Assistenti Assistenti di Ruolo % Assistenti di ruolo sul
totale Giurisprudenza 982 78 7,9 Sc. Politiche 194 8 4,1 Economia 796 92 11,5 Lettere 1210 145 11,9 Magistero 422 34 8,1 Medicina 6652 1145 17,2 Scienze 1707 503 29,5 Farmacia 300 72 24 Ingegneria 1231 348 28,9 Architettura 394 55 13,9 Agraria 513 132 25,7 Veterninaria 310 70 22,5
Tabella A. FONTE: Istat, Annuario statistico dell'istruzione italiana, Roma 1958.
Come già in occasione dell’Inchiesta nazionale per la riforma della scuola del 1949, l’Associazione Nazionale degli Assistenti Universitari (l’UNAU) chiedeva l’istituzione di una figura intermedia di docente, il professore aggregato (figura successivamente introdotta nel 1966) ricavabile fra gli assistenti con due anni di incarico e già dichiarati maturi in un concorso a cattedra, così da dare uno sbocco raggiungibile per le migliaia di assistenti e offrire prospettive di stabilizzazione che non fossero legate unicamente alle scelte del corpo docente. Come è facile immaginare, i primi avversari di questa proposta (che nel 1959 era di istituire 250 aggregati l’anno per dieci anni per uno sforzo economico al decimo anno di cinque
158 Anche Barillà si sofferma particolarmente sulla sproporzione fra assistenti e docenti che nel ‘58-‐‘59 erano 12.131 e 2.738 gli assistenti di ruolo. L’autore tra l’altro considerava un fattore degenerativo l’elemento per cui
miliardi) furono proprio i docenti di ruolo. Durante i lavori dell’ XI congresso nazionale dell’ANPUR, nonostante le aperture del presidente prof. Agostino Capocaccia (“a somiglianza di quanto è in uso in Paesi più progrediti del nostro, si debba provvedere a colmare il vuoto, o, se più piace, il salto brusco fra l’assistente di ruolo e il professore di ruolo. E’ appunto nell’intento di riempire questo vuoto che da tempo si parla di istituire il ruolo dei professori aggregati”) non corrispose la mozione finale in cui si giudicava corporativa la richiesta degli assistenti “alla ricerca di una facile stabilizzazione appena un gradino sotto i docenti”, lasciando invece le porte aperte all’istituzione di figure come quella del ricercatore159.
Negli anni successivi, l’ANPUR sentì il bisogno di esprimersi più chiaramente sul tema e non lasciare all’associazione degli assistenti l’unica voce propositiva, specialmente a seguito della formazione del Comitato Interuniversitario insieme con gli studenti dell’UNURI e gli assistenti dell’UNAU, strumento con quale le tre categorie provarono (a fatica come si vedrà) a parlare con una voce sola nelle contrattazioni sui piani e sulla riforma Gui. In realtà le singole associazioni condussero anche incontri privati con i ministri e la proposta di creare una nuova figura intermedia fra il docente e l’assistente sarebbe stata sempre presente160.
Dall’Associazione degli assistenti, certamente meno influente dell’ANPUR, già nel congresso di Genova del 1958 provenne la prima proposta di istituire una figura di docenza intermedia, proposta poi rafforzata al congresso successivo di Siena, in cui toni molto accesi contro il potere feudale dentro gli atenei provennero persino dal Ministro Medici161.
La vera e propria proposta dei docenti di ruolo sull’istituzione dei professori aggregati sarebbe arrivata soltanto con il Congresso straordinario di Roma del ‘63: erano chiamati “coadiutori”, avrebbero dovuto essere liberi docenti da assegnare (tramite concorso locale davanti a una commissione di tre docenti nominati dal ministero e dal consiglio superiore) a una cattedra su richiesta delle singole facoltà; le attività di insegnamento e ricerca avrebbero dovuto dipendere dalle direttive del titolare di cattedra, senza prevedere neanche la partecipazione al consiglio di facoltà162.
La politica si mostrava ancora timida sull’argomento: gli orientamenti della Democrazia Cristiana, mai come su questa tematica, dipendevano dai singoli pareri dei deputati e senatori che erano anche docenti; i liberali, per stessa ammissione di uno dei loro esponenti più
159 Mozione conclusiva XI Congresso nazionale ANPUR, in “Giornale dell’università”, n. 1 1959, pp. 4-‐5.
160 “L’università italiana”, rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale Professori di Ruolo a partire dal 1962, Jandi Sapi Editori, Roma, n.1 1962 p. 19.
161 Non essendo mai stati pubblicati gli atti dei congressi dell’UNAU, dobbiamo rifarci a resoconti, come quello di Barillà, in op. cit., p. 105.
preparati sulle tematiche scolastiche163, avevano posizioni diverse, mentre sul fronte delle
sinistre, a partire dai dibattiti sulla relazione della Commissione d’Indagine dei primi anni sessanta, socialisti e comunisti si sarebbero fatti attivi promotori della richiesta di istituire un ruolo di docente intermedio, per offrire una strada verso la stabilizzazione che non passasse per il meccanismo di cooptazione, e ufficialmente in attesa di regolarizzazione, della libera docenza.
L’ultima tematica da affrontare prima di chiudere questa parte dedicata alla docenza, riguarda l’annoso problema del pieno impiego dei professori, tema legato a doppio filo da un lato a quello del malcostume universitario e della scarsa presenza dei docenti negli atenei, dall’altro alla presenza di non pochi politici fra le fila dei parlamentari. Proprio questo era l’elemento più fastidioso per i commentatori dell’epoca, come testimonia Rugiu che nel suo saggio dedicato al personale docente specifica la dinamica: “nel giro di poco tempo erano stati trasferiti all’università di Roma diversi cattedratici che rivestivano al tempo stesso cariche governative o parlamentari, così da consentir loro –almeno ai più diligenti-‐ di fare qualche sporadica apparizione nelle aule universitarie”; l’elenco comprendeva in quegli anni Fanfani, Segni, l’allora presidente della Camera Leone, Martino ministro degli esteri, e così via164.
Camera Senato
FACOLTA' Costituente I
Legislatura II Legislatura III Legislatura I Legislatura II Legislatura III Legislatura Giurisprudenza 18 13 12 11 10 7 3 Scienze Politiche 2 3 3 2 1 1 Economia 5 4 2 3 3 3 3 Lettere 2 2 1 3 2 1 Magistero Medicina 2 2 4 3 1 2 2 Scienze 4 2 1 2 1 Farmacia
162 Mozione conclusiva Congresso straordinario ANPUR, Roma 20-‐22 febbraio 1963, in “L’università italiana”, n. 2-‐3 1963, p. 39
163 Ruggero Moscati, Problemi dell’università italiana, in Il P.L.I. per la scuola di domani, atti del II Convegno Nazionale di studi sulla scuola, 28-‐29 aprile 1962, Stabilimento Tipografico Ferri, Roma 1962, pp. 234-‐236. 164 Rugiu, op. cit. p. 246.
Ingegneria 2 2 1 2 2 2 2
Architettura
Agraria 1 1 1
Veterinaria
TOTALE 35 28 23 22 23 19 12
Tabella B. Professori di ruolo parlamentari, per legislatura e facoltà. Fonte: Comitato di studio dei problemi dell'università italiana, La popolazione universitaria, p. 162.
I dati raccolti e sistematizzati dal Comitato di Studio dei problemi dell’università italiana sulla presenza di docenti in Parlamento e Costituente (e qui ripresi nelle tabelle B e C), non lasciano margini di dubbio sull’entità del fenomeno.
Dal punto di vista della divisione fra le facoltà, se fino a quel momento erano stati quasi totalmente assenti docenti di architettura, magistero, farmacia, veterinaria, e in misura minore di lettere, medicina, ingegneria e scienze, stupisce la scarsa presenza di docenti di scienze politiche e risulta soprattutto evidente che la questione dei docenti parlamentari era una dinamica degna di nota quasi esclusivamente nelle facoltà di giurisprudenza, facoltà in cui particolarmente si sentiva il peso del rapporto docenti studenti e su cui particolarmente la didattica si basava sul lavoro degli assistenti165.
Guardando invece la composizione politica dei professori seduti in parlamento, l’elemento degno di nota è l’assoluta prevalenza di docenti nelle file della Democrazia Cristiana e perciò non appare certo una forzatura il ricondurre la scarsa determinazione della politica nel risolvere questa “anomalia italiana” ad un oggettivo conflitto d’interessi in merito166.
Camera Senato
GRUPPO
PARLAMENTARE Costituente I
Legislatura II Legislatura III Legislatura I Legislatura II Legislatura III Legislatura
165 Appendice statistica, Tabella 6.
166 I dati erano stati elaborati dal Comitato di studio sulle fonti del Manuale Parlamentare e le pubblicazioni della casa editrice La Navicella: Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Manuale Parlamentare, III legislatura, Roma 1959; I 556 Deputati della Costituente, La Navicella, Roma 1947; I Deputati e i Senatori del primo
Parlamento Repubblicano, La Navicella, Roma 1956; I Deputati e i Senatori del terzo Parlamento Repubblicano, La
Navicella, Roma 1958. Fra gli altri si annoveravano Fanfani, Moro, Segni, Leone, Martino, Donini. Da segnalare la totale assenza di docenti fra le file del Movimento Sociale e i numeri esigui fra i repubblicani, i monarchici e i socialisti.
PCI 4 2 12 11 10 7 3 PSI 3 3 3 2 1 1 PSDI 3 2 1 -‐ -‐ -‐ PRI 1 -‐ -‐ -‐ -‐ -‐ -‐ DC 19 18 16 16 14 11 7 PLI 4 2 1 1 2 -‐ -‐ Monarchici 1 -‐ 2 3 -‐ 3 -‐ MSI -‐ -‐ -‐ -‐ -‐ -‐ -‐ ALTRI 3 -‐ -‐ -‐ 3 1 1 TOTALE 35 28 23 22 23 19 12
Tabella C. Professori di ruolo parlamentari, per legislatura e gruppo parlamentare di appartenenza. Fonte: Comitato di studio dei problemi dell'università italiana, La popolazione universitaria, p. 163.
Anche se il Comitato non arrivava ad applicare questo concetto alla categoria dei docenti parlamentari, rilevava come la situazione di sovrapposizione d’interessi fosse il rischio più grande e concreto causato dall’assenza di regolamentazioni chiare, giudizio poi espresso e rafforzato anche da analisi storiche successive167.
L’indagine del Comitato, compiuta tramite l’invio di duemila questionari ai soli professori di ruolo (su un totale in quel periodo di circa ottomila tra professori e assistenti), consente di avere un elenco dei settori d’impiego e dei ruoli ricoperti dai docenti, che spesso ricoprivano incarichi di grosso impegno e responsabilità in qualità di consulenti o membri di consigli d’amministrazione. Ritornando al legame fra docenti e politica era abbastanza significativo il dato per cui non esisteva consiglio comunale di città sedi di atenei senza docenti di ruolo168.
Il comitato esprimeva un giudizio complessivamente negativo, nel ritardare interventi e prospettive riformatrici, sul ruolo politico della docenza italiana, che a fatica concepiva un ruolo attivo degli stessi docenti nell’eliminare deficienze e mettersi realmente in gioco: “limite proprio di chi sentendosi soggetto e non oggetto di decisione tende naturalmente ad operare sugli altri”169. Dovendo compiere un bilancio dell’attività di pressione esercitata
pubblicamente dalle associazioni di categorie come l’ANPUR, è evidente l'azione determinata,
167“Finiva per costituirsi una salda lobby parlamentare a difesa degli interessi di conservazione dei ‘baroni’ della cattedra, che consentiva solamente l’adozione di interventi parziali e necessitati, ostacolando qualsiasi vera riforma di struttura.”, Romano, op. cit., p. 11.
168 Comitato di studio dei problemi dell’università italiana, La popolazione universitaria, Il Mulino, Bologna 1960, p. 160
omogenea e convinta quando in gioco erano le leggi sullo status giuridico ed economico, molto meno decisa su tutte le altre tematiche possibili oggetto di riforma.
Al tema del pieno impiego fu dedicato ampio spazio nel saggio di Sensini, tramite sette interviste a docenti e l’usuale comparazione internazionale (da cui l’Italia risultava l’unico paese a non avere regolarizzato in qualsiasi modo le modalità di pieno o parziale impiego dei docenti universitari) che faceva emergere la condivisa necessità di interventi legislativi170.
Chiudiamo questa riflessione sul problema del pieno impiego con le valutazioni e i dibattiti interni alla categoria interessata, quella dei professori di ruolo ben rappresentati dall’ANPUR. L’associazione, fin dall’emergere del tema, aveva sempre risposto rilevando “in linea di massima l’opportunità di una tale differenziazione” sancita da un’indennità da conferire ai docenti che non svolgevano attività professionali esterne, come aveva fatto notare il professor Pincherle al congresso di Milano del 1962171.
Proprio in quell’occasione, ampio spazio fu dedicato alla tematica al fine di esprimere una posizione chiara. Il compito ricadde sul relatore prof. Luigi Galateria (ordinario di diritto amministrativo a Macerata) che ripercorreva i passaggi che avevano portato all’elaborazione di un progetto concordato il 22 ottobre 1962 fra il Ministro Gui e i delegati delle associazioni ANPUI, UNAU, UNAEV, ASTUV e UNURI, con un ruolo di semplice osservatore dello stesso Galateria172.
Dal 1961 un gruppo di lavoro interno all’associazione (composto dai docenti Bodda, Galateria, Magrassi, Paladini, Rollier, Sesini) elaborò due ipotesi che, con l’aggiunta di una terza posizione, furono riassunte dalla relazione Galateria: la prima ipotesi, ampiamente rigettata dai docenti, era quella dell’obbligo del pieno impiego con annesso divieto di svolgere attività professionali esterne; un’ipotesi già oggetto della proposta del senatore comunista Ambrogio Donini e sottoscritta personalmente da una lettera di alcuni docenti dell’associazione era quella dell’indennità economica ai docenti in regime di pieno impiego.
170 Sensini, op. cit., pp. 108-‐112. L’autore, prendendo spunto dall’osservazione di Guido Calogero sul caso britannico (che non prevedeva la possibilità di essere avvocato e contemporaneamente Professor of Law), faceva questo elenco: in Germania i professori erano dipendenti dello Stato e non potevano svolgere altre attività; in Francia erano concesse soltanto attività liberali connesse alla loro specializzazione; Grecia, Svezia e Svizzera lo escludevano categoricamente mentre Spagna, Belgio e Irlanda contemplavano il part time. Da segnalare la recensione al saggio di Sensini compiuta dalla rivista dell’ANPUR, L’università italiana, nel n. 2-‐3 del 1963, con l’autore combattuto tra la tentazione di bollare il lavoro di Sensini come scandalistico/pessimista e il riconoscimento dell’oggettività dell’inchiesta e osservazioni fatte.
171 Pincherle, atti del XV congresso (XIII ordinario) dell’ANPUR di Milano 16-‐18 dicembre 1962, in “L’università italiana”, n. 2 1962, p. 17.
172 Il quale arrivava persino a citare lo stesso Sensini nell’attribuire enorme importanza alla questione: “causa principale della nostra crisi universitaria è da ascriversi principalmente al fatto che il professore universitario da noi non è professore universitario, nella migliore delle ipotesi, è anche professore universitario”, Luigi Galateria, relazione su pieno impiego al congresso ANPUR di Milano 1962, in “L’università italiana”, n.2-‐3 1963, p. 6.
Il relatore, che comunque proponeva 500.000 lire di indennità più una partecipazione ai profitti delle attività professionali esterne, non voleva ridurre il problema al solo livello economico e si faceva portatore dell’idea di far svolgere le attività non privatamente ma come organo dell’istituto “in misura limitata e strettamente connessa con la ricerca scientifica”. L’idea, di difficile realizzazione, era di portare le professioni all’interno delle facoltà, valorizzando quello che era considerato dai docenti il valore aggiunto di queste attività, l’apporto esperienziale e di continuo aggiornamento di cui beneficiava la didattica ufficiale e facendo partecipare gli stessi istituti dei proventi.
Espongo nei dettagli questa proposta visto che, nonostante l’opposizione e i dubbi in merito alle concrete possibilità di applicazione espressi dalla seconda relazione del professor Aldo Scotto, questa sarebbe diventata, almeno ufficialmente, la posizione ufficiale dell’ANPUR negli anni seguenti. Significativa la presenza, nella proposta Galateria, di incompatibilità fra il ruolo di docente e le cariche elettorali (persino nelle istituzioni locali più popolose) e la messa fuori ruolo al momento dell’assunzione di cariche di presidente, amministratore, consulente di enti e società pubbliche o private.
L’idea di riportare le attività professionali esterne all’interno dell’università era già stata avanzata, fra gli altri, da Barillà che teorizzava una riforma generale nella quale le cattedre erano concepite come istituti polivalenti (idee che si connettevano all’esigenza di figure nuove di docenti) responsabili di attività, appunto ex cathedra, con proventi ripartiti fra docenti e atenei.
L’autore, formulando queste proposte inserite in un quadro generale di un’università riformata secondo i principi dell’auto-‐amministrazione e dell’autordinamento, si dimostrava precursore di progetti e principi riformatori che sarebbero stati egemoni soltanto tre decenni dopo, con le riforme dell’autonomia dei primi anni novanta: avvicinare l’economia privata e le idee del ibero mercato agli atenei, adeguando composizione e poteri dei consigli d’amministrazione e auspicando un meccanismo virtuoso fra economia reale e programmazione degli insegnamenti173.
173 “Lo sviluppo economico ha ridestato l’attenzione degli imprenditori privati verso gli atenei, verso la ricerca scientifica universitaria, e verso l’efficienza dell’insegnamento universitario per la formazione adeguata dei nuovi quadri necessari al processo produttivo. Si è prospettata, accanto ai finanziamenti statali, la nuova grande via della contrattazione con i privati, che potrebbe essere lo strumento determinante per rafforzare economicamente l’indipendenza della comunità universitaria. L’attività professionale ‘interna’ dei docenti sarebbe un non indifferente mezzo di finanziamento per le università e, nelle facoltà scientifiche, automaticamente si inserirebbe nell’attività di ricerca richiesta dagli imprenditori privati. Anche nei confronti di tali imprenditori, l’indipendenza dell’università potrebbe essere assicurata da una nuova impostazione di autogoverno comunitario, meglio che dai rapporti individualistici dei singoli professori”. Barillà, op. cit., p. 235 e
E’ evidente che proposte talmente articolate, elaborate nei primi anni sessanta, erano frutto di un clima che stava mutando rispetto a quello del decennio esaminato in questo capitolo, e in cui ogni discorso sull’università inevitabilmente implicava un progetto complessivo di riforma più o meno innovatore. Da questi anni in poi nessuno, dall’accademia alla politica avrebbe più negato la necessità di una riforma, urgente e globale, dell’università italiana.
Per dirla con Chiosso: “La preoccupazione per la capacità della società italiana di alimentare e sostenere uno sviluppo che si preannunciava ricco e duraturo prevalse sua sull’ipotesi di destinare le risorse anche in termini di beni sociali sua sulla opportunità di innestare gradualmente il nuovo sul tronco della tradizione”174.
L’istruzione aveva ormai definitivamente scalato le gerarchie di priorità dell’agenda politica di tutti i partiti; all’interno della vita accademica le mobilitazioni di personale e (sempre di più) studenti stavano diventando permanenti; una proposta di riforma dell’università in ogni suo aspetto sarebbe rimasta nelle aule del Parlamento per quattro anni; ma soprattutto un’espansione economica senza precedenti nel paese stava imponendo cambi radicali di mentalità nella classe dirigente, favorendo previsioni ottimistiche sugli effetti e sulle necessità dello sviluppo economico e tecnologico.
da p. 222 sul ruolo di programmazione e distribuzione dei finanziamenti di un rinnovato Consiglio Superiore della pubblica istruzione, concepito come espressione della “base” delle università.
174 Il giudizio dello storico della formazione in realtà è tutt’altro che positivo verso la classe politica di questo decennio “Quel che più sorprende di quegli anni di silenziosa, ma radicale transizione, è la sfasatura che si verificò tra i problemi radicalmente nuovi che lo sviluppo industriale e dei consumi creava ed imponeva e la timidezza sconfinante, non di rado, nella vera e propria sterilità di un dibattito politico ed in parte anche culturale che non riusciva ad essere all’altezza di una situazione in profondo mutamento”, Chiosso, op. cit., pp. 124-‐125.