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2.3 Cina: uno sguardo alla storia delle riforme politiche

2.3.2 Il periodo maoista

Appena preso il potere nel 1949, Mao Zedong aveva davanti a sé un paese con gravi problemi economici sia per i danni arrecati dalla guerra sia per l’inflazione acuta. L’intervento cinese nella guerra di Corea iniziata nel 1950 aveva accresciuto l’ostilità delle potenze capitaliste e aveva rinsaldato il rapporto tra Cina e Unione Sovietica. Nei primi anni della Repubblica Popolare Cinese il modello fu quello di un’economia mista, in cui solo le grandi industrie e le grandi banche venivano messe sotto la supervisione dello Stato. A partire dal 1953, finita la guerra di Corea, Mao però abbandonò questo iniziale approccio e si dedicò alla realizzazione di un’economia pianificata. Con il primo Piano Quinquennale (1953-57), in Cina cominciò a venire attuato il modello pianificato di tipo sovietico. L’obiettivo primario era lo sviluppo dell’industria pesante e per fare ciò vennero costruiti impianti industriali con macchinari importati dall’Unione Sovietica e dall’Europa orientale. Ulteriori finanziamenti provenivano dai prestiti di questi paesi e dai prelievi sull’agricoltura, collettivizzata dal 1955 al 1956. L’Unione Sovietica forniva inoltre la formazione professionale necessaria ai tecnici e agli operai cinesi. Ad ogni modo questa strategia di industrializzazione era troppo drastica e squilibrata. In seguito alla denuncia da parte di Nikita Chruščëv al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico dei crimini dello stalinismo, si diffuse un clima di maggiore liberalizzazione economica e di libertà politica, chiamato dei “Cento Fiori”.298 Ben presto però, già nel 1958, Mao decise di puntare sul Grande Balzo in avanti. Egli cominciò una campagna contro gli intellettuali e coloro che avevano espresso liberamente le loro opinioni

durante il periodo dei “Cento fiori”: quasi un milione di persone299furono condannate, rimosse dal posto di lavoro e mandate nei campi di lavoro. Per quanto concerne l’economia, il Grande Balzo in avanti fu una riproposizione del primo Piano Quinquennale con radicalizzazioni e peculiarità. La prima radicalizzazione fu la costituzione delle comuni popolari, che dovevano non solo provvedere alla produzione agricola, ma dovevano anche occuparsi dei servizi sociali degli appartenenti alla comune. La seconda fu l’eliminazione di ogni incentivo di tipo sia materiale che monetario, consolidando così il predominio incontrastato della logica pianificatoria da parte della burocrazia di partito. Un aspetto che va sottolineato in quanto rende palese la mancanza di logica in questo tipo di politica economica è che venne operata una decentralizzazione amministrativa, ma non economica. In altri termini, ai governi locali venne lasciato il potere di elaborare piani sulla base di una strategia nazionale, ma l’economia era gestita dallo Stato. Un sistema di questo tipo difficilmente poteva funzionare. C’era poi una smania da parte dei governi locali di ispirare i loro piani ad un’industrializzazione accelerata; un’applicazione dell’ideologia del tutto subito fu lo sviluppo delle celebri “fornaci da cortile”:300 milioni di lavoratori delle zone rurali vennero costretti a non lavorare nell’agricoltura ma, con ritmi disumani di sfruttamento, in piccolissimi impianti per produrre ferro ed acciaio. Non si può negare che la produzione industriale crebbe, ma con prodotti di qualità scadente e soprattutto a discapito di una grande quantità di manodopera che fu sottratta all’agricoltura. Nel 1960 il Grande Balzo in avanti fallì: la mancanza di cibo era insostenibile e una carestia provocò trenta milioni di morti.301 È stata la più grande carestia del Ventesimo secolo nel mondo. Dal 1961 al 1964 ci fu un breve intermezzo durante il quale il paese poté finalmente prendere fiato. Ad ogni modo, come era già successo nel 1958, Mao cambiò direzione e nel 1964 promosse il “terzo fronte”,302 caratterizzato dal lancio di un consistente programma di investimenti industriali sotto un forte controllo militare. Nel 1966 ebbe luogo la famosa Rivoluzione culturale, che fu un tentativo di rimuovere dal Partito e dalla società ogni tipo di elemento borghese e che fece cadere il paese in un baratro, con rivolte, repressioni e caos generale. Egli accentuò ancora di più tale programma dal 1966 in poi, a mano a mano che le relazioni con l’Unione Sovietica peggioravano ed erano culminate in scontri militari ai

299Ibid.

300Ibid., pag.27. 301

Ibid.

confini; Mao voleva dunque raggiungere l’autonomia politica ed economica della Cina, sottoponendo sempre più tale strategia sotto il controllo dell’Esercito di Liberazione del Popolo, i cui ufficiali avevano spesso anche l’incarico di dirigere le imprese. Dopo la morte di Mao, avvenuta nel 1976, il nuovo leader Hua Guofeng intraprese un nuovo Piano Quinquennale per il rilancio dell’economia, con un massiccio programma di investimenti. Inizia così la “demaoizzazione”303 dell’economia e prende avvio la “modernizzazione socialista”304. Maddison (2007) in una delle sue analisi mostra il mutamento strutturale avvenuto nell’economia cinese durante il periodo maoista: il peso dell’agricoltura sul Pil nel 1952 era del 60%; nel 1964 si era ridotto al 34%. Il peso dell’industria, al contrario, era passato dal 10% al 37%.305 Secondo Maddison, questa trasformazione strutturale è avvenuta con un aumento del capitale per lavoratore, ma con una diminuzione della produttività complessiva dei fattori. Tali indicatori riassumono perfettamente le inefficienze del sistema pianificato e gli errori commessi da Mao. Ciò che ci ha lasciato in eredità il maoismo sono il fallimento economico e un sistema politico totalitario ed oppressivo dominato dal fanatismo. La sfida a cui il processo di riforma dopo il maoismo doveva tenere testa era enorme: contenere le inefficienze economiche realizzando una transizione ad un’economia di mercato e provvedere al riequilibrio sociale.

303Amighini Alessia, Chiarlone Stefano, L’economia della Cina: dalla pianificazione al mercato, Carocci

editore, Roma, 2007, pag.25.

304

Ibid.

305