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La penetrazione nei luoghi di lavoro attraverso la stampa: i giornali di fabbrica e «L’Attivista sindacale» (1952-1956)

1.3 Problemi di diffusione e penetrazione della stampa sindacale

1.3.2 La penetrazione nei luoghi di lavoro attraverso la stampa: i giornali di fabbrica e «L’Attivista sindacale» (1952-1956)

In una fase di aspre lotte sindacali, di dure repressioni, dell’aumento della disoccupazione e del sostanziale blocco dei salari, di delegittimazione del sindacato, come osserva Adolfo Pepe143, si avverte una perdita di ancoraggio della Cgil e l’emergere dei limiti del burocratismo organizzativo, della penalizzazione delle politiche autonome delle federazioni rispetto al centro confederale, della mancanza di un solido strumento di collegamento democratico con la realtà in trasformazione dei luoghi di lavoro. Il risultato peggiore di questo disorientamento si ebbe nella cristallizzazione della politica salariale centralizzatrice, di cui episodio emblematico fu l’esclusione dalla conclusione della vertenza sul conglobamento nel 1954.

La Cgil, come noto, rispose con ritardo all’esigenza di dare vita ad una struttura diretta del sindacato in fabbrica, ma già dalla fine del 1950 è possibile individuare uno sforzo per 141 Ivi, pp. 69-70. 142 Ivi, p. 69. 143

cogliere la novità della situazione e per adeguare la linea del sindacato144, sforzo che si concretizzò però soltanto dopo la sconfitta nelle elezioni delle Commissioni interne alla Fiat.

Questo sforzo, dal punto di vista della stampa sindacale, può essere individuato in primo luogo nella nascita di una nuova pubblicazione intitolata «L’attivista sindacale», un bollettino curato dall’Ufficio organizzazione confederale, uscito mensilmente a partire dal primo gennaio del 1952145; era diretto da Agostino Novella (responsabile dell’Ufficio organizzazione) ed aveva come Direttore responsabile Pasquale D’Abbiero.

La pubblicazione era rivolta all’interno dell’organizzazione e si occupava dei temi fondamentali per l’attività della Cgil, trattando le esperienze di lavoro delle organizzazioni. Intendeva occuparsi concretamente del tesseramento, dei bilanci, del funzionamento degli organismi direttivi, delle lotte sindacali, delle commissioni interne, delle scuole sindacali e anche della diffusione della stampa confederale in fabbrica, in tutti i luoghi di lavoro e in ogni comune; offriva elementi di orientamento e spunti critici di aspetti particolari dell’organizzazione, in relazione alle applicazioni delle decisioni confederali; indicava i principali temi da discutere e propagandare.

L’importanza dell’«Attivista sindacale» risiede proprio nel contributo che esso diede al dibattito sulle strutture, per introdurre sistematicamente il problema della presenza del sindacato in fabbrica, per discutere i problemi legati alle Commissioni interne ed alle sezioni sindacali e, per la prima volta, per la trattazione della questione delle forme di lotta146.

Anche questa pubblicazione però incontrerà notevoli difficoltà nella diffusione e nel 1956, dopo soli quattro anni di vita, venne soppressa.147 Una scelta legata anche alle trasformazioni che avrebbe subito «Lavoro» in quell’anno ed alle conseguenti precisazioni delle formule e delle funzioni della pubblicistica confederale.

Un ulteriore sforzo per penetrare maggiormente nei luoghi di lavoro e in fabbrica può essere letto anche nell’attenzione che la Cgil rivolse ai giornali di fabbrica a partire dal 1952. Questi erano un fenomeno nuovo nel nostro Paese ed estremamente significativo. Non si trattava di organi ufficiali delle organizzazioni di base dei sindacati, ma di pubblicazioni sorte per iniziativa stessa dei lavoratori. Questi strumenti di comunicazione e di lotta, semplici ed essenziali erano nati, concepiti e sviluppati nei luoghi di lavoro e non si limitavano a dibattere i problemi della vita e delle lotte delle varie maestranze, ma si

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Ivi, p. 74.

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La Segreteria ne aveva deliberato l’uscita alla fine del 1951, prevedendo la pubblicazione del primo numero del periodico il 1 dicembre di quell’anno, per dare sostegno alla campagna di tesseramento. ASCGIL, Circ. n. 773, 14 novembre 1951, Serie «Segreteria generale. Circolari».

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GIANNI FERRANTE, La stampa confederale, cit., p. 157.

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occupavano anche di temi ed argomenti di varia cultura. Si erano diffusi a partire dai primi anni Cinquanta ed ebbero la loro massima espansione tra il 1954 ed il 1955, raggiungendo le 200 testate complessive 148.

La Cgil li considerava preziosi strumenti di propaganda e «strumenti per l’unità dei lavoratori, mezzi efficacissimi per sviluppare il giornalismo proletario e per elevare le capacità creative delle masse lavoratrici». La confederazione si proponeva di seguire più da vicino l’attività di queste pubblicazioni attraverso la Commissione di Stampa e Propaganda, di consigliarle, di aiutare i lavoratori che se ne occupavano, di orientarli meglio nel loro lavoro149. Al fenomeno del giornalismo operaio anche «Lavoro» aveva dato risalto in quell’anno attraverso alcuni articoli ed aveva pubblicato diverse corrispondenze e racconti “operai”, selezionati da giornali di fabbrica.

Il settimanale della Cgil ne metteva in evidenza la novità, il «tipo nuovo» di giornalisti che componevano le redazioni, di provenienza diretta dalle classi lavoratrici e come queste pubblicazioni stessero ormai diventando una caratteristica del movimento operaio italiano. Con esse la classe operaia dava prova della sua maturità e della sua capacità anche in questo campo, avendo compreso il valore che aveva il giornale nella lotta per la sua «redenzione», per creare un fronte sempre più largo contro gli sfruttatori150.

Il periodico confederale sottolineava come questi strumenti di «unità e di democrazia», «organo unitario dei lavoratori della fabbrica e della popolazione del rione in cui vive la fabbrica», fossero un ulteriore mezzo per diffondere la cultura nei luoghi di lavoro. I giornali operai si sarebbero affiancati alla stampa sindacale confederale e di categoria, senza “concorrere” sul mercato giornalistico della fabbrica - rassicurava «Lavoro» - ma collaborando a far sì che nessun lavoratore restasse senza stampa151.

L’ampiezza raggiunta dalla rete dei giornali di fabbrica e l’eterogeneità della stampa operaia, poneva la necessità, alle varie organizzazioni dei lavoratori, di intervenire più direttamente e organicamente in direzione di questi giornali. Per questo motivo al congresso di Napoli Santi aveva lanciato la proposta di convocare, entro i primi mesi del 1953, una conferenza della stampa operaia alla quale avrebbero partecipato non solo i redattori e coloro

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L’espansione dei giornali di fabbrica, concentrati soprattutto nelle città di Modena, Torino e Bologna, si arrestò l’anno seguente quando la tendenza si invertì portando alla chiusura di diverse testate. Solo tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta si assistette ad una significativa rinascita del fenomeno. Per un approfondimento sui giornali di fabbrica si veda GIAN EMIDIO COCUZZA, NINETTA ZANDEGIACOMI, Igiornali di fabbrica, in CGIL, Sindacato e informazione, cit., pp. 125-135 e ROSSELLA REGA, La persistenza della carta. Immagini e parole della stampa sindacale nel secondo dopoguerra, cit., pp. 336-343.

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FERNANDO SANTI, “Si innalzi e si propaghi sempre più la voce della C.G.I.L”, cit., p. 79.

150

GIOVANNI GERMANETTO, I giornali che non piacciono ai padroni, in «Lavoro», V, n. 12, 22 marzo 1952.

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che collaboravano e dirigevano le pubblicazioni, ma anche scrittori, giornalisti e uomini di cultura di varie tendenze, che avrebbero potuto aver in questo modo un contatto diretto con la vita, i problemi e le aspirazioni di operai, impiegati, lavoratori agricoli

Come emerge da una nota del settembre 1953152, la Conferenza della stampa operaia venne realizzata attraverso un’iniziativa a carattere nazionale, lanciata da un gruppo di giornali di fabbrica (tra cui «Il martello» del cantiere Ansaldo di Livorno ed altri 10 giornali di Torino, Milano, Genova, Firenze, Bologna, Roma), tramite un appello rivolto a tutti i giornali di fabbrica, a tutta la stampa sindacale e agli uomini di cultura, che venne pubblicato sul n. 40 di «Lavoro»153.

L’organizzazione del convegno doveva essere seguita e controllata dalla Cgil e dal Pci, attraverso una commissione di lavoro composta, per la Cgil, dai rappresentanti di «Lavoro» (Toti e Filesi), della Commissione stampa e propaganda (Bragantin), della Commissione di organizzazione della Cgil (per la quale non viene indicato alcun nome), e per il Pci, dai rappresentanti della Commissione stampa e propaganda (Campari), della Commissione culturale (Modica), della Commissione lavoro di massa (Di Gioia).

L’iniziativa voleva essere una tappa d’arrivo delle esperienze multiformi raccolte fino a quel momento e il punto di partenza di un movimento che si proponesse di sviluppare e di estendere maggiormente la rete dei giornali di fabbrica, di fare conoscere il significato e la funzione che essi avevano in seno al movimento operaio italiano e in tutta la vita civile del Paese. Inoltre avrebbe dovuto avere un carattere unitario, facendo anche partecipare attivamente alla preparazione i redattori dei giornali di altre correnti sindacali e politiche.

Il I Convegno nazionale della stampa dei lavoratori si tenne il 12-13 dicembre del 1953 a Milano. Vi parteciparono direttori e rappresentanti delle redazioni di 160 giornali, di fabbrica di ogni regione d’Italia. Si discusse del giornalismo operaio e della cultura operaia; del giornale di fabbrica come mezzo di rafforzamento dell’unità di tutte le maestranze dell’azienda, nelle loro rivendicazioni economiche e sociali e nella difesa dei diritti sanciti dalla Costituzione per tutti i cittadini e lavoratori; della libertà di stampa, circolazione e distribuzione dei giornali all’interno dell’azienda, sia come strumento di democrazia, che come mezzo di elevazione della coscienza civile e politica, della cultura e delle capacità

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La nota era indirizzata oltre a Di Vittorio e Agostino Novella, anche a Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Pietro Secchia e Giancarlo Pajetta e firmata da Campari (Commissione Stampa e propaganda Pci), da Di Gioia (Commissione lavoro di massa del Pci), da Salinari (docente di storia all’Università La Sapienza e dirigente della Federazione romana del Pci), da Tatò e Toti in rappresentanza di «Lavoro». ASCGIL, Nota sulla conferenza nazionale della stampa dei lavoratori, 7 settembre 1953, b. 6, fasc. 129, «Stampa e propaganda», 1953, Serie «Segreteria generale. Atti e corrispondenza».

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tecniche e professionali dei lavoratori. Si presentava inoltre un disegno di legge che sanciva le garanzie per tutelare e proteggere i diritti di libertà del lavoratore all’interno dell’azienda154.

Vennero approvate tre risoluzioni, preparate dalla Commissione di lavoro ed emendate dal dibattito dell’assemblea: lo sviluppo dei giornali di fabbrica, affinché si realizzasse un giornale unitario di tutti i lavoratori in ogni luogo di lavoro; il sostegno sui giornali operai e sulla stampa quotidiana alla proposta di legge che sarebbe stata presentata da Di Vittorio per garantire ai lavoratori il libero esercizio dei diritti civili all’interno delle aziende; l’ulteriore sviluppo delle funzioni, svolte dai giornali di fabbrica, di istruzione e addestramento professionale dei giovani lavoratori e di diffusione della cultura fra larghi strati della popolazione (anche facendosi promotori di manifestazioni, organizzando circoli, biblioteche, scambi culturali con altri Paesi).

L’attenzione rivolta verso la stampa operaia, rinnovata successivamente anche dal IV Congresso confederale del 1956, può dunque essere collocata nella complessa ricerca interna che il sindacato stava conducendo in quegli anni, così come il tentativo più generale di penetrare in maniera capillare nei luoghi di lavoro attraverso la stampa sindacale.