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Per poter comprendere il significato di Inclusive Wealth Index è importante richiamare il concetto di sviluppo sostenibile. La prima definizione di tale concetto si trova nel Rapporto Brundtland del 1987 della World Commission on Environment & Development (WCED) intitolato Our Common

Future. Nel rapporto, lo sviluppo sostenibile è definito come lo “sviluppo che soddisfa i bisogni

attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.”408

Esso ha tre dimensioni: l’economia, l’ambiente e l’equità sociale. L’Agenda 21, poi, contiene una lista di azioni mirate definite dalla Conferenza di Rio, indica chi debba condurre tali azioni e in che modalità; i programmi vanno portati avanti a livello nazionale e locale. Lo sviluppo sostenibile, inoltre, è un obiettivo politico e il risultato di decisioni e scelte prese di volta in volta dai governi. La Dichiarazione di Rio sullo Sviluppo e Ambiente contiene i sette principi cardine dello sviluppo sostenibile: il principio di diritto allo sviluppo o principio di equità; il principio dell’integrazione dell’ambiente nelle politiche di sviluppo; il principio della responsabilità comune ma differenziata tra gli stati; il principio dello scambio di know how; il principio di partecipazione o di trasparenza; il principio di precauzione e, infine, il principio “chi inquina paga”. Concretamente, due delle principali problematiche ambientali sono lo sfruttamento delle foreste e l’imperatività degli strumenti di controllo dell’inquinamento.

Il termine sostenibilità fa riferimento ad un uso più ragionato delle risorse naturali, finalizzato a ridurre l’impiego di quelle non rinnovabili e diminuire i rifiuti prodotti. Tale espressione indica anche la sostituzione del capitale naturale con risorse naturali trasformate in modo tale da permetterne il riutilizzo. In altri termini, centrale è l’idea che parte dei fattori di produzione, in questo caso parte del capitale naturale, venga riciclato invece che ne venga usato di nuovo.

I rapporti tra sviluppo economico e ambiente si possono valutare alla luce di due differenti visioni: una ottimistica ed una pessimistica. Secondo il primo punto di vista, è tramite il mercato, la crescita economica e l’innovazione tecnologica che si può gestire la crisi di risorse naturali. Il secondo punto di vista, all’opposto, mette in rilievo che siccome l’economia è animata da forze troppo intense e aventi effetti dannosi, il sistema non è in grado strutturalmente di trovare soluzioni alla mancanza di risorse naturali.

In sostanza, c’è un nesso imprescindibile tra sviluppo economico ed ambiente. Ci sono vari indici per stimare la crescita economica. Quello tradizionale è il Pil; è stato poi introdotto l’HDI, ovvero

lo Human Development Index, nell’ambito dell’Undp, lo United Nations Development Programme; nel giugno del 2012 infine, è stato presentato lo IWI, ossia l’Inclusive Wealth Index, nell’Inclusive Wealth Report 2012, un progetto lanciato alla Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile di Rio +20. Esso è il frutto della collaborazione tra lo Human Dimensions Programme

on Environmental Change (UNU-IHDP), che fa riferimento alla United Nations University, e lo United Nations Environment Programme (UNEP). L’UNEP è stato fondato nel 1972, opera

all’interno delle Nazioni Unite ed ha la missione di consolidare le istituzioni per un uso ponderato del patrimonio di risorse ambientali; ispirare, informare e consentire alle nazioni e ai cittadini di migliorare la loro qualità di vita senza compromettere quella delle future generazioni; valutare e stilare report sulla situazione ambientale a livello globale; conciliare sviluppo economico e protezione dell’ambiente; promuovere un utilizzo sostenibile delle risorse naturali e, per finire, incoraggiare la partecipazione pubblica alla gestione delle risorse naturali.409Questo nuovo indice è inclusivo nel senso che valuta la ricchezza delle nazioni sulla base di un’ampia gamma di fattori: oltre al capitale fisico, cioè gli stabilimenti industriali, le tecnologie, gli impianti, la strumentazione e via dicendo, anche il capitale umano e soprattutto il capitale naturale. Per capitale naturale si intendono le risorse rinnovabili e non rinnovabili, tra cui i combustibili fossili, le foreste e le peschiere.

Il suddetto indice è stato introdotto per ovviare ad una mancanza dell’HDI, ovvero il fatto che non prendesse in considerazione il capitale naturale nell’analisi della crescita economica di un paese. È interessante, quindi, mettere in rilievo le differenze tra HDI E IWI. Molti dei paesi che hanno un HDI relativamente elevato non hanno prestato molta attenzione alla sostenibilità ambientale. In passato, è sempre valso il principio di sostituibilità tra capitale naturale e capitale umano, ovvero il capitale umano sarebbe fin’ora riuscito a controbilanciare la perdita di capitale naturale. Se ciò continuerà a verificarsi anche nel futuro è questione di punti di vista. Ci sono infatti due diverse visioni: quella della sostenibilità debole e quella della sostenibilità forte. Secondo la prima interpretazione, i due tipi di capitale sono largamente sostituibili; la storia ha insegnato che la triade composta da tecnologia, informazione e mercato ha permesso di superare la crisi e garantire nuovi orizzonti di progresso. Altrimenti detto, il capitale umano può sopperire ad un capitale naturale in parte esaurito. Scienza e tecnologia sarebbero quindi le basi per lo sviluppo di lungo periodo. Secondo la seconda interpretazione, al contrario, il capitale umano e quello naturale possono essere sostituiti solo parzialmente. Ci sarebbe una soglia limite al di sotto della quale non

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si può andare, ma, purtroppo, si è in procinto di raggiungere tale livello; occorrerebbe, perciò, consumare risorse rinnovabili ad un tasso equivalente a quello di riproduzione. Il capitale naturale, a differenza di quello fisico e umano, non è prodotto da un investimento volontario effettuato dalle istituzioni politiche; al contrario, esso c’è già e non è frutto dell’intervento dell’uomo. Inoltre, la limitatezza delle risorse non rinnovabili implica che le economie sono di fronte ad un trade-off tra il presente e il futuro: quanto più una risorsa naturale è impiegata oggi, tanto meno ne resterà domani. Questa scelta va fatta non solo nel caso del capitale naturale, ma anche per quanto riguarda il capitale umano. Gli investimenti nel capitale fisico, umano e nel progresso tecnologico hanno la capacità alzare il livello di vita futuro, al prezzo di un minor consumo oggi. Benché ci sia effettivamente un trade-off nel caso del capitale umano, esso è più impellente nel caso del capitale naturale. Qualora infatti le istituzioni non investano nel capitale fisico ed umano ora come ora, alle generazioni future non è comunque preclusa la possibilità di farlo. Di contro, se viene consumato tutto il petrolio del pianeta, le generazioni future non possono più porre rimedio a tale situazione. L’IWI è rilevante in questo contesto perché mette in luce come diversi assetti istituzionali si rapportino al tema della crescita economica sostenibile. Un paese democratico, per esempio, ragiona e opera nell’interesse della collettività, dunque sarà più propenso a far sì che la sua crescita economica non causi l’esaurimento delle risorse. Oltre a ciò, un governo può decidere se i profitti aggiuntivi derivanti dall’abbondanza di risorse siano investiti direttamente o messi da parte per periodi in cui il clima è particolarmente avverso, come nel caso dei monsoni in India. Per di più, le istituzioni democratiche saranno più propense a scegliere di tassare le esportazioni delle risorse naturali e impiegare le rendite derivanti per provvedere ad un bene pubblico come un’infrastruttura o un investimento nel sistema educativo. Come evidenzia David N. Weil nel suo libro Economic Growth, c’è una relazione positiva tra Pil pro capite e capitale naturale: i paesi con più risorse naturali tendono ad avere redditi più alti. Conseguentemente, il fatto che alla dotazione di risorse naturali non corrisponda la crescita economica significa che i governi prendono decisioni non ben ponderate. Molti esperti sostengono che, in effetti, le risorse naturali possono avere un’influenza negativa nelle politiche dei governi, spingendoli ad adottare misure politiche dannose che altrimenti non prenderebbero. Gli effetti negativi delle risorse naturali sulle politiche delle istituzioni si dispiegano nei seguenti modi. Innanzitutto, le risorse naturali inducono un’espansione esagerata del settore economico ad esse collegato: esse costituiscono una fonte di rendita immediata e pronta all’uso per il governo, il quale è portato a distribuire tale rendita ai gruppi influenti ad esso vicini. Per di più, accrescendo il profitto che il governo può distribuire ai gruppi potenti ad esso connessi, la presenza di risorse naturali alza la posta in gioco per avere

accesso al potere, incoraggiando così il leader a conservare la propria posizione. Tale è il caso della Russia.

Il report dell’Unep ha preso in analisi venti paesi che nella loro totalità costituiscono tre quarti del Pil mondiale e il periodo considerato va dal 1990 al 2008.410È rilevante sottolineare che tra i paesi ci sono anche i Bric. Nonostante abbiano registrato un incremento del Pil, Cina, Stati Uniti, Brasile e Sud Africa hanno drammaticamente impoverito il loro stock di risorse naturali. Nell’arco di tempo preso in esame, le risorse naturali sono diminuite del 25% in Brasile e del 17% in Cina.411 In aggiunta, se si considera il Pil, le economie della Cina e del Brasile sono cresciute rispettivamente del 422% e del 31%, ma se ci si attiene al IWI queste paesi sono cresciuti solo del 45% e 18%412. Di fronte a tali dati risulta evidente l’utilità dell’IWI: fornire ad ogni paese un quadro più completo e comprensivo del livello di ricchezza raggiunto ed informare i leader politici dell’importanza di conservare e tutelare il patrimonio naturale del proprio paese per le generazioni future. Tra l’altro, questo bisogno si fa ancora più stringente nel caso di paesi come l’India, dove la popolazione sta crescendo molto e possono insorgere seri problemi se non vengono prese misure per preservare ed accrescere lo stock di capitale.

La figura 4.4 sottostante riporta la performance economica media dei venti paesi, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo, lo Human Development Index e l’Inclusive Wealth Index in un arco temporale di diciannove anni, dal 1990 al 2008. Dal report emerge che tra tutti e venti i paesi la Russia, il Venezuela, l’Arabia Saudita, la Colombia, il Sud Africa e la Nigeria hanno assistito ad una riduzione della loro ricchezza inclusiva e ciò sta rendendo la loro crescita non sostenibile. La Russia, in particolare, ha un IWI con segno negativo e pari a -0.3; essa sta dunque pagando il prezzo di un’economia prevalentemente incentrata sulle risorse naturali. Il fatto che il Brasile non riporti invece un valore negativo conferma che, nonostante tale paese abbia un’abbondante dotazione di risorse naturali, la sua economia è più diversificata di quella russa. In cinque di queste sei nazioni, la crescita della popolazione ha superato quella dell’IWI e ha generato condizioni insostenibili. Tutti gli altri paesi mostrano un aumento dell’IWI per capita e ciò indica la sostenibilità della loro crescita.

410 Ibid. 411 Ibid. 412 Ibid.