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Dagli anni Trenta alla dissoluzione dell’Urss

2.4 Russia: politica ed economia

2.4.1 Dagli anni Trenta alla dissoluzione dell’Urss

Stalin giunse al potere nel 1924. Fra il 1928 e la fine degli anni Trenta l’Unione Sovietica fu lo scenario di profondi mutamenti: la stalinizzazione dell’economia venne completata con l’eliminazione della proprietà privata delle piccole imprese e della coltivazione dei piccoli appezzamenti concessi alle famiglie. I due fattori trainanti divennero la collettivizzazione dell’agricoltura ed uno sforzo d’industrializzazione senza precedenti, operato nel quadro dei Piani Pluriennali. Innanzitutto, alla fine del 1929 Stalin impose la collettivizzazione forzata dell’agricoltura. Questa misura venne attuata con la violenza: esecuzioni arbitrarie, confische dei beni e dei raccolti, deportazione dei contadini; ancora peggio, essa produsse un calo drastico della produzione di cereali, il bestiame fu decimato e ci fu una grave carestia nel 1932-1933, l’ultima grave carestia europea, che provocò quasi 6 milioni di morti.323 Contestualmente, venne lanciato nel 1928 un programma quinquennale di sviluppo dell’industria pesante finalizzato a raddoppiare il prodotto nazionale in cinque anni. Il Piano Quinquennale è uno strumento di politica economica a cui è ricorsa e ricorre tutt’ora la Cina, come è stato detto nel paragrafo precedente. La pianificazione però non è prerogativa esclusiva delle economie socialiste e infatti, come già discusso in precedenza, anche l’India ha continuato fino ad oggi a formulare piani. Si può dire con certezza, comunque, che la pianificazione sovietica si distingue per l’ambizione di abbracciare l’intera economia, per la centralizzazione e per la natura imperativa. Ad ogni modo, questo piano fu il punto di partenza dell’industrializzazione sovietica e dell’introduzione del metodo della pianificazione, di cui servì anche Mao Zedong a partire dal 1953. Verso la metà degli anni Trenta il sistema sovietico acquisì le principali caratteristiche che conserverà fino al crollo. In sostanza, l’Urss è uno stato totalitario dove l’economia occupa un posto centrale. La natura dell’economia dell’Urss è stata oggetto di molti dibattiti. Essa ha molti punti in comune con quella della Cina; il suo regime non può essere definito socialista, a causa del ruolo centrale dello Stato e della sopravvivenza della moneta, ma nemmeno sovietico, poiché il potere non è del tutto nelle mani dei soviet, bensì è privilegio della burocrazia. Praticamente, quella sovietica è un’economia amministrata, comprendente alcune caratteristiche dell’economia di mercato.

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Come anche in Cina, il Partito Comunista è l’organo centrale dotato di un potere decisionale esteso alla sfera economica. È dagli anni Trenta e dal periodo seguito alla Seconda Guerra Mondiale che l’Urss ha registrato una crescita economica impressionante. Questa crescita economica, sommata al prestigio conferito dalla vittoria sulla Germania nazista, ha contribuito a rendere ancora più prestigioso il modello sovietico al di là delle sue frontiere. Già dal 1964, però, si comincia a parlare della necessità di una riforma del sistema economico, in particolare di ridurre i vincoli burocratici, di sviluppare l’autonomia delle imprese.

Michail Gorbačëv, salito al potere nel 1985, inizialmente adottò una linea di continuità con i suoi predecessori, vale a dire un Piano Quinquennale irrealistico, basato su un input accelerato finalizzato alla crescita e alla produttività. Questa politica, logicamente, aggravò ancor più gli squilibri. Ci fu un grande cambiamento di rotta solo con la “perestrojka”,324 termine che significa ricostruzione, che fu introdotta nel 1987 e che segnò la fine della pianificazione. La riforma legislativa attribuì alle imprese statali la responsabilità dei propri debiti, la facoltà di ottenere prestiti e negoziare contratti con altre imprese. In più, la legge sulle imprese individuali e quella sulle cooperative permisero lo sviluppo di attività private. Il leader russo promosse inoltre la glasnost, una politica di trasparenza, comprendente la libertà di stampa ed incoraggiò la fine del monopolio del Partito Comunista. I paesi dell’ Europa dell’ Est protestarono contro un potere sovietico che non aveva più i mezzi finanziari per sostenere il suo impero e che non voleva più governare per mezzo del terrore: il muro di Berlino cadde nel 1989.

Gorbačëv si dimise e il 25 dicembre 1991 la bandiera rossa dell’Unione Sovietica smise di sventolare sulle torri del Cremlino di Mosca e fu sostituita con quella della Federazione Russa. Dal 1987 in poi la Russia intraprese la via dell’economia di mercato. È interessante notare la diversità della Cina, la quale ha realizzato la transizione all’economia di mercato senza rimettere in discussione il regime politico. Oltretutto, date le strutture diverse da quelle della Cina, che nel 1980 è un paese prevalentemente rurale, e con uno stato quasi disintegrato, la transizione russa avvenne con modalità diverse da quelle della Cina. Questo periodo di evoluzione della Russia dal punto di vista economico si protrae fino al 2000, anno che segna la fine delle trasformazioni economiche radicali della Russia contemporanea. Quando nel 1991 fu nominato Primo Ministro dal presidente Eltsin, l’economista Egor Gaidar ebbe il compito di ideare le misure che trasformeranno la Russia in un’economia di mercato. Occorre precisare

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che lo Stato a quel tempo era particolarmente indebolito. Se l’Urss controllava per mezzo della coercizione legale tutti gli ambiti dell’economia, lo stato russo che le succede è sguarnito: la coercizione non può più funzionare e la spina dorsale del potere, ovvero il Partito Comunista, non esiste più. Tutto ciò non facilitò sicuramente le riforme economiche.

Il primo periodo di riforme cominciò nel 1992 con la liberalizzazione dei prezzi. Le conseguenze furono che i prezzi al consumo s’impennarono e ciò ridusse a zero i risparmi accumulati dalle famiglie e il rublo crollò. Il campanello di allarme dell’imminente crisi russa ci fu nel 1996: le incertezze sull’esito dell’elezione presidenziale che oppose Boris Eltsin al candidato comunista fecero aumentare a dismisura i tassi d’interesse e spinsero il governo a privatizzare in modo ambiguo varie grandi imprese. Dal 1997 il contagio della crisi asiatica e l’instabilità politica esasperarono gli squilibri finanziari. Un anno dopo, il governo, ridotto alla bancarotta, annunciò lo stato di insolvenza del debito russo e la svalutazione del rublo. L’aspetto più sorprendente della transizione russa fu il crollo della produzione: tra il 1990 e il 1998 il Pil si è dimezzato;325 del resto, tutti i paesi emersi dalla disgregazione dell’Urss hanno conosciuto una recessione negli anni Novanta, prima che l’attività economica riprendesse. In effetti, il calo del Pil è inevitabile quando si passa da un’economia in cui la produzione è determinata dal piano, ad un’economia in cui la produzione ha come fine ultimo il soddisfacimento della domanda. La recessione è durata otto anni, fino al 1998; la Russia, a quanto pare, pagò il prezzo della mancata ristrutturazione delle imprese e della forte dipendenza dal petrolio.

La privatizzazione, in particolare, è emblematica delle difficoltà della transizione russa. Essa è stata attuata in tre periodi: dal 1990 al 1991 ha avuto luogo la privatizzazione spontanea di alcune imprese; dal 1992 al 1994 una privatizzazione di massa ha favorito i lavoratori e i dirigenti di imprese; infine, tra il 1994 e il 1996 si è avuta la privatizzazione di numerose grandi imprese, che è andata a beneficio di una ristretta cerchia di uomini d’affari vicini al potere, gli oligarchi. Per uscire dalla crisi il governo non è ricorso ad una pesante emissione monetaria, perché ciò aveva causato l’inflazione all’inizio della transazione. Quest’ultima ha avuto costi non indifferenti, che si riscontrano ancora negli squilibri della Russia attuale: l’aumento della povertà, delle disuguaglianze e della disoccupazione; la forte caduta iniziale della produzione; il degrado della qualità e della copertura dei servizi pubblici come

l’istruzione e la sanità; l’aumento della corruzione; infine, molti conflitti armati tra cui quello ceceno.

2.4.2 Gli interventi di Putin dal 2000 in poi: corruzione, oligarchia e monopolio delle