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CAPITOLO I. ALLE RADICI DELLA RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE

I.6 Difesa contro le obiezioni alla rappresentanza proporzionale

Ma oltre che giocare all’attacco, smontando i principi dell’elezione maggioritaria e costruendo sulle loro macerie l’edificio del nuovo più giusto, più vero e più equo metodo di rappresentanza, i sostenitori della proporzionale dovettero, com’era prevedibile, anche difendersi, o meglio difendere il sistema da loro propugnato dalle obiezioni mosse da coloro che invece ritenevano il sistema maggioritario ancora quello più affidabile e il passaggio a un nuovo metodo di rappresentanza un salto nel buio da non compiere. La prima obiezione nei confronti della rappresentanza proporzionale, su cui non ci soffermeremo moltissimo in quanto evidentemente smentita dai fatti, ma che comunque va                                                                                                                

segnalata, perché strettamente connessa a quell’idea di salto nel buio cui abbiamo appena accennato e perché comunque non necessariamente agli albori della battaglia ideale per la proporzionale ci si poteva aspettare da tutti una certa lungimiranza rispetto a ciò che sarebbe accaduto nel corso dei decenni, era quella che vedeva la rappresentanza proporzionale come un disegno utopico, un mero ideale di giustizia numerica, magari anche auspicabile, ma impossibile da realizzare concretamente, vista anche la maggiore difficoltà nel computo dei voti e nell’assegnazione dei seggi, obiettivamente più complicati rispetto ai sistemi maggioritari dove essi sono invece automatici e immediati. L’accusa di utopia sarebbe stata poi sorpassata dagli eventi, ma, poco dopo la metà del diciannovesimo secolo, i proporzionalisti già potevano opporre a chi li accusava di essere dei meri sognatori una concreta realizzazione del nuovo metodo di rappresentanza in uno stato europeo, per quanto piccolo e per quanto la sua applicazione fosse, come vedremo, molto limitata: la Danimarca. “Questa parola di utopia - scriveva Attilio Brunialti – dovrebbesi scancellare dal dizionario delle nostre scienze, dal dizionario di tutte le scienze esatte. […] L’ideale non appartiene alla scienza, ma alla poesia e alla fede: i principii del diritto pubblico, non si possono accettare nel patrimonio della scienza, ove non discendano dalle astrazioni, per legittimarsi in istituzioni facilmente comprese e accette.

La riforma è nata spontanea nel cervello di un avvocato e di un matematico illustre [Hare e Andrae, NdA]: si cementò colle lezioni brevi, ma profittevoli dell’esperienza, dallo spettacolo dei fatti; si sviluppò sul terreno della realtà, e la inaffiò ogni nuova elezione ove si venne alle mani o fu sparso sangue, dove le abili manovre di una minorità erano riescite a vincere l’opinione dei più, dove troppo evidentemente s’avevano oltraggiate la libertà e la giustizia. Non si cercava una forma di suffragio, che sciogliesse in modo certo, permanente, perfetto, tutti i varii problemi politici […] si trattava di preservare la democrazia da queste violente lotte, che la fanno a brani [...] e dopo studi perseveranti […] parecchie vie si trovano […] non ci rimane che a studiare tutti quei sistemi i quali si concepirono per attuare il principio di proporzionalità, ed adottare il più opportuno, quello che più si accorda alle abitudini, alle istituzioni, alla coltura del paese.”143

Un’altra obiezione sollevata nei confronti della proporzionale l’abbiamo già esaminata a proposito delle compensazioni, che avvenivano in occasione delle elezioni con scrutinio maggioritario, tra collegio e collegio, in virtù delle quali una minoranza che non otteneva rappresentanza in alcune circoscrizioni, diventava invece maggioranza in altre costituenze                                                                                                                

e di conseguenza non si poteva sostenere che le minoranze non fossero rappresentate in parlamento. Abbiamo già visto quali fossero le risposte a tali obiezioni (v. § I.4) e per questo non ci torneremo sopra, ma ci dirigeremo direttamente verso un altro rilievo mosso nei confronti della proporzionale, ovvero quello in base al quale la riforma elettorale in senso proporzionale avrebbe distrutto il carattere locale della rappresentanza, peggiorando al contempo la qualità di quella nazionale, dal momento che, secondo questa interpretazione, un sistema elettorale di questo tipo avrebbe portato in parlamento “vuoti declamatori inetti alla legislazione, all’amministrazione, agli affari pubblici, alla retta politica, a scapito degli uomini più modesti dei campi e dei comuni, meno appariscenti, ma più utili, il nerbo di ogni numerosa e saggia rappresentanza politica.”144 Un’obiezione, questa, che i proporzionalisti avrebbero potuto respingere, come in effetti in molti casi fecero, sostenendo come si trattasse di un retaggio della vecchia concezione locale di rappresentanza, quella secondo la quale solo borghi e contee (nel caso esemplificativo dell’Inghilterra) erano ammesse alla rappresentanza, e di come invece con il diritto elettorale trasferito da quelle entità collettive agli individui, diventati i soli elementi rappresentabili, i deputati dovessero essere considerati i rappresentanti della nazione e non di qualsivoglia entità locale. Detto questo, e tenuto presente che si trattava di un problema che si poteva porre nel caso di un’unica circoscrizione nazionale da applicare in paesi di ampie dimensioni, mentre la sua pertinenza sarebbe diminuita all’aumentare del numero di costituenze eventualmente previste e quindi al conseguente “localizzarsi” dell’elezione, i proporzionalisti risposero anche in un altro modo, avendo come punto di riferimento in questo caso il metodo Hare, che era quello, in quel periodo, più soggetto a critiche del genere, dal momento che teorizzava, per quanto riguardava l’Inghilterra, un’unica circoscrizione nazionale sulla base della quale assegnare la totalità dei deputati e di conseguenza calcolare il quoziente. Ora, questo era vero, affermavano i difensori del metodo Hare, ma era anche vero che il metodo adottato dal giurista inglese non aboliva le circoscrizioni locali, ma dava in più la possibilità ai cittadini eventualmente insoddisfatti dei candidati presentatisi nell’ambito del proprio collegio, di aggregarsi ad altri elettori in costituenze volontarie, votando anche candidati che si fossero presentati al di fuori della loro circoscrizione di riferimento. Un metodo non proprio intuitivo, né semplice da comprendere e che spiegheremo nel prossimo capitolo, ma il cui funzionamento i proporzionalisti di tutta Europa avevano ben presente, utilizzandolo per respingere                                                                                                                

l’argomentazione della proporzionale come forza disgregante la rappresentanza locale. Il primo a prevenire questa obiezione, particolarmente probante in Inghilterra vista la tradizione dalla quale derivavano le istituzioni rappresentative di quel paese, fu John Stuart Mill che, nel suo volume sul governo rappresentativo, scriveva: “Alcuni critici non si rassegnano a ciò che definiscono la perdita del colore locale della rappresentanza. Secondo il loro modo di vedere una nazione non è composta da individui, ma da unità superficiali definite dalla geografia e dalla statistica. Il parlamento allora dovrebbe rappresentare città o regioni ma non individui. Ma nessuno intende distruggere le città. Si può asserire che le città o le contee vengono rappresentate solo se ad essere rappresentati sono gli individui reali che vi abitano. Senza qualcuno in grado di ravvivarli, i sentimenti locali non durano. Senza qualcuno che sia rappresentato i sentimenti locali non esistono. Chi coltiva questi interessi e prova questi sentimenti locali entra legittimamente nella rappresentanza che ospita tutti gli interessi. Quello che non ammetto è che questi interessi locali debbano essere ritenuti i soli interessi meritevoli di rappresentazione”. E di nuovo: “Nella rappresentanza delle località, verrebbe conservato tutto ciò che merita di essere salvaguardato. […] Ogni località che ha un numero di elettori superiore alla quota richiesta aspirerebbe ad essere rappresentata da uno del posto che bene conosca gli interessi presenti. Solo le minoranze che si sentono estranee dalla selezione del candidato locale cercherebbero altrove un candidato diverso cui riversare il voto.”145

Ma alcuni avversari della proporzionale rovesciarono su di essa anche una, e non sarà la sola, lo vedremo dopo, delle accuse che i sostenitori della riforma rivolgevano al sistema maggioritario, ossia che potesse essere fonte di corruzione del corpo elettorale e di frodi. Giova ricordare, l’abbiamo già sottolineato, come neanche i proporzionalisti più accaniti credessero che un sistema elettorale potesse essere causa o rimedio della corruzione, ma come sostenessero che i sistemi maggioritari accentuassero il rischio che si potessero verificare episodi del genere, dal momento che, in una elezione particolarmente contesa, lo spostamento di poche decine di voti ne avrebbe potuto decidere la sorte. Chi invece sosteneva che la proporzionale avrebbe peggiorato il problema invece di risolverlo, puntava il dito sul fatto che la corruzione potesse essere in questo caso praticata su scala più vasta, diventando dunque endemica, e sul potenziale proliferare delle frodi elettorali nell’ambito degli uffici centrali, dovuti anche al procedimento oggettivamente più complicato di calcolo dei voti e di attribuzione dei seggi. A entrambe le preoccupazioni                                                                                                                

rispondeva risoluto Attilio Brunialti: “È una vergognosa supposizione cotesta per gli individui e pel paese, v’abbiano delle migliaia d’elettori venali: pure si potrebbe anche a questa domandare un’arma contro i sostenitori della proporzionale. E che perciò? Quale sarebbe l’effetto della corruzione? Far entrare nel parlamento qualche indegno rappresentante di gente venale, male ben piccolo in confronto a quello che la corruzione potrebbe oggidì cagionare. Sarebbe tolta questa possibilità alla quale non si può rivolgere il pensiero senza un sentimento di profondo disgusto, che la corruzione possa far cadere la bilancia da una o dall’altra parte, decidere della vittoria di un partito sull’altro, e in tal modo dell’andamento di tutta la bisogna nazionale. […] Quanto alle frodi nell’ufficio centrale ci pare che le guarentigie che si propongono, la pubblicità cioè delle operazioni e la piena libertà di esaminare le schede, compiute le elezioni, sieno sufficienti. Che se l’esame di queste schede sarebbe difficile per un elettore – ogni elettore potrà nondimeno esaminare che uso s’è fatto della sua scheda – sarebbe ben facile per i candidati che non fossero riusciti, e gli agenti loro, i quali vi avrebbero un più immediato interesse.”146

Ma le obiezioni più stringenti nei confronti dei sistemi elettorali proporzionali non erano queste, ma quelle che andremo a esaminare nel corso delle prossime pagine. In primo luogo quella secondo la quale la rappresentanza proporzionale, abbattendo la barriera all’entrata rappresentata dallo scrutinio maggioritario, avrebbe favorito l’ingresso in parlamento dei partiti anti-costituzionali o rivoluzionari, quelli in pratica che oggi noi comunemente chiamiamo partiti anti-sistema. Un problema allora molto sentito, ad esempio, in Francia, dove il dibattito sull’introduzione della rappresentanza proporzionale cominciò poco dopo la metà del diciannovesimo secolo e trovò una meta legislativa, di breve durata peraltro, soltanto al termine del secondo conflitto mondiale, con l’istituzione della Quarta Repubblica. E infatti, a riportarcelo è il Saripolos, così parlavano due oppositori transalpini del sistema elettorale proporzionale: “Pour que la représentation

proportionnelle soit applicable - scriveva Alfred Fouillée – il faut qu’il n’éxiste guère dans un pays que des partis constitutionnels. Mais en France, la lutte est presque toujours entre ceux qui admettent la constitution et ceux qui veulent la renverser. Or il faut avoir soin de ne pas organiser dans l’Ètat la division même des partis, de ne pas élever ces partis au rang de membres constitutifs dans le grand corps social”. Gli faceva eco il marchese

Antoine de Castellane: “En France, à l’heure présente, la lutte n’a pas lieu entre les partis

politiques, mais entre un grand nombre de partis dynastiques et républicains, de telle sorte

                                                                                                               

que si la loi permettait aux minorités de se faire représenter, proportionnellement à leur chiffre réel, le jour où les rèpublicains seraient au pouvoir, la minorité monarchique ne travaillerait plus dans un autre but que d’établir la monarchie, la minorité bonapartiste, l’Empire, et réciproquement.”147 Ma naturalmente la preoccupazione per un possibile ingresso in massa in parlamento di partiti anticostituzionali non era solo francese: sempre il Saripolos citava lo svizzero Carl Hilty che non giudicava pregiudizievole, anzi pensava fosse desiderabile, che le minoranze anti-sistema, come ad esempio gli anarchici, ma anche i monarchici in una repubblica, rimanessero ai margini della rappresentanza. Se così non fosse stato, questa l’opinione dei difensori di tale obiezione, i parlamenti si sarebbero trasformati in un ricettacolo di sovversivi, dove avrebbe dominato lo spirito di classe e dove sarebbero state massimizzate le divisioni religiose e sociali. La risposta dei proporzionalisti era molto semplice: non bisognava aver paura della verità e della giustizia della rappresentanza, era falsa democrazia escludere tutte le idee salvo quelle della maggioranza, ma soprattutto, sotto l’egida di un sistema aperto come quello proporzionale, l’ingresso nella rappresentanza dei partiti estremi e anche violenti avrebbe reso questi ultimi molto più moderati. La possibilità di esprimere liberamente le proprie posizioni, le proprie idee e le proprie opinioni, sarebbe stato infatti un forte disincentivo all’estremismo, avendo per effetto la trasformazione di quelle che Cesare Balbo chiamava le parti non legali, ossia le fazioni, in “parti politiche legittime, legali, virtuose, onorevoli e talora gloriose, utili allo Stato.”148 Al contrario, non riconoscere loro la possibilità di far parte dell’assemblea rappresentativa avrebbe significato spingerli alla rivolta, con grossi rischi per la pace sociale. “Voudrait-on le maintien du procédé majoritaire – si chiedeva il Saripolos – afin d’empêcher l’augmentation de minorités << sinistres >>, qui se trouvent

au parlement? Nous répondrions que la violence d’un parti parlementaire n’est pas proportionnelle au nombre de ses représentants: c’est plûtot l’inverse qui est vrai.” E a

rinforzare il concetto: “L’élection proportionnelle n’implique nullement la reconnaissance

ou l’approbation par l’État de toutes les doctrines politiques; il ne s’agit pas d’une représentation proportionnelle des opinions reconnues par l’État, mais bien d’une élection générale et libre, par tous les citoyens, d’hommes qui leur inspirent confiance.”149

Parlando della corruzione, abbiamo visto come quella fosse un’accusa che sia i sostenitori                                                                                                                

147 Cito da Nicolas Saripolos, Op cit., II, pp. 169-170.

Cfr. anche Alfred Fouillée, La Propriété Sociale et la Démocratie, Paris, Librairie Hachette et Cie, 1884 e

Antoine de Castellane, Essai sur l’Organisation du Suffrage Universel, Paris, Lachaud, 1872

148 Cesare Balbo, Della Monarchia Rappresentativa in Italia, Firenze, Le Monnier, 1857, p. 289 149 Nicolas Saripolos, Op cit., II, pp. 177 e 180

della proporzionale che quelli del maggioritario muovevano al sistema a loro meno gradito. Ma c’era anche un altro rilievo che, sollevato dai proporzionalisti nei confronti del maggioritario, veniva a essi rivolto dalla direzione opposta. Non era il maggioritario, si sosteneva, a esacerbare le lotte elettorali, a scaldare gli animi e i sentimenti, bensì la proporzionale, che avrebbe portato con sé al contempo una forte organizzazione di partiti rigidamente disciplinati e reso, di conseguenza, gli elettori molto meno indipendenti e molto più soggetti alle decisioni dei politici del proprio partito. In realtà, rispondevano i proporzionalisti, il nuovo sistema avrebbe concesso grande libertà agli elettori, che avrebbero potuto smettere di votare per un partito e dirigere la propria scelta su un altro senza per questo venire privati della rappresentanza. “La représentation proportionnelle

fournira des cadres mobiles aux différentes opinions qui pourront ainsi former librement des partis.”150 Del resto, secondo il Saripolos, che era un proporzionalista di fine secolo già proiettato nel ventesimo e che quindi intravedeva l’affermazione dei partiti politici di massa come media della rappresentanza e la trasformazione della stessa da personale in rappresentanza, appunto, di partiti, pur non esaltandone la valenza, sosteneva che essi, quando fossero state, riecheggiando Balbo, legittime parti politiche e non fazioni, sarebbero stati utili e necessari al progresso sociale. Questo, però, come abbiamo visto, non avrebbe interferito sulla libertà degli elettori, né avrebbe inasprito le battaglie elettorali, che, sotto la proporzionale, si sarebbero trasformate in confronto e scontro tra idee e opinioni tutte potenzialmente in grado di ottenere un’equa rappresentanza parlamentare. Ma la confutazione della tesi secondo la quale la riforma avrebbe inasprito le lotte elettorali veniva fatta derivare anche da un’altra argomentazione anti-proporzionalista, di natura completamente opposta, e dunque contraddittoria rispetto alla precedente, che consisteva nell’interpretazione della proporzionale come un sistema che avrebbe indotto elettori e partiti all’apatia, in quanto sarebbero stati paghi della garanzia di ottenere, grazie al metodo di scrutinio, la propria equa rappresentanza. Ma allora, si chiedevano i propugnatori della proporzionale, quale delle due era l’obiezione più fondata? Circa le argomentazioni contro la prima abbiamo già detto; la seconda veniva invece respinta semplicemente in quanto illogica: è vero che ciascuna forza politica avrebbe avuto la garanzia di essere rappresentata purché avesse raggiunto una soglia minima consistente nel quoziente elettorale, ma questo non voleva assolutamente dire che i partiti non avrebbero avuto l’interesse, né la spinta, a massimizzare la propria quota di voti, incrementandola                                                                                                                

quanto più possibile e puntando a governare il paese attraverso la maggioranza.

Ma le argomentazioni che più mettevano in difficoltà i proporzionalisti (e che in realtà ancora, se aggiornate ai tempi d’oggi, costituiscono un grosso punto interrogativo per i sostenitori di questo tipo di sistema elettorale) sono le due argomentazioni classiche che i propugnatori delle virtù del maggioritario utilizzavano per provare a minare le convinzioni degli avversari, due argomentazioni che dunque furono mosse alla proporzionale ben prima che diventasse il sistema elettorale più diffuso nel continente europeo: quella che sottolineava la necessità, vista la sparizione delle coalizioni elettorali, di fare ricorso a coalizioni parlamentari, rese a loro volta indispensabili dall’assenza di una maggioranza forte, omogenea e coesa, e quella, a essa strettamente correlata, che metteva in evidenza la frammentazione partitica che avrebbe generato la proporzionale. Due argomenti attualissimi, che poi sarebbero saliti agli onori della Scienza politica, in particolare dopo i disastri e le tragedie successivi alla caduta della Repubblica di Weimar e dopo le turbolenze che travagliarono la breve esistenza della IV Repubblica francese, presto sostituita dalla V repubblica semipresidenziale. E non è un caso che i due autori (lo abbiamo già visto nell’introduzione) che si occuparono con maggiore autorevolezza di questi temi furono proprio un tedesco, Ferdinand Hermens,151 il quale mise in luce quelle che a suo avviso erano le gravi responsabilità della proporzionale in particolare nella vicenda di Weimar, e Maurice Duverger che, studiando gli effetti dei sistemi elettorali sulle istituzioni politiche, formulò le sue famose leggi, la seconda delle quali asseriva che il sistema proporzionale fosse associato al multipartitismo.152 Questa breve digressione per evidenziare che il poco conosciuto dibattito intorno al proporzionalismo nel diciannovesimo secolo aveva già portato alla luce, seppure in una forma embrionale connessa allo stato ancora poco avanzato del sistema dei partiti, temi che sarebbero diventati centrali nella Scienza politica contemporanea. Tornando al confronto-scontro tra proporzionalisti e sostenitori del maggioritario, dicevamo che questi ultimi sostenevano che la proporzionale, estinguendo inevitabilmente le coalizioni elettorali che invece nel maggioritario erano all’ordine del giorno, avrebbe obbligato i partiti, tra i quali difficilmente uno solo avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta nell’organo rappresentativo, a stringere alleanze parlamentari, definite dopo le elezioni, per formare                                                                                                                

151 Cfr. Ferdinand A. Hermens, Democracy or Anarchy? A Study of Proportional Representation, Notre

Dame, Review of Politics, University of Notre Dame, 1941 e Europe between Democracy and Anarchy, Notre Dame, Review of Politics, University of Notre Dame, 1951  

152 Cfr. Maurice Duverger (a cura di), L’Influence des Systèmes Électoraux sur la Vie Politique, Paris, Colin,

una maggioranza di governo, che sarebbe stata, a loro avviso, poco omogenea e coesa. La risposta dei proporzionalisti, che naturalmente riconoscevano, e lo abbiamo anche visto nel paragrafo precedente, la necessità delle coalizioni parlamentari, stava tutta nel ritenere che esse fossero sostanzialmente preferibili a quelle elettorali, combinazioni, queste ultime, momentanee, intervenienti molto spesso tra partiti estremi e tra loro contrapposti con il precipuo scopo di sconfiggere un avversario particolarmente forte, normalmente moderato: il loro approdo era sempre, oltre all’inesattezza della rappresentanza, il dominio delle ali estreme. Viceversa, l’intesa all’interno del parlamento era “utile et conforme à la nature de