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CAPITOLO I. ALLE RADICI DELLA RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE

I.4 Diritto di decisione e diritto di rappresentanza

Abbiamo visto come, secondo i teorici del proporzionalismo, il principio maggioritario pregiudicasse l’eguale partecipazione di tutti i cittadini alla formazione della volontà generale, ovvero alla determinazione delle leggi, all’interno del corpo legislativo. Privare quest’ultimo delle minoranze, infatti, avrebbe significato impedire alle stesse di portare il loro contributo a un processo decisionale che, all’interno di un’assemblea di eletti, non poteva che svolgersi a maggioranza. Il principio maggioritario, a loro avviso, era quindi dettato dalla necessità e doveva essere proprio quella necessità a tracciare la linea di demarcazione tra l’utilizzo della proporzionale e quello del maggioritario, che andava messo in pratica soltanto laddove fosse stato indispensabile: nel caso dell’approvazione di una legge, ad esempio, quando le alternative erano soltanto due (sì o no), sarebbe stato impensabile ipotizzare una decisione presa in altro modo. E fu proprio questo lo spartiacque individuato da tutti i sostenitori del principio proporzionalista, che formularono allora una distinzione che divenne in un certo senso la bandiera della loro battaglia per la riforma, ossia quella tra decisione e rappresentanza, o meglio tra diritto di decisione e diritto di rappresentanza, tra voto deliberativo e voto elettivo. Soltanto nel primo caso era considerato accettabile, anzi ineludibile, il principio maggioritario: l’assemblea legislativa doveva per forza deliberare a maggioranza, ma quella maggioranza doveva rispecchiare anche la maggioranza del corpo elettorale e questo sarebbe stato possibile soltanto se, in occasione del voto elettivo, le minoranze con un certo seguito all’interno del paese non fossero rimaste forzatamente escluse dalla rappresentanza a causa della barriera all’entrata costituita dal sistema maggioritario (fosse esso a doppio turno o a turno unico, majority o

plurality, a scrutinio uninominale o plurinominale). L’applicazione del principio

maggioritario alle elezioni era considerato arbitrario e doveva essere combattuto e a fondamento di questa battaglia doveva essere posta proprio la distinzione della quale

abbiamo appena parlato. Una distinzione che secondo il Saripolos risaliva a Dionigi di Alicarnasso,90 ma che, in epoca contemporanea fu affermata per la prima volta con forza

per reclamare l’adozione di un sistema elettorale proporzionale dal francese, discepolo di Charles Fourier, Victor Considérant, che la tratteggiò con chiarezza nella sua celebre lettera alla costituente ginevrina del 1846: “L’erreur sur laquel sont échaufaudés nos

absurdes procédés électoraux consiste en ce que l’on a confondu deux votes parfaitement distincts par leur nature: le vote représentatif et le vote déliberatif. […] Dans le Vote déliberatif la minorité ne saurait evidémment l’emporter sur la majorité. Le vote de la majorité est donc tenu pour la décision de l’Assemblée, et les majorités honnêtes doivent même se prêter à des termes de conciliation de nature à donner, autant que possible, satisfaction aux principes légitimes des minorités.

Mais quand un corps électoral est convoqué pour élire ses députés, de quoi s’agit-il? […] il s’agit, pour chaque électeur, de déleguer son droit dans la décision des affaires du pays, au citoyen qu’il juge le plus capable de le représenter. Quel droit auraient donc les uns d’entraver, de paralyser, d’anéantir les droits des autres?

[…] Eh bien! Jusqu’ici on a confondu ces deux Votes, et c’est cette confusion établie dans les esprits entre le vote déliberatif et le vote représentatif, qui a faussé les systèmes électoraux, et fait considérer comme légitime, juste et raisonnable ce qui est souverainement illégitime, inique et monstrueux, l’oppression, l’anéantissement du droit des minorités dans chaque collège électoral.”91

Una lunga citazione per segnare quello che fu un punto di svolta, perché questa dicotomia andò a costituire senz’altro il cuore della questione proporzionale. Dopo il Considérant, infatti, tutti i maggiori sostenitori della riforma elettorale fondarono le proprie contestazioni ai sistemi di elezione vigenti anche e soprattutto su di essa, sulla confusione di fondo che, riecheggiando il Considérant, aveva falsato il sistema rappresentativo, costruendo i metodi di elezione dei deputati su presupposti sbagliati. Era come se, insomma, riprendendo quanto detto nel paragrafo precedente, nel passaggio dalla democrazia diretta degli antichi, nella quale il voto deliberativo espresso a maggioranza dei membri della comunità era l’unico possibile e quindi contemplato, alla democrazia rappresentativa, fosse stato saltato un piano, quello della distinzione tra voto deliberativo e voto rappresentativo appunto, applicando il principio aristotelico e rousseauviano sia                                                                                                                

90 Cfr. Gaspare Ambrosini, Op. cit., p. 23

91 Victor Considérant, De la Sincerité du Gouvernement Représentatif ou Exposition de l’Élection Véridique,

all’uno che all’altro e dimenticando che nel frattempo erano divenute due manifestazioni di volontà decisamente separate, da fondare quindi su basi diverse, e che la decisione a maggioranza applicata all’elezione dei rappresentanti avrebbe pregiudicato l’eguale concorso di tutti i cittadini alla determinazione della volontà generale, che sotto un governo rappresentativo non poteva che avvenire per il tramite proprio di quei rappresentanti.

Il cuore della questione proporzionale lo abbiamo definito e in effetti nessuno dei campioni del proporzionalismo lesinò riflessioni sul tema, a partire da John Stuart Mill, per il quale “è solo un’idea acquisita quella in base alla quale alla minoranza tocca cedere dinnanzi alla maggioranza e al piccolo numero spetta di inchinarsi davanti al grande numero. Però ci potrebbe essere un medium tra la pretesa di accordare al piccolo numero lo stesso potere della maggioranza e la velleità di sommergere completamente la minoranza. Quando il corpo rappresentativo delibera, la minoranza deve per forza essere dominata. In una democrazia rispettosa del requisito dell’eguaglianza è evidente che la maggioranza del popolo, per tramite dei rappresentanti, si impone alla minoranza e ai suoi rappresentanti in parlamento. Ma allora la minoranza dovrebbe essere priva di rappresentanza? Perché la maggioranza deve prevalere sulla minoranza? Per quale ragione la maggioranza deve avere tutti i suoi voti e la minoranza nessuno? È necessario che la minoranza non venga neanche ascoltata?” 92 Ovviamente, il filosofo inglese non fu il solo a porsi queste domande, né l’ultimo a sottolineare la distinzione della quale stiamo parlando, che, quando in Europa, nel 1865, sorse la prima associazione riformista, quella ginevrina, con lo scopo di propagandare e far conoscere il nuovo sistema, nonché di fare pressione sulle istituzioni di quel Cantone svizzero affinché lo adottassero, assurse addirittura a primo e principale punto programmatico del più importante centro di irradiazione della proporzionale. “L’Association réformiste – recitava il programma – a pour but l’établissement d’un

système vrai de représentation politique. Ses principes sont les suivants: Représentation de tous; gouvernement de la majorité.

Des citoyens en nombre suffisant pour parvenir à la représentation, ont tous les mêmes droits à être représentés.

[…] La majorité du Grand Conseil, dont les décisions ont force de loi, doit être l’expression fidèle de la majorité du corps électoral.”93

                                                                                                               

92 John Stuart Mill, Considerazioni sul Governo Rapresentativo, cit., p. 107

Rappresentanza di tutti, governo della maggioranza che solo così sarebbe stata davvero la maggioranza del paese, legittimata a governare e a votare le leggi dalla reale maggioranza degli elettori. Se da Ginevra ci spostiamo a Bruxelles e se dal programma della prima associazione riformista passiamo a quello dell’associazione che a essa si affiancò come più importante veicolo di diffusione delle idee proporzionaliste nel continente, ovvero quella belga, sorta poco meno di due decenni più tardi, notiamo un cambiamento solo nelle parole, non nella sostanza, che rimaneva la stessa, tanto che il primo articolo del primo numero de “La Représentation Proportionnelle”, la rivista dell’Associazione riformista belga per l’adozione della rappresentanza proporzionale, firmato dal presidente Jules de Smedt, aveva come eloquente titolo proprio “Le Droit de Représentation et le Droit de

Décision” e sviluppava le argomentazioni che nel corso di poco meno di un quarantennio

erano diventate classiche per i sostenitori della rappresentanza proporzionale, affermando che “quand il s’agit de décider une question par un vote dans une assemblée déliberante,

on conçoit cette chose, pour amener une solution, que la majorité, même celle d’une seule voix au besoin, l’emporte sur la minorité quelle qu’elle soit.

Mais lorsqu’il est question d’élection, c’est à dire de choisir des mandataires, des députés chargés de déliberer et de voter en lieu et place des électeurs, l’application du principe de la majorité ne se conçoit plus.

Une élection n’est pas une plébiscite. […] Une élection n’est donc pas une décision a prendre, c’est une choix à faire.”94 E quando c’era da fare una scelta, e non da prendere una decisione, azione che necessariamente poneva delle alternative non negoziabili, l’apporto delle minoranze in proporzione alla loro consistenza numerica diventava ineludibile, una questione di giustizia rappresentativa. Come vedremo nel prossimo capitolo, anche l’Italia conobbe un’associazione proporzionalista, che fu anzi una delle prime a sorgere sul modello dell’originale ginevrina e che raccoglieva al suo interno illustri pubblicisti che avevano posto anch’essi, prima ancora di formare quell’organizzazione, a fondamento del proprio pensiero e della propria inclinazione a favore della rappresentanza delle minoranze la distinzione/opposizione tra diritto di decisione e diritto di rappresentanza, tra voto deliberativo e voto elettivo. Diversi, secondo Francesco Genala, erano gli obiettivi di questi due tipi di votazione. Nel primo caso, “l’oggetto del voto forma un’unità fisicamente o moralmente inscindibile e su questo oggetto unico si deve quindi prendere una decisione unica”; nel secondo caso, invece, “l’unità dell’oggetto è scomparsa                                                                                                                

94 Jules de Smedt, Droit de Représentation et Droit de Décision, “La Représentation Proportionnelle”, 1,

e ha lasciato spazio a una pluralità, talvolta, grandissima di oggetti distinti e quindi a una corrispondente pluralità o molteplicità di risoluzioni distinte. […] In questi casi in cui non si riscontra l’unità dell’oggetto e l’unità della risoluzione non sorge la necessità di decidere con la spada della maggioranza e si mantiene invece l’autonomia de’ suffragi, la quale sta in rapporto diretto col numero delle persone da eleggere. […] Ogni gruppo sufficiente a eleggere un rappresentante lo deve ottenere. Solo quando l’eleggendo è uno solo, la maggioranza ha diritto di preponderare; negli altri casi no; perché allora nascono i gruppi, a’ quali si applica la massima: a ciascuno il suo rappresentante.”95 A rendere il quadro e il discorso ancora più chiari ci viene in soccorso un altro instancabile propugnatore della rappresentanza proporzionale in Italia, Attilio Brunialti, per il quale “la maggiorità fa la legge; ma la maggiorità vera, e ad ogni modo la maggiorità dei rappresentanti, non quella degli elettori; sulla decisione esercitano – e n’hanno il diritto – non lieve influsso anche le minorità per mezzo dei loro rappresentanti.”96 Il cittadino, sosteneva il Brunialti, nelle democrazie dirette poteva con la sua parola influire sulle decisioni; sotto il regime rappresentantivo questo diventava impossibile e quindi il suo voto elettivo doveva necessariamente avere una sua efficacia pratica, perché altrimenti egli avrebbe perso la sua parte proporzionale d’influenza sulle decisioni dell’assemblea cui viceversa aveva tutto il diritto: “La decisione – sentenziava il Brunialti – è il diritto delle maggioranze, ma la rappresentanza è il diritto di tutti gli elettori.”97 Solo con l’effettivo esercizio da parte di tutti gli elettori del diritto di rappresentanza, lo ripetiamo, le decisioni sarebbero state prese dalla reale maggioranza del corpo rappresentativo. Con i metodi di elezione più diffusi nella seconda metà del diciannovesimo secolo, sostenevano i proporzionalisti, esse venivano prese, a maggioranza, dai rappresentanti di una minoranza. Ribaltando il concetto, a decidere era la maggioranza di una minoranza, come spiegava chiaramente colui che in molti definirono il John Stuart Mill dell’Europa continentale, il presidente dell’associazione riformista ginevrina, Ernest Naville. “Même en admettant (ce qui est une

concession énorme) – scriveva - que la majorité vraie se trouve représentée, le droit de décision ne risque pas moins de passer aux représentants de la minorité du corps électoral. Il est facile de s’en rendre compte. Dans le système actuel, en supposant un seul corps électoral, la totalité des députés peut, à rigueur, ne représenter que la moitié des électeurs plus un. Or, la totalité des députés ne représentant que la moitié des électeurs, la

                                                                                                               

95 Francesco Genala, Op. cit., pp. 32-33

96 Attilio Brunialti, Libertà e Democrazia. Studi sulla Rappresentanza delle Minorità, cit., p. 360 97 Idem, La Giusta Rappresentanza di tutti gli Elettori, Roma, Stabilimento G. Civelli, 1878, pp. 14-15

moitié des députés ne représente que le quart des électeurs. Donc, le vote qui décide les affaires de tous, qui établit la loi à laquelle tous sont soumis, qui fixe l’impôt que tous doivent payer, peut ne provenir que des représentants du quart environ des électeurs. Si, dans l’assemblée des citoyens d’Uri réunis en landsgemeinde, on faisait voter le peuple sur une question de tendance, et que, la minorité étant exclue, la majorité seule decidât ensuite les affaires de l’État, il est clair que la majorité de cette majorité ne serait, dans le plus grand nombre des cas, qu’une minorité. […] Nos systèmes d’élections permettent que ce fait se réalise dans l’ordre représentatif.”98 Un problema, una falla nella giustizia del sistema rappresentativo, perfettamente sintetizzati anche dal Brunialti, quando avvertiva: “Si fanno a maggioranza le elezioni; poi gli eletti decidono a loro volta a maggioranza, e così questa, se è tale rispetto all’Assemblea che delibera, diventa minoranza rispetto al corpo elettorale. Di guisa che coi metodi presenti i governi rappresentativi si riducono virtualmente a vere oligarchie.”99

Naturalmente, in questa rassegna, non poteva mancare Thomas Hare, che, citando l’americano Calhoun, mise in guardia dalla tirannia della maggioranza, della falsa maggioranza che avrebbe dominato qualora l’intera comunità nazionale fosse stata trattata come un monolite, un’unità avente un unico interesse, senza dar voce a tutte le sue componenti, che invece avrebbero dovuto concorrere a quella che il politico statunitense chiamava “maggioranza costituzionale”, ossia la vera maggioranza, quella derivante dall’eguale e proporzionale rappresentanza delle minoranze, impossibile in sede di suffragio maggioritario.100 Perfino un agguerritissimo avversario della proporzionale, e in particolare di quello schema di rappresentanza che passò alla storia come metodo Hare, come Walter Bagehot, era costretto ad ammettere, pur senza arrischiarsi nel proporre un rimedio diverso dal ridisegno delle circoscrizioni elettorali, dal momento che egli vedeva nel sistema maggioritario un metodo adatto al carattere e alle tradizioni inglesi, i grossi squilibri nella rappresentanza che rischiavano di minare la credibilità delle istituzioni rappresentative britanniche (la sua opera più importante, “The English Constitution”, era peraltro del 1867, l’anno di approvazione della seconda grande riforma elettorale in Inghilterra, che sancì un ulteriore riequilibrio delle e tra le circoscrizioni in direzione della                                                                                                                

98 Ernest Naville, La Question Électorale en Europe et en Amérique, Genève-Bâle, Librairie H. Georg, 1871

(1 ed. 1867), p. 211

99 Attilio Brunialti, La Giusta Rappresentanza di tutti gli Elettori, cit., pp. 15-16

100 Thomas Hare, The Election of Representatives, Parliamentary and Municipal, London, Longman, Green,

Longman, Roberts, & Green, 1865, pp. 3-5.

Cfr. anche John Caldwell Calhoun, A Disquisition on Government, and a Discourse on the Constitution and Government of the United States, Columbia, S. C., A. S. Johnston, 1851, pp. 13-27

rappresentanza proporzionale lato sensu): “I have myself had a vote for an agricultural

county for twenty years, and I am a Liberal; but two Tories have always been returned, and all my life will be returned. As matters now stand, my vote is of no use.”101

Le obiezioni poste dai sostenitori del principio maggioritario da applicare anche alle elezioni dei rappresentanti erano da ascrivere a diversi ordini di motivi. Ecco il primo: secondo i difensori del sistema elettorale allora maggiormente diffuso nella parte di mondo dotata di istituzioni rappresentative, l’elettore, al momento del voto, quando si trovava a scegliere tra due candidati, si trovava a scegliere anche quale degli indirizzi politici da loro sostenuti dovesse essere adottato per il governo del paese. Il voto, quindi, anche quello elettorale, doveva essere considerato come avente carattere deliberativo. Una tesi che i proporzionalisti avevano buon gioco nel respingere, puntando, come faceva il Genala nel passaggio che abbiamo già richiamato, sulla mancanza, nel caso delle elezioni, dell’unità dell’oggetto e quindi dell’unità della risoluzione, potendo gli elettori decidere tra i vari candidati in corsa, che non necessariamente erano soltanto due. Inoltre, dicendola con l’Ambrosini, “l’elettore, nel dare un voto ad una persona o ad un partito, si pronuncia bensì per un indirizzo politico, ma non piglia in concreto alcuna deliberazione, sibbene contribuisce alla formazione di quell’Assemblea, alla quale soltanto spetterà in concreto di deliberare con votazioni che necessariamente importano il prevalere della maggioranza. Queste ultime votazioni soltanto hanno carattere deliberativo; e perciò è solo ad esse e non anche alle altre che hanno carattere elettivo, che deve o che comunque può bene limitarsi, senza causare inconvenienti, ed assolvendo d’altra parte ad un principio di giustizia, l’applicazione del sistema maggioritario.”102

Il secondo motivo di contestazione nei confronti della dicotomia fondante il pensiero proporzionalista partiva dall’interpretazione che vedeva il sistema maggioritario come costituente l’essenza stessa del governo rappresentativo, a esso connaturato e inestricabilmente connesso. La limitazione di quello stesso sistema soltanto ai voti deliberativi, dunque, avrebbe intaccato quell’essenza, non corrispondendo alla legge intima e al meccanismo di funzionamento del sistema democratico e rappresentativo che inevitabilmente poggiava sulla maggioranza, escludendo automaticamente la necessità di ricorrere al principio opposto di rappresentanza delle minoranze.

Coloro che invece quel principio sostenevano e volevano introdurre nella legislazione elettorale rispondevano che il voto a maggioranza e quello proporzionale erano due                                                                                                                

101 Walter Bagehot, The English Constitution, London, Chapman and Hall, 1867, p. 187 102 Gaspare Ambrosini, Op. cit., p. 25

meccanismi non necessariamente opposti e reciprocamente escludentisi, ma anzi conciliabili, dal momento che “la rappresentanza delle minoranze non esclude che la maggioranza abbia il maggior numero di rappresentanti e possa così assolvere alla funzione deliberativa, […] tutt’altra che quella pretesa dalla suddetta corrente di pensiero è l’essenza intima e l’esigenza fondamentale del sistema rappresentativo.”103

Essendo il concetto di democrazia strettamente connesso al principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini nella partecipazione alla cosa pubblica, secondo la già citata massima di John Stuart Mill di “governo di tutto il popolo esercitato attraverso eguali rappresentanze,”104 riconoscere efficacia soltanto ai voti della maggioranza, negandola al

contempo ai suffragi dati dalle minoranze, avrebbe significato infrangere quel principio e creare un cortocircuito nel sistema rappresentativo, minando alle basi l’idea stessa di democrazia. Anche François Guizot, nel 1821, quindi molto prima che esplodesse in tutta la sua evidenza la questione proporzionalista, sottolineava le fragili basi sulle quali sull’argomento, a suo avviso, si poggiavano le motivazioni dei teorici dei diritti esclusivi della maggioranza: “Le but du gouvernement représentatif est de mettre publiquement et

aux pris les grands intérêts, les opinions diverses qui se partagent la société et s’en disputent l’empire, dans la juste confiance que, de leurs débats, sortiront la connaissance et l’adoption des lois et des mésures qui conviennent mieux au pays en général. Ce but n’est atteint que par le triomphe de la vraie majorité, la minorité constamment présente et entendue.”105 Senza il predominio della vera maggioranza, non ci sarebbe sistema rappresentativo, né democrazia, ma soltanto oppressione: “Si la majorité est deplacée par

artifice, il y a mensogne. Si la minorité est mise d’avance et hors de combat, il y a oppression. Dans l’un ou l’autre cas, le gouvernement représentatif est corrompu. Toutes les lois constitutives de cette forme de gouvernement ont donc deux conditions fondamentales à remplir: 1° procurer la mise en lumière et la victoire de la vraie majorité; 2° garantir l’intervention et le libre effort de la minorité.

Ces deux conditions pèsent sur les lois qui règlent le mode d’élection des députés comme sur celles qui président aux débats des assemblées déliberantes. Ni dans l’un ni dans l’autre cas, il ne doit y avoir mensogne ou tyrannie.