Pianificazione e riforma (1959-1969)
2.2 Le previsioni scolastiche e “l’ideologia SVIMEZ”
Per comprendere le ragioni più profonde del permanere della politica di piano al centro delle strategie economiche e scolastiche, è necessario analizzare e comprendere il ruolo avuto dai teorizzatori della politica pianificatrice, nonché il contesto internazionale che determinò (o provò a determinare) in quegli anni l’orientamento delle politiche scolastiche in paesi come l’Italia.
Due nomi emergono su tutti in materia di pianificazione scolastica, quello dell’ingegnere Gino Martinoli e di Giovanni Gozzer: il primo ebbe l’incarico di presiedere la commissione istituita da Medici nel 1959 e rivestì un ruolo di primo piano in tutti i progetti di studio sull’evoluzione del sistema formativo, al secondo (dopo aver ricoperto la carica di Segretario generale della commissione nominata da Gonella nel ’49 e aver fatto parte di tutte le commissioni di studio nominate dal ministero) fu affidato dal ’63 al ’65 e poi di nuovo nel ’70/’71 l’Ufficio studi, documentazione e programmazione del ministero della Pubblica Istruzione, senza dubbio lo strumento più efficace di cui si dotarono le istituzioni educative italiane negli anni del boom
253 Per l’anno 1962/63 si faceva riferimento a “operazioni di movimento di capitali”, mentre per i seguenti a somme “che resteranno disponibili per la riduzione che si avrà nel complesso degli oneri predeterminati a carico
economico e che infatti non sopravvisse al cambio netto di scenario e clima politico in materia d’istruzione dei primissimi anni settanta.
In più occasioni nel corso di questo lavoro si è accennato alle ricerche compiute dal centro studi SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno), che da tempo collaborava con i governi italiani in materia economica e il cui fondatore, Pasquale Saraceno godeva di un influenza e un autorità indiscussa in tema di sviluppo industriale e ruolo dello Stato nell’economia254.
Il ruolo di questa generazione di tecnici e studiosi, provenienti dall’accademica come dall’industria, meriterebbe un approfondimento specifico e non solo limitato a questa fase: nel momento in cui si stava affermando quel sistema parastatale d’intreccio fra politica ed economia cui si è fatto precedentemente cenno, si affermarono figure e istituti nuovi per caratteristiche e ruolo, per fare un esempio Giuseppe De Rita, membro delle commissioni di studio e figura chiave (come altri esponenti SVIMEZ) del futuro CENSIS, istituto che (come si vedrà) affiancò l’ISTAT negli anni settanta e ottanta nel suo lavoro di ricerca e indagine statistica e di cui De Rita fu segretario dal 1974 e presidente in tempi molto più recenti (2007).
Il 19 giugno 1959 una riunione convocata dall’allora ministro Medici affidò alla SVIMEZ e a due commissioni il compito di analizzare i cambiamenti economici e sociali in atto nel paese e di stimare quindi sviluppo e fabbisogno di manodopera, la sua distribuzione fra i vari settori produttivi, il relativo livello di formazione e, conseguentemente, le risposte che l’apparato formativo italiano doveva essere in grado di fornire di fronte a simili esigenze: la prima aveva il compito di evidenziare le esigenze di carattere quantitativo, cioè quanto personale e con quale livello formativo, la seconda doveva studiare e prevedere le trasformazioni sociali culturale e comportamentali della società italiana255.
degli esercizi stessi”. Legge n. 1073 del 24 luglio 1962, Provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al 1965, art. 57. Pubblicata nella G.U. del 8 agosto 1962 n. 199 e rettifica 20/10/1962, n. 265.
254 “Proprio dalla consapevolezza della unicità e non ripetibilità dei percorsi di sviluppo, ma anche dalla altrettanto forte convinzione che lo sviluppo, qualunque sia la traiettoria storica seguita, richiede comunque dimensioni adeguate alla produzione, Saraceno propone una sempre più matura visione del ruolo dello Stato nell’economia che, nella fattispecie italiana, assume in sequenza la forma dell’IRI, delle partecipazioni statali, dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, della programmazione economica. […] Saraceno individuava il Paese come un sistema che nel suo insieme doveva funzionare in base a quegli stessi principi di formazione delle decisioni e di programmazione dei flussi che sovrintendevano all’organizzazione ed al funzionamento della impresa come sistema”. Patrizio Bianchi, Saraceno, economista industriale ed economista politico, Quaderno d’Informazioni SVIMEZ n. 17 giugno 2002, supplemento al n.3-‐5/2002 della rivista Informazioni SVIMEZ, p. 14, Roma 2002.
255 La prima commissione, presieduta da Martinoli, era composta da Giovanni Gozzer, Isidoro Franco Mariani, Gastone Miconi, Mario Milano, Tommaso Salvemini, Giuseppe de Rita, Pietro Longo e rese pubblico il suo lavoro con SVIMEZ, Mutamenti della struttura professionale e ruolo della scuola, Giuffrè, Roma 1961; la seconda,
Oltre alle due pubblicazioni ufficiali delle commissioni, altri lavori portarono la firma dei singoli responsabili, su tutti appunto Martinoli, impegnato in prima linea su questi temi anche dal punto di vista della cooperazione internazionale256.
Non va sottovalutato infatti che quasi tutti questi studi avevano un collegamento diretto (nelle forme di veri e propri finanziamenti, della collaborazione o semplice ispirazione) con i lavori della Fondazione Ford, tutt’ora uno dei principali, più ricchi e ramificati think tank del mondo, in quel periodo impegnata nel promuovere studi e ricerche in grado di influenzare la classe dirigente dei paesi con cui gli Stati Uniti stavano stringendo sempre di più rapporti economici (non è un caso se dopo l’interesse di quegli anni verso l’Europa e l’Europa mediterranea in particolare, l’attenzione e il lavoro della Fondazione sia ora spostato nei confronti dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa).
Obbiettivo di questi studi era quello di proporre i principi di riforma e intervento sulla base di un’evoluzione della sfera produttiva e sociale di cui si pensava di potere tracciare delle sicure traiettorie.
Il compito principale degli esperti della Fondazione Ford era quello di stimolare una serie di paesi nel prendere consapevolezza sugli elementi e caratteristiche dello sviluppo economico, adeguando a questi le strutture formative: si stava verificando uno sviluppo delle singole economie nazionali continuo anche se irregolare; di conseguenza sarebbe stato sempre più pressante il bisogno di personale istruito ma soprattutto di quello specializzato ad altissimo livello, aspetto su cui alcuni paesi (fra cui l’Italia) erano particolarmente carenti; la mobilitazione delle risorse umane doveva conoscere quindi proporzioni inedite nella storia con uno sforzo dei governi nell’elevare la scolarità obbligatoria e aprire l’università a gruppi sempre più numerosi ma sempre più selezionati; istituire metodi di ricerca e insegnamento
presieduta da Manlio Rossi Doria e composta da Balbo, Bobbio, Gozzer, Parenti, Pizzorno, Prini, Bontadini, Glisenti, Scassellati, produsse SVIMEZ, Trasformazioni sociali e culturali e loro riflessi nella scuola, Giuffrè, Milano 1962.
256 Gino Martinoli fu il prototipo del tecnico, uomo d’industria, coinvolto nella gestione della cosa pubblica negli anni dell’interventismo statale durante il boom economico. Ingegnere, prima della guerra lavorò per anni con ruoli direttivi alla Olivetti dove affinò le sue competenze dirigenziali a tutto campo. Sul finire degli anni ’50 ebbe un ruolo chiave nella politica energetica guidata da Enrico Mattei, diventando presidente della SIMEA e dirigendo personalmente la centrale nucleare di Borgo Sabotino. Successivamente abbandonò l’impegno diretto nell’industria a favore dell’attività di studioso e consulente non soltanto per il ministero dell’Istruzione, diventando così una delle figure chiave, insieme con il già citato De Rita, del CENSIS di cui fu presidente fino alla sua morte. La mentalità dell’ing. Martinoli rappresenta bene a mio avviso quello strano ibrido fra tecnocrazia statalista ereditata dal fascismo, rinata nell’epoca del parastato dominato dai partiti degli anni ‘60 e ’70, combinata con una fiducia monolitica nel libero mercato e nelle naturali pulsioni che la libertà d’impresa scatenerebbe se lasciata libera da vincoli: la dimostrazione di ciò sono le riflessioni con cui a distanza di anni sarebbe tornato a commentare i risultati delle sue previsioni, esprimendo un giudizio molto critico sugli effetti limitativi della ibertà d’impresa delle mobilitazioni operaie del periodo, a suo dire una delle cause (insieme alla
per formare una manodopera in grado di seguire i ritmi e le modificazioni imposte dal rapido mutamento tecnologico; l’importanza dell’includere la componente femminile in questi processi al contrario del passato; non temere l’eventualità di una sovra educazione della forza lavoro al pari di una sovrapproduzione di beni257.
Presupposto di tutte le pubblicazioni, oltre che delle dichiarazioni dei tecnici e dei politici su cui questi studi avevano una notevole influenza, era il mantenimento per una quindicina d’anni del tasso di sviluppo del reddito nazionale che si era appena conosciuto sul finire degli anni ’50, cioè intorno al 5% d’incremento annuo258.
Niente più di questo elemento rappresenta quella che mi azzardo a definire “euforia da boom economico”, che in varie forme investì la mentalità di classe dirigente e opinione pubblica italiana nei più diversi settori dell’economia e della società in genere.
La prima e più citata pubblicazione di questo genere è il risultato della commissione Martinoli istituita dal ministro Medici, Mutamenti della struttura professionale e ruolo della scuola, il cui obbiettivo era quello di determinare (a grandi linee) le modifiche da apportare all’apparato produttivo italiano, quali caratteristiche avrebbe avuto e come differenziare la forza lavoro e, in base a ciò, indicare il numero dei laureati e diplomati necessari e la natura della loro formazione.
L’analisi del sistema produttivo italiano si basava da un lato sul già citato tasso d’incremento del reddito che avrebbe portato nel ’75 al doppio del PIL del ’59259, dall’altro sull’idea che il
mercato del lavoro italiano avesse una contraddizione quasi genetica: un’eccedenza di personale generico scarsamente qualificato (ad alimentare una disoccupazione e una sottoccupazione non risolte da boom) unita a una carenza di personale tecnico altamente qualificato. Da qui la necessità di orientare e pianificare la formazione della manodopera del futuro, incanalando razionalmente la formazione dei giovani, riducendo letteralmente la popolazione studentesca in certi ambiti, aumentandola in altri, e ridisegnando gli ordinamento didattici dove necessario.
crisi economica degli anni ’70) degli errori di previsione sullo sviluppo italiano. Questi aspetti saranno affrontati nelle conclusioni di questa ricerca.
257 Coombs, direttore della divisione problemi educativi della Fondazione Ford, in Prévoir le cadres de demain, OECE, Bureau du personnel scientiphique et technique, Parigi 1960, da p. 30.
258 Un tasso di sviluppo del reddito al 5% annuo era definita una previsione attendibile dallo stesso Medici, Medici, op. cit., p. 319.
259 Guardando la tabella 3 della pubblicazione SVIMEZ sulle stime percentuali dell’incremento di reddito fra i tre settori dell’economia, si intuisce quanto fuoristrada fossero andate queste previsioni, secondo le quali il terziario e i servizi avrebbero persino conosciuto un ridimensionamento: industria dal 43 al 50%, agricoltura dal 18,9 al 12,8% e servizi dal 38,1 al 37,1%. SVIMEZ, Mutamenti della struttura professionale e ruolo della scuola, p. 18.
Il cuore del lavoro della commissione Martinoli sono quindi le stime, dettagliatissime, sulla ripartizione degli occupati nei tre settori dell’economia e, soprattutto, sulla composizione per qualifiche professionali dell’intera forza lavoro del paese. Sulle categorie professionali è necessario avere presente l’assoluta mancanza di uniformità fra tutti gli studi analizzati in questo lavoro e le stesse definizioni utilizzate da ISTAT e CENSIS, in merito una sistematizzazione critica fu compiuta dal Centro Europeo dell’Educazione in una pubblicazione, di cui si dirà a breve, e che rappresentò l’approdo della collaborazione SVIMEZ/ministero in merito alla previsione scolastica260: fra la classificazione elaborata da
Eckaus per il dipartimento del lavoro statunitense, e quelle elaborate negli studi comparativi internazionali di Parnes e Harbison (di cui si dirà a breve), le due classificazioni della SVIMEZ (dirigenti e quadri superiori, tecnici, addetti a funzioni di coordinamento, capi subalterni, personale qualificato, personale generico) e quella ISTAT utilizzata nei censimenti e, a partire dal 1977, nelle rilevazioni trimestrali (Imprenditori/liberi professionisti, lavoratori in proprio e coadiuvanti, dirigenti e impiegati, operai e assimilati) sono quelle cui si farà riferimento in questo lavoro.
In base a queste (vedi Tabella A e B) si prevedeva che dei più di 21 milioni di occupati stimati per il 1975 (erano 18 milioni e 650.000 nel ’59), il 5,9% fossero dirigenti e quadri superiori (cifra calcolata nel 2,9% nel ’59), i tecnici 9,9, gli “addetti a funzioni di coordinamento” 11,8, i capi subalterni 4, il personale qualificato il 48,1 e il personale generico il 20,3.
Stima della struttura professionale degli occupati nel 1959 per settori di attività economica (valori assoluti arrotondati)
Agricoltura Industria Servizi Totale
Qualifiche
Occupati % Occupati % Occupati % Occupati % Dirigenti e quadri superiori 18.000 0,3 109.000 1,7 414.000 7 541.000 2,9
Tecnici 26.000 0,4 161.000 2,5 410.000 6,9 597.000 3,2
Addetti al coordinamento -‐ -‐ 278.000 4,2 915.000 15,5 1.193.000 6,4 Capi subalterni -‐ -‐ 137.000 2,1 41.000 0,7 178.000 1 Personale qualificato 354.000 5,7 3.348.000 51,2 1.081.000 18,3 4.783.000 25,6 Personale generico 5.802.000 93,6 2.507.000 38,3 3.049.000 52 11.358.000 60,9 TOTALE OCCUPATI 6.200.000 100 6.540.000 100 5.910.000 100 18.650.000 100
Tabella A. Classificazione basata sulle categorie professionali rilevate nel censimento 1951 per i vari gradi della gerarchia professionale. Per l'elenco completo delle attribuzioni cfr. SVIMEZ, Mutamenti della struttura professionale e ruolo della scuola, pp. 98-100.
Stima della struttura professionale degli occupati nel 1975 per settori di attività economica (valori assoluti arrotondati)
Agricoltura Industria Servizi Totale
Qualifiche
Occupati % Occupati % Occupati % Occupati % Dirigenti e quadri sup. 24.000 0,5 383.500 4,6 849.000 10,2 1.256.500 5,9 Tecnici 70.000 1,5 943.500 11,4 1.082.000 13 2.095.500 9,9 Addetti al coordinamento -‐ -‐ 627.000 7,5 1.870.000 22,5 2.497.000 11,8 Capi subalterni -‐ -‐ 457.500 5,5 393.000 4,8 850.500 4 Personale qualificato 3.486.000 75 3.984.000 48 2.765.500 33,3 10.235.500 48,1 Personale generico 1.070.000 23 1.914.500 23 1.340.500 16 4.325.000 20,3 TOTALE OCCUPATI 4.650.000 100 8.310.000 100 8.300.000 100 21.260.000 100
Tabella B. Classificazione basata sulle categorie professionali rilevate nel censimento 1951 per i vari gradi della gerarchia professionale. Per l'elenco completo delle attribuzioni cfr. SVIMEZ, Mutamenti della struttura professionale e ruolo della scuola, pp. 98-100.
Ulteriori e più dettagliate stime scendevano nei particolari di questi calcoli rapportati ai tre settori dell’economia vale a dire l’industria, l’agricoltura e i servizi.
La seconda parte del lavoro è la conseguente previsione sulle strutture scolastiche di cui erano indicati i principi in base ai quali disegnare le riforme della scuola e dell’università: se a guidare la nuova scuola italiana doveva essere l’idea della “unificazione articolata” di un percorso più unico intorno a un asse centrale di materie comuni ai vari indirizzi che poi si differenziasse negli ultimi anni, per l’università la parola d’ordine della commissione Martinoli era differenziazione di titoli e percorsi, raccogliendo e sistematizzando così quel complesso di stimoli e idee che in merito circolavano già da tempo261.
Limitandoci alla visione delle stime riguardanti l’università, la commissione prevedeva che i laureati passassero dallo 0,7% del totale degli occupati nell’industria nel 1959 al 12,8% nel 1975, dal 6,1% al 21,3% nei servizi e dallo 0,1% all’1,6% nell’agricoltura. Per far ciò era necessario passare dai 20.379 laureati del 1957 ai 90.000 del ’75, per una popolazione universitaria che si stimava sarebbe arrivata a 400.000 studenti, da sostenere con un “salario scolastico rapportato alla capacità, attitudine e serietà degli studi dell’allievo”, e investendo
261 “Si ritiene opportuno dar luogo ad una istruzione che, pur essendo a carattere universitario, si risolva però in 2-‐3 anni di studio, preparando direttamente i propri alunni a quei tipi di lavoro altamente qualificato…, mentre nel normale periodo del corso di laurea ci si potrebbe qualificare ad ulteriori e più alti gradi di lavoro di livello superiore”, ivi, p. 58.
seriamente sul corpo docente arrivando a 40.000 unità per un rapporto di dieci studenti per ciascun professore o assistente.
Nelle stime del ’75 erano incluse e specificamente indicati i 40.000 “diplomati superiori” frutto della auspicata differenziazione: “si ritiene che per le funzioni di tecnici superiori, di addetti al coordinamento di grado superiore, di assistenti tecnici, e perfino in qualche caso di dirigenti e quadri superiori, sarebbero sufficienti due o tre anni di studio presso istituti superiori a grado universitario, tali da rilasciare un diploma superiore”262.
Diversamente da ciò che ci si potrebbe aspettare, questi lavori non si concludevano con stime dettagliate degli investimenti monetari necessari e questo non solo perché non fosse compito della commissione ma, a mio parere, per la scomoda posizione in cui si trovava chi, come Martinoli, sapeva bene che i piani economici del governo che aveva commissionato questi studi non erano assolutamente adeguati alle esigenze indicate dal loro lavoro, come dimostra un giudizio, breve e superficiale ma certamente non generoso, che la commissione dava del piano nelle ultime pagine del lavoro: “non del tutto adeguato per i vari settori di studio, in particolare nel campo della ricerca scientifica fondamentale già estremamente sfavorita nella situazione attuale e praticamente trascurata nel piano decennale. D’altra parte, come si è già detto, l’impegno finanziario non solo dovrebbe essere maggiore di quello previsto, ma soprattutto dovrebbe essere diversamente articolato tra i diversi tipi di attività scolastica. […] Gli stanziamenti del piano più elevati dovrebbero essere diretti a favorire l’istruzione tecnica e professionale piuttosto che quella classica, scientifica e magistrale”263.
I risultati della seconda commissione (denominata Rossi Doria dal nome del suo presidente) creata nel 1959 furono pubblicati soltanto nel 1962 ma il suo lavoro fu ben diverso da quello di Martinoli. Non c’erano stime dettagliate dell’evoluzione del mercato del lavoro ma si compiva una vera e propria rassegna dei cambiamenti sociali ed economici più determinanti del periodo (l’urbanizzazione massiccia, l’industrializzazione e i cambiamenti della struttura industriale, lo sviluppo delle tecnologie e dei consumi, etc.), in base ai quali si indicavano come necessari cambiamenti nei contenuti e nei metodi d’insegnamento nonché un’interazione maggiore fra la scuola e gli altri operatori culturali come la famiglia e le istituzioni pubbliche264.
Ben più interessante è un altro studio, anche questo patrocinato dalla SVIMEZ ma firmato dal solo Martinoli, L’università nello sviluppo economico italiano.
262 Ivi, p. 67.
263 Ivi, pp. 81-‐82.
A mio avviso, rappresenta una sorta di manifesto sull’università italiana in un sistema economico capitalistico maturo ed efficiente, in cui convivono da un lato l’esaltazione della logica aziendale e dall’altro il ruolo dello Stato nell’indirizzare lo sviluppo dell’economia e della società.
L’idea ispiratrice è che la società e le sue istituzioni possano essere gestite con lo stesso criterio aziendale costi/ricavi ma, ed è questo l’elemento che allontana queste riflessioni dalla logica privatistica dell’epoca neoliberale, l’investitore principale è lo Stato e l’obbiettivo lo sviluppo economico, sociale e culturale presupponendo che l’avanzamento di uno di questi aspetti trascini meccanicamente gli altri.
La metodologia di Martinoli era quella di sempre: si partiva dalla categorizzazione della forza lavoro e dalle esigenze formative dettate dai tempi, in questo caso in merito all’esigenza di dirigenti, la cima della piramide, alla cui istruzione è preposta appunto l’università. L’obbiettivo era l’elaborazione di un ideal-‐tipo caratterizzato da una ben precisa formazione universitaria, lo strumento erano invece le categorie e i criteri di classificazione del prof. Parnes per l’OCSE265 e del professore Harbison266.
Partendo dalla constatazione che i ritmi di sviluppo verificatisi nei due anni trascorsi dalla prima indagine si sono accelerati, Martinoli osava partire dalla premessa che “gli stessi traguardi posti alle strutture scolastiche nello studio SVIMEZ e riferentisi, com’è noto, al 1975, dovrebbero essere anticipati al 1970-‐72”267.
Oggetto di studio erano le tendenze di quella che era definita la produzione di laureati, analizzando l’andamento per gruppi di corsi di laurea e, ovviamente, elaborando le consuete previsioni. Martinoli esprimeva preoccupazione per l’andamento delle iscrizioni in alcune facoltà, come economia e lettere: la situazione della prima era considerata esplosiva data la natura di “scuola serale” testimoniata dall’alto numero di studenti/lavoratori, mentre le facoltà di lettere erano considerate dal tecnico uomo d’industria semplicemente sovraffollate rispetto alle esigenze di manodopera con una formazione umanistica che erano indicate dai suoi lavori268.
265 Per comodità da questo punto in avanti e per questo capitolo si utilizzerà l’acronimo italiano O.C.S.E. (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) al posto della sigla internazionale talvolta rinvenuta in francese (OCDE) e in inglese (OECD) anche se fino al 1965 l’organizzazione di riferimento non fu questa ma la precedente O.E.C.E. (Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea).
266 Gino Martinoli, L’università nello sviluppo economico italiano, Giuffrè, Milano 1962, pp. 3-‐4. 267 Ivi, pp. 2-‐3.
Il confronto fra le cifre stimate nel ’62 e i dati reali del 1975 verrà affrontato a conclusione del presente lavoro anche utilizzando i confronti effettuati dagli stessi protagonisti269, per adesso
è importante segnalare il ruolo di queste previsioni e il fortissimo legame che per l’autore aveva lo studio delle tendenze del mondo del lavoro con quelle dell’istruzione.
In merito ai 1.250.000 dirigenti che Martinoli pensava ci sarebbero stati nel 1975 egli riteneva necessario che l’80% di questi fossero laureati ma contemporaneamente riteneva la cifra di un milione di laureati nella società difficile, se non impossibile, da raggiungere270. E’ evidente
quanto il tecnicismo di Martinoli gli impedisse di cogliere i molteplici aspetti culturali che avrebbero portato a ben altri numeri la popolazione studentesca, con lo sviluppo di fattori e variabili inedite per la società italiana e non ancora chiaramente visibili nei primissimi anni sessanta271.
Lo studio proseguiva con alcune proposte di riforma concrete, sulle tematiche che si dibattevano in quegli anni ma con l’autorità di chi dava un contributo basato su elementi scientifici: “lo stabilire una correlazione fra numero dei laureati delle varie facoltà e natura ed esigenze dello sviluppo implica che intervenga, se non immediatamente, in avvenire, una certa