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CAPITOLO II. LA DIFFUSIONE DEL PROPORZIONALISMO IN EUROPA:

II.4 Dalla rappresentanza personale alla lista libera

Oltre al considerevole successo del movimento di riforma del sistema elettorale, quello che qui interessa sottolineare è il percorso dell’Associazione riformista ginevrina sulla strada dell’elaborazione di un sistema elettorale adatto alla realtà del Cantone. Abbiamo visto, nei paragrafi precedenti, i due modi di declinare la proporzionale: rappresentanza personale, con voto al candidato, scrutinio di lista con voto a opinioni, programmi, o partiti. Ebbene, nella sua opera di divulgazione, che per circa un anno e mezzo, tra il dicembre 1868 e il giugno 1870, contemplò anche la pubblicazione di un settimanale di quattro pagine interamente dedicato ai problemi della riforma elettorale e diretto da Amédée Roget, la

Réformiste, senza trascurare nessun tipo di sistema di rappresentanza delle minoranze, si

mosse da un estremo all’altro, finendo per approdare, inizialmente per asserita strumentalità, come specificheremo più avanti, poi per convinzione, al sistema della libera concorrenza delle liste. Vediamo a questo punto nei dettagli come si arrivò a questa conclusione e quali furono i punti di partenza, o meglio quale fu il punto di partenza, dal momento che una cosa non venne mai messa in discussione, ovvero l’utilizzazione del quoziente come parametro per misurare la forza dei candidati o delle liste e dunque per stabilire chi avesse diritto alla rappresentanza e in che grado. “[…] L’associazione lo abbracciò con ardore vedendo in esso il solo mezzo di realizzare la sovranità vera della nazione di assicurare a tutti, nella misura in cui ne hanno il diritto, una seria iniziativa politica, di porre nella volontà generale, manifestata mediante la scelta dei rappresentanti, un potere mediatore, capace di interporsi tra i partiti e a moderarne le pretese, lasciando

                                                                                                               

loro piena libertà di proporsi, ma vietando di imporsi: di compiere, in una parola, l’abolizione di una umiliante schiavitù elettorale.”233

Già, ma come, nell’ambito dei tanti modi di applicazione che abbiamo esaminato, rendere operativo il metodo del quoziente? A questa domanda l’Associazione non smise mai di provare a dare una risposta che, l’abbiamo appena detto, non fu unica. La sua prima formulazione si concretizzò, nei suoi principi, nella seduta del Consiglio dell’Associazione del 21 novembre 1865 e venne approvata dall’Assemblea generale poco meno di un mese più tardi, il 18 dicembre. Dopo aver esaminato i metodi potenzialmente utilizzabili per concedere alle minoranze la giusta rappresentanza e aver anche preso in considerazione l’idea della rappresentanza per opinioni e programmi proposta quasi vent’anni prima da Victor Considérant, l’Associazione optò decisamente per il principio della rappresentanza personale, motivando così la sua decisione: “Ce qui a droit à être représenté, ce ne sont

donc pas des majorités, des minorités, des opinions, mais des hommes qui donnent un mandat de confiance. Nul n’a le droit de demander à l’électeur, avant de le laisser élire, à quel parti ou à quelle opinion il appartient. Les représentants sont des hommes représentant d’autres hommes dont il sont les mandataires, voilà tout. Telle est la conception fort simple qui fonde la doctrine de la REPRÉSENTATION PERSONNELLE. Mais le droit de représentation est un droit collectif. Pour être élu il faut réunir le suffrage d’un certain nombre d’électeurs. De combien? Il y a dans le corps électoral un certain nombre d’électeurs qui doivent choisir un certain nombre de députés. En divisant le nombre des électeurs par celui des députés, on obtient un nombre indiquant combien il y a d’électeurs pour un député. […] Ce nombre, quel qu’il soit, est le quotient électoral et, dès qu’on a bien compris le principe de la représentation personnelle, on voit avec évidence que des électeurs égaux en nombre au quotient électoral ont droit à un représentant.”234

Eguali gruppi di voti espressi per un candidato, non per un programma, per un’opinione o per un partito, di conseguenza non per una lista: questa doveva essere la base della rappresentanza. Le parole che abbiamo letto riecheggiavano quelle di Thomas Hare e di John Stuart Mill ed effettivamente i principi del sistema che l’ultima assemblea generale del 1865 votò e approvò non erano molto dissimili rispetto a quelli enunciati dallo Hare, se non in qualche norma mirante a semplificare il procedimento di scrutinio.

                                                                                                               

233 Attilio Brunialti, Libertà e Democrazia. Studi sulla Rappresentanza delle Minorità, cit., p. 236

234 Association Réformiste de Genève, Réforme du Système Électoral, Genève, Imprimerie et Lithographie

Il risultato più immediato degli studi che seguirono questa votazione fu un nuovo rapporto presentato e approvato dal Consiglio dell’Associazione riformista il 20 marzo 1866, nel quale vennero esplicitati i principi di cui sopra, incardinati nel contesto di una proposta di sistema elettorale potenzialmente applicabile alle elezioni del Cantone di Ginevra. Vediamone brevemente i punti fondamentali.

In primo luogo, la divisione in collegi veniva giudicata inutile e superflua in un territorio così poco esteso come quello ginevrino. “Le Canton de Genève est de forte petite étendue;

et la division en Collèges électoraux ne nous semble pas avoir de raison d’être sérieuse. En effet, nos élections prouvent que l’unité politique est réalisée, puisque les trois collèges également obéissent au mot d’ordre de deux partis constitués, dont la lutte prime absolument les diversités locales.”235

Ciononostante, avvertivano i proporzionalisti ginevrini, nel caso si fosse ritenuto necessario il mantenimento delle tre circoscrizioni elettorali, il sistema avrebbe potuto tranquillamente funzionare senza problemi all’interno delle stesse. Un mese prima delle elezioni, l’autorità elettorale avrebbe dovuto pubblicare una lista ufficiale dei candidati che, per esservi inseriti, sarebbero dovuti essere designati da un certo numero di cittadini (anche in questo caso, come in quello del Considérant, veniva ipotizzato che gli elettori sufficienti a designare un eligendo sarebbero potuti essere dieci). Al momento della votazione, gli elettori avrebbero avuto a disposizione questo elenco e tra i nomi ivi contenuti avrebbero dovuto selezionarne cinque, disposti in ordine di preferenza. Per essere eletto, ciascun candidato avrebbe dovuto conseguire un numero di voti pari al quoziente elettorale (vedremo tra poco come l’Associazione riformista ginevrina ritenne che il quoziente andasse determinato, perché era una delle particolarità del sistema proposto). “Lorsque le premier nom inscrit sur un bulletin est celui d’un candidat déjà

élu, le Président du dépouillement le barre, et le bulletin compte pour le second nom; il compte pour le troisième si les deux premiers sont élus, et ainsi de suite. Chaque bulletin ne compte que pour un nom; mais il est nécessaire d’en écrire plusieurs pour éviter la perte des voix donnés à des candidats déjà élus.”236 Da questa descrizione, si può facilmente notare come il funzionamento del procedimento elettorale fosse assolutamente identico a quello previsto dal metodo elaborato da Thomas Hare e in effetti i proporzionalisti di Ginevra si richiamarono più volte, sia nella definizione dei principi che                                                                                                                

235 Association Réformiste de Genève, Pratique du Nouveau Système Électoral, Genève, Imprimerie et

Lithographie Vaney, 1866, p. 7

nella stesura del loro progetto, al giurista inglese. Quoziente, personalità e unicità del voto, trasferimento dei suffragi: gli elementi fondamentali erano gli stessi. Tuttavia, vi erano alcune novità che meritano di essere menzionate. Una era di importanza minore, ovvero la previsione che avrebbe imposto all’elettore un numero massimo di nomi, cinque, da segnare sulla scheda elettorale. Un limite le cui ragioni possono essere ricercate nella necessità di rendere più semplice l’espressione del voto da parte degli elettori e lo scrutinio, oltre che nel numero tutto sommato ristretto, cento, di deputati da eleggere all’interno del Cantone, che avrebbe reso più che sufficiente al fine di non sprecare voti l’espressione di cinque preferenze. Altre due invece furono proposte e introdotte su iniziativa di uno dei membri dell’Associazione, Jean Rivoire, un notaio che fu l’ideatore dello scrutinio continuo e immediato. In pratica, lo spoglio dei suffragi non sarebbe dovuto avvenire al termine delle operazioni di voto, ma nel corso delle stesse. “E perché lo spoglio immediato non contribuisca a violare il segreto del voto, i bollettini non cadono sul banco dell’ufficio elettorale nel momento che sono gettati nell’urna, ma sono trattenuti da una valvola la quale si alza facendo cadere parecchi bollettini alla volta.”237 L’altra innovazione introdotta dal Rivoire, strettamente connessa a quest’ultima, riguardava la determinazione del quoziente che, visto lo scrutinio immediato, non sarebbe potuto essere calcolato successivamente allo spoglio dei voti e dunque andava predeterminato dividendo il numero degli elettori per quello dei deputati da eleggere, prevedendo però il suo successivo abbassamento, dal momento che sarebbe stato impossibile che tutti gli elettori si fossero recati alle urne. Quel numero, che il rapporto dell’Associazione fissava a 100 (il quoziente calcolato sugli elettori sarebbe stato pari a 150), sarebbe diventata la cifra di elezione.

Altra novità, l’assegnazione dei seggi residui, ovvero quelle che venivano chiamate elezioni complementari. In questo caso, l’Associazione non previde né l’eliminazione né la scelta dei candidati più votati, ma una elezione quasi-indiretta da parte dei candidati già eletti, i quali avrebbero dovuto scegliere, sempre secondo il metodo del quoziente, i deputati rimasti da eleggere tra i candidati più votati tra quelli che non avessero raggiunto il quoziente. Un tipo di procedimento che ricordava in un certo senso quelli proposti dal Fisher e dal Baily e le cui criticità abbiamo già visto in precedenza (v. § II.1). Le ultime due differenze rispetto al metodo Hare le sintetizzò il Brunialti: “Per evitare qualunque prevalenza artificiale di uno dei partiti, il rapporto propone che il voto sia dato per lettera                                                                                                                

237 Attilio Brunialti, Libertà e Democrazia. Studi sulla Rappresentanza delle Minorità, cit., pp. 237-238

alfabetica. È chiaro, come laddove ognuno potesse votare quando più gli piace, si cercherebbe di votare per ultimo, nella speranza, che il candidato proprio venga nominato dagli altri, e se ne possa così nominare un altro. L'elezione durerebbe tre giorni, e la sera dei due primi sarebbero pubblicati i nomi dei candidati eletti nella giornata.”238

Modifiche, innovazioni che forse sarebbero potute essere adatte a una realtà piccola come quella ginevrina, ma che, se applicate a uno Stato, a un territorio più esteso, sarebbero state difficilmente praticabili e infatti, quando Ernest Naville, nel 1869, espose il funzionamento pratico di un sistema elettorale proporzionale per le elezioni rappresentative, di esse non vi era traccia.239 Una grande nazione sarebbe dovuta essere divisa in circoscrizioni

provinciali, ogni elettore avrebbe dovuto poter esprimere tante preferenze, quanti fossero stati i candidati da eleggere all’interno di una singola provincia, lo scrutinio sarebbe dovuto essere successivo al voto (l’ordine di spoglio delle schede casuale) e non contemporaneo, non immediato e, di conseguenza il quoziente sarebbe dovuto scaturire dal rapporto tra il numero di voti validi e il numero degli eligendi. Per quanto riguarda le elezioni complementari, il Naville auspicava una sorta di voto graduale: si sarebbe dovuto operare un nuovo spoglio di tutti i bollettini nella loro composizione al termine di quello che il Naville chiamava lo scrutinio primitivo e attribuire un valore decrescente rispetto alla posizione occupata dai singoli candidati nella scala di preferenza degli elettori (ad esempio 1 al candidato in prima fila, 1/2 a quello in seconda fila e così via), sommare quindi i suffragi e stilare così la classifica dei candidati rimasti: i primi avrebbero dovuto ottenere i seggi residui. Qualcuno avrebbe potuto obiettare che in questo modo si sarebbe violato il principio dell’eguaglianza e dell’unità del suffragio degli elettori. Il Naville rispondeva così: “L’égalité pourrait seulement paraître lésée en ceci que les bulletins qui

sont arrivés au dépouillement lorsque leurs premiers candidats étaient déjà élus, portent en tête un certain nombre de noms barrés, qui ne comptent plus, en sorte que ces bulletins ont une influence moindre dans le dépouillement général, que ceux qui ont conservés leurs noms. Mais l’influence des auteurs de ces bulletins ne se trouve pas amoindrie que par le fait que leurs désirs se sont trouvés accomplis dans une large mesure, parce que plusieurs de leurs candidats préferés se trouvent élus sans leur participation.”240

                                                                                                               

238 Attilio Brunialti, Libertà e Democrazia. Studi sulla Rappresentanza delle Minorità, cit., p. 238

239 Ernest Naville, Théorie et Pratique des Élections Représentatives, Genève, Imprimerie Ramboz et

Schuchardt, 1869

240Ivi, pp. 40-41

Una peculiarità proposta dal Presidente dell’Associazione riformista consisteva in quello che egli chiamava “domicilio elettorale”, ovvero nella possibilità da parte dell’elettore di esercitare il proprio diritto di voto (anche senza spostarsi dal proprio luogo di residenza) in una qualsiasi delle province nelle quali fosse stato diviso il paese, per avere la possibilità di votare per un candidato a lui particolarmente gradito, ma che non si fosse presentato nella provincia di residenza dell’elettore stesso.

Era, quello che abbiamo appena esposto, un sistema applicabile, secondo il Naville, a una generalità, alla totalità potremmo dire, dei casi. Si trattava, insomma, di un sistema ideale, che avrebbe avuto il pregio di mettere in pratica nel miglior modo possibile i principi generali enunciati dall’Associazione. Nel lasso di tempo trascorso tra il progetto Rivoire e questa sistematizzazione del Naville, però, la Réformiste naturalmente aveva continuato a occuparsi della realtà ginevrina ed era gradualmente passata dal sistema proposto dal notaio svizzero a un altro, caratterizzato invece dalla libera concorrenza delle liste e ispirato al sistema proporzionale semplificato ideato dal Morin qualche anno prima.

Il motivo di questa scelta lo vedremo tra poco, perché era inevitabilmente strettamente correlato al corso degli eventi, che nel novembre del 1866 vide l’Associazione votare all’unanimità una petizione da indirizzare al Gran Consiglio, e firmata da 2290 cittadini, per chiedere all’assemblea legislativa del Cantone di esaminare la sospirata riforma elettorale in senso proporzionale. Essa aveva carattere di generalità, nel senso che non proponeva al Gran Consiglio un sistema preciso, ma chiedeva di prendere in considerazione i sistemi proporzionali fino a quel momento venuti alla luce in tutta Europa e scegliere quale fosse il migliore per Ginevra. “Aujourd’hui, – sosteneva il Naville nel suo intervento all’assemblea dell’Associazione in occasione della discussione per l’approvazione della petizione – le but spécial de notre réunion est de nantir le Grand

Conseil de la question électorale, en restant dans des termes assez généraux, pour qu’aucun dissentiment de détail ne puisse empêcher la réunion de nos signatures et de celles qui voudront se joindre à nous.”241 In effetti, una commissione venne nominata dal Gran Consiglio, ma i suoi lavori si conclusero con un nulla di fatto e senza alcun serio esame delle istanze, e delle possibilità di una loro attuazione, di riforma elettorale in senso proporzionale. Intanto, nonostante questo parziale insuccesso, l’eco delle attività dell’Associazione riformista ginevrina cominciava a diffondersi per l’Europa: dal

Commerce de Gand in Belgio, a La Liberté in Francia, al Daily News in Inghliterra, si

                                                                                                               

241 Association Réformiste de Genève, Pétition au Grand Conseil pour la Réforme Électorale. Discours et

moltiplicavano i giornali che davano conto e sostenevano l’opera dell’organizzazione ginevrina.242

Abbiamo visto come la petizione fosse di carattere generale, ma era anche vero che il solo sistema pratico elaborato fino a quel momento dall’Associazione era quello ideato dal Rivoire, che dalla stampa locale e dall’opinione pubblica venne subito considerato estraneo ai costumi e alle abitudini elettorali del Cantone, aduso allo scrutinio di lista e poco avvezzo invece ai principi della rappresentanza personale. Il Consiglio dell’Associazione discusse del problema e, pur continuando a considerare la rappresentanza personale come il sistema in grado di assicurare la piena libertà del voto, l’ideale da perseguire e l’obiettivo definitivo al quale doveva aspirare l’intero movimento riformista,243 studiò e diffuse un nuovo metodo pratico di elezione proporzionale, questa volta basato sullo scrutinio di lista: si trattava, come abbiamo già accennato, dell’evoluzione del sistema già proposto nel 1862 da Antoine Morin. “La liste libre maintien entièrement le principe fondamental de la

réforme: le group électoral a droit à un représentant, et est certain de l’obtenir. Il faut seulement que les suffrages s’accordent non plus pour un nom, mais pour une liste. Il en résulte une limite à la liberté de l’individu; mais cette limite est la conséquence nécessaire du vote par liste; et le vote par liste est une concession faite aux habitudes actuelles.”244 Il nuovo sistema proposto dall’Associazione proporzionalista ginevrina aveva il pregio di essere molto semplice e, anche per questo, presentava alcune rigidità delle quali gli estensori del sistema si resero perfettamente conto e che provarono a correggere negli anni successivi. Poche erano le disposizioni contenute nel testo, strettamente riguardanti il procedimento elettorale e applicabili sia a un’elezione che si fosse svolta in un’unica circoscrizione, sia a un comizio elettorale da tenersi in vari collegi plurinominali: non si faceva mai cenno, infatti, al numero e all’estensione delle costituenze. Innanzitutto, trattandosi di uno scrutinio di lista, avrebbero dovuto essere stilate delle liste, da chiudere al massimo il giorno prima dell’elezione, destinate a essere pubblicate e firmate da almeno trenta elettori che avrebbero potuto sottoscriverne soltanto una. A queste liste sarebbero dovuti andare i voti dei cittadini, che non avrebbero potuto inserire nell’urna liste incomplete, pena la nullità del voto, e, qualora avessero deciso di modificarle, avrebbero potuto legittimamente farlo, nella consapevolezza però che il loro suffragio sarebbe andato                                                                                                                

242 Cfr. Attilio Brunialti, Libertà e Democrazia. Studi sulla Rappresentanza delle Minorità, cit., pp. 240-241,

nota 1

243 Association Réformiste de Genève, Le Système de la Liste Libre Modifié Conformément aux Dernières

Décisions de l’Association Réformiste de Genève, Genève, Imprimerie Carey Frères, 1871, p. 9

244 Association Réformiste de Genève, Exposition et Défense du Système de la Liste Libre, Genève, Librairie

quasi certamente perso, dal momento che, per essere considerato come assegnato a una determinata lista, un voto avrebbe dovuto contenere i nomi dei componenti di quella stessa lista nell’ordine e nella composizione originaria. Difficile dunque che tanti singoli elettori potessero redigere casualmente una medesima lista che potesse di conseguenza partecipare alla distribuzione dei seggi con qualche possibilità di successo. “La troisième disposistion

de la loi rappelle à l’électeur que les suffrages sont comptés aux listes, et que s’il choisit une liste faite par d’autres, il ne doit pas la changer, sous peine de perdre presque certainement son vote.”245 Una disposizione interpretata dai proporzionalisti ginevrini come la conseguenza necessaria dello scrutinio di lista e che evidentemente rendeva pressochè del tutto inutile l’azione dei panacheurs individuali, decisamente numerosi invece sotto il regime di scrutinio allora in vigore a Ginevra. Queste disposizioni potevano di conseguenza essere soggette alle critiche di chi accusava anche questo sistema di essere contrario alle tradizioni elettorali del Cantone. La risposta degli ideatori consisteva in quattro riflessioni: in primo luogo, anche sotto il sistema maggioritario a scrutinio di lista, l’azione dei panacheurs isolati finiva per essere inutile e quindi, a parità di efficacia, la libertà di fare un’operazione del genere rimaneva perfettamente intatta; in secondo luogo, la tentazione di modificare individualmente le liste sarebbe diminuita nel momento in cui le stesse si fossero moltiplicate, concedendo molta più libertà di scelta all’elettore; in terzo luogo, l’elettore sarebbe stato consapevole che i nomi che avrebbero avuto qualche possibilità di essere eletti sarebbero stati quelli piazzati in testa alla lista e, di conseguenza, questa la conclusione sottintesa al ragionamento, sarebbe stato più facile che fossero di suo gradimento, in un collegio che avesse dovuto eleggere, ad esempio, otto deputati, i primi quattro candidati di una lista partecipante a uno scrutinio proporzionale, piuttosto che tutti