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Economia contrattuale in agricoltura I contratti di integrazione

3.2. I contratti fra distributori e produttori

3.2.1. Economia contrattuale in agricoltura I contratti di integrazione

Nel corso degli ultimi decenni in tutti i Paesi industrializzati si è registrata una forte crescita “dell’agricoltura sotto contratto”, a discapito della vendita dei prodotti agricoli tramite intermediari commerciali caratterizzante la filiera agroalimentare. Se quest’ultima avveniva mediante il pagamento in contanti che il grossista eseguiva a favore dell’agricoltore successivamente

da parte delle imprese della GDO, degli sconti sul prezzo di vendita dei prodotti legati alle più varie motivazioni quali, ad esempio, quantità, fine anno, pagamento a pronti, ecc. 132 Raffaele Tommasini, La nuova disciplina dei contratti per i prodotti agricoli e alimentari,

Rivista di diritto alimentare, N.4, 2012, p. 10.

133 Marianna Giuffrida, I contratti di filiera nel mercato agroalimentare, Rivista di diritto

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alla realizzazione del prodotto agricolo, così detto spot market, l’agricoltura sotto contratto, invece, si caratterizza per la presenza di vincoli contrattuali tra i produttori agricoli e gli acquirenti delle produzioni agricole posti in essere prima e nel corso del processo produttivo.134

L’industrializzazione del sistema agroalimentare ha fortemente modificato il quadro dei mercati agricoli, dato che il settore agricolo è sempre più integrato per via contrattuale nei processi economici guidati dalle imprese alimentari e dalla grande distribuzione. Con lo svilupparsi dei processi di industrializzazione del sistema alimentare l’esperienza giuridica ha visto emergere nuove problematiche in materia contrattuale, le quali si sono aggiunte a quelle già esistenti relative alla debolezza degli agricoltori nella contrattazione con gli operatori economici interessati all’acquisto dei loro raccolti e delle loro produzioni di base.135

Le nuove problematiche sono sorte sulla base delle singolari specificità che hanno assunto le relazioni contrattuali tra gli operatori agricoli fornitori della materia prima e gli acquirenti della medesima, i quali possono essere tanto i trasformatori della stessa per la produzione di alimenti, quanto meri distributori sui mercati finali del consumo, all’interno del processo di crescente industrializzazione del sistema agroalimentare. Infatti, forme negoziali sofisticate sono divenute prevalenti rispetto alle relazioni di semplice compravendita del prodotto agricolo. In esse gli operatori agricoli sono stati vincolati oltre che ad obbligazioni di dare anche ad alcune obbligazioni di fare; queste ultime necessarie a far sì che il processo produttivo svolto dagli agricoltori permetta agli acquirenti di ottenere prodotti aventi le caratteristiche specifiche da loro stessi richieste, sia al fine di poter perseguire gli obiettivi (di prodotto) prefissati nei processi

134 A. Jannarelli, I contratti nel sistema agroalimentare, in L. Costato – A. Germanò – E. Rook Basile (diretto da), Trattato di diritto agrario, v.3, Torino, 2011, p. 426.

135 A queste problematiche già esistenti ha cercato di rimediare la stessa autonomia privata

attraverso la creazione di forme associative aventi l’obiettivo di attribuire alla parte agricola un potere contrattuale nei confronti della parte industriale e/o commerciale.

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industriali di elaborazione degli alimenti e nelle strategie di differenziazione dei medesimi sui mercati finali, sia ai fini tecnologici ed organizzativi dell’impresa industriale o commerciale interessata (tempi e modalità del processo produttivo agricolo).

Antonio Jannarelli136 evidenzia come la costante crescita della percentuale

delle produzioni agricole di base sottratte alla destinazione dei mercati all’ingrosso, dai quali giungono poi a quelli finali oppure alle industrie di trasformazione, sia una delle più significative manifestazioni dello sviluppo di un moderno sistema agroalimentare. Le produzioni agricole di base, infatti, divengono oggetto di dirette relazioni contrattuali tra produttori agricoli ed imprese di trasformazione e/o distribuzione, le quali intervengono prima che i prodotti siano venuti ad esistenza secondo modalità che variano da comparto a comparto. Tali relazioni costituiscono i cc.dd. “contratti di integrazione verticale”. Attraverso essi le relazioni aventi ad oggetto la fornitura di prodotti agricoli di base alle imprese di trasformazione e/o distribuzione, prevalentemente caratterizzate dalla clausola di esclusiva, vengono arricchite di ulteriori vincoli ed impegni rispetto al semplice scambio tra prodotto e corrispettivo in denaro. In questo modo il produttore agricolo non può solamente limitarsi ad offrire il prodotto promesso all’acquirente, ma deve anche assumere una serie di obbligazioni di fare, consistenti in impegni circa le modalità di svolgimento della propria attività produttiva così da conformarla alle richieste della controparte. Così facendo, alla stregua di quanto è avvenuto anche nel settore industriale attraverso le relazioni di subfornitura, la struttura produttiva dell’imprenditore agricolo viene inserita in un programma elaborato dall’impresa industriale, controparte dello stesso imprenditore agricolo. Gli effetti che si producono a carico di quest’ultimo si bilanciano reciprocamente, infatti se da un lato il produttore agricolo consegue un

136 Antonio Jannarelli, I contratti dall’impresa agricola all’industria di trasformazione. Problemi e prospettive dell’esperienza italiana, Rivista di diritto alimentare, N.2, 2008, p. 1.

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guadagno in termini di sicurezza grazie alla collocazione dell’intera produzione sulla base di prezzi prefissati e, dunque, sottratti ad oscillazioni congiunturali137, dall’altro lato deve sostenere i costi aggiuntivi che il

contratto produce a suo carico. Questi ultimi sono dovuti all’impegno assunto dal produttore agricolo di adeguare la propria azienda o le proprie scelte organizzative alla volontà della controparte industriale.

I moderni contratti agro-industriali emergono proprio laddove il mercato si dimostra non essere in grado di garantire un’offerta di beni e di servizi agricoli adeguata alla crescente domanda proveniente dal settore della trasformazione industriale e della distribuzione, la quale in base alle mutevoli esigenze di mercato si dimostra sempre più specifica. Mancando, quindi, un’offerta di beni e di servizi conforme alle esigenze degli interlocutori, l’impresa industriale o commerciale interessata a procurarseli ha due possibilità di azione:

- Internalizzare la produzione dei beni o dei servizi che non riesce a procurarsi sul mercato, assumendosi tutti i relativi rischi economici; - Incentivare in via contrattuale la conformazione dell’attività produttiva di terzi soggetti, così da poter ottenere da questi operatori prodotti o servizi confacenti alle esigenze della propria attività, stimolando così un’offerta sempre più precisa ed adeguata alla proprie specifiche esigenze.

137 Come ricorda A. Jannarelli, una vasta letteratura ha chiarito che, attraverso i contratti di integrazione, i produttori agricoli hanno la possibilità di sottrarsi ai rischi dovuti sia alle oscillazioni dei prezzi, sia alle difficoltà di collocazione sul mercato di prodotti alimentari facilmente deperibili in presenza di annate con raccolti abbondanti. Questa esigenza di sicurezza degli agricoltori è complementare all’esigenza degli operatori industriali interessati ad acquistare grandi quantità di prodotti agricoli aventi le caratteristiche necessarie allo svolgimento delle attività di trasformazione e/o vendita. Ciò non toglie che nella stipulazione di questi contratti l’equilibrio giuridico dello scambio sia condizionato dalla diversa posizione assunta dai contraenti, all’interno della quale gli agricoltori costituiscono la parte più debole, sia a causa di particolarità proprie dei mercati agricoli, sia a causa del minor numero di informazioni possedute dal singolo operatore agricolo rispetto alla controparte industriale.

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Nel primo caso si realizza un fenomeno di “integrazione verticale in senso stretto”: è l’impresa che integra nella propria struttura le fasi fondamentali del processo produttivo assumendo, in tal modo, su di sé i rischi dell’intero ciclo produttivo.

Nel secondo caso, invece, si ha un’ipotesi di integrazione per via contrattuale, la c.d. “quasi integrazione verticale”. E’ proprio da questa forma di integrazione che ha origine l’espressione “contratti di integrazione verticale”, con la quale si indica la fenomenologia contrattuale sopra descritta.138

E’ necessario che tali contratti siano stipulati prima che il processo produttivo di base sia avviato, dato che è durante quello stesso processo che si collocano gli interventi in grado di assicurare alle industrie la conformità della futura produzione agricola alle loro esigenze. Ricapitolando, le imprese industriali che necessitano di acquistare prodotti agricoli con caratteristiche specifiche, non potendo internalizzare la produzione agricola di base al fine di renderla del tutto conforme alle proprie esigenze di lavorazione e di trasformazione assumendosene tutti i rischi, ricorrono alla stipulazione di una serie di contratti. Questi ultimi consentono alle imprese di creare una rete di fornitori di prodotti agricoli e di procedere, così, alla distribuzione di una parte dei rischi sui partners contrattuali. In questo modo i produttori agricoli assumono il ruolo di fornitori di prodotti e, pertanto, dal punto di vista economico risultano integrati nel progetto produttivo dell’industria, dal punto di vista giuridico sono meno autonomi relativamente ad alcune decisioni riguardanti l’esercizio della propria attività e all’organizzazione della struttura produttiva, pur assumendosene il rischio. Come puntualizza ancora Jannarelli,139 in agricoltura, nei contratti

di integrazione verticale, l’indipendenza reciproca dei due operatori

138 A. Jannarelli, I contratti nel sistema agroalimentare, in L. Costato – A. Germanò – E. Rook Basile (diretto da), Trattato di diritto agrario, v.3, Torino, 2011, p. 426.

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economici, che sono i soggetti del rapporto contrattuale, rappresenta il dato di partenza sul quale va ad incidere la stessa relazione contrattuale. Quest’ultima, difatti, realizza un diverso assetto dell’indipendenza di uno dei due contraenti poiché in tal maniera l’operatore agricolo si vede attribuire maggiori rischi a confronto di quelli che rimangono imputati alla controparte contrattuale così avvantaggiata. Un tale effetto è la conseguenza della specifica disciplina di questi rapporti contrattuali i quali si allontanano dai modelli astratti relativi al semplice scambio di beni e di servizi, vale a dire dalle classiche tipologie della vendita e dell’appalto. Invero, i due schemi negoziali tipici appena richiamati presuppongono un’adeguata e soddisfacente corrispondenza tra i beni ed i servizi che l’alienante ovvero l’appaltatore sono in grado di fornire e quelli al cui conseguimento è interessata la parte acquirente: corrispondenza che rispecchia standard già presenti sul mercato. In tal modo è evidente che, in entrambi i casi, l’acquirente/committente rimane totalmente estraneo alla gestione produttiva sulla base della quale l’operatore agricolo, con rischio interamente a suo carico, realizza la materia prima oggetto della vendita o pone in essere il risultato, anche sotto forma di servizio, a lui commissionato dal terzo. Invece, la particolarità che caratterizza i contratti di integrazione verticale in agricoltura consiste nel fatto che il relativo regolamento di interessi si allontana (in misura diversa in relazione all’intensità con cui le imprese agricole sono integrate nel sistema produttivo del polo industriale) sia dal modello della vendita140 dei prodotti, sia da quello dell’appalto. Più

precisamente, rispetto allo schema della vendita il contratto di integrazione verticale si differenzia non solo per il fatto che in molti casi l’impresa acquirente dei prodotti a sua volta fornisce alcuni input agli operatori agricoli affinché questi ultimi le utilizzino nel corso del processo produttivo delle loro strutture, ma soprattutto perché gli operatori agricoli si

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impegnino durante tale processo ad espletare specifiche prestazioni, in conformità a pratiche colturali e, in generale, ad obblighi di fare, definiti sulla base di indicazioni e direttive provenienti dalla controparte contrattuale. Siffatti obblighi di fare vanno ad aggiungersi all’obbligo di dare tipico dell’alienazione141 ed in questo modo risulta essere alterato il

fisiologico livello dei rischi normalmente gravante sul venditore, nella specie il produttore agricolo (con riferimento tanto ai prezzi di vendita del raccolto quanto dei prezzi di acquisto dei fattori della produzione), aumentandoli. Analogo discorso può essere fatto a proposito della significativa curvatura che subisce lo schema contrattuale dell’appalto a causa, in questo caso, della notevole interferenza del committente sull’autonomia organizzativa e decisionale dell’appaltatore.

In materia di obblighi di fare posti a carico dell’imprenditore agricolo, è necessario precisare come il contenuto venga individuato di volta in volta sulla base di direttive impartite dalla controparte negoziale. Di conseguenza si verifica una concreta riduzione del potere decisionale proprio del singolo operatore agricolo in relazione alla gestione del processo produttivo a vantaggio dell’altra parte contrattuale. Questo determina una non coincidenza tra il soggetto al quale resta imputato il rischio del processo produttivo agricolo, che continua ad essere l’agricoltore, ed il soggetto, nella specie l’impresa agricola integrante, il quale interviene in alcune decisioni gestorie di quel processo. Per quanto riguarda l’operatore agricolo, l’esecuzione da parte dello stesso degli obblighi di fare in base alle direttive impartitegli dalla controparte, incide

141 Questa conclusione vale anche a proposito dello schema dell’appalto evocabile, in linea

di principio, ove la materia prima, sotto forma di sementi o di animali da allevare, sia fornita agli imprenditori agricoli dalla controparte, la quale se ne riservi la proprietà, il che avviene sempre più frequentemente in taluni settori dell’allevamento. Infatti, in questo caso la presenza di singolari obblighi di fare a carico degli operatori agricoli, in veste di appaltatori, sulla base di determinazioni provenienti dall’impresa industriale, che agisce in veste di committente, ben possono incidere sull’autonomia organizzativa dei primi, così da erodere l’organizzazione dei mezzi necessari e della gestione a proprio rischio caratterizzante l’appalto.

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non solamente sui rischi che generalmente sono legati alle scelte che spettano all’imprenditore (come ad esempio la scelta delle superfici da utilizzare oppure quella dei fattori della produzione), ma incide anche sui costi complessivi, i quali gli sono imposti dalla controparte. Conseguentemente assume fondamentale importanza la puntuale predeterminazione di siffatti costi, ma questa, in sede di conclusione del contratto, si rivela essere in buona parte impossibile arrecando così, nella maggioranza dei casi, un rischio di danno economico all’operatore agricolo. Costui, nella predeterminazione del prezzo finale del prodotto che l’impresa industriale dovrà corrispondere, non sarà sempre in grado di calcolare, con verosimile approssimazione, il guadagno effettivo al netto dei costi di produzione che dovrà affrontare.

Sotto questo profilo, un primo tentativo di tutela formale per l’operatore agricolo venne adottato, negli anni sessanta del secolo scorso, dalla legislazione francese.142 Questa evidenziò, relativamente ai contratti di

integrazione in agricoltura, la necessità di trasparenza della negoziazione conseguibile mediante la stipulazione di un contratto in forma scritta che, a pena di nullità invocabile da parte del solo operatore agricolo, contenga la puntuale determinazione dei prezzi dei beni che ciascuna parte si impegna a fornire all’altra. Infatti, la forma scritta del contratto e la precisa determinazione dell’oggetto delle prestazioni reciproche sulla base del modello legale riescono ad offrire trasparenza in merito agli aspetti che qualificano l’operazione, costituendo così una soluzione tecnica che, sul piano giuridico, agevola la parziale rimozione di quel distacco normativo che generalmente danneggia l’operatore agricolo in quanto contraente debole soggetto a condizioni contrattuali generalmente predisposte dalla controparte in modo unilaterale. Indubbiamente non può essere negato come, nella maggior parte dei casi, gli operatori agricoli conseguano

142 L. N. 64-678 del 6 luglio 1964

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risultati economici migliori rispetto a quelli che avrebbero potuto ottenere operando in modo indipendente. Tuttavia, ciò non toglie che il contratto di integrazione determini l’insorgere di rischi aggiuntivi gravanti sull’operatore agricolo, i quali derivano da una situazione di dipendenza economica dell’agricoltore dal polo integrante che, appunto, può essere incline ad abusare del maggiore potere contrattuale esistente a suo vantaggio.143

3.2.2. La mancanza di una disciplina specifica del sistema agro-alimentare