DELL’11 NOVEMBRE 2008 NN 26972/3/4/
2. Le sentenze delle Sezioni Unite nn 26972/3/4/5 dell’11 novembre 2008.
2.2. Il danno esistenziale, le liti bagatellari e il doppio filtro per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali.
Dopo aver accolto una nozione di danno non patrimoniale inteso come categoria generale e omnicomprensiva, le Sezioni Unite affrontano la questione se, nell‟ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale.
Nel ripercorrere la vicenda di tale figura di danno, le Sezioni Unite sottolineano che questa, intesa come pregiudizio non patrimoniale attinente alla “sfera del fare non reddituale del soggetto” – e pertanto distinta tanto dal danno biologico (in assenza di lesione dell‟integrità psicofisica) quanto dal danno morale soggettivo (poiché non attinente alla sfera interiore del sentire) – è stata elaborata negli anni novanta con l‟intento di ampliare la tutela risarcitoria per i danni di natura non patrimoniale incidenti sulla persona.
Il pregiudizio in questione – “individuato nella alterazione della vita di
relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona” – seguendo la via già
percorsa per il danno biologico, veniva quindi sottratto agli stretti vincoli dell‟art. 2059 c.c. per essere risarcito ai sensi dell‟art. 2043 c.c,. inteso quale norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona.
Entro tale quadro - osservano i giudici di legittimità - “la nuova figura
di danno si risolveva nella descrizione di un pregiudizio di tipo esistenziale (il peggioramento della qualità della vita, l‟alterazione del
fare non reddituale), non accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito dell‟ingiustizia, di quale fosse l‟interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito”.
Si tratterebbe, ad opinione delle Sezioni Unite, di una carenza ostativa al risarcimento, correttamente avvertita dalla Cassazione ancor prima delle sentenze gemelle del 2003 e che invece non sarebbe stata percepita dalla giurisprudenza di merito, la quale, ad opera dei giudici di pace, avrebbe lasciato spazio alle richieste risarcitorie più fantasiose e risibili, dando ristoro a “pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere
dall‟individuazione dell‟interesse leso, e quindi del requisito dell‟ingiustizia” (a titolo di esempio, i giudici di legittimità citano la
rottura del tacco di una scarpa da sposa, l‟errato taglio di capelli, l‟attesa stressante in aereoporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l‟invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell‟animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal blackout elettrico). Le Sezioni Unite affermano poi che, a seguito della svolta operata nel 2003 dalle sentenze gemelle – che, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata dell‟art. 2059 c.c., hanno fissato il principio, condiviso dalle stesse Sezioni Unite, secondo cui il danno non patrimoniale è risarcibile oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè a fronte di una “ingiustizia costituzionalmente qualificata” – “di
danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere”, dal momento che lo stesso era finalizzato a supplire ad un
Emerge quindi chiaramente che il danno esistenziale non viene respinto dalle Sezioni Unite come voce descrittiva, ma quale figura che consentirebbe un‟estensione degli interessi rilevanti sul piano della tutela non patrimoniale oltre i confini stabiliti dall‟art. 2059 c.c. costituzionalmente reinterpretato.
In applicazione della rilettura dell‟art. 2059 c.c., i pregiudizi di carattere esistenziale saranno pertanto risarcibili in caso di reato, negli altri casi determinati dalla legge e, fuori da tali ipotesi, “purchè conseguenti alla
lesione di un diritto inviolabile della persona.”. Ad esempio -
affermano i giudici di legittimità - a fronte della lesione dei diritti inviolabili della famiglia, come nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di un congiunto, o nel caso dell‟illecito che, cagionando a una persona coniugata l‟impossibilità di rapporti sessuali, è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell‟altro coniuge a tali rapporti.
Nella prospettiva accolta dalle Sezioni Unite, “il pregiudizio di tipo
esistenziale … è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell‟evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria.”.
Le Sezioni Unite richiamano quindi i tentativi di superamento, da parte dei fautori del danno esistenziale, dei limiti segnati dalla lettura costituzionalmente orientata dell‟art. 2059 c.c.: dalla tesi secondo cui la rilevanza costituzionale non deve attenere al diritto leso ma al pregiudizio, al danno-conseguenza sofferto, alla tesi che ricollega il risarcimento del danno esistenziale non solo alla lesione di un diritto
costituzionalmente garantito, ma anche alla lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante.
Chiaramente, secondo i giudici di legittimità, entrambe le tesi vanno disattese, la prima in quanto, cancellando la limitazione della tutela risarcitoria in presenza di ingiustizia costituzionalmente qualificata dell‟evento dannoso, si risolve nell‟abrogazione surrettizia dell‟art. 2059 c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata, la seconda perché finisce per ricondurre il danno non patrimoniale sotto la disciplina dell‟art. 2043 c.c., dove il risarcimento è dato purchè sia leso un interesse genericamente rilevante per l‟ordinamento, contraddicendo così il principio di tipicità del danno non patrimoniale.
Le Sezioni Unite poi, spinte dalla constatazione che negli anni la Corte costituzionale è stata chiamata più volte a vagliare la legittimità costituzionale dell‟art. 2059 c.c., sentono il bisogno di affermare che “non è prospettabile illegittimità costituzionale dell‟art. 2059 c.c., come
rinvigorito da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003, in quanto non ammette a risarcimento al di fuori dei casi previsti dalla legge (reato ed ipotesi tipiche), i pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione non di diritti inviolabili ma di interessi giuridicamente rilevanti, poiché la tutela risarcitoria minima ed insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili (Corte cost. n. 87/1979)”.
Il superamento dei limiti della tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali – evidenziano le Sezioni Unite – potrebbe piuttosto derivare da una norma comunitaria che preveda il risarcimento del danno non patrimoniale senza porre limiti, e ciò in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. In tal caso, comunque, l‟effetto non sarebbe quello di caducare la norma interna
incompatibile, ma di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia avanti al giudice nazionale.
I giudici di legittimità, poi, analizzano il dettato di alcune sentenze laburistiche, in particolare della sentenza delle Sezioni Unite n. 6572/2006, che hanno provveduto a riconoscere la risarcibilità del danno esistenziale, sostenendo che tali pronunce non possono essere tratte a conforto della tesi che configura il predetto danno come autonoma categoria, in quanto si verte in un‟ “ipotesi di danni non
patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista”, secondo
quanto previsto dall‟art. 2087 c.c.
Le Sezioni Unite ribadiscono quindi il principio secondo cui “al di fuori
dei casi determinati dalla legge ordinaria solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale”, affermando che
“palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria invocata a titolo di
danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale”.
In tali ipotesi difetta infatti il requisito dell‟ingiustizia costituzionalmente qualificata, per cui a nulla vale invocare “diritti del
tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici”.
I giudici di legittimità affrontano poi il problema delle c.d. liti bagatellari, proliferate a causa delle frequenti richieste ai giudici di pace di risarcire pretesi danni esistenziali.
Con la predetta espressione – affermano le Sezioni Unite – si devono intendere “le cause risarcitorie in cui il danno è futile o irrisorio,
ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto”.
Si possono quindi distinguere due ipotesi, la prima che riguarda l‟allegazione di un “pregiudizio esistenziale futile, non serio”(ad esempio non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici), la seconda che si verifica nel caso in cui “l‟offesa arrecata è priva di
gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima”
(ad esempio, un graffio superficiale dell‟epidermide, un mal di testa per una sola mattina conseguente ai fumi emessi da una fabbrica) .
Nell‟ottica delle Sezioni Unite in entrambe le ipotesi va comunque esclusa la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, difettando, nel primo caso, la serietà del danno e, nel secondo caso, la gravità della lesione.
I giudici di legittimità, nell‟ottica di operare un bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello di tolleranza imposto dalla convivenza civile, pongono quindi un doppio filtro per l‟ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili, affermando che “la lesione
deve eccedere una certa soglia di offensività rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza”.
Spetterà dunque al giudice accertare, secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico, che sia stato superato il livello di tollerabilità e che il pregiudizio non sia futile.
Le Sezioni Unite sottolineano poi che la regola risarcitoria individuata con riguardo al ristoro del danno non patrimoniale non potrà essere ignorata dai giudici di pace nelle questioni da decidere secondo equità, in quanto essa costituisce principio informatore della materia.
Ciò detto, i giudici di legittimità, facendo proprie le affermazioni di alcune precedenti sentenze della Cassazione (n. 15022/2005, n. 11761/2006, n. 23918/2006) sanciscono che “in conclusione, deve
ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell‟atipicità, sia pure attraverso l‟individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall‟interpretazione costituzionale dell‟art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione”.
Al termine del suesposto iter argomentativo, le Sezioni Unite dichiarano quindi (al punto 3.14) che “le considerazioni svolte valgono a dare
risposta negativa a tutti i quesiti, in quanto postulanti la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale”.