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La nascita de «Il Lavoro Italiano»

L A STAMPA DELLA U IL

3.1 La nascita de «Il Lavoro Italiano»

Il 27 maggio 1949 Luigi Fontanelli diede vita a «Il Lavoro italiano», giornale «sindacalista indipendente», che a partire dal 1950 e fino a tutto il 1985, sarà organo di stampa della Unione italiana del lavoro.

Il giornale viene fondato con intenti differenti rispetto a quelli che erano alla base di periodici come «Conquiste del lavoro» della Cisl e «Lavoro» della Cgil: al momento della sua nascita non rappresentava infatti la voce ufficiale di un’organizzazione sindacale ma era espressione di un gruppo che intendeva dare vita ad un sindacalismo indipendente dai partiti, in contrapposizione con la Cgil e la Lcgil.

Fontanelli viene descritto da Camillo Benevento (ex segretario confederale della Uil) nel volume di Aldo Forbice, come un intellettuale soreliano, anarco-sindacalista di Ferrara, che durante il fascismo aveva fatto parte del gruppo rossoniano e negli ultimi anni del regime era stato vicino a Bottai1. Sindacalista, giornalista ed esponente della sinistra fascista, si era fatto interprete del sindacalismo rivoluzionario, di quella iniziativa rivoluzionaria del sindacato che nella sua Logica della corporazione aveva definito «“il rosso” dell’uovo corporativo»2 e che doveva essere prerogativa delle sole organizzazioni dei lavoratori e dei tecnici. Erano questi gli elementi attivi del processo storico, a differenza delle organizzazioni padronali che costituivano elementi passivi e di resistenza: il progredire della rivoluzione sarebbe consistito nel graduale imporsi della “tesi” sull’ “antitesi” fino alla realizzazione della sintesi, cioè la corporazione3.

1

ALDO FORBICE, Il sindacato nel dopoguerra. Scissioni della Cgil e nascita della Uil e della Cisl (1945-1953), Milano, Franco Angeli, 1990, p. 80.

2

LUIGI FONTANELLI, Logica della corporazione, Roma, Edizioni di Novissima, 1935, p. 26.

3

Con i suoi articoli di fondo pubblicati su «Il Lavoro fascista» e sulla rivista «Carattere» da lui diretta assieme a Daquanno e Zincone, si inserì nel dibattito sviluppato attorno alla necessità di radicale trasformazione della struttura sindacale fascista e della costituzione di un’unica confederazione dei lavoratori4. Fontanelli aveva polemizzato con il partito fascista che aveva soffocato il sindacato con lo stesso sistema corporativo e aveva sostenuto l’esigenza di riformare il sindacato dopo la conclusione del conflitto5. Nel corso del 1933 su «Il Lavoro fascista» aveva già segnalato e lamentato come da oltre cinque anni le confederazioni dei lavoratori e dei tecnici avessero perso l’iniziativa rivoluzionaria nel campo sindacale e la loro azione fosse stata inefficace e piena di contraddizioni. Riteneva necessaria un’iniziativa unitaria di tutte le forze del lavoro e della tecnica, svolgendo gradualmente le premesse contenute nella Carta del lavoro6.

Tra il 1937 e il 1943 era diventato direttore de «Il Lavoro fascista», il quotidiano della Confederazione dei sindacati fascisti che era stato pubblicato a partire dal 1929, dopo la trasformazione del settimanale «Il Lavoro d’Italia»7 e proprio negli anni della sua direzione, il giornale romano aveva trovato un più consistente assetto editoriale. Nel dicembre 1938, celebrando il primo decennale del giornale, Fontanelli scrisse: «il nostro cosiddetto sindacalismo non è altro che il Fascismo inteso in maniera rivoluzionaria, e la funzione del Lavoro fascista è appunto quella di mantenere ben viva in ogni momento la chiarezza di questi principi»8. Ciononostante la funzione di stimolo “sindacalrivoluzionario” che i promotori del periodico avevano perseguito, era però da tempo soltanto un’etichetta9.

Nel quotidiano la vita sindacale ed i problemi del lavoro (che peraltro occupavano ben poco spazio nelle colonne del giornale) si intrecciavano all’illustrazione e alla divulgazione della politica del regime e poi all’andamento delle vicende belliche e alla cronaca di Roma, ma anche agli avvenimenti sportivi, agli spettacoli teatrali ed ai programmi radiofonici. Questa impostazione è riconducibile al processo di modernizzazione della stampa quotidiana che prese avvio dagli anni ’30 e che rispondeva alla duplice esigenza del regime di prestigio

4

GIUSEPPE PARLATO, La memoria sociale e sindacale nella Rsi, in ANNALISA CARLOTTI (a cura di), Italia 1939-1945: storia e memoria, Milano, Vita e pensiero, 1996, pp. 369-370.

5

Ivi, p. 370.

6

LUIGI FONTANELLI, Logica della corporazione, cit., pp. 40-41, 46-48.

7

Tra il 1938 e il 1940 oltre a «Il lavoro fascista», furono tre i quotidiani di Roma che trovarono un più consistente assetto editoriale: «Il giornale d’Italia», «Il Popolo di Roma» e «La tribuna». PAOLO MURIALDI, La stampa del regime fascista, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 222.

8

PAOLO MURIALDI, MASSIMO LEGNANI, NICOLA TRAFAGLIA, La stampa Italiana nell’età fascista, in VALERIO CASTRONOVO, NICOLA TRANFAGLIA (a cura di), Storia della stampa italiana, vol IV, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 219.

9

verso l’interno e l’esterno e di propaganda di massa10. Anche dal punto di vista giornalistico, ne «Il Lavoro fascista» ritroviamo infatti alcune delle novità comuni ai giornali nazionali, come l’impaginazione di tipo orizzontale, l’uso di fotografie, l’ampliamento dello sport, l’inserimento delle rubriche di cinema, moda e varietà, i servizi degli inviati oltre la tradizionale “terza pagina”.

Camillo Benevento riporta ancora che dopo la chiusura del settimanale dei sindacati fascisti e l’adesione di Fontanelli alla Repubblica di Salò, al termine della guerra il giornalista si eclissò per un breve periodo, per poi dare vita all’iniziativa de «Il Lavoro italiano»11.

Per comprendere il significato di questo progetto editoriale ed il suo ruolo dal momento della sua fondazione e per tutto il 1949 fino alla costituzione della Uil, è necessario partire innanzitutto dalle polemiche e dalle trattative in atto nel mondo politico-sindacale italiano di quel periodo, in cui si inserì «Il Lavoro italiano» ed il gruppo di sindacalisti che vi ruotava attorno.

Dopo l’uscita della corrente cristiana dalla Cgil unitaria, mentre si acuivano le tensioni tra le correnti minoritarie dei socialdemocratici e dei repubblicani con la maggioritaria comunista all’interno della Cgil, crescevano anche le pressioni degli americani che auspicavano la costituzione di un’organizzazione in cui confluissero tutte le componenti sindacali anticomuniste. Ipotesi che incontrava l’insofferenza di una parte delle correnti laiche, riluttanti ad impegnarsi in una confederazione a maggioranza cattolica.

La prospettiva della confluenza iniziò a prendere forma dopo i fatti di Molinella e la fondazione della Federazione italiana del lavoro (Fil) il 4 giugno 1949, guidata dal socialdemocratico Giovanni Canini e dal repubblicano Enrico Parri. Si andava così attuando un piano già deciso a Washington nell’aprile del 1949, con l’incontro tra Pastore, Canini e Rocchi ed il Segretario di Stato americano Dean Acheson, che prevedeva appunto l’uscita dei socialdemocratici e dei repubblicani dalla Cgil ed il loro successivo ingresso nella Lcgil, entro il novembre 1949.

Nel corso di quell’anno però, si verificarono una serie di eventi che interferirono con l’attuazione dell’accordo.

10

Ivi, pp. 79-82.

11

ALDO FORBICE, Il sindacato nel dopoguerra. Scissioni della Cgil e nascita della Uil e della Cisl (1945- 1953), cit., p. 80.

Da una parte il Psli e il Pri, dopo aver approvato sia l’uscita dei propri sindacalisti dalla Cgil che la costituzione della Fil, assunsero una posizione critica verso l’intesa di Washington relativa alla rapida confluenza.

Dall’altra, era entrato in scena un ulteriore gruppo di sindacalisti, tra cui Italo Viglianesi, Enzo Dalla Chiesa, Renato Bulleri. Dopo il Congresso Psi di Firenze del maggio 1949, la minoranza autonomista guidata da Romita si era staccata dal partito e nel dicembre dello stesso anno avrebbe dato vita al Psu. L’emorragia fu esigua dal punto di vista numerico, ma in quella circostanza uscirono dal Psi alcuni sindacalisti che contemporaneamente lasciarono anche la Cgil.

La rottura avvenne sull’onda dei contrasti esasperati dalla vertenza dei chimici con la Confindustria. La lotta della Filc-Cgil per il rinnovo del contratto di lavoro fu una delle grandi vertenze di categoria degli anni del dopoguerra, condotta con i sistemi della “non collaborazione”, degli scioperi ad oltranza, delle serrate in azienda12.

All’interno della federazione dei chimici, si venne a creare però una situazione di conflitto tra la dirigenza comunista e socialista riguardo alla conduzione della vertenza: il Segretario generale Viglianesi, in contrasto con i sindacalisti comunisti, sosteneva una linea duttile e si opponeva al ricorso ad ulteriori scioperi nel settore.Viglianesi assieme ai vice segretari confederali Bulleri e Dalla Chiesa, che lo appoggiavano, furono quindi deferiti ai probiviri del Psi perché fuori dalla linea del partito 13.

Dopo il congresso di Firenze i tre sindacalisti autonomisti decisero di uscire dalla Cgil, seguiti da altri sindacalisti socialisti: una scissione numericamente molto più esigua di quella cristiana ma che comportò comunque l’entrata in scena di un nuovo gruppo sindacale, che cominciò ad organizzarsi come un’entità autonoma14. Dopo aver preso iniziali contatti con la neonata Fil, con la prospettiva di dare vita ad una organizzazione alternativa alla Cgil ed alla Lcgil, questi furono presto interrotti, non condividendo la progettata confluenza con i cattolici15.

La presenza del gruppo di Viglianesi - Dalla Chiesa - Bulleri, accentuò inoltre i malumori di quanti, all’interno della Fil, rifiutavano l’idea di aderire all’organizzazione di Pastore. E mentre Canini e Parri cercavano di ottenere da Washington il rinvio della manovra

12

ALDO FORBICE, Il sindacato nel dopoguerra. Scissioni della Cgil e nascita della Uil e della Cisl (1945- 1953), cit., pp. 95-96.

13

La riunione del Comitato esecutivo della Cgil del 4 maggio 1949, si concluse con la proclamazione a maggioranza dello sciopero generale. In quell’occasione Viglianesi, Bulleri e Dalla Chiesa votarono contro lo sciopero in progetto, così come Canini e Parri (non ancora usciti dalla Cgil). Per quel voto contrario i tre sindacalisti autonomisti vennero deferiti ai Probiviri del Psi. Ivi, p. 97.

14

Ivi, p. 100.

15

concordata e gli americani continuavano invece a spingere per i tempi brevi, Viglianesi cominciò a stringere rapporti con esponenti americani per ottenere degli indispensabili finanziamenti16.

È in questo quadro che si inserisce la nascita de «Il Lavoro italiano», settimanale «sindacalista indipendente», che per tutto il 1949 promosse numerose iniziative e sollecitò i lavoratori italiani, per la creazione di una realtà sindacale slegata dalla disciplina partitica ed alternativa a quella delle due centrali confederali esistenti.

In questa fase di vita editoriale, è questo il messaggio attorno a cui ruotava tutto il giornale. Spiegava infatti il supplemento al primo numero del settimanale: «Lavoriamo per quel sindacalismo indipendente che tutti sentono come fondamentale necessità del Paese, che tutti dicono di attuare, ma che nessuno riesce a trovare nella realtà. Chi, soltanto, potrà realizzarlo? Gli stessi lavoratori della mente e del braccio – liberi da ogni disciplina dei partiti e al di fuori di questi – sono oggi chiamati a dare al sindacalismo indipendente un volto e una forza: il volto e la forza stessi dell’Italia, degli operai, dei tecnici e degli impiegati»17.

Sullo stesso numero, Fontanelli pubblicava un suo editoriale nel quale esprimeva chiaramente la volontà di dare vita ad una nuova forza. Precondizione necessaria per tale costituzione era l’unità dei lavoratori18: in una fase in cui l’Italia era quasi del tutto determinata dalla situazione internazionale, imperniata su due blocchi contrapposti, scriveva Fontanelli, «comunque, per essere con o contro questi, con o contro quelli, è indispensabile che noi – popolo italiano – siamo comunque qualche cosa, cioè una forza. Bisogna che ci ritroviamo, che ricostruiamo la casa, che siamo uniti». Questa unità andava ricercata nel lavoro e nei problemi del lavoro che ne derivavano, elementi che più di ogni altro erano in grado di unire gli uomini.

Il direttore spiegava poi come fosse indispensabile in Italia un movimento di idee che muovesse il sindacato, restando nel sindacato e considerando tutti i problemi della vita nazionale dal punto di vista sindacalista. Questo movimento avrebbe contribuito a fare del sindacalismo «la più diretta espressione della politica del lavoro, la base di un’autentica democrazia, il perno della ritrovata forza del Paese».

Riprendendo una proposta lanciata nel luglio nel 1948 da Giuseppe Rapelli, Fontanelli aveva anche promosso a Roma due riunioni da cui sarebbe dovuta scaturire una “Costituente

16

Ibidem.

17

Supplemento a «Il Lavoro italiano», I, n. 1, 27 maggio 1949.

18

sindacale”19: questa avrebbe dato vita a sua volta ad un’organizzazione sindacale unitaria, democratica, indipendente e apartitica.

Agli incontri, che ebbero luogo presso il Collegio Romano il 16 gennaio ed il 10 aprile 1949, presero parte esponenti di sindacati e federazioni rimaste autonome, non avendo aderito né alla Cgil né alla Lcgil, e studiosi ed esperti sindacalisti delle tendenze più diverse, tra cui Carmagnola, Landi, Rubinacci, i democristiani Gronchi e Rapelli, i socialdemocratici Simonini e Canini, il repubblicano Parri (oltre naturalmente lo stesso Fontanelli)20.

Non fu facile trovare punti di convergenza, considerando le differenti provenienze politiche, ideologiche e sindacali, e questo non permise di arrivare ad una conclusione politica in quelle circostanze. In occasione del secondo convegno si decise comunque di costituire dei comitati di studio e di propaganda fra i lavoratori organizzati e non, collegati attraverso un Comitato centrale presieduto da Paolo Consoni. «Il Lavoro italiano», tra le sue pagine promosse l’idea della Costituente sindacale, attraverso articoli ed interviste e diede un amplissimo risalto al dibattito che aveva avuto luogo presso il Collegio Romano.

Oltre a proclamarsi un giornale sindacalista indipendente, il settimanale fondato da Fontanelli era anche il giornale degli indipendenti, e cioè di quel gruppo che si raccolse e si espresse attraverso il periodico, che veniva concepito ed utilizzato quasi come «il partito del sindacato».

I “sindacalisti indipendenti” che orbitavano attorno a «Il Lavoro italiano» erano un gruppo variegato ed eterogeneo e in esso erano confluiti sia uomini dal passato sindacale fascista delle frazioni rossoniane, che molti giovani tra i quali Camillo Benevento, Ruggero Ravenna, Antonio ed Enrico Landolfi, e sindacalisti come Paolo Consoni, uscito anche egli dal Psi 21. Nel corso del 1949, si erano create all’interno due tendenze. La prima faceva capo a Secondo Regola e mirava alla costituzione della Costituente per rifondare una centrale sindacale unitaria, la seconda invece puntava all’unificazione di tutte le forze uscite dalla Cgil, attraverso la costituzione di una nuova organizzazione che facesse perno sui sindacati di categoria che si erano già dichiarati autonomi e che si erano in parte coalizzati nella Confederazione italiana liberi sindacati (Cils)22.

Dopo i convegni al Collegio Romano, il gruppo iniziale aveva iniziato a sfaldarsi e personaggi come Paolo Consoni erano passati alla Lcgil. «Il Lavoro italiano» promosse a

19

SERGIO TURONE, Storia dell’Unione italiana del lavoro, op. cit., p. 73.

20

Supplemento di «Il Lavoro italiano», I, n. 1, 27 maggio 1949.

21

ALDO FORBICE, Il sindacato nel dopoguerra. Scissioni della Cgil e nascita della Uil e della Cisl (1945- 1953), op. cit., p. 80.

22

questo punto un altro convegno che avrebbe dovuto dar vita alla Centrale italiana dei sindacati indipendenti (Cisi). A partire dal giugno 1949, il giornale incominciò ad appellarsi ai sindacalisti autonomi ed agli indipendenti per riunirsi nel Convegno nazionale degli Autonomi e Indipendenti, che si sarebbe tenuto nel settembre di quell’anno23. L’iniziativa era quindi rivolta agli appartenenti di quelle organizzazioni collocate o sorte spontaneamente fuori le Confederazioni esistenti (che si erano definiti “autonomi”) e a quelli che, pur appartenendo ad esse, si consideravano indipendenti o apartitici. Raccogliendo tali forze, si sarebbe potuto innanzitutto quantificarle e poi discutere le idee, definire i metodi ed individuare le prospettive d’azione, dando così finalmente un volto al sindacalismo indipendente. Dunque un convegno «d’orientamento e di qualificazione» e (come sottolineava il giornale) non di unificazione24.

Sul n. 20 del 21 ottobre 1949, il giornale pubblicò una sua mozione (la Mozione «Lavoro

italiano») articolata in venti punti, con la quale apriva le discussioni in previsione del

convegno25. Ad essa era stata dedicata un’intera pagina con una grande foto, nella quale era raffigurata la mano di uomo sporca di terra nell’atto di afferrare una pietra. La didascalia sottostante spiegava «Per cominciare a costruire: primo sasso nello stagno delle polemiche inconcludenti». Con la mozione e il Convegno degli Autonomi, «Il Lavoro italiano» cercava quindi di portare finalmente a compimento, dopo mesi di dibattiti e polemiche, l’originale progetto di dare vita ad un “movimento” sindacale basato esclusivamente sul sindacato.

La Mozione «Lavoro italiano» proponeva, in particolare, la costituzione di una “Centrale di indirizzo e orientamento”: un organo nazionale con il compito di orientare l’attività dei “Sindacalisti Indipendenti”. Considerando la situazione di pluralismo che caratterizzava il sindacalismo italiano, questi sarebbero dovuti essere «dovunque», perché nello scegliere la propria collocazione organizzativa si sarebbero dovuti lasciar guidare unicamente dall’interesse della categoria, «nell’intento precipuo di mantenere la maggiore unità possibile». Gli indipendenti si sarebbero quindi trovati uniti nella Cisi e da questa avrebbero sostenuto l’indirizzo del sindacalismo indipendente (sempre all’interno delle rispettive organizzazioni), costituendo nell’ambito delle categorie e delle aziende le “Basi sindacaliste”. Inoltre, ogni qualvolta lo esigevano gli interessi dei lavoratori, si sarebbe dovuta prendere l’iniziativa per realizzare l’unità d’azione tra le varie organizzazioni esistenti26.

23 «Il Lavoro italiano», I, n. 5, 25 giugno 1949, p. 1. 24

«Il Lavoro italiano», I, n. 24, 19 novembre 1949, p. 1.

25

Cfr. «Il Lavoro italiano», I, n. 20, 21 ottobre 1949, p. 3.

26

Il periodico promosse costantemente tra le sue pagine il convegno e, più in generale, i temi che si sarebbero dibattuti in quell’occasione. Sulla terza pagina del numero del 6 gennaio, vennero pubblicati stralci di articoli e note apparsi sul giornale, con le idee che avevano contribuito a fissare le proposizioni contenute nella Mozione degli Indipendenti. La pagina, intitolata Punti di riferimento, conteneva anche la fotografia di un uomo con martello e scalpello che incideva un blocco di pietra, seguita dalla didascalia «Non stancarsi di battere il chiodo»27. Con questa espressione il giornale illustrava molto chiaramente quanto fatto da Fontanelli in quei mesi: così come era già avvenuto per la Costituente sindacale, «Il Lavoro italiano» aveva continuato a ribattere instancabilmente sui temi dell’indipendenza e dell’apartiticità, in modo da tenere sempre vivo l’interesse fra i suoi lettori e mantenere acceso il dibattito.

Il Convegno nazionale degli Autonomi e Indipendenti, dopo molti rinvii28, si svolse il 15- 16 gennaio 1950. La Cisi rimase però solo sulla carta. All’incontro di gennaio aderirono sia politici e sindacalisti che in gran parte avevano partecipato ai precedenti due incontri, fra cui Romita e Mandolfo, che i dirigenti della corrente autonomista dei Gasu: Dalla Chiesa, Viglianesi, Bulleri, Novaretti, Bacci, Chiari, Pierleoni, Duca ma anche Donat Cattin e diversi esponenti della Lcgil e della Cgil. Aveva aderito anche Rinaldo Rigola, autorevole sindacalista che era stato il Segretario generale della Confederazione generale del lavoro prefascista. Adesioni vennero inviate poi dal presidente della Camera Gronchi e dagli on. Rubinacci e Carmagnola. Alla presidenza, Rinaldo Ramella (anziano sindacalista ed ex parlamentare fascista), Amilcare De Ambris e Fontanelli.

Il direttore de «Il Lavoro italiano», in qualità di membro del Comitato organizzatore, intervenne al convegno spiegando che gli obiettivi che si erano proposti con quell’assise derivavano dalle impostazioni polemiche del settimanale, impostazioni che a loro volta si rifacevano ai motivi fondamentali del Movimento sindacalista sorto negli ultimi mesi del 1946 e finito dopo le elezioni del 194829.

27

«Il Lavoro italiano», II, n. 1, 6 gennaio 1950, p. 3.

28

Il convegno venne rimandato più volte. Prima a novembre, nell’attesa della conclusione delle fasi congressuali aperte dalle diverse organizzazioni sindacali e politiche, così da «lasciar decantare per qualche tempo la situazione politico-sindacale» e soprattutto per poter capire cosa sarebbe «venuto fuori da quel complicatissimo gioco di “correnti socialiste” incrociate con “correnti sindacali” – naturalmente apartitiche – che va sotto il nome di “unificazione socialista” . (cfr. Non abbiamo fretta, in «Il Lavoro italiano», I, n. 12, 26 agosto 1949, p. 1). Poi ancora al 18-19 dicembre (cfr. «Il Lavoro italiano», I, n. 19, 21 ottobre 1949, p. 4) e infine, per evitare di far coincidere lo svolgimento del convegno con il Congresso nazionale della Dc (convocato negli stessi giorni di dicembre) e consentire la partecipazione di alcuni sindacalisti democristiani, l’incontro venne fissato per il 15-16 gennaio del 1950 (cfr. «Il Lavoro italiano», I, n. 27, 9 dicembre 1949, p. 1).

29

Malgrado la lunga serie di interventi, non si riuscì però ad arrivare ad una conclusione operativa: si approvò un documento di Indirizzo ai lavoratori italiani, con il quale si invitavano tutti gli indipendenti a farsi propugnatori dell’unità d’azione fra le organizzazioni e a propagandare l’iniziativa della Costituente sindacale, per ridare l’indispensabile unità al mondo sindacale italiano30. Il convegno prese inoltre atto della nomina di una Commissione per la redazione definitiva della Mozione «Lavoro Italiano», che avrebbe anche avuto la