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Il declino delle economie occidentali avanzate come sintomo della crisi della democrazia

Importante è anche il contributo di Luca Ricolfi. Nel suo libro intitolato L’enigma della crescita:

alla scoperta dell’equazione che regola il nostro futuro, il sociologo parte dalla constatazione che

la crescita economica delle economie occidentali avanzate sta conoscendo una fase di arresto. Siccome lo sviluppo economico, secondo l’autorevole opinione dell’autore, è legato alla democrazia, la decrescita implica che la democrazia in questi paesi è in crisi. Ancora prima della crisi economica, comunque, le società avanzate avevano già preso la via del declino. Ciò che sta avvenendo è una sorta di passaggio di staffetta: nei primi anni del Novecento c’è stato un passaggio da un’economia a guida britannica ad un’altra a guida americana; all’inizio del XXI secolo, invece, Cina ed India hanno preso in mano le redini dell’economia mondiale. I valori che ispirano i paesi sono sempre quelli occidentali di democrazia e sviluppo, ma c’è stata e c’è tutt’ora una specie di migrazione di questi valori. La trattazione dell’autore, comunque, verte su un punto fondamentale: l’equazione della crescita. Questa formula matematica ci consente di ragionare su quali fattori intervenire per stimolare la crescita economica. L’equazione di cui parla Ricolfi è la seguente: gn =0,58 Hn+ 0,48 Fn+ 0,45 In– 0,45 Tn– 1,17 t(yn) + 3,0.349“G” rappresenta il tasso di crescita del reddito pro capite, che dipende da cinque forze, indicate con le lettere H,F,I,T e t(y); la loro intensità è indicata dal numero che le precede e il segno positivo o negativo indica rispettivamente forze che stimolano la crescita e altre che la bloccano.

In ordine, la prima forza è il capitale umano, lo “Human capital”350 appunto. Il valore relativamente alto del suo coefficiente dimostra che esso ha un peso non indifferente sulla crescita; esso è legato alla formazione più o meno specializzata degli individui o anche al fatto che essi studino all’estero e poi rientrino nel paese d’origine. Il rendimento del capitale umano dopo il rimpatrio risulta notevolmente accresciuto; la Cina, per esempio, sta mandando un numero di anno in anno maggiore di studenti universitari a studiare negli Stati Uniti.

La seconda forza è il saldo degli investimenti diretti esteri, ovvero i Foreign Direct Investment. Essa misura l’apporto del capitale straniero nel paese considerato.

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Ricolfi Luca, L’enigma della crescita: alla scoperta dell’equazione che regola il nostro futuro, Mondadori, Milano, 2014, pag.45.

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La terza forza è la qualità delle istituzioni economiche, vale a dire il fatto che l’economia sia ben regolamentata. La lettera “I” sta appunto per “Institutions”351; le istituzioni economiche in questione sono ovviamente di tipo inclusivo e sono la già discussa protezione dei diritti di proprietà, l’assenza di barriere doganali e la conseguente apertura dei mercati. Quest’ultime istituzioni sono fondamentali quando si parla di paesi arretrati o in via di sviluppo; nel caso di economie emergenti o avanzate, entrano in gioco altri fattori come il funzionamento dell’apparato giuridico civile e gli oneri burocratici a carico delle imprese, quali le scadenze per il pagamento delle tasse e delle retribuzioni, le tempistiche previste per il recupero crediti in caso di crisi dell’impresa e, infine, le spese per redimere le dispute relative ai contratti.

La quarta forza è indicata dalla lettera “T” e rappresenta le tasse. Il segno negativo che precede la forza ci fa capire che essa rallenta la crescita; è essenziale precisare che non tutti i tipi di tassazione frenano la crescita, ma solo le tasse dirette sulle imprese. Ciò è dimostrato dal fatto che la Svezia e la Finlandia nel periodo che va dal 1995 al 2007 hanno avuto uno sviluppo economico incredibile pur avendo alte tasse. Anche se in questi due paesi le imposte sono generalmente alte, quelle sulle imprese sono fra le più basse in Europa.

La quinta ed ultima forza è t(y), il reddito per abitante, che è indice del benessere della popolazione. Essendo il suo coefficiente di segno negativo, più il reddito iniziale è alto più la crescita è lenta.

Complessivamente, le condizioni più favorevoli per crescere sono: un basso reddito pro capite iniziale, un afflusso di investimenti diretti dall’estero, una notevole qualità del capitale umano, buone istituzioni economiche e basse tasse sui produttori. È chiaro che la crescita diventa così prevalentemente influenzata dagli interventi politici e ogni governo deciderà a sua discrezione di puntare di più su un fattore piuttosto che un altro. Personalmente ritengo che non sia rilevante entrare in merito alle politiche dei governi di sinistra, quelli di destra e quelli liberali. Certamente, un governo di sinistra sarà più incline ad investire in capitale umano, mentre uno di destra preferirà ridurre la tassazione ed infine uno liberale privilegerà i provvedimenti che sostengono efficienti istituzioni di mercato. Occorre quindi chiedersi quale politica può funzionare meglio tenuto conto del contesto in cui deve operare.

Come evidenzia Ricolfi, ci sono due elementi significativi che ogni paese dovrebbe considerare nel decidere i propri interventi.

Il primo elemento è il tempo che serve ad una politica per sortire degli effetti tangibili nell’economia. Un miglioramento del capitale umano, per esempio, non si manifesta concretamente prima di 15-20 anni,352 periodo indispensabile affinché una riforma del sistema scolastico e delle università abbia ripercussioni sul mercato del lavoro. Investire tutto sull’istruzione è una scelta politica che guarda al futuro, ma che purtroppo ha poche possibilità di incidere sul tasso di crescita nel breve e medio periodo. Se un governo decide di canalizzare i propri sforzi sulle istituzioni di mercato, i tempi si accorciano. Dipende comunque da che tipo di modifica si vuole apportare: la liberalizzazione del mercato del lavoro può incidere sulla crescita nel giro di qualche anno, mentre una riforma della giustizia e della burocrazia ha effetti riscontrabili solo nel medio periodo. Per ultima cosa, se si vuole agire sulle tasse, gli effetti possono essere relativamente a breve termine. In particolare, il fattore chiave su cui occorre agire è il cosiddetto “TTR”353, o Total Tax Rate, cioè l’aliquota totale sul profitto commerciale, che comprende tutte le tasse che incidono sul lavoro e sui profitti.

Il secondo elemento è la cosiddetta “classe di opportunità”,354 ovvero l’insieme dei deficit di un paese. Secondo l’autore, ogni governo dovrebbe prima di tutto fare il punto sulla propria situazione, capire su quali fronti è in ritardo rispetto agli altri paesi e lavorare in quella direzione. È così che può innescarsi un processo di automiglioramento e, nel caso dei paesi in via di sviluppo, di imitazione. In effetti, il fatto che gli economisti sostengano che i paesi arretrati sono avvantaggiati perché possono imitare le tecnologie di quelli avanzati vale anche per gli assetti economici, sociali, culturali e giuridici dei vari paesi. Per quanto non si possa trapiantare un assetto istituzionale da un contesto ad un altro, come si fa con la tecnologia vera e propria, è comunque possibile per ogni paese prendere ispirazione dalle migliori pratiche istituzionali che sembrano funzionare nei paesi più promettenti. Esiste dunque una forma di imitazione di politiche e di istituzioni ed essa può rivelarsi positiva. Altro aspetto su cui riflettere è il fatto che tre delle forze che regolano l’equazione della crescita, il capitale umano, la tassazione e le istituzioni economiche sono modificabili dai governi. Le società in via di sviluppo e che sono partite da una condizione di arretratezza, come i Bric di cui stiamo parlando, sono società che hanno in sé una fortissima volontà di automiglioramento proprio perché hanno costruito la loro fortuna avendo a disposizione poco. In questi paesi l’impegno e la dedizione al lavoro sono massimi e l’assenteismo

352Ibid., pag.167. 353

Ibid., pag.169.

è modesto; inoltre, soprattutto nel caso del Brasile, la disoccupazione è bassa e la maggior parte della popolazione lavora o ha comunque buone prospettive di trovare un impiego. Viste tali premesse, la crescita ha ricevuto un impulso maggiore.

Estremamente esemplificativo è il caso tedesco su cui si focalizza Benjamin M. Friedman, professore di economia politica presso l’Università di Harvard, nel suo libro Il valore etico della

crescita: sviluppo economico e progresso civile. Questo caso, infatti, testimonia la crisi della

democrazia come conseguenza della recessione economica prolungata, che ha avuto effetti tragici come l’instaurarsi del nazismo. La crisi economica segue la fine della Prima Guerra Mondiale e si aggrava con la grande depressione degli anni Trenta. Tuttavia, sarebbe limitativo motivare l’ascesa nazista solamente con gli eventi degli anni Trenta; i semi del nazismo vanno ricercati nella storia tedesca della metà dell’Ottocento e della fase che segue la sconfitta tedesca nel primo conflitto mondiale. Infatti, la Germania esce sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale e le vengono imposte pesanti riparazioni di guerra contenute nel Trattato di Versailles: l’esercito, la marina militare e la flotta mercantile vengono ridotte notevolmente; la Germania è costretta a restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia ed altri territori tedeschi alla Polonia, Danimarca, Belgio e Lituania. È in questo contesto di instabilità ed incertezza economica che il partito nazista si fa spazio e si impone. È proprio nel 1933 che viene emanata una legge che dà a Hitler i pieni poteri, quindi lo legittima a governare come cancelliere in assenza della legislatura o del presidente. La repubblica tedesca cede il passo dunque al Terzo Reich e si instaurano delle istituzioni lontanissime dall’essere inclusive. Di fatto, tutte le organizzazioni sindacali tedesche vengono raggruppate in un nuovo Fronte dei lavoratori tedeschi alle dirette dipendenze del governo. La libera contrattazione dei salari viene sostituita dal potere statale e Hitler ne approfitta per fissare tutti i salari a livelli bassi; si diffonde inoltre il divieto di organizzare sindacati indipendenti e viene approvata una legge che vieta la formazione di nuovi partiti politici. L’erosione dello stato di diritto culmina nella deportazione di un numero grandissimo di persone nei campi di concentramento; parallelamente a ciò, un’altra legge stabilisce che solo i cittadini di discendenza ariana possono essere dipendenti dello stato tedesco. Sebbene il mutamento di regime che si verifica in Germania nel 1933 sia associato all’adozione di nuove politiche economiche che sono sfociate in una reale ripresa economica, sono venuti a mancare i diritti della persona, ogni forma di tolleranza e di libertà. In più, il caso tedesco qui considerato è una riprova del fatto che la crescita economica di paesi con istituzioni non inclusive non sia sostenibile nel lungo periodo. Credo che valga la pena esaminare la situazione tedesca anche perché mette bene in luce la connessione tra malessere economico e il prendere piede di politiche estrattive. La Germania, ad ogni modo, non è

stato l’unico paese colpito in modo più significativo dalla depressione degli anni Trenta; anche gli Stati Uniti, in realtà, ne hanno risentito molto. Eppure, gli americani hanno saputo reagire in un modo radicalmente diverso, ossia incoraggiando l’instaurazione di una società più egalitaria, aperta e democratica.

L’idea di base è quella di una corrispondenza tra redditi decrescenti e allontanamento dall’apertura, dall’equità e dalla democrazia in Germania e, viceversa, all’aumento dei redditi sono corrisposti episodi di allargamento della democrazia. Degli esempi di quest’ultimo processo sono le riforme sociali di Bismarck dal 1883 al 1889; il periodo di riforme in seguito all’instaurarsi della Repubblica Federale nel 1949, quelle di Willy Brandt e, per concludere, quelle dopo la riunificazione del 1989-1990. In particolare, è la fondazione della nuova repubblica tedesca nel ‘49 a costituire le fondamenta per la costruzione di una democrazia tedesca, oggi ben consolidata. L’attività economica riceve un impulso dal Piano Marshall e il reddito pro capite oltrepassa largamente il livello del 1937. Negli anni a seguire, la sensazione di benessere legata al progresso economico induce il governo Adenauer a continuare a difendere le libertà civili e la democrazia. La legge fondamentale, chiamata “Grundgesetz”,355 cerca di assicurare le libertà civili fondamentali che erano state brutalmente negate dal regime nazista. L’elezione di Willy Brandt a cancelliere nel 1969 segna un’ulteriore ampliamento dell’inclusività delle istituzioni governative; una della riforme più significative da lui introdotte è l’abbassamento dell’età elettorale a 18 anni. Analogamente, la riunificazione delle due Germanie che ha luogo nel 1990 rappresenta un’espansione della democrazia all’ex Germania dell’est.

In conclusione, è vero che l’instaurazione di istituzioni antidemocratiche ed estrattive ostacola la crescita economica, ma il caso appena analizzato dimostra l’inverso, ovvero che condizioni di disagio economico sono il terreno ideale per la diffusione di politiche autoritarie.

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Friedman Benjamin M., Il valore etico della crescita: sviluppo economico e progresso civile, Università Bocconi Editore, Milano, 2013, pag.390.