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Da “giornale degli indipendenti” a giornale della Uil

L A STAMPA DELLA U IL

3.2 Da “giornale degli indipendenti” a giornale della Uil

Fin dalla sua nascita «Il Lavoro italiano» si caratterizzò per una precisa impostazione di partenza, ben definita dal punto di vista formale oltre che nella linea editoriale. Questa

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CARLO PERLETTI, Sindacalista la terza forza, in «Il Lavoro italiano», I, n. 28, 16 dicembre 1949, p. 1.

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derivava naturalmente da Fontanelli che, pur non essendo il direttore responsabile del settimanale, ne era comunque il vero ispiratore ed il principale editorialista43.

Il giornale aveva seguito la formula del quotidiano d’informazione, con il suo formato, le sue quattro pagine, ma anche attraverso il tipo di impaginazione e la titolazione. I titoli degli articoli a più colonne, infatti, erano spesso composti da occhiello e sommario, oltre che dal titolo vero e proprio. Miravano a colpire il lettore e a suscitarne l’attenzione. Per le notizie più importanti erano utilizzati titoli sintetici e caratteri di corpo elevato, alti o larghi, molto neri e leggibili a distanza. Anche i criteri di scelta nella composizione delle pagine coincidevano con quelli dei quotidiani d’informazione, con l’articolo di fondo, quello di spalla ed i vari tagli posti nel corpo della facciata della prima pagina.

Malgrado fosse un giornale piuttosto fitto, con fogli scanditi da nove colonne tipografiche, l’impaginazione e la titolazione riuscivano a renderlo molto leggibile e chiaro, raggiungendo sia scopi estetici che funzionali, dando così rilievo alle notizie ritenute più importanti ed orientando il lettore.

Da subito, inoltre, il periodico si era caratterizzato per una successione delle pagine ben precisa. La prima pagina era destinata a temi di carattere generale, sempre legati ad avvenimenti politico-sindacali di attualità: per tutto il primo anno di vita editoriale si occupò dei problemi del lavoro e della riforma agraria, delle lotte sindacali, degli scioperi e delle agitazioni in corso, dando conto degli avvenimenti italiani ed esteri e seguendo con interesse le attività delle diverse organizzazioni sindacali, confederali e di categoria. Polemizzava naturalmente con la Cgil e la Lcgil, per il loro legame con il Pci e la Dc, e con la neonata Fil, cercando soprattutto di sottolineare lo stretto legame di dipendenza di quest’ultima con l’organizzazione di Pastore, ironizzando e criticando il progetto di fusione.

La seconda pagina era invece destinata ai problemi delle categorie produttive ed all’attività delle diverse federazioni sindacali. Ospitava inoltre alcune rubriche fisse, come «Politica del lavoro», che raccoglieva brevi articoli su temi di natura politico-sindacali (vertenze in atto e scioperi, commissioni interne, provvedimenti); «La settimana» con brevi notizie sempre politico-sindacali o di politica generale; «Muro del pianto» in cui venivano commentate alcune notizie apparse sulla stampa quotidiana “indipendente” e di partito o espressi giudizi su note e discorsi dei leader sindacali e politici.

La terza pagina, in linea con i giornali dell’epoca, aveva un carattere più letterario, con articoli dedicati al cinema, alla letteratura ed alla pittura. Qui erano anche pubblicate due

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Direttore responsabile del giornale dal maggio 1949 fino al luglio dello stesso anno fu Renato Caniglia, al quale successe Livio Nanni a partire dal n. 8 del 15 luglio 1949.

rubriche brillanti e satiriche diventate un appuntamento fisso, con il quale il giornale riusciva a trasmette in maniera efficace i motivi polemici degli indipendenti: «Lapis rosso e bleu», piccola rubrica di commento agli avvenimenti economici o politici e «Girotondo settimanale», rubrica fissa firmata da Griso che settimanalmente ospitava dei corsivi di poche righe che ironizzavano su alcuni fatti politici o sindacali della settimana. Una tipologia di rubrica che si dimostra uno strumento tipico dei giornali sindacali di quel periodo (ne è un esempio «L’orecchio indiscreto»44 pubblicata da «Conquiste del lavoro» fin dal primo numero), così come dei fogli di partito che tradizionalmente utilizzavano i corsivi polemici45 (è il caso de «L’Unità» che tra il 1950 e il 1954 pubblicava «Il dito nell’occhio» firmata da Asmodeo). Queste rubriche presentavano caratteristiche analoghe, nella cadenza periodica, nella posizione all’interno della pagina (che generalmente è la prima o la terza), nella grafica e nell’uso di brevi titoli in apertura dei corsivi. Erano inoltre sempre curate da corsivisti che si firmavano con uno pseudonimo (Il Griso, L’Arciere, Vadernò). Il contenuto era sempre brillante, con battute che alludevano ai fatti ma non si soffermavano nella spiegazione di essi, questo sia per la brevità dello spazio che per una maggiore efficacia del commento. I riferimenti ed alcune espressioni utilizzate, rendevano dunque la rubrica una lettura più complessa rispetto ad altre parti del giornale, e presupponevano pertanto un livello culturale del lettore abbastanza alto.

Sempre di natura polemica, erano le manchette della quarta pagina (destinata agli avvenimenti sindacali internazionali), che stabilmente venivano pubblicate nella parte alta del foglio, ai lati del titolo della testata. Contenevano slogan o brevi battute, generalmente ironiche e satiriche, che si richiamavano l’un l’altra in una sorta di “botta e risposta” e che facevano riferimento sia a questioni sindacali o legate al mondo del lavoro, che alla politica italiana ed internazionale. Nel luglio del 1949 ad esempio il giornale scriveva: «Il solito lettore ci chiede un motto che unisca i lavoratori di tutte le tendenze…» e «…il motto è presto trovato, e non può essere che questo: “Porca miseria!...»46. O ancora nell’agosto, riferendosi alla riunione che si era svolta il primo del mese tra i comandanti degli Stati maggiori americani e le delegazioni militari italiana e lussemburghese in relazione al Patto atlantico, pubblicava: «Per assicurare la pace si sa che gli stati maggiori dell’Italia e

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La rubrica, pubblicata in prima pagina fino al 1950 e successivamente spostata in terza, riportava alcune notizie apparse su organi di partito e quotidiani d’informazione o “voci” giunte all’«orecchio indiscreto». Recitava infatti lo slogan della rubrica: «non meravigliatevi, o lettori, se da queste voci raccolte nel mondo del lavoro apprenderete la verità, anche quella verità che di solito le cronache non dicono». A questa nel 1950 si aggiunse anche «Bersaglio», pubblicata in prima pagina. Cfr. Capitolo II.

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PAOLO MURIALDI, Come si legge un giornale, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 109-110. 46

dell’America si sono incontrati e messi d’accordo a Francoforte. Ringraziamo» e «Per assicurare il lavoro, non si sa quando gli Stati Uniti d’America si decideranno ad aprire le porte all’emigrazione italiana. Aspettiamo e speriamo»47.

Nella prima fase di vita editoriale, il leitmotiv del giornale fu l’indipendenza, in ogni sua declinazione, che divenne parola d’ordine già a partire dal sottotitolo della testata e poi negli articoli, negli editoriali e nei corsivi. E ancora, più esplicitamente, per promuovere il movimento per la Costituente sindacale nel supplemento al primo numero del periodico, in cui compare un grande riquadro con una “dichiarazione d’intenti” de «Il Lavoro italiano»48. Qui l’indipendenza si fa slogan vero e proprio, con un’anafora a dettare il ritmo: «Indipendente dai partiti. Indipendente dalle Confederazioni. Indipendente dalle scissioni passate, in gestazione e future». Nel riquadro il concetto viene inoltre ribadito (instancabilmente) attraverso la ripetizione dell’aggettivo “indipendente”, che compare ben sei volte nel breve testo pubblicato, e tramite il risalto dato graficamente alla parola sia con l’impaginazione, che con l’uso di caratteri tipografici differenti e di un corpo superiore.

Il messaggio de «Il lavoro italiano», in quella fase, era rivolto principalmente agli ambienti sindacali allo scopo di creare un movimento di idee e mirava a fare presa soprattutto sulle categorie. Ad esse, ed in particolare a quelle categorie che si erano spontaneamente collocate in una posizione di autonomia, era indirizzato l’editoriale di Fontanelli del giugno del 1949, che illustrava la differenza tra l’essere indipendente e l’essere autonomo. Parole che dovevano essere sostanziate in una fase in cui i «sindacalisti di partito», adoperavano gli aggettivi “libero”, “indipendente” e “apartitico”, svuotandoli del loro valore.

L’articolo descriveva l’autonomia come una posizione «passiva», «un “non essere” come la posizione di chi sfugge alla lotta», ed era una posizione «determinata» da altri. L’indipendenza al contrario avrebbe determinato gli altri. Esortava quindi le organizzazioni sindacali, che ancora difendevano l’autonomia, a passare alla posizione «attiva»: era fondamentale che esse, pur avendo dimostrato di non appartenere (nella maggioranza) ad alcun partito essendosi dichiarate “autonome”, partecipassero attivamente alla vita del Paese proprio sul piano di quella politica del lavoro. Politica che le stesse organizzazioni avrebbero dovuto determinare e non soltanto nell’esclusivo interesse di categoria ma al livello nazionale49.

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«Il Lavoro italiano», I, n. 11, 5 agosto 1949, p. 4.

48

Supplemento a «Il Lavoro italiano», I, n. 1, 27 maggio 1949, p. 2.

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L’impostazione formale di partenza data da Fontanelli al settimanale, rimase costante per tutti gli anni Cinquanta. A partire da marzo 1950, però, si assistette ad una graduale trasformazione dei contenuti e dei messaggi in esso presenti: il giornale degli indipendenti si stava infatti trasformando nel giornale della Uil: la nuova organizzazione sindacale nata il 5 marzo 1950, nella quale era infine confluito il gruppo de «Il Lavoro italiano», assieme alle altre forze autonomiste, repubblicane e socialdemocratiche. Il giornale doveva ora diventare la voce ufficiale di essa, acquisendo caratteristiche diverse da quelle avute in precedenza.

Ne aveva seguito la nascita pubblicando il comunicato emesso dall'Ufficio stampa della camera sindacale autonoma di Roma che invitava al convegno costitutivo della confederazione50 e dando ampio spazio ai lavori dell’assemblea nei numeri successivi51. Ad essa parteciparono i rappresentanti della camere sindacali che si erano dichiarate autonome dalla Fil e quelle che si erano costituite dalle minoranze nelle diverse province e comuni, oltre che i Gasu ed il gruppo di Fontanelli52. Il convegno durò una sola giornata, a conclusione della quale venne approvata una dichiarazione programmatica, che fissava in cinque punti le finalità della Uil ed eletto un Comitato direttivo provvisorio costituito da 46 membri. «Il Lavoro italiano» cercò di rendere visibile la nascita della nuova organizzazione, sia prima che dopo il 5 marzo, soprattutto perché l’assemblea fondativa della Uil fu (volutamente) ignorata dal mondo sindacale e politico italiano.

Rari i resoconti e ancora più scarsi i commenti, fatta eccezione per alcuni giornali minori come «La Libertà d’Italia», con il quale collaborava Fontanelli53 o «La Voce repubblicana», che il 7 marzo 1950 pubblicò anche la dichiarazione programmatica della Uil. Ma della fondazione della Uil non si trova traccia né sulla stampa di partito come «L’Unità»54, né sugli organi delle altre centrali sindacali, «Lavoro» e «Conquiste del lavoro», che scelsero di non menzionare neppure l’assemblea del 5 marzo. Lo stesso «Il Lavoro italiano», il 24 marzo 1950, ironizzava sulla situazione pubblicando dei finti commenti di Pastore, Lane,

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Le Camere Sindacali Autonome a convegno a Roma il 5 marzo, in «Il Lavoro italiano», II, n. 7-8, 24 febbraio 1950, p. 1.

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«Il Lavoro italiano», II, n. 9-10, 10 marzo 1950; «Il Lavoro italiano», II, n. 11-12, 24 marzo 1950. Nel numero del 24 marzo viene anche pubblicato in quarta pagina un manifesto di solo testo, con il comunicato emesso il 15 marzo 1950 dal Comitato esecutivo che annunciava ai lavoratori la nascita della Uil.

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In rappresentanza della Cisi, parteciparono all’assemblea del 5 marzo, De Ambris e Fontanelli. L’Unione italiana del lavoro creata a Roma il 5 marzo, in «Il Lavoro italiano», II, n. 9-10, 10 marzo 1950, p. 1.

53

Lo stesso Fontanelli intervistò Carmagnola per «La libertà d’Italia».Cfr. «Il Lavoro italiano», II, n. 7-8, 24 marzo 1950, p. 2.

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E questo a differenza della nascita della Cisl, costituita il 30 aprile 1950 con la fusione della Lcgil e della Fil e presentata ufficialmente il giorno della Festa del Lavoro. Un evento, ormai dato per scontato nel mondo politico e sindacale, che suscitò reazioni diverse rispetto a quelle avute con la nascita della Uil: anche la stampa di sinistra ad esempio, come l’«Avanti!» e «L’Unità», espresse opinioni e giudizi sulla costituzione della Cisl nei numeri pubblicati il 1 maggio 1950.

Parri, Canini, Rapelli, Di Vittorio, Santi e Costa, spiegando che all’indomani della costituzione della Unione italiana del lavoro, il giornale aveva voluto «interpretare il significativo silenzio delle personalità più in vista del mondo sindacale italiano» con le dichiarazioni riportate nella rubrica, che le stesse personalità si erano «ben guardate dal fare sulla nuova organizzazione sindacale»55.

La nascita della Uil venne inoltre praticamente ignorata anche dalla stampa d’informazione e dalla radio. Giornali come il «Corriere della Sera», il «Messaggero» o «La Stampa» infatti non riportarono alcuna notizia sulla costituzione dell’organizzazione56. Il sostanziale allineamento dei quotidiani d’informazione in quegli anni, non si manifestava solo sotto il punto di vista formale, ma anche con la subordinazione della maggior parte di questi (e delle agenzie di notizie) ad interessi politici ed economici extraeditoriali, che si riconoscevano nel potere democristiano. Ciò si traduceva naturalmente in un sostegno al centrismo degasperiano ed alla Dc57 e, nel caso di avvenimenti sgraditi ad essa come la costituzione della Uil, in un generale silenzio. La stampa preferiva però forse tacere anche non sapendo in che modo trattare la notizia: in maniera negativa, essendo una nascita non auspicata dagli americani e dalla Dc, oppure in maniera positiva, trattandosi di una organizzazione che si proclamava anticomunista. Inoltre le cronache della politica sindacale da quasi due anni erano un susseguirsi di iniziative effimere e, in quei giorni, nulla poteva far prevedere che le sorti della Uil sarebbero state diverse58.

Pur non comparendo una dicitura che lo identificasse come organo dell’Unione italiana del lavoro59, «Il Lavoro italiano», diventò di fatto il giornale di riferimento della Uil e gradualmente, di pari passo con la crescita dell’organizzazione, incominciò anche ad acquisire le caratteristiche dell’organo di stampa sindacale. Cambiarono innanzitutto i lettori a cui si rivolgeva ed in conseguenza alcune delle finalità del periodico ed il messaggio attorno a cui ruotava.

Rilanciava tutte le posizioni e gli orientamenti della centrale sulle vicende sindacali italiane ed estere, contribuendo alla costruzione dell’immagine pubblica della neonata Uil, alla sua diffusione e promozione; pubblicava i documenti ufficiali, dava conto degli andamenti delle vertenze in atto nei vari comparti produttivi; orientava ed informava iscritti

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Girotondo settimanale, in «Il Lavoro italiano», II, n. 11-12, 24 marzo 1950, p. 1.

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Tra i pochi quotidiani che riportarono la notizia, ci furono «Il Tempo» e «Il Giornale d’Italia».

57

PAOLO MURIALDI, La stampa italiana dalla Liberazione al centrosinistra, in GIOVANNI DE LUNA, PAOLO MURIALDI, NANDA TORCELLAN, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Settanta, vol. V, Storia della stampa Italiana, Roma-Bari, Laterza, 1980, pp. 244-245, 301.

58

SERGIO TURONE, Storia dell’Unione italiana del lavoro, op. cit., p. 92.

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e dirigenti sulle attività e sui progetti delle varie federazioni di categoria e delle camere sindacali aderenti all’unione.

Dal 1951, tra le colonne del giornale, cominciarono a comparire anche delle piccole manchette con slogan per promuovere la campagna di abbonamento al periodico: «Un dovere leggere, abbonare, difendere Il Lavoro italiano» o «Abbonarsi è un vostro dovere, lavoratori ma non basta: bisogna sottoscrivere perché soltanto voi siete i finanziatori de Il Lavoro italiano». Si faceva appello al senso di appartenenza dei militanti, abbonarsi e leggere il giornale diventava un dovere per i lavoratori, perché questo era ormai diventato organo della Uil.

L’impostazione data da Fontanelli, come accennato, continuò anche dopo il giugno del 1950 quando «Il Lavoro italiano» accantonò il vecchio sottotitolo e si trasformò in «periodico sindacalista»60 e dopo che Mario Ferrari Bravo (già responsabile della Camera sindacale di Milano) e Camillo Benevento erano diventati responsabili della testata61. Anche la terza pagina mantenne il suo carattere “letterario”, con l’articolo di fondo a carattere narrativo, i pezzi “di colore” pubblicati in posizione di taglio ed altri a carattere aneddotico, oltre ad alcune immagini fotografiche. Fino al 1951, erano poi sempre presenti articoli di critica letteraria, cinematografica o dedicati alla pittura e all’arte in generale. Questi ultimi, però, diminuirono progressivamente nel corso del tempo fino quasi a scomparire. Sempre in terza pagina veniva pubblicata regolarmente anche una rubrica intitolata «Sottolineato», che ospitava dei corsivetti di vena satirica firmati da “Omicron”, riguardanti avvenimenti del mondo politico e sindacale.

Nel corso del 1950 – 1951, furono in realtà poche le rubriche presenti sul giornale, a differenza di altri organi di stampa sindacale. Settimanalmente era presente in seconda pagina un breve «Notiziario Uil», dedicato ai problemi delle categorie produttive e all’andamento delle vertenze e «Il lavoro in parlamento», una colonna a commento dei decreti, dei provvedimenti e dei disegni di legge in materia di lavoro e previdenza. In questa fase di vita editoriale del periodico, mancavano quegli spazi fissi che le altre centrali sindacali cercavano di dedicare più abitualmente sui propri organi ufficiali, a problemi di natura legale, medica, economica o rubriche come la posta dei lettori, ma anche spazi appositamente dedicati alla donna, che invece troviamo su «Conquiste» e su «Lavoro».

60

Cfr. «Il Lavoro italiano», II, n. 22-23, 9 giugno 1950.

61

Ferrari Bravo e Benevento divennero direttori a partire dal n. 38-39 del 10 ottobre 1950, il 20 settembre di quell’anno era infatti morto Livio Nanni, il precedente direttore del giornale. Cfr. Il nostro Nanni in «Il Lavoro italiano», II, n. 38-39, 10 ottobre 1950, p. 1.

Anche nel caso delle elezioni delle Commissioni interne, che rappresentavano un importante terreno di confronto delle organizzazioni e alle quali il sindacato prestò sempre una costante attenzione, «Il Lavoro italiano» riportò solo i risultati cercando di mettere in evidenza le vittorie di rappresentanti della Uil ma non creò una rubrica specifica con periodicità fissa per dare risalto ai dati, come aveva fatto ad esempio «Conquiste del lavoro» attraverso «Sempre più forti», una vera “rassegna dei successi” pubblicata anche nella prima pagina del giornale62.

Rarissimo era poi anche l’uso della grafica o delle vignette. Va comunque ricordato che un fattore importante nella definizione della fisionomia del periodico fu quello economico, che rappresentò un limite per «Il Lavoro italiano». Almeno fino alla metà degli anni Cinquanta, la Uil si trovò ad affrontare una fase di forte carenza di mezzi e povertà di forze, in cui i problemi del finanziamento erano vitali per la sopravvivenza stessa dell’organizzazione. Molto spesso il giornale non rispettò la cadenza settimanale e con uno spazio a disposizione così ristretto diventava ancor più necessario dare visibilità alle attività della Uil e delle sue organizzazioni, oltre che alle questioni di natura politico-sindacale.

Nei primi anni Cinquanta «Il Lavoro italiano» si caratterizzò infatti soprattutto per l’ampio spazio dato alle strutture periferiche dell’organizzazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Erano pubblicati numerosi articoli che trattavano problemi locali e delle categorie, scritti dai dirigenti delle federazioni e delle camere sindacali provinciali e spesso questi erano pubblicati in prima pagina, nella quale erano presenti anche aperture ed editoriali dedicati alle vertenze in atto e all’azione delle varie organizzazioni. Alla periferia vennero inoltre destinate apposite rubriche come «Vita sindacale delle categorie»63 e a volte l’intera quarta pagina. Secondo le decisioni dell’Esecutivo confederale, a partire dal 1952, erano state svolte alcune inchieste riguardanti le camere sindacali provinciali e le federazioni di categoria che dovevano essere pubblicate proprio su «Il Lavoro italiano»64 e a partire dal n. 26 del 30 giugno 1952 era stata dedicata una pagina alla Camera di Torino e poi a quella di Forlì, di Potenza, alla Federazione dei Metallurgici e a quella dei Grafici e cartai65.

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Cfr. Capitolo II.

63

A partire dal n. 19 dell’ 8 maggio 1952.

64

Stampa e produttività , in «Il Lavoro italiano», IV, n. 42, 20 ottobre 1952, p. 4.

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Ci sarà poi quella dedicata alla Camera di Venezia (n. 51 del 22 dicembre 1952) e a quella di Ferrara (n. 4 del 26 gennaio 1953).

La comunicazione dell’organo di stampa Uil si sviluppò anche attraverso l’uso della fotografia, malgrado l’immagine non acquisì mai quella centralità che caratterizzò «Lavoro» della Cgil o «Conquiste del lavoro» della Cisl (nella serie pubblicata tra il 1952 e il 1954)66.

Le foto edite da «Il lavoro italiano», erano principalmente legate al tema lavoro e ai lavoratori. Ed erano quest’ultimi a costituire uno dei soggetti più ricorrenti del giornale, con figure di uomini e donne intenti a svolgere le loro mansioni o raccontati nella loro quotidianità. Il mondo del lavoro descritto era quello legato soprattutto ai lavori tradizionali e rurali ma anche al settore delle costruzioni. Totalmente assente invece il soggetto operaio e quasi del tutto quello della fabbrica, così come pure i luoghi del lavoro (fatta eccezione per quelli agricoli), mostrando in questo modo come ancora una volta questi temi risultino