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CAPITOLO 2: INARI ŌKAM

2. Dakini come entità unicamente femminile

A proposito di Inari si è detto che è centrale nella comprensione della sua figura la sua ambiguità sessuale. Parlando di Dakini, invece, emerge la sua quasi prepotente femminilità, su cui hanno fatto leva molti studi di femministe nel tentativo di riportare alla luce tradizioni pre- patriarcali in cui la donna aveva un ruolo diverso da quello cui è stata successivamente relegata. Il rapporto che Inari ha con questo elemento femminile è fondamentale, poiché se non si esplicita nella composizione della sua personalità, si esplicita attraverso l’animale che lo accompagna, cioè la volpe.

Nell’analizzare Dakini, Judith Simmer-Brown si concentra più volte sulla questione del genere, poiché è una non coincidenza tra la concezione tibetana del termine e quella occidentale

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a produrre una serie di incomprensioni e a rendere sostanzialmente vano l’intero discorso di diversi studiosi. Il voler far emergere la femminilità di Dakini per creare una tradizione religiosa femminile e femminista non prende in considerazione la concezione secondo la quale femminile e maschile non sono né opposti né, in fin dei conti, reali. Riportando il pensiero di James Hillman, Simmer-Brown spiega come il voler incastrare l’intera esperienza umana, nonché quella della Dakini, in una “fantasia degli opposti” che vede il femminile e il maschile come generi con delle caratteristiche stereotipate a loro volta definiti da qualità opposte altrettanto stereotipate, significa imporre a dei simboli delle proprietà che non appartengono loro e che certamente non sono ciò che le tradizioni indigene intendevano124. La tradizione tibetana in particolare non vedeva il genere come coincidente al sesso né all’identità.

Ad un livello ultimo, non c’è nessuna reale differenza tra donne e uomini. Le nostre nature sono vuote di intrinseca esistenza, vasta ed espansiva, libera dall’elaborazione concettuale. Eppure ci sono energie sacre maschile e femminile che sono una parte essenziale del complesso mente-corpo. Queste energie non sono

determinate dalla nostra biologia. […] Ogni lama che io abbia intervistato è stato sicuro che le energie maschile e femminile scorrono nelle nostre menti, emozioni, corpi sottili e corpi, a prescindere dal nostro

sesso o genere.125

Possiamo notare come questa concezione sia anni luce lontana dalla concezione shintoista di ciò che è maschile e ciò che è femminile. Si tratta infatti di un’ideologia secondo cui queste due energie sono entrambe positive finché coesistono e nessuna delle due diventa preponderante a scapito dell’altra, un po’ come accade con i princìpi di yin e yang. Questa visione idealistica tuttavia non si realizza nella vita di tutti i giorni, poiché la realtà umana fatta di illusioni deve vivere seguendo delle regole, ha bisogno che ci siano dei ruoli definiti onde evitare di piombare nel caos. Inoltre, sebbene non in un sistema dicotomico come quello della

124 Ibid., p. 14.

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“fantasia degli opposti”, le due energie hanno le loro specifiche caratteristiche, ed è interessante notare come sia quella femminile a poter diventare pericolosa. Se quella maschile nel peggiore dei casi può diventare noncurante, quella femminile rischia il contrario. Questa differenza viene riassunta con la frase «Le donne sono pazze e gli uomini sono stupidi»126.

Il fatto che il buddhismo tibetano sia molto meno maschilista dello shintoismo, tuttavia, non sta solo nella concezione dei due generi. In generale, in Giappone, lo shintoismo si occupa di quelle cerimonie che si celebrano durante la vita di una persona, ma è il buddhismo che prende il suo posto alla morte. Se lo shintoismo si concentra su ciò che avviene mentre si è in vita, il buddhismo si occupa di ciò che avviene dopo la morte. Le questioni di genere sono un aspetto che riguarda il vivere nella società e che non ha più importanza dopo che la si lascia127. Questa non dualistica concezione del genere da parte del buddhismo tibetano si riflette nella figura di Inari più di quanto non vi si riflettano la femminilità di Dakini o il maschilismo dello shintoismo. Oltre che la polarità che vi è tra Izanami e Izanagi in quanto rappresentanti della vita e della morte e di tutto ciò che da esse deriva, come la purezza e l’impurità, ve n’è una anche sul piano sociale e fisico. Dal dialogo che i due hanno nel Kojiki 古事記 emerge che

siano, oltre che spiritualmente, anche biologicamente caratterizzati.

E lì Izanaki con fare solenne interloquì con la maestosa Izanami.

“Come è il tuo corpo?”

“Il mio corpo? Sarebbe perfetto. Se solo non avesse una parte incompiuta, non del tutto chiusa.” “Il mio invece ha qualcosa di troppo. Potrebbe colmare la tua non tutta chiusa, per figliare le terre di un regno. Non credi?”

“Sì, d’accordo.”128

126 Ibid.

127 Bernard FAURE, Introduzione a The Power of Denial: Buddhism, Purity and Gender, Princeton University

Press, Princeton e Oxford, 2003.

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Oltretutto, il fatto che prima del loro intercorso Izanami si sia permessa di parlare per prima ha avuto delle conseguenze che mettono ben in luce quali siano i diritti che una donna dovrebbe avere:

Promisero, fecero il giro e la maestosa Izanami esclamò: “Che bel ragazzo!” prima che il maestoso Izanaki esclamasse: “Che bella ragazza!” Egli le rimproverò di avere parlato, lei femmina, per prima. Tuttavia si appartarono e fecero sì che ella figliasse un bambino, ma deforme, che abbandonarono alla corrente in un

battello di giunchi, e un’isola flaccida, che neppure riconobbero come propria prole.129

Poiché le conseguenze dell’intraprendenza di Izanami sono state quelle di generare un figlio “guasto”, mostruoso, mentre il contrario non ha causato lo stesso problema, insegna che la donna deve aspettare l’azione dell’uomo, non può assumere il controllo. Da qui deriva il suo ruolo subordinato e addirittura quasi emarginato, dato che non vi sono molte occasioni nelle quali l’uomo debba essere allontanato dalla comunità ma ve ne sono molte in cui la donna deve farlo perché impura.

La forza intraprendente della donna, che, sebbene in altri termini, era presente già nella tradizione buddhista tibetana, si manifesta nella figura di Inari non solo nel momento in cui esso diventa una figura androgina, ambigua, ma anche legandosi al suo messaggero, la volpe bianca, che ama prendere le sembianze di una bella donna per sedurre le sue vittime. Anche Dakini era accompagnata da un animale, ma si trattava di uno sciacallo, un animale collegato al consumo di carcasse, adatto ad accompagnare una divinità che si ciba dei cuori dei defunti. La somiglianza dei due animali a livello estetico potrebbe essere una delle cause dell’associazione tra Dakini e Inari, ma l’impurità del consumo della carne sarebbe stato

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sostituito dall’essenza femminile che viene associata alla volpe nella tradizione giapponese130,

un elemento che, tuttavia, verrà affrontato più approfonditamente nel capitolo successivo. Per il momento basti sapere che, così come le Dakini si associano più spesso a praticanti maschi, così le volpi, spesso sotto le sembianze di donne belle e provocanti, seducono e ingannano più facilmente gli uomini.