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Dal reportage alla poesia

Nel documento Il realismo ceco di Milos Forman (pagine 80-83)

CAPITOLO 3 Dal reportage allo straniamento: Miloš Forman e il (sur?)realismo del suo

3.5 Dal reportage alla poesia

Parlando del trio Forman-Passer-Papoušek, il critico Lino Miccichè scrisse che essi «distrussero le vecchie convenzioni della sceneggiatura, cercando di ricostruire la realtà non tanto attraverso un intreccio realistico quanto attraverso l'acuta percezione dei dettagli, nelle situazioni e nei personaggi. Essi trovarono negli attori non professionisti gli interpreti ideali dei movimenti unici cui davano vita sullo schermo. Questa unicità divenne il loro credo artistico56». Nell'esplicare questo egli non faceva altro che mettere in evidenza il punto chiave che rappresenta il quid del cinema formaniano: nel momento in cui la rappresentazione della quotidianità risulta essere così potentemente evocativa si ha il passaggio dalla verosimiglianza alla poesia. Precisiamo innanzitutto il fatto che utilizzando il termine poesia non ci riferiamo ad esiti lirici dell'immagini o all'utilizzo di metafore evocative, quanto proprio alla «magia» che si sprigionerebbe a partire da un semplice gesto, sguardo o parola57.

Jiří Janoušek riteneva che il cinéma vérité non solo avesse contribuito alla scoperta di un nuovo linguaggio cinematografico, in termini di tecniche di ripresa e mezzi espressivi, ma anche avesse fornito «la potenza magica del comportamento umano privato, la sua straordinaria facoltà di rivelare con una movenza o un gesto spontaneo il più complesso movimento interiore, e la sua intraducibile poesia58». Citando Balázs, rifletteva sul principio per cui uno dei più profondi desideri dell'uomo sia quello di vedere il mondo senza essere osservato. La curiosità umana si originerebbe dal fatto che ciascuno di noi possiede il senso della differenza tra ciò che egli, come individuo, è e ciò che invece agli altri appare: ognuno, sostiene, vuole assicurarsi di non essere il solo attore a recitare la propria vita.

Riflettendo, si scopre che ci sono solo due possibilità di mostrare l'uomo: come è –

55 La formula è di Marenčin in un'intervista di Martin Šmatlák del 1994, in Turigliatto R., Nová vlna: cinema cecoslovacco

degli anni '60, cit., p. 218.

56 Miccichè L. in Liehm A., Il cinema nell'Europa dell'Est, 1960-1977, cit., p. 72.

57 Sono infatti rarissimi, per non dire assenti i momenti in cui si può ravvisare un uso poetico-metaforico della macchina da presa che è molto diverso da ciò cui Janoušek si riferisce: Peter Hames ne individua uno solo nell'intero film Černý Petr: «During their idyll in the countryside, there is a lyrical panning shot of Pavla's sexually triumphant face against a background of trees» (In Hames P., The Czechoslovak New Wave, cit., p. 129). A questo potremmo affiancare il finale di Hoří, má panenko, in cui il pompiere e il vecchio la cui casa è stata demolita dall'incendio passano all'aperto le ultime ore della notte, dividendosi un piccolo letto e la relativa coperta mentre la neve inizia a scendere sopra di loro. Sulla stessa linea possiamo citare infine il rito di appendere le cravatte all'albero che la giovane e ingenua Andula mette in piedi con il fidanzato Tonda in Lásky jedné plavovlásky. Su questo si veda anche Vecchi P.,

Miloš Forman, cit., p. 37.

58 Janoušek J., Aspetti antropologici della recitazione nel nuovo cinema, in Miccichè L. (a cura di), Nuovocinema. Per una nuova

attraverso il buco della serratura; o come vorrebbe essere nel più profondo di se stesso – creando una situazione nella quale può recitare per il suo piacere, per il piacere di recitare59.

La questione sollevata si porrebbe, prima che sul piano della recitazione, semplicemente a livello umano: l'antitesi non starebbe nel contrasto fra l'uso di attori professionisti o meno, quanto piuttosto nel fatto che in ognuno di noi ci sarebbero delle velleità, più o meno manifestate, di far mostra di noi stessi come se agissimo, nel nostro vivere quotidiano, interpretando in continuazione una parte. Questa condizione, proseguiva Janoušek, sarebbe negli attori non professionisti ancora 'dormiente' in quanto essi, non praticando la recitazione a livello professionale, non sono in grado di controllare questo doppio sé come invece è in grado di fare un attore professionista. In questo starebbe l'autenticità, ed è in virtù di questo che egli parla di «effetto emozionale proprio della realtà, riconosciuta come la fonte più preziosa della poesia. Si tratterebbe della scoperta del corto circuito che si verifica quando la divergenza fra spirito e corpo […] diventa automaticamente fonte di una pura poesia visiva60». Il ruolo chiave del regista sarebbe quello di saper creare le giuste condizioni, di predisporre l'avvenire di situazioni potenzialmente interessanti per la comprensione dei meccanismi del reale.

Proseguendo, Janoušek giungeva alla conclusione che proprio i film di Forman rappresentassero «il vertice massimo raggiungibile dal cinema di finzione», in quanto il continuum della recitazione (amatoriale) dei personaggi viene continuamente interrotto da sprazzi di espressione individuale dettata proprio dall'assenza di professionismo: non è possibile insomma per questi attori mantenere fino in fondo la maschera che vorrebbero indossare, una maschera che cadendo nello sforzo di rappresentarli come vorrebbero apparire, mostra tutto ciò che essi sono davvero. La verità starebbe appunto nella tensione e contraddizione fra questi due momenti del voler apparire e dell'essere. Scriveva Janoušek:

Se tutto è soltanto finzione, allora il desiderio umano di recitare, d'imitare, di superarsi, è la realtà più autentica e la principale fonte per la sua suggestione. Appunto per questo

Gli amori di una bionda è per me una delle maggiori testimonianze del cinema di finzione -

inesistente come tale, in realtà. I film di finzione sono, in realtà, o film di marionette o documentari. O esistono per l'idea, per l'autore, e allora sono recitati così come sono stati concepiti; ovvero esistono per l'uomo presente in essi, e quindi questi film racchiudono – assieme alla storia – la testimonianza della ricerca del bisogno individuale di recitare e il suo senso personale61.

59 Ibidem, p. 336. 60 Ibidem, p. 335. 61 Ibidem, p. 336.

Questo meccanismo è visibile ad esempio in Kdyby ty musiky nebyly, nella scena in cui i due maestri di musica vengono chiamati a mostrare loro stessi nell'atto di tenere una lezione alla propria banda. Si ha qui la sovrapposizione e lo scontro fra il loro essere e il loro agire da maestri quali a tutti gli effetti sono, maestri che per definizione devono recitare la parte che da loro ci si aspetta, quella di figure carismatiche, competenti e portatrici di saldi valori. Alla stessa maniera i due giovani musicisti assenteisti fanno bello sfoggio delle loro migliori facce alle ragazze per nascondere l'ansia da prestazione che naturalmente precede la gara di motociclette cui partecipano. Janoušek portava ad esempio l'interpretazione di Jan Vostrčil del padre di Petr, riferendosi molto probabilmente alla scena del monologo finale sui valori del lavoro, di cui si è già parlato al paragrafo 3.4:

Si potrebbe dire che queste opere sono animate dalla tensione che si produce fra la realtà più autentica e il piano poetico artificiale, tensione che oggi viene ricercata anche nella recitazione scenica. Un esempio di recitazione in cui tutto ciò si manifesta in maniera vistosa è quello dell'autore che interpreta il ruolo del padre in L'asso di picche. L'eccitamento che essa produce nasce dal fatto che l'illusione di integralità del personaggio incarnato viene interrotta di continuo da un'esibizione autonoma involontaria, per la quale – senza che l'interprete del ruolo se ne renda conto – questo personaggio diventa un semplice pretesto62.

Lo stesso Jan Vostrčil, che interpreta il maestro di musica più anziano in Kdyby ty muziky nebyly, venne scelto da Forman e Passer perché autocandidatosi durante una chiacchierata al bar63. Egli risulta perciò il caso di cui si diceva sopra, ovvero di un individuo, attore non professionista ma dotato di velleità di far mostra di sé, candidato che risulta predisposto più di altri a reagire al meccanismo di finzione elaborato dal regista. Va ricordata infatti la bipartizione di Forman (paragrafo 3.2) circa le categorie di attori: alla prima categoria appartengono coloro che riescono ad interpretare solo se stessi, mentre alla seconda coloro che riescono a 'recitare', ma che per farlo devono essere almeno un gradino più intelligenti del personaggio che interpretano:

A dire il vero, essi non interpretano se stessi, ma ne fanno invece la parodia, anche se una parodia estremamente seria. Il tetto massimo raggiungibile è stabilito dalla loro intelligenza, mentre gli attori professionisti sono capaci di vivere spiritualmente anche ruoli che siano al di sopra delle proprie possibilità64.

Non tutti gli individui risultano utilizzabili perché non tutti idonei a rientrare in questo meccanismo: l'abilità di Forman fu anche e soprattutto la capacità di individuarne quei pochi che,

62 Ibidem, p. 337.

63 Liehm Antonín, The Miloš Forman Stories, New York, IASP (International Art and Sciences Press), 1975, pp. 43-44. 64 Přádná S., Il fenomeno degli attori non professionisti, in Turigliatto R., Nová vlna: cinema cecoslovacco degli anni '60, cit., p.

seppur non limitando ad un solo film la loro parentesi di attori, garantirono ai film la loro unica e irripetibile unicità.

Questo meccanismo di autocandidatura spontanea da parte degli attori non professionisti ricorda un analogo personaggio ne I suicidi, regia di Michelangelo Antonioni, episodio del film collettivo

L'amore in città. Qui è infatti la stessa ragazzina diciannovenne a rendere manifeste, davanti alla

macchina da presa, le sue velleità di attrice, ragion per cui si sarebbe prestata a partecipare al film- inchiesta del 1952. Questa associazione ci permette di comparare l'efficacia del metodo formaniano con un'altra modalità di indagare il mondo, ovvero quella del film-inchiesta. Pur mettendo in scena vicende realmente accadute con l'impiego di attori non professionisti, il risultato non ha nulla della vivacità e schiettezza formaniana. Il carattere piuttosto spento dell'interpretazione appare una semplice ripetizione, da parte di un'attrice dilettante, delle battute per lei preparate dal regista. Paradossalmente, nell'economia generale del film-inchiesta L'amore in città, ci sembra più convincente l'episodio L'agenzia matrimoniale, soggetto e regia di Federico Fellini. In questa occasione infatti il regista sostituisce al rigore documentaristico zavattiniano (cui Fellini non credeva) una vera e propria fiction. La trama dell'episodio vede un giovane giornalista cui viene affidata un'inchiesta sugli imbrogli che stanno dietro alle agenzie matrimoniali. Si finge dunque un cliente, e agendo sotto copertura, verrà coinvolto in uno di questi cinici raggiri messi in atto da agenzie matrimoniali senza scrupoli. La facoltà di osservazione ambientale e psicologica felliniana è riuscita in questo caso a rappresentare ed affrontare le problematiche 'richieste' dal tema comune dell'inchiesta con un piglio più critico e verosimile rispetto ai modi da pseudo cinéma vérité, realizzata da Antonioni con il microfono alla mano.

Nel documento Il realismo ceco di Milos Forman (pagine 80-83)