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CAPITOLO II. LA DIFFUSIONE DEL PROPORZIONALISMO IN EUROPA:

II.2 Ginevra e Victor Considérant

Al momento dell’esplosione su larga scala della questione proporzionalista grazie a Thomas Hare, vi era un luogo nel quale essa era già dibattuta da almeno un decennio prima dell’opera del giurista inglese. Era il Cantone svizzero di Ginevra, una delle realtà storicamente più aperte dal punto di vista del dibattito politico, la città che aveva dato i natali a Jean-Jacques Rousseau, uno dei padri ideologici della rappresentanza proporzionale. Ma le cause che fecero di Ginevra il terreno più fecondo di discussione e propaganda del metodo di scrutinio in questione erano da ricercare soprattutto nelle forti divisioni religiose (da una parte i protestanti della riva sinistra del Rodano, di tendenze più radicali, dall’altra i conservatori, tra i quali svolgevano un ruolo importante i cattolici) che la animavano e, spesso, la dilaniavano, nonostante la tradizione di tolleranza e di apertura nei confronti di tutte le culture. Ecco i motivi che in quella città fecero detonare più velocemente che altrove il dibattito sulla rappresentanza delle minoranze (possibilmente proporzionale), meta agognata, da molti vista come condizione indispensabile per il raggiungimento della pace sociale all’interno del Cantone (ma anche, più in generale, del paese) e conseguita faticosamente solo dopo una cinquantina di anni di propaganda e discussione.

Per inquadrare in termini ancora più precisi la questione, è indispensabile fare un cenno storico alle vicende che coinvolsero e sconvolsero la città di Ginevra (e poi tutta la Svizzera) soprattutto negli anni ’40 del diciannovesimo secolo. Nel novembre del 1841, sulle ali di una sommossa popolare guidata dagli esponenti più progressisti e radicali della

Association du 3 Mars (in origine un organizzazione conservatrice, poi trasformatasi nel

corso del tempo e giunta a porre rivendicazioni come l’abolizione del suffragio censitario, la riduzione dei membri del Consiglio di Stato e del Consiglio legislativo e l’attribuzione a quest’ultimo di maggiori poteri in termini di approvazione delle leggi e del bilancio), e in particolare da James Fazy, venne approvata, nel 1842, una nuova Costituzione, nella quale fu introdotto il suffragio universale maschile. Questa rivolta, tuttavia, provocò lo spostamento di molti leader su posizioni decisamente più moderate e conservatrici e di conseguenza finì quasi per sortire gli effetti opposti a quelli desiderati: contraddizioni che esplosero poi man mano che le vicende del Cantone si andarono intrecciando con quelle della Confederazione elvetica, attraversata anch’essa da dilanianti divisioni religiose, che diventavano divisioni politiche, tra cattolici (tradizionalmente conservatori) e protestanti (spesso schierati su posizioni più radicali). In quel 1841, infatti, la fazione radicale aveva conquistato il potere nella maggior parte dei Cantoni svizzeri. La conseguenza fu che in molti casi vennero varate misure anti-cattoliche. Tutto ciò non fece altro che estremizzare le tensioni striscianti all’interno di tutto il territorio nazionale: tensioni che esplosero definitivamente nel 1844, quando, in risposta a quelle misure, il Cantone cattolico di Lucerna richiamò nel proprio territorio i gesuiti. Una mossa perfettamente legale, ma che provocò la reazione dei radicali, che arrivarono anche a invadere il Cantone con le proprie bande armate e a cercare di rovesciare il governo con la forza. La reazione cattolica si concretizzò con la creazione del Sonderbund, un’alleanza segreta di sette Cantoni conservatori che per cercare di proteggere i propri diritti non esitarono a chiedere aiuto alle potenze straniere (Francia, Austria e Prussia, in particolare, si mostrarono molto sensibili alle loro istanze). Quando tutto ciò divenne di pubblico dominio, nel 1845, i progressisti chiesero lo scioglimento della lega. Nonostante la maggioranza radicale, si dovettero aspettare due anni perché la Dieta procedesse allo scioglimento del Sonderbund. Ne nacque una guerra civile, la guerra del Sonderbund appunto, che vide i Cantoni cattolici soccombere e che si concluse in realtà in modo praticamente incruento (i morti furono meno di 100) con una campagna che portò alla sconfitta dei Cantoni conservatori tra il 3 e il 29 novembre del 1847. L’anno successivo fu approvata una nuova Costituzione che trasformò la vecchia Confederazione elvetica (che comunque manteneva tale nome) in una

federazione, mutando la Dieta in un parlamento bicamerale sul modello americano, con un Consiglio Nazionale, eletto a suffragio universale maschile con scrutinio maggioritario e nel quale i Cantoni erano rappresentati in misura proporzionale alla loro popolazione, e un Consiglio degli Stati, all’interno del quale ognuno di essi aveva una rappresentanza paritaria di due membri.

Ma dicevamo di Ginevra, attraversata anch’essa dalle medesime turbolenze. Quando, il 3 ottobre del 1846, le autorità si rifiutarono di raccomandare ai membri ginevrini della Dieta confederale di votare per lo scioglimento della lega segreta cattolica, la sollevazione del quartiere operaio di Saint-Gervais e gli inviti alla rivolta ancora del leader radicale James Fazy innescarono una rivoluzione che si concluse rapidamente con la sconfitta dei cattolici e della milizia governativa e con l’approvazione di una nuova Costituzione che vide la luce il 24 maggio 1847. E furono proprio le due fasi costituenti che Ginevra conobbe tra il 1842 e il 1847 a diventare la tribuna dalla quale vennero espresse le prime teorie proporzionaliste della storia di questo Cantone destinato a diventare il punto di riferimento di ogni paladino dell’eguale rappresentanza. In occasione dell’elaborazione della Carta del 1842, infatti, l’Hoffman pronunciò queste accorate parole in difesa della rappresentanza delle minoranze: “Je voudrais que le corps électoral amenât l’expression véritable de la

pensée de toute la nation et, dans ce but, je voudrais soumettre quelques idées à l’Assemblée. Le système par arrondissement ne me paraît pas permettre à toutes les minorités d’être représentées […]. Si j’ai pris part à une association politique, je l’ai fait parce que j’ai cru qu’une portion de population n’avait pas la part qu’elle méritait, qu’il y avait oppression morale, je ne consentirai donc jamais à ce qu’une majorité opprime une minorité. […] Le système d’arrondissement ne permet donc pas à toutes le minorités de se faire représenter, […], la faut n’est peut-être pas à la loi, mais au hasard; […] il y aura donc toujours une minorité, et ainsi on l’ôte aux électeurs un droit que la constitution leur accorde, car leur vote n’aura aucun effect. […] Pour remédier a ce résultat, voici ce qui pourrait être imaginé; le Conseil représentatif est un corps politique, pour être vrai il doit être le dagherrotype de la nation; que, dans ce but, le pays soit donc divisé en séries d’opinions. […] Chaque citoyen se caserait lui-même, et se réunirait avec ses amis politiques pour faire ses élections; […] toutes les brigues électorales seraient ansi inutiles, je sais qu’on les a représentées comme reveillant la nation, mais elles établissent aussi des luttes entre les citoyens, elles deviennent souvent passionnées, et des hommes que l’on ne considérait d’abord que comme des adversaires politiques, son devenus des ennemis privés. Il y aura de l’avantage sous le rapport de l’éducation politique, chacun devrait se

faire une opinion. Je soumets cette idée à l’Assemblée avec défiance, et sans penser qu’elle réussisse.”207

E in effetti l’idea dell’Hoffmann, che riprese la suggestione, cara a molti proporzionalisti, che l’assemblea legislativa dovesse essere la fotografia (il dagherrotipo secondo le sue parole) della nazione, rimase lettera morta, la nuova Costituzione confermò le circoscrizioni plurinominali, all’interno delle quali il partito che avesse ottenuto la maggioranza avrebbe conseguito anche la totalità dei seggi. Tuttavia, l’idea del confronto e della divisione dello spettro politico in una serie di opinioni, con la possibilità per tutte di ottenere una rappresentanza, sarebbe tornata di attualità, oltre che naturalmente nel corso del dibattito più ampio sul proporzionalismo, nello stesso Cantone ginevrino e sempre nel corso delle discussioni per l’approvazione della Costituzione successiva alla rivoluzione scatenata dalle vicende legate al Sonderbund. In questo caso, a porre la questione al centro dell’attenzione, non fu neanche uno Svizzero, né un cittadino di Ginevra, bensì un Francese, un discepolo di Charles Fourier e Saint-Simon: il suo nome era Victor Considérant, che ebbe l’occasione di trascorrere molto tempo nella cittadina svizzera tra il 1840 e il 1846, potendo assistere alle violente lotte tra progressisti e conservatori, e che il 26 ottobre 1846 inviò una lettera al Gran Consiglio costituente dello Stato di Ginevra, intitolata, significativamente Du Gouvernement Représentatif ou Exposition de l’Élection

Véridique.

Ma quali sarebbero dovuti essere i principi e i capisaldi della Élection Véridique, della elezione vera, sincera e legittima? Perché fosse tale, essa avrebbe dovuto contemplare le due seguenti caratteristiche:

“1° Que l’Assemblée élective contint toutes les opinions, dans la proportion même où elles

se trouvent dans le corps électoral;

2° Que chacune des opinions, en envoyant au Conseil un nombre de représentants proportionnel à son importance numérique exacte, pût donner ses mandats aux citoyens jugés les plus capables et les plus dignes de les bien représenter.”208

Ecco tornare qui l’idea della rappresentanza delle opinioni che già l’Hoffmann aveva portato all’attenzione della costituente del 1842, proprio grazie, secondo quanto riportato                                                                                                                

207 Mémorial des Séances de l’Assemblée Constituante Genevoise, Genève, Imprimerie de Ferdinand

Ramboz, 1842, pp. 189-190.

Cfr. anche Nicolas Saripolos, Op. cit., II, p. 378 e Antoine Morin, De la Question Èlectorale dans le Canton de Genève, Genève, Librairie Cherbuliez, 1869, p. 47

208 Victor Considérant, Op. cit., p. 2

da Dominique Wisler,209 a dei contatti avuti con lo stesso Considérant, che già sulla

Phalange, nel 1841, aveva pubblicato una serie di articoli sulla sincerità delle elezioni.

Rispetto a questo precedente, però, la lettera del fourierista francese segnò un salto di qualità: in primo luogo, perché, al contrario dell’Hoffmann, che esprimeva la necessità che le minoranze trovassero una giusta rappresentanza, egli parlava esplicitamente di rappresentanza proporzionale, o meglio di assemblea elettiva contenente tutte le opinioni nella proporzione stessa nella quale esse fossero state presenti nel corpo elettorale; in secondo luogo, molto più importante, perché parliamo ora di una differenza sostanziale e non semplicemente di forma o di lessico, perché dietro alle enunciazioni del Francese non si celava soltanto un principio, l’affermazione di un’istanza di giustizia numerica e, di conseguenza, elettorale, ma c’era un piano concreto per realizzare quel principio, per passare dalla teoria alla prassi. Mentre quattro anni prima l’Hoffmann si era limitato a sottoporre un’idea alla Costituente, nel 1846 il Considérant presentò una vera e propria proposta fattivamente realizzabile nell’ambito del territorio del Cantone di Ginevra.

Andiamo a vedere dunque come si sarebbe dovuto dispiegare il procedimento elettorale immaginato dal Considérant e, successivamente, quali prospettive questa proposta aprì al nascente movimento proporzionalista.

In primo luogo, egli partì da una forte critica al sistema elettorale vigente a Ginevra. Si trattava, ricordiamolo ancora una volta, di un metodo di scrutinio maggioritario in circoscrizioni plurinominali all’interno delle quali il partito che avesse ottenuto la maggioranza dei consensi avrebbe dovuto conseguire l’intera posta in palio, l’intera rappresentanza. Uno schema che, secondo il Considérant, era legato a concezioni arcaiche, quasi feudali di rappresentanza: “Dans ce système l’électeur est encore lié à la glèbe, come

le paysan des temps féodaux était attaché à la terre sur laquelle il était né. Bien loin d’être emancipé, bien loin de puovoir unir librement son voix au vote de ceux de ses concitoyens qui partagent ses opinions et ses principes, il est condamné, dans le système des collèges locaux ou territoriaux, à venir mesurer sa voix contre des voix hostiles à la sienne. Au lieu d’être une choix, l’élection est un combat.” E ancora: “Si l’un des collèges se compose, pour exemple, de deux-mille électeurs, et doit en conséquence nommer 20 députés, qu’arrivera-t-il? Il arrivera que onze-cents électeurs d’une opinion, ou seulement mille- cinquante, et à la rigueur mille dix et même mille et un, pourront nommer les vingt députés

                                                                                                               

209 Dominique Wisler, La Démocratie Genevoise, Genève, Georg Éditeur, 2008, p. 82

du collège! Onze cents électeurs ont droit à onze députés; les neuf cents autres ont droit à neuf. Eh bien! Les onze cents, les mille et un pourront peut-être nommer TOUS les députés du collège…Qu’est-ce à dire? Voici que la moitié plus un du collège se trouve investie du droit nonseulement de nommer ses représentants à elle, mais encore les représentants de l’autre moitié et d’infliger à celle-ci, pour la représenter, ses propres adversaires!!”210

Argomentazioni, come possiamo notare, non del tutto dissimili da quelle che Thomas Hare utilizzò per cercare di spezzare il monopolio della rappresentanza locale in Inghilterra, svincolando l’individuo dal legame stretto e indissolubile con il proprio territorio.

Ora passiamo a esaminare come il Considérant pensò di risolvere il problema dell’eguale rappresentanza delle minoranze, cioè di come si dovesse arrivare ad assegnare undici deputati a quei millecento elettori della maggioranza e nove ai novecento sostenitori della minoranza. Anche in questo caso troveremo dei punti di contatto con ciò che lo Hare avrebbe teorizzato oltre un decennio dopo, ma noteremo anche come fossero molto meno numerosi rispetto alle distanze intercorrenti tra i due progetti, che delineavano sì entrambi metodi di rappresentanza delle minoranze, ma alla base dei quali era un’idea di rappresentanza proporzionale, di chi o cosa fosse il vero elemento rappresentabile, del tutto diversa.

Cominciamo dunque dai punti di contatto, o meglio dal punto di contatto, che consisteva nella volontarietà del collegio elettorale, nelle circoscrizioni unanimi e volontarie. Tuttavia, le due concezioni si distanziavano immediatamente l’una dall’altra, prendendo due strade totalmente diverse: la volontarietà dei collegi pensati dal giurista inglese era in realtà una volontarietà “ideale”, nel senso che gli elettori avrebbero dovuto continuare a votare nelle proprie costituenze di residenza, ma avrebbero anche potuto unirsi idealmente a elettori di altre costituenze nella scelta di un rappresentante diverso rispetto a quelli presentatisi nel proprio collegio di riferimento per formare un gruppo quozientale che era, appunto, ideale.

Nel caso del metodo proposto dal Considérant, invece, i collegi volontari avrebbero dovuto operare concretamente, nel senso che si sarebbero dovuti formare “naturalmente” vari collegi elettorali, o sezioni, corrispondenti alle diverse opinioni rilevanti all’interno del paese e nel senso che le vecchie circoscrizioni elettorali non sarebbero dovute essere prese in considerazione neanche di ritorno, al momento della proclamazione degli eletti. Una volta conosciuto il numero di elettori aderenti a queste sezioni, a questi collegi di opinione,                                                                                                                

si sarebbe proceduto all’assegnazione dei seggi sulla base della consistenza numerica di ciascuna di esse, secondo il procedimento che tra poco esamineremo nel dettaglio. Si trattava dunque di una rappresentanza per opinioni (in tempi più recenti si sarebbe potuti chiamarli partiti) e non di quella rappresentanza personale inaugurata dallo Hare. “La loi

dispose que chaque année, du 1er janvier au 31 mars, je suppose, les électeurs usant leur droit d’initiative, ont la faculté d’ouvrir des sections.

Les comités électoraux des différentes opinions s’organisent, rédigent leurs propositions et l’adressent dans le délai légal au bureau électoral qui en donne un recepissé daté. Dix signatures suffisent pour faire recevoir une proposition.”211

Dieci firme, dunque, sarebbero state necessarie per registrare un’opinione, o programma, introducendo un altro termine utilizzato dal Considérant, in quanto corrispondenti a un decimo degli elettori, dei voti necessari a conseguire un seggio, che, secondo l’autore della proposta in questione, sarebbero dovuti essere, in linea di massima, 100. Una cifra, quest’ultima, ottenuta dividendo gli elettori del Cantone di Ginevra, che erano circa 12.000, per il numero dei deputati da eleggere al Gran Consiglio, che il Considérant ipotizzava potessero essere 120. Tuttavia, in occasione delle elezioni, questa cifra sarebbe stata precisata attraverso la sostituzione, al numeratore del rapporto, del numero complessivo dei votanti a quello degli elettori. Anche in questo caso il parametro di riferimento per misurare la proporzionalità della rappresentanza era dunque il quoziente e anche in questo caso esso doveva essere misurato sul numero totale dei votanti e quindi la base della rappresentanza stessa doveva essere l’intero territorio, in questo caso, del Cantone.

Proseguiamo ora nella descrizione del procedimento elettorale quale sarebbe dovuto essere secondo il Francese. Una volta registrate le opinioni, i comitati elettorali a sostegno delle stesse avrebbero proceduto alla propaganda elettorale e alla diffusione delle proprie idee in tutto il paese. Intanto, ciascuno dei programmi sarebbe stato raccolto in una pubblicazione indirizzata dall’amministrazione a tutti gli elettori, che a questo punto, venuti a conoscenza del contenuto delle proposte dei singoli comitati elettorali, avrebbero potuto scegliere liberamente, e sempre nel segreto dell’urna, perché il Considerant difese esplicitamente il voto segreto, a quale opinione aderire, quale programma scegliere. Ecco come: “Supposons

9 programmes. Il s’agit, tout en respectant le secret du vote, de connaître le nombre des électeurs engagés dans chacune des 9 sections libres du corps électoral. Pour cela faire

                                                                                                               

les électeurs sont convoqués à la mairie de leur commune, ou, si la population de la commune est assez considérable pour exiger une division par quartier, dans une salle de leur quartier. Là, chaque électeur inscrit sur son bulletin le numéro de la section dans laquelle il entend voter. Le dépouillement des bulletins fait immédiatement connaître, pour chaque commune ou quartier, le nombre des électeurs engagés dans chacune des 9 sections d’opinions. L’addition générale des chiffres donne exactement et de la manière la plus simple, le relève du classement des électeurs.”212 Una volta conosciuta la consistenza numerica delle singole sezioni di opinione, i voti ottenuti da ciascuna di esse sarebbero stati divisi per il quoziente elettorale, divisione che avrebbe fornito immediatamente il numero dei deputati spettante a ciascun programma. Naturalmente, sarebbe stato difficilmente immaginabile il caso di una perfetta distribuzione di voti che avesse portato a dei quozienti esatti, permettendo l’allocazione immediata di tutti i seggi disponibili. Era inevitabile che avanzassero delle frazioni più o meno ampie per ciascun programma. Tuttavia, e qui risiede una delle imperfezioni della proposta del Considérant, egli non contemplò questa possibilità e dunque non previde le modalità di assegnazione dei seggi residui. Detto questo, una volta fissato il numero di seggi spettante a ciascuna sezione, rimaneva da stabilire in che modo, all’interno delle stesse, andassero eletti i singoli candidati. Questo passaggio, invece, il Considérant lo spiegò nei dettagli, che peraltro erano molto semplici. “Le nombre des députés à élire dans chaque section étant connu,

l’élection s’opère avec la plus grande simplicité.

Dans chaque opinion en effet, les candidats se sont produits, ont lancé leurs professions de foi, ou se sont laisseé mettre en avant. Le nombre des candidats étant naturellement supérieur à celui des députés à elire, chacun fera la choix des 8, des 10, des 15, des 25 députés à nommer.”213

Gli elettori, quindi, in occasione di un secondo turno di scrutinio, da tenersi otto giorni dopo quello necessario a determinare il numero di deputati spettanti alle singole opinioni, avrebbero semplicemente dovuto scrivere sulla scheda, sotto il numero d’ordine della sezione preferita, i nomi (tanti quanti i rappresentanti spettanti al programma scelto) dei candidati di quella sezione che avrebbero voluto vedere eletti. A differenza di quanto previsto dal metodo Hare, però, che contemplava sì la predisposizione di una lista di nomi, ma in ordine decrescente di preferenza e solo al fine del trasferimento eventuale del voto su altri candidati, nel caso che lo stesso si fosse rivelato inefficace per l’elezione di un                                                                                                                

212 Ivi, pp. 11-12 213 Ivi, p. 12

candidato che avesse già raggiunto il quoziente, secondo le disposizioni di questo piano i voti degli elettori sarebbero serviti tutti all’elezione dei deputati di una singola opinione, di un singolo programma. Stabilire i nomi dei nuovi deputati sarebbe stato molto semplce: sarebbe bastato contare le preferenze date a ciascun candidato e metterle in ordine decrescente. I più votati sarebbero riusciti eletti. Di fatto, nell’ambito della singola sezione, la scelta dei deputati doveva esser fatta a maggioranza relativa e questo avrebbe potuto