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D.lgs 8 giugno 2001, n 231

CAPITOLO IV – ULTERIORI STRUMENTI FINALIZZAT

6. D.lgs 8 giugno 2001, n 231

La presente panoramica sugli strumenti di contrasto alla corruzione contenuti nel nostro ordinamento si conclude con la valutazione della normativa sulla responsabilità degli enti in relazione al reato corruttivo, al fine di elaborare un confronto con la l. 6 novembre 2012, n. 190.

6.1. Origine della disciplina

Il decreto 8 giugno 2001, n. 231 rappresenta in frutto di precise scelte elaborate dal legislatore, infatti se la tradizione giuridica occidentale originariamente non contemplava la possibilità di riconoscere in capo alle persone giuridiche una responsabilità penale, questa convinzione viene rivista nel momento in cui i vari ordinamenti europei si rendono conto che l’internazionalizzazione dei mercati aveva dato il via a casi sempre più frequenti di corruzione che

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vedevano coinvolte le società private nella veste di corruttori ed i pubblici ufficiali dei vari paesi esteri nella veste di corrotti345.

La reazione a livello europeo si è concretizzata nella stipulazione di tre convenzioni, nello specifico Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri degli Stati membri dell’Unione europea346

ed infine Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con l’obiettivo di contrastare questa nuova forma di corruzione tramite una strategia comune.

L’ordinamento italiano recepisce queste Convenzioni con l’approvazione della legge di ratifica 29 settembre 2000, n. 300, la quale, rispettivamente, all’art. 3 prevede l’introduzione di una serie di reati tra cui quello di corruzione internazionale all’art. 322 bis c.p. e, all’art. 11, delega il Governo a disciplinare la responsabilità amministrativa degli enti.

6.2. Contrasto al fenomeno corruttivo

La delega al Governo sfocia nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che ha una portata fortemente innovativa, in quanto, al fine di contrastare il fenomeno corruttivo, riconosce la possibilità di addebitare la responsabilità dell’illecito anche in capo all’ente347

, non limitandosi ad agire solo nei confronti della persona fisica.

345 A. MONEA, L. n. 190/2012 e D.lgs. n. 231/2001: due normative a tutela dell’integrità

organizzativa. Profili di confronto, in Azienditalia-Il personale, VI, 2014, p. 330.

346 Bruxelles, 26 maggio 1997.

347 “Le disposizioni […] si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e

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Perché la responsabilità dell’ente, altra ed ulteriore rispetto a quella attribuita alla persona fisica che ha materialmente commesso l’illecito, possa essere riconosciuta è necessario che vengano soddisfatte una serie di condizioni, nello specifico è richiesta la commissione, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, di uno dei reati-presupposto presenti all’interno del decreto, da parte di un soggetto che all’interno della compagine sociale rivesta il ruolo di soggetto apicale o di sottoposto e soprattutto che vi sia stata una colpa in organizzazione, ossia l’ente non abbia adottato tutte le misure necessarie al fine di scongiurare il rischio di commissione del reato348.

Per misure necessarie devono intendersi appositi modelli di organizzazione, gestione e controllo che se adottati dall’ente ed attuati in maniera efficace, prima della commissione del reato, e soggetti ad un costante monitoraggio da parte di un apposito Organismo di Vigilanza con autonomi poteri di iniziativa e controllo, solleveranno l’ente dalla responsabilità349.

6.3. Confronto con l. 6 novembre 2012, n. 190

Si ritiene interessante, in questa sede, porre in essere un parallelismo tra le due normative, in quanto tutte e due sono state elaborate al fine di contrastare il fenomeno corruttivo.

La differenza di maggior rilievo consiste sicuramente nell’ambito soggettivo di applicazione, in quanto il d.lgs. 231/2001 trova applicazione nei confronti degli enti che svolgono un’attività collettiva ma sulla base di regole privatistiche, mentre la l. 190/2012 riguarda le

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Art. 5, 6, 24-26, l. 8 giugno 2001, n. 231.

349 Art. 6, comma 1, lett. a) e b); nel caso in cui, invece, i modelli siano adottati dopo la

commissione del reato, il legislatore delegato ha previsto una riduzione della sanzione, art. 12, comma 2, lett. b), l. 8 giugno 2001, n. 231.

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pubbliche amministrazioni intese in senso lato applicandosi poi alle persone fisiche. Risulta necessario rilevare come gli enti pubblici economici e di diritto privato in controllo pubblico, saranno soggetti ad entrambe le discipline350.

Una forte assonanza è possibile riscontrarla, invece, tra i Modelli di gestione, organizzazione e controllo ed i Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione, dato che sia all’ente che alla singola amministrazione è richiesta l’individuazione delle aree potenzialmente soggette a rischio corruttivo e le scelte organizzative poste in essere al fine di prevenirlo, con obblighi di informazione nei confronti rispettivamente dell’Organismo di Vigilanza e Responsabile per la prevenzione della corruzione351.

Da questa somiglianza di impostazione, possiamo dedurre che il legislatore, nel dar vita alla legge del 2012, abbia preso come punto di riferimento il metodo di prevenzione così come delineato dal decreto 231/2001352.

Il legislatore nel tempo ha quindi dato prova di voler garantire una linea di continuità e coerenza tra pubblico e privato per quanto riguarda il contrasto alla corruzione ed in particolare la prevenzione, dobbiamo però anche prendere atto del fatto che, se la normativa del 2001 nasce al fine contrastare il fenomeno corruttivo353, oggi questo obiettivo è più sfumato, perché nel tempo i reati per cui può configurarsi la responsabilità amministrativa dell’ente sono andati

350 V. A. MONEA, L. n. 190/2012 e D.lgs. n. 231/2001: due normative a tutela dell’integrità

organizzativa. Profili di confronto, cit., pp. 335-336.

351

Art. 6, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2012, n. 231; art. 1 comma 5, 9, l. 6 novembre 2012, n. 190.

352 R. CANTONE, E. CARLONI, La prevenzione della corruzione e la sua autorità, cit., p. 916. 353 La normativa inizialmente si limitava a prendere in considerazione solamente i reati elencati

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sempre più aumentando, mettendo anche a dura prova l’attività di sorveglianza svolta dall’apposito Organismo di vigilanza354.

Non sarebbe da escludere, a mio avviso, una revisione del decreto per quanto riguarda il raggio di applicazione, proprio per tornare a garantire un efficace contrasto alla corruzione anche al di fuori degli uffici amministrativi.

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