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CAPITOLO 2: INARI ŌKAM

1. L’origine della divinità: il demone Dakin

Si è accennato precedentemente a come la figura di Inari sia stata arricchita anche grazie al contributo di altre correnti religiose e filosofiche, come il buddhismo. Un significativo passo nel cambiamento della percezione della figura di Inari è avvenuta tramite l’associazione e la sovrapposizione del kami 神 con una figura appartenente alla tradizione del buddhismo tantrico (ma non solo), ovvero Dakini (in sanscrito “Ḍākinī”) [fig. 8].

Nel riportare questo collegamento, o sarebbe meglio dire questa discendenza116 di Inari da Dakini, molti testi si limitano a descrivere quest’ultima come «una categoria di demoni formidabili, che hanno la reputazione di ammaliare gli uomini, di avere degli scambi con essi e di possedere dei gusti cannibali che li incitavano, in particolar modo, a cibarsi dei cuori dei defunti»117. Bisogna però tener conto di diversi altri elementi che cooccorrono nel dare una definizione adeguata

116 “Discendenza” è un termine inesatto perché Inari aveva già una sua tradizione in Giappone anche prima

dell’ingresso del buddhismo esoterico che introdusse la figura di Dakini. Quando si parla di “discendenza” si fa quindi riferimento al fatto che la moderna tradizione di Inari è modellata anche, ma non unicamente, su quella di Dakini.

117 Laurence CAILLET, Lieu, ancêtre et céréale: le dieu du sol au Japon, Études rurales, Année 1996, Volume

143, Numéro 1, p. 143. Mia la traduzione.

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di queste entità. Innanzitutto la loro origine, che è diversa dalla tradizione da cui si attinge in Giappone. Secondariamente, il contributo di altre tradizioni che, nel viaggio di queste divinità o demoni dal loro luogo d’origine fino a terre come il Giappone, hanno a loro volta reinterpretato la materia di base. In terzo luogo, non si può prescindere dall’analizzare il modo in cui certe tradizioni sono state assimilate dal popolo giapponese. Quest’ultimo argomento verrà affrontato singolarmente tra qualche pagina, ma per quanto concerne i primi due possiamo già da adesso costruire un quadro, anche se semplificato, che ci aiuti a comprendere meglio gli aspetti di Dakini che si ritrovano anche nel culto di Inari, dato che una definizione come quella data all’inizio di questo paragrafo potrebbe non far risultare evidente l’eredità di Dakini in Inari. Judith Simmer-Brown divide118 le origini di Dakini in due: quella brahmanica e quella precedente al brahmanesimo. La prima vede le dakini come entità minori del pantheon,

demoniche abitanti dei cimiteri e dei terreni ossei, che godevano del sapore della carne e del sangue umani

e danzavano con ornamenti fabbricati con le ossa dei cadaveri in decomposizione. Inoltre, erano

identificate come spiriti stregati di donne che erano morte in gravidanza o durante il parto. Anche le mogli

infedeli erano sospettate di poter diventare dakini. Quando fatte arrabbiare, queste streghe erano capaci

di causare pestilenze tra gli umani, soprattutto febbre, ossessioni, malattie ai polmoni e infertilità.119

La seconda invece fa riferimento a una cultura pre-patriarcale, «conosciuta per le tradizioni della loro Madre Dea, pratiche yoga, sofisticatezza artistica e reverenza per gli alberi e gli animali»120. È importante notare, per il momento, che entrambe le versioni vedono la

Dakini come un’entità femminile.

118 Judith SIMMER-BROWN, Dakini’s Warm Breath. The Feminine Principle in Tibetan Buddhism, Shambhala,

Boston, 2001, pp. 45-51.

119 Ibid., p. 45.

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La figura che originariamente si presentava in questo modo ha poi subito due influenze particolarmente degne di nota. Una è quella del buddhismo, mentre la seconda appartiene in particolare al buddhismo tibetano. La cultura buddhista è successiva a quella induista, e in quanto tale ha dovuto fare i conti con le tradizioni precedenti, che non erano né uniformi né necessariamente concordi. Per potersi sostituire alla tradizione precedente, ha dovuto mettere in atto un processo di assimilazione, che tuttavia non è avvenuta esattamente integrando gli elementi della cultura precedente nella nuova. Piuttosto, ha negato le precedentemente esistenti pratiche indigene o le ha integrate subordinandole ai propri insegnamenti, concepiti come più universali121. In particolare assimilando la figura della Dakini, il buddhismo non ha potuto fare a meno di considerarla barbara e negativa, dato che si trattava di un demone che si macchiava non solo della consumazione di carne, vietata dalla fede buddhista, ma addirittura di cannibalismo. Essa ha quindi dovuto essere addomesticata, ma ha sempre mantenuto, nel buddhismo indiano, la sua ambiguità e imprevedibilità. Il buddhismo tibetano, invece, l’ha modificata al punto da scinderla dalla specificità che aveva. Ha unito le Dakini cosiddette “mondane” con quelle “celesti”, permettendo loro quindi di mantenere, ancora una volta, una certa ambiguità. Sarebbe stato poi compito del praticante discernere le due figure nel momento dell’incontro con una di esse, e usare l’incontro a suo vantaggio, per la propria elevazione e per l’avvicinamento all’illuminazione.

L’ambiguità di Dakini è diventata tale da non poterne dare una definizione sistematica, dato che «essa si manifesta in una forma coerente con la sua natura»122 e, non avendone solo

una, questa non è sempre la stessa. Infatti, la traduzione della parola non è univoca, così come non lo è neanche la definizione della sua natura: se alcuni studiosi concordano nel ritenerla un’entità semi-divina, altri la vedono una vera e propria divinità.

121 Ibid., p. 48.

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Per questi motivi, anche i modi di rappresentare Dakini sono vari e non concordi, nemmeno all’interno della stessa tradizione. Nella maggior parte dei casi, viene rappresentata come una donna che danza, tanto che in tibetano il termine “dakini” viene tradotto anche come «khekham su khyappuar droma, ovvero ‘colei che vola ovunque nel [illimitato limite del] reame dello spazio»123, meglio riassunto con la definizione di “danzatrice del cielo”.

Come abbiamo ben visto, neanche i modi di rappresentare Inari sono concordi, ed è difficile ricostruire un’identità di questa divinità che appaghi il nostro desiderio di completezza e totale comprensione. Non si può certo dire che l’ambiguità di Dakini sia interamente responsabile dell’ambiguità di Inari: la cultura giapponese, a causa della sua continua assimilazione di correnti religiose e filosofiche, sembra molto spesso ambivalente se non addirittura contraddittoria.