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Il principio di integrale riparazione del danno.

DELL’11 NOVEMBRE 2008 NN 26972/3/4/

2. Le sentenze delle Sezioni Unite nn 26972/3/4/5 dell’11 novembre 2008.

2.4. Il principio di integrale riparazione del danno.

Nell‟affrontare la questione della liquidazione del danno non patrimoniale, le Sezioni Unite affermano il principio di integrale riparazione del danno alla persona, secondo cui il risarcimento “deve

ristorare interamente il pregiudizio, ma non deve spingersi oltre”.

Viene quindi sottolineata la necessità di assicurare la proporzionalità tra la somma attribuita a titolo di ristoro e le ripercussioni negative non economiche effettivamente risentite dal danneggiato.

Nell‟ottica delle Sezioni Unite, il principio in questione trova applicazione laddove si persegua una lettura unitaria della nozione di danno non patrimoniale. Esse ribadiscono infatti che il danno di cui all‟art. 2059 c.c., determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria

160 A norma del quale “è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione

della responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.”.

161 Così è stato precisato da Cass., sez. un., 30.10.2001, n. 13533, in Foro it., 2002,

I, pag. 769, con nota di Laghezza, Inadempimenti e onere della prova: le sezioni unite

e la difficile arte del rammendo; in Nuova giur. civ., 2002, I, pag. 349, con nota di

unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie, sicchè “il

riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno”.

Qualsiasi liquidazione venga effettuata per compensare perdite di tipo non reddituale deve quindi essere ricondotta a questo nuovo concetto unitario e omnicomprensivo di danno non patrimoniale, e ciò al fine di evitare sovrapposizioni risarcitorie.

Spetterà al giudice “accertare l‟effettiva consistenza del pregiudizio

allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”.

Le Sezioni Unite procedono quindi ad alcune esemplificazioni.

Esse prendono anzi tutto in considerazione la sofferenza morale nell‟ipotesi in cui l‟illecito configuri reato, affermando che il danno morale soggettivo sarà risarcibile quale voce specifica soltanto ove si tratti di sofferenza soggettiva in sé considerata, ove cioè sia allegato esclusivamente il turbamento dell‟animo, il dolore intimo sofferti (ad esempio dalla persona diffamata o lesa nella sua identità personale), e dunque soltanto se la vittima non lamenti degenerazioni patologiche della sofferenza. Laddove invece il danneggiato deducesse siffatte conseguenze, il danno morale dovrebbe intendersi quale componente del danno biologico, quale componente cioè di un più complesso pregiudizio non patrimoniale. E ciò in quanto, altrimenti, la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale in questi termini inteso (sovente - affermano le Sezioni Unite - liquidato in percentuale,

da un terzo alla metà, del primo162), determinerebbe duplicazione di risarcimento.

Esclusa pertanto la praticabilità di tale operazione, “il giudice dovrà,

qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad un‟adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.163

162

Secondo l‟art. 138 (Danno biologico per lesioni di non lieve entità), terzo comma, del D.Lgs. n. 209/2005 (recante il Codice delle Assicurazioni private), “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti

dinamico-relazionali personali, l‟ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al 30%, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.”. Vi è quindi un

limite risarcitorio del 30% rispetto alle tabelle uniche nazionali.

Secondo l‟art. 139 (Danno biologico per lesioni di lieve entità), terzo comma, del D.Lgs. n. 209/2005, “l‟ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del primo

comma può essere aumentato dal giudice in misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.”. Il

quantum debeatur sarebbe quindi limitato ad un massimo di un quinto.

163 L‟invito della Suprema Corte appare così quello di muovere dalla figura che è

più prossima a descrivere la perdita subita, eventualmente correggendo il calcolo del danno con criterio equitativo. Questo procedere implica però un cambiamento di abitudini da parte degli interpreti, e specialmente da parte dei giudici di merito, considerato che le tabelle adottate dai Tribunali sono frutto di una diversa logica, figlia della storia del danno alla persona e in particolare delle sentenze gemelle del 2003 che avevano consegnato un art. 2059 c.c, tripartito (la c.d. trilogia – sul punto v. Busnelli, Chiaroscuri d‟estate. La Corte di Cassazione e il danno alla persona, nota a Cass. civ., 31.5.2003, nn. 8827 e 8828, in Danno e resp., 2003, pag. 819), e sono perciò modellate sul presupposto che all‟interno dell‟art. 2059 c.c. ci siano danni diversi con una propria autonomia anche in ordine al quantum del risarcimento, di tal chè gli interpreti sono abituati a ragionare nei termini di una sommatoria di singole voci, da cui scaturisce il quantum del risarcimento finale.

Allo stesso modo poi, con riguardo al danno da lesione del rapporto parentale, i giudici di legittimità sottolineano che “determina

duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l‟esistenza del soggetto che l‟ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.”.

Le Sezioni Unite procedono poi affermando che i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell‟integrità psico-fisica, rappresentano soltanto voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico e dovranno quindi necessariamente essere ricondotte sotto questa qualificazione, che si deve ritenere ormai aver assorbito il c.d. danno alla vita di relazione. La loro distinta riparazione darebbe pertanto luogo a duplicazione risarcitoria.

Secondo i giudici di legittimità, inoltre, “certamente incluso nel danno

biologico, se derivante da lesione dell‟integrità psico-fisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo”164.

Va poi ritenuto che ugualmente “si avrebbe duplicazione nel caso in cui

il pregiudizio consistente nell‟alterazione fisica di tipo estetico fosse

Sulla base di tale invito delle Sezioni Unite, si potrebbe pertanto ritenere che le tabelle esistenti vadano riviste in ragione dell‟unitarietà assunta dal danno non patrimoniale.

164 Diversamente da quanto affermato dalla sentenza della Suprema Corte n.

liquidato separatamente e non come voce del danno biologico, in cui il c.d. danno estetico è pacificamente incorporato”.

Le Sezioni Unite riservano infine un cenno al problema del danno tanatologico, al fine di chiarire che in caso di morte, giunta dopo breve tempo dall‟evento lesivo, della vittima rimasta lucida durante l‟agonia in consapevole attesa della fine, potrà essere riconosciuto e liquidato un danno di carattere morale, a ristoro della sofferenza psichica patita, in quanto “una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se

di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.”.

Con tale soluzione i giudici di legittimità hanno così inteso riempire il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che negava, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall‟evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita165 e lo ammetteva per la perdita della salute solo se il soggetto fosse rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisurava166.

165 Cass. civ., 25.2.1997, n. 1704 (e successive conformi), in Nuova giur. civ. comm.,

1997, I, pag. 221, con nota di Chindemi, Ancora sul risarcimento del danno spettante

dagli eredi alla vittima; in Resp. civ. prev., 1997, pag. 432, con nota di Giannini, Se questa è giustizia; in Riv. giur. circolazione, 1997, pag. 657, con nota di Pulvirenti: “il danno biologico, quale lesione del diritto alla salute, postula necessariamente la permanenza in vita del soggetto leso, in condizioni di menomata integrità psico-fisica, tali da non consentirgli la piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, sicché la configurabilità del detto danno e la trasmissibilità agli eredi del relativo diritto di credito risarcitorio devono escludersi quando la morte segua l‟evento lesivo a distanza di tempo talmente ravvicinata da rendere non apprezzabile l‟incisione del bene salute.”

2.5. Il danno non patrimoniale come danno conseguenza. Profili