3.1 L’ultimo tentativo di riforma: il progetto n. 612
La fase della storia italiana che va dal 1968 al 1973 ebbe come protagonista la politica, ma non sempre a esserne interpreti furono i suoi soggetti tradizionali, vale a dire i partiti rappresentati in Parlamento. Mentre nelle strade, nelle scuole, nelle università e soprattutto nelle fabbriche esplodevano mobilitazioni inedite per ampiezza e radicalità, mentre gli studenti e i giovani diventavano protagonisti delle cronache in tutto il mondo occidentale e non solo424, in Parlamento andò in scena l’ennesimo atto della storia del centro sinistra,
rappresentato dall’alternarsi di ben quattro governi ma soprattutto dalla solita contraddizione fra le esigenze di rinnovamento dell’assetto istituzionale, economico e sociale, il relativo dibattito nella società e la consueta inerzia riformatrice delle coalizioni governative. L’istituzione delle regioni (dopo più di vent’anni dalla stesura della Costituzione), l’introduzione del meccanismo referendario furono certamente le innovazioni principali operate dalla politica istituzionale, che per il resto si limitò a interagire con le spinte provenienti dalla società, come dimostrano le vicende dello Statuto dei Lavoratori del maggio 1970 (per il quale va riconosciuto un ruolo determinante ai fini legislativi ai socialisti e specialmente al senatore Giacomo Brodolini ma che rappresenta a tutt’oggi un unicum anche a livello internazionale proprio grazie all’unicità delle lotte operaie italiane esplose definitivamente dall’autunno caldo del 1969), della legge che introdusse il divorzio e della legge sulla casa del 1971 tenacemente richiesta dalle organizzazioni sindacali425.
424 Fra le decine di pubblicazioni esistenti sul tema si segnalano Giuseppe Carlo Marino Biografia del ’68. Utopie,
conquiste, sbandamenti, Bompiani, Milano 2004; Peppino Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988, con antologia di materiali e documenti.
425 Gli aumenti salariali, lo Statuto dei Lavoratori (cui si aggiunse poi il riconoscimento ufficiale di poteri non scontati ai comitati unitari di base nelle fabbriche, i cub, frutto di mobilitazioni esterne ai sindacati tradizionali) furono le conquiste più evidenti di quello che molti storici considerano l’apice del movimento operaio italiano, lo sciopero del lavoro degli anni ’69-‐’73 successivo allo “sciopero del capitale” degli anni precedenti e che per certi versi ne fu causa scatenante. In proposito cfr. De Bernardi, Ganapini, op. cit., da p. 679 e Ginzborg, op. cit., da p. 448.
D’altronde la stessa fragilità delle coalizioni di governo e i dibattiti laceranti all’interno dei principali protagonisti del centro sinistra (DC e PSI) resero palese l’incapacità di fondo nell’operare una profonda politica riformatrice, e a fare da specchio principale di questa tara strutturale fu, da un lato, l’inconsistenza pratica delle pianificazioni economiche e dall’altro le vicende legate all’istruzione, su tutte la mancata riforma universitaria.
Per quanto riguarda i socialisti, l’unificazione fra PSI e PSDI non pagò e alle elezioni del maggio ’68 il Partito Socialista Unificato perse più del 5% di voti rispetto a quelli ottenuti dai due partiti singolarmente nel 1963, eliminando sul nascere ogni possibilità di rompere l’equilibrio istituzionale, obiettivo che aveva mosso all’unificazione. Ciò si tradusse per i socialisti (ritornati in due distinti partiti poco dopo) nel riconoscimento dei limiti del riformismo programmatico e delle idee di programmazione che avevano ispirato la politica di governo del partito negli anni ’60426.
La Democrazia Cristiana dal canto suo “proprio nel momento in cui aveva bisogno di una direzione chiara e sicura”427 si trovava costretta a un dibattito sulle riforme sempre più
pressante senza cha a ciò corrispondesse una ferma volontà politica di attuare e guidare il processo riformatore, l’incertezza sulle alleanze che sarebbe perdurata fino al 1976 confermava il dominio del gioco fra le correnti nel determinare la tattica del partito.
Fuori dall’arco governativo il Partito Comunista proseguiva la sua lenta marcia di avvicinamento elettorale (dal 27% del ’68 al 33% del ’75 fino al 34,4% del 1976) che, unita all’esplosione sociale globale di quegli anni, rappresentava il vero spauracchio delle destre più o meno conservatrici e non solo.
Un quadro così delineato si tradusse in quattro governi in meno di quattro anni, dal monocolore Leone durato pochi mesi (rilevante ai nostri fini solo per la presentazione del progetto Scaglia), ai tre governi Rumor e a quello guidato dall’ex ministro del bilancio Emilio Colombo fino alla primavera 1972, quando il neo presidente della Repubblica dopo aver indetto elezioni anticipate conferì l’incarico di formare un governo monocolore DC ad Andreotti e avviando così la breve esperienza di “centrodestra” di quegli anni. L’elezione di
426 Ciufoletti, Degl’Innocenti, Sabbatucci, op. cit., p. 397 e p. 401: “L’orientamento del PSI andò spostandosi sul piano degli interventi nel mertio dei rapporti fra le forze sociali. Fu riconosciuto che il riformismo programmatico era stato più una enunciazione di obiettivi e di intenzioni che un effettivo intervento nella realtà…Sul piano strettamente politico il fallimento dell’unificazione, e dunque il mancato sfondamento elettorale sia al centro sia a sinistra per rompere il bipartitismo imperfetto, ebbero come contraccolpo il consolidamento del consociativismo, che fu ritenuto da taluni, non a torto, il vero elemento caratterizzante degli anni settanta”. Paradosso vuole, come si vedrà più avanti, che proprio mentre il PSI e in generale il quadro politico istituzionale abbandonava l’enfasi sulla programmazione, in tema d’istruzione si approfondirono strumenti e che, non corrispondendo nessuna volontà politica, rimasero sulla carta.
Leone a Presidente della Repubblica contro la candidatura di Pietro Nenni, e la nomina del governo Andreotti sono considerati la cesura rispetto a questo primo decennio di centrosinistra, una cesura brevissima visto che nel giugno 1973 il riequilibrio fra le correnti interne alla DC seguito al XII congresso fece da sfondo alla formazione del quarto governo Rumor e al rilancio del centrosinistra. Per quanto riguarda il tema oggetto di questa ricerca, serve ricordare che a questo quadro governativo corrisposero quattro diversi ministri della Pubblica Istruzione (non proprio il modo più efficiente di portare a compimento il progetto riformatore dell’università): Fiorentino Sullo fino a marzo ’69, Ferrari Aggradi fino alla primavera successiva e infine Riccardo Misasi dal luglio 1970 al giugno 1972. Toccò poi a Oscar Luigi Scalfaro, ministro del governo Andreotti, l’onere di affossare definitivamente il progetto n. 612 esprimendo così anche sull’istruzione il senso di un governo in netta controtendenza con lo scenario politico precedente, e in contrasto con quello sociale (dopo quindici anni i liberali, più attivi oppositori della riforma universitaria, tornarono al governo). Non è certamente questa la sede per dilungarsi nella descrizione del più complesso scenario politico sociale della storia repubblicana, ma è bene ricordare il clima con cui il progetto di riforma che si analizzerà, e i suoi derivati, furono discussi nelle aule parlamentari con scuole, università e fabbriche occupate da un lato, e col delinearsi della strategia della tensione ad opera della destra eversiva e di pezzi dell’apparato di sicurezza statale dall’altro; una quadro i cui contorni e confini non sono (e probabilmente difficilmente lo saranno in futuro) del tutto chiariti specie in relazione alle forze di governo e alle responsabilità politiche delle compagini partitiche e istituzionali a partire da questi anni e per tutti i cosiddetti “anni di piombo”.428
Questi furono gli ultimi anni di dibattito politico/pubblico con protagonista un concreto progetto di riforma dell’università, stabilmente presente nelle aule parlamentari per quasi tre anni senza essere approvato, base di partenza per gli stralci più determinanti e controversi dell’intero periodo in esame in questo lavoro, le leggi sulle liberalizzazioni di accessi e piani di studio del 1969, oggetto di analisi delle prossime pagine insieme al celebre disegno di legge n. 612 esaminato, dibattuto e più volte modificato dal Parlamento tra il 1969 e il 1971.
428 Basti pensare che solo nove giorni separano l’approvazione in parlamento della legge n. 910, la tanto contestata liberalizzazione degli accessi universitari, dallo scoppio della bomba di piazza Fontana il 12 dicembre 1969. Inoltre, come gli eventi degli anni ’70 renderanno evidente, l’università italiana, mentre si dibatteva di riforme o rinnovamento della docenza, fece da incubatrice delle principali organizzazioni rivoluzionarie e di quasi tutte le avanguardie politiche protagoniste delle mobilitazioni e in seguito delle esperienze di lotta armata nel paese, fra tutte gli atenei milanese e romano e la neonata facoltà di sociologia di Trento.
Dopo l’alternanza di ministri dell’istruzione dei governi Rumor-‐Colombo, il governo Andreotti nominò ministro Oscar Luigi Scalfaro, che chiuse ogni possibilità di ripresa di discussione della riforma universitaria approvata per metà, destrutturò il centro studi e programmazione del ministero (che aveva vissuto come si vedrà il suo periodo di attività più intensa proprio in quegli anni) e propose provvedimenti che rappresentavano un passo indietro di anni rispetto ai livelli faticosamente raggiunti dal dibattito pubblico e politico sulla riforma dell’università. Lo scenario politico era quindi diverso da quel misto d’illusioni e volontà riformatrici e di inimmaginabile progresso economico che aveva contraddistinto la nascita dei primi governi di centro sinistra e i dibattiti intorno alle riforme dell’istruzione. I tempi delle previsioni sulla carenza di laureati per l’economia italiana apparivano ora lontanissimi e il dibattito si sarebbe stabilmente incentrato sull’inflazione dei titoli di studio, sulla deprecabile corsa al pezzo di carta da contrastare, sull’affollamento delle strutture universitarie e sull’insufficienza dei meccanismi assistenziali e di reclutamento e aggiornamento della classe docente. Questo anche perché le mobilitazioni dentro l’università si politicizzarono sempre di più, rinunciando all’orizzonte della riforma universitaria e assumendo come prospettiva di lotta l’unione con i lavoratori delle fabbriche contro il sistema economico nel suo complesso e assumendo le parole d’ordine dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo.
Mentre gli osservatori dell’epoca deprecarono questa strategia di fondo del movimento studentesco, accusando la mancanza di una spinta propulsiva studentesca per la riforma, a distanza di decenni appare evidente che la determinazione di socialisti e comunisti e i loro sforzi di elaborazione di sempre più complessi e progrediti progetti di riforma universitaria, fu certamente stimolata dalla preoccupazione di rincorrere e non farsi scavalcare da movimenti giovanili sempre più radicali dentro scuole e università.
Nell’analizzare il posizionamento e le proposte delle sinistre, specie del PCI, di quegli anni appare evidente la volontà di apparire all’avanguardia dell’innovazione, quasi con la consapevolezza che il posizionamento ideale su alcune tematiche (come riformare radicalmente l’università ad esempio) valesse più della reale capacità di incidere su questo o quell’aspetto della riforma in discussione.
Primo atto in tema d’università della V legislatura fu la presentazione del progetto di riforma Scaglia (ministro della pubblica istruzione durante il brevissimo governo Leone), mai discusso e ritirato poi ufficialmente nel luglio ’69. La sua natura era a dir poco ibrida, considerato che, rimandando a una successiva riforma, assumeva il carattere di provvedimento parziale riprendendo alcuni dei temi del progetto Gui (partecipazione delle varie componenti agli organi universitari, alcune incompatibilità con l’insegnamento, parziali
liberalizzazioni dei piani di studio, il Consiglio Nazionale e uno specifico organo di rappresentanza studentesca nazionale) per poi discostarsene, come ad esempio in merito alla riorganizzazione strutturale, non nominando neanche i dipartimenti429. Data la quasi assenza
di dibattito e rilevanza pubblica assunta dal provvedimento credo si possa inquadrare come una mossa quasi di rappresentanza per dimostrare, almeno nominalmente, la continuità di programmi fra la legislatura passata che aveva discusso di università per quattro lunghi anni e l’attuale, proprio mentre la situazione dentro gli atenei esplodeva definitivamente430.
Il neo ministro Sullo, non certo una figura di secondo piano della Democrazia Cristiana visto anche il suo ruolo redazionale nella rivista del partito “La Discussione”, propose a mezzo stampa a fine ‘68 una riforma in più atti, un progetto sulle strutture, uno sui docenti e uno sul diritto allo studio. Il tutto in linea con le dichiarazioni programmatiche del nuovo Presidente del Consiglio Rumor del 16 dicembre che annunciava un generico progetto di riforma basata su autonomia, riforma delle figure insegnanti, incompatibilità, tempo pieno e diritto allo studio (indicando la prospettiva dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, dando così a questa proposta una legittimità che fino a quel momento neanche Gui, suo sostenitore, gli aveva conferito)431.
Esattamente una settimana dopo le dichiarazioni del primo ministro, il governo dimostrò una inaspettata operatività con due interventi che se non avevano dimensioni e portata globale certamente ne avevano in termini politico-‐simbolici: con il decreto legge n. 1.241 del 22 dicembre ’68, furono eliminati gli esami di accesso alle facoltà di magistero e con il d.l. n. 806, si aumentò l’importo degli assegni di studio432.
Va precisato che il primo progetto di riforma presentato dopo la caduta del d.l. 2.314 e il progetto Scaglia fu quello del Movimento Sociale Italiano, presentato dal senatore Nencioni nel luglio 1968433.
429 Disegno di Legge n. 197, Provvedimenti urgenti per l’Università, presentato in Senato con procedura d’urgenza il 17 settembre 1968. Per una descrizione del progetto si veda “Annali della Pubblica Istruzione” n. 4-‐5 1968, p. 387.
430 Riforma della Scuola non mancò di esprimersi criticando il progetto come in perfetta continuità con il piano Gui con qualche “contentino” di facciata sula docenza. Aurelio Marsi, I “subalterni” vogliono un un’università non
subalterna, in “Riforma della Scuola”, n. 10 1968, p. 16.
431 AP, V legislatura, Senato della Repubblica, Discussioni, 16 dicembre 1968, intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri Mariano Rumor, da p. 2761.
432 Decreto-‐legge n. 1241 del 22 dicembre 1968 Abolizione degli esami di ammissione alle facoltà e agli istituti
superiori di magistero convertito nella legge 12 febbraio 1969, n. 8 e disegno di legge 23 dicembre 1968 n. 806 Nuove norme per l’attribuzione dell’assegno di studio universitario convertito in legge il 21 aprile 1969, n. 162.
433 Proposta di legge n. 30 Modifica dell’ordinamento universitario, AP, V legislatura, Senato della Repubblica, Documenti, presentato il 3 luglio 1968 dal sen. Nencioni e altri.