviluppate in stretta collaborazione con i clienti professionali, i quali comunicano le proprie richieste sia in termini di qualità che di esigenze professionali. E’ in questo ambito che ha avuto inizio la collaborazione con Alma, tesa alla ricerca ed allo sviluppo di prodotti performanti e funzionali. In tal modo si ottiene un assortimento mirato, caratterizzato da una qualità costante nel tempo a prezzi competitivi.87

I prodotti a marchio privato, quindi, grazie alle innovazioni tecnologiche in atto ed agli sforzi fatti dagli operatori del settore, si stanno rivelando una valida alternativa anche nel ramo della ristorazione.88

Fra i molteplici fattori che hanno determinato la diffusione delle private label, Flavio Gnecchi ne ha individuati due particolarmente importanti:

87 Bruno Bianchini, 2012, in Roberta D’Ancona, La marca privata oltre la GDO, Largo

Consumo, N.5, 2012, pp. 67-69.

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- Il grado di concentrazione della distribuzione commerciale; - La cultura/tradizione espressiva del sistema commerciale.

Il primo fattore è influenzato da alcune determinanti quali la normativa locale, l’agglomerazione dei centri abitati ecc. Il secondo sintetizza le aspettative e la partecipazione dei consumatori e risente delle azioni dei distributori dirette ad incidere sul comportamento degli acquirenti, al fine di modificarne le abitudini di acquisto e di consumo. E’ quindi naturale riscontrare situazioni parecchio differenziate tra gli stessi Paesi dell’Europa occidentale, così come tra gli stessi e il Nord America e il continente oceanico. E’ dunque lecito aspettarsi che, considerato il ruolo ed il potere dei grandi operatori commerciali, lo sviluppo delle private label sia tanto più forte quanto è maggiore il grado di concentrazione.89

2.4.3. La crescita e l’affermazione delle Private Label in Europa e in Italia Le private label, anno dopo anno, confermano la loro crescita ed il ruolo strategico che ricoprono per l’identità delle insegne della grande distribuzione organizzata. Inizialmente, la strada più rapida che i distributori hanno seguito per favorire lo sviluppo dei loro prodotti a marchio privato è stata quella dell’imitazione dei brand leader. Difatti, come spiega A. Santambrogio, a partire dal packaging in quanto principale strumento di comunicazione a disposizione dei distributori, le insegne della grande distribuzione organizzata iniziarono a replicare stili grafici, colori e immagini dei prodotti dei brand leader. La marca privata in tal maniera cercava, sotto l’aspetto grafico, di competere sullo scaffale con le marche principali: la somiglianza puntava a far sì che i consumatori attribuissero i valori propri delle marche industriali ai prodotti delle insegne. Allo stesso tempo, però, la crescente attenzione dei consumatori verso temi come il

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benessere, la salute, la qualità e la sicurezza dei prodotti determinò un graduale miglioramento della quantità e qualità delle informazioni riportate sulla confezione. Quest’ultima, così, si arricchì di informazioni nutrizionali, consigli d’uso e altri dati, cercando in tal modo di fornire al cliente un servizio migliore rispetto a quello offerto dai brand leader e, allo stesso tempo, di affermare un proprio stile di comunicazione. Oggi gli scaffali dei supermercati offrono un impatto visivo abbastanza omogeneo, rendendo così difficile distinguere gli articoli a marchio industriale da quelli a marchio commerciale.

Dal 2009 ad oggi si è realizzata la definitiva affermazione delle private label. Un ruolo decisivo in questo processo lo ha avuto il verificarsi del cambiamento nello stile di consumo. L’avvento della filosofia “low cost”, infatti, ha profondamente modificato la percezione dei consumatori e la crisi economica non ha fatto altro che accelerare tale processo. Questo cambiamento sta guidando, a livello mondiale, la penetrazione nel mercato delle private label su basi meno effimere di quelle degli anni ottanta. Se, come già detto, al tempo si trattava per lo più di acquisti dettati dalla necessità di risparmio, oggi a questo aspetto si aggiunge quello del cambiamento culturale del processo di acquisto. La società Nielsen prevede che, nei mercati più evoluti, la penetrazione arriverà al 50% entro il 2025.90

I dati più recenti sulla quota di mercato evidenziano un continuo diffondersi in Europa della popolarità delle private label. Sulla base della ricerca operata dall’ AC Nielsen per l’annuario Internazionale del Marchio del Distributore 2014 della Private Label Manifactured Association (PLMA), i marchi commerciali rappresentano almeno il 30% di tutti i prodotti venduti in 15 Paesi europei, la quota più alta mai raggiunta. Nel 2013 sono stati oggetto di analisi, da parte di Nielsen, 20 Paesi: di questi, 16 hanno registrato aumenti in volume della quota di mercato. Fra quelli che hanno

90 A. Santambrogio, 2013. http://www.liquid-communication.it/2013/06/10/private-

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avuto i maggiori aumenti in percentuale, vi sono: Svezia (+5.1%), Finlandia (+4%), Polonia (+3.1%), Slovacchia (+2.7%). La ricerca ha, inoltre, evidenziato come il numero dei Paesi che hanno raggiunto la quota di mercato del 30% sia in costante crescita: nel 2011 solo dieci Paesi avevano raggiunto tale quota, mentre nel 2012 il numero è passato a dodici.

Il marchio del distributore rappresenta oltre la metà di tutti i prodotti venduti in Svizzera (53%) e Spagna (51%). Nel Regno Unito (45%), in Portogallo (45%), Germania (44%), Belgio (41%) e Austria (40%), le private label rappresentano almeno quattro prodotti venduti su dieci. In Francia più di tre su dieci, mentre nei Paesi Bassi quasi tre su dieci.

Secondo lo studio “Acquirenti europei oggi”, commissionato dalla Private Label Manifactured Association (PLMA) ed effettuato su un campione di oltre 10.000 consumatori in 14 Paesi, il marchio del distributore, negli anni a venire, potrà crescere ulteriormente nella quota di mercato occupata. Lo studio mostra, infatti, che le marche commerciali giocano un ruolo importante nelle vite degli acquirenti europei: il 46% acquista tali articoli frequentemente e la loro quota di mercato continuerà ad espandersi dato che otto consumatori su dieci confermano che, anche quando l’economia tornerà florida, continueranno ad acquistare prodotti a marchio commerciale.91

L’Italia, invece, è in ritardo rispetto ai progressi fatti dalla marca privata nel resto d’Europa. Non puntando a raggiungere le crescite esponenziali registrate in altri Paesi europei, quali ad esempio Regno Unito e Portogallo, va comunque riconosciuto all’Italia un impegno costante il quale ha dato come risultato un trend di crescita positivo. Infatti, a partire dal 2005, la quota della marca privata è cresciuta mediamente di un punto percentuale all’anno.

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Per l’analisi del processo di crescita, deve essere tenuto presente che oggi anche nel nostro Paese le private label delle insegne della grande distribuzione organizzata coinvolgono quasi tutti i settori merceologici, allo stesso modo di quanto avviene nella maggior parte degli altri Paesi europei. Nel 2006, secondo i dati IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), le private label hanno registrato: negli ipermercati il 14,4% delle vendite per volume (+0,7% rispetto al 2005) e il 10,4% per valore (+0,6%); nei supermercati rispettivamente il 15,8% e 12,4%. Nel complesso il fatturato delle marche commerciali si aggira sui 7,5 miliardi di euro, con percentuali sul fatturato totale che sono ben lontane da quelle di altri Paesi europei (ad esempio in Svizzera il valore è del 45%, in Gran Bretagna del 28%, in Germania del 35%, in Spagna del 26%, in Francia del 24%).92

Nel 2008, il fatturato della grande distribuzione organizzata italiana ha continuato a crescere. Secondo quanto riportato da un’indagine Nielsen, infatti, le marche private italiane hanno incrementato la quota di mercato ricoperta nel panorama della distribuzione, guadagnando oltre un punto percentuale rispetto al 2007. Le private label hanno così raggiunto, nei primi sei mesi del 2008, la quota del 14,6% all’interno della grande distribuzione organizzata, contribuendo per quasi il 35% alla crescita del suo fatturato.93

Tale crescita, come precisato nel suddetto rapporto Nielsen, poteva essere considerata una risposta agli effetti prodotti dalla crisi dei consumi che ha colpito il nostro continente. Però, considerare la crescita totale delle marche commerciali come un semplice effetto della crisi congiunturale poteva essere fuorviante; di fatti, non può essere trascurato il lavoro che è stato fatto dai retailers italiani ed europei i quali hanno segmentato le proprie marche private in “premium”, “primo prezzo” e “altre” quali, ad esempio, linee bio, regionali, ecc. Il frutto di questo impegno è stato immediato: nel

92 Tiziana Aquilani, Le private label conquistano gli scaffali, GDO Week, 18 dicembre 2007.

93 Indagine di B2B24.IT, La gdo si salva con promozioni e marche private, GDO Week, 23

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2008, le private label segmentate costituivano già il 12,8% dell’intera marca privata. In particolare, furono i segmenti di alta gamma e di primo prezzo a rafforzare maggiormente la loro quota sul totale delle private label.94

Nel 2010 la quota di vendita delle marche commerciali aveva toccato il