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I L DANNO DA OGM ALLA SALUTE DELL ’ UOMO E L ’ ARTICOLO 2050 COD CIV

4. L’ APPROCCIO BASATO SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE

4.1. I L DANNO DA OGM ALLA SALUTE DELL ’ UOMO E L ’ ARTICOLO 2050 COD CIV

Come sopra accennato, l’articolo 2050 cod. civ. è stato ritenuto invocabile in caso di danno alla salute dell’uomo da Organismo Geneticamente Modificato.

A tal fine appare, quindi, necessaria un’analisi dello stesso.

L’articolo 2050 cod. civ. disciplina la responsabilità per l’esercizio di un’attività pericolosa, ma il suo ambito applicativo è progressivamente risultato aperto alle elaborazione degli interpreti e della giurisprudenza, che hanno ricondotto alla norma sia attività non caratterizzate da rischi particolarmente

226 A.HILBECK ET AL., No scientific consensus on GMO safety, in Environmental Sciences Europe

(2015) 27:4; GMOS: A solution or a problem? A Debate Between Mark Lynas and Colin Tudge, in Journal of International Affairs, Spring/Summer 2014, Vol. 67, No. 2, 131 ss.; J.-P.ANGER,P. KINTZ, Les OGM: une révolution technologique qui inquiète et qui passionne, in Annales de Toxicologie Analytique, 2010, 22 (1): 19 ss.

elevati, sia ipotesi in cui il requisito della pericolosità dipende non tanto dall’attività in sé, ma dall’oggetto della stessa o dal tipo di utente, per arrivare ad applicare la disposizione in esame a tipologie di pregiudizi conseguenti all’impiego di tecnologie innovative, anche se non pericolose in sé. Pertanto si è parlato di «avanzata irrefrenabile dell’art. 2050 c.c.»227

La scelta di introdurre una tale norma all’interno del codice civile è stata una novità, stante l’assenza di un corrispondente nel previgente codice civile del 1865, pur essendo tale disciplina già conosciuta in un settore speciale, quale quello della circolazione stradale228. La scelta è stata in parte salutata con favore, essendo andata a riempire una lacuna dell’ordinamento: fino a quel momento non era, infatti, prevista una disposizione volta a disciplinare il danno derivante dall’esercizio di un’attività pericolosa, in termini generali. L’articolo 2050 cod. civ. venne vista come una norma moderna, finalizzata a tutelare la collettività dai pericoli di danno, causati dal moltiplicarsi delle attività industriali cui si assiste nelle società contemporanee229.

227 Espressione, questa, usata da A.P

ALMIERI,Produzione di sigarette e responsabilità per danni al fumatore: l’avanzata irrefrenabile dell’art. 2050 c.c. (anche in assenza di potenziali beneficiari dell’attività pericolosa), in Foro it., 2010, I, 880.

228 Come scritto nella Relazione del Ministro Guardasigilli, al numero 795. La mancanza di una

norma come l’articolo 2050 cod. civ. nel codice del 1865 ben si comprende se si volge la mente al contesto storico in cui l’abrogato codice ha avuto la luce. La nostra nazione era allora caratterizzata da un’economia prevalentemente agricola, mentre l’industria era ancora agli albori. A ciò fa riscontro, dal punto di vista normativo, un approccio molto ‘timido’ alla responsabilità aquiliana.

229 Si vedano, ex multis, T.V

ALLINO,Le attività pericolose: sfera di applicazione dell’art. 2050 c.c., in Foro pad., 1949, I, 639; G.GENTILE,Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, in Resp. civ. e previd., 1950, 97; E.BONASI BENUCCI,La responsabilità civile, Milano, 1955, 196. Contra, coloro che sostengono non fosse necessaria l’introduzione di una nuova norma in tal senso, dal momento che la materia della responsabilità derivante dall’esercizio di attività pericoloso trovava già riscontro negli articoli 1151 e 1153, comma 1, cod. civ. del 1865, come M.COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965, 68.

L’articolo 2050 cod. civ. è strutturalmente collocato, all’interno del codice civile, in un livello intermedio tra due blocchi di norme, rispetto alle quali non ha elementi di continuità230.

Per quanto riguarda gli elementi costitutivi della fattispecie, rileva in primis il compimento di «attività pericolose»231.

Il lemma utilizzato dal legislatore aveva portato a pensare, in un primo momento, che il riferimento fosse solo ed esclusivamente alle attività di impresa – per tali intendendosi serie organizzate di atti tra loro funzionalmente collegati –, escludendo conseguentemente dall’ambito di applicazione dell’articolo 2050 cod. civ. sia quelle attività pericolose, ma non aventi veste imprenditoriale, sia le ipotesi di responsabilità per il compimento di singoli atti pericolosi232.

230 Come osservano A.G

ORASSINI,F.TESCIONE,Per un quasi commento sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, in Danno e resp., 2012, 237, ove richiamano la stessa Relazione al codice civile del 11942, in cui l’articolo in esame era proposto come «soluzione intermedia per la quale, sempre mantenendo la colpa a base della responsabilità, non solo si è posta a carico del danneggiato la prova liberatrice, ma si è ampliato il contenuto del dovere di diligenza che è posto a suo carico». Parte della dottrina ritiene il confronto tra l’articolo 2050 cod. civ. e gli articoli 2051- 2054 cod. civ. ‘naturale’, in quanto tutte le fattispecie racchiudono al loro interno un elemento di pericolosità, costituendo in tal modo una particolare espressione del principio contenuto nell’articolo 2050 cod. civ. Si veda al riguardo V. DI MARTINO,La responsabilità civile nelle attività pericolose e nucleari, Milano, 1979, 33. Altri autori, invece, pur leggendo nella disposizione in esame un principio generale, ritengono tuttavia che l’ipotesi di responsabilità derivante dall’esercizio di attività pericolose sia collaterale rispetto alle altre forme di responsabilità. Cfr. G. GENTILE, Responsabilità, cit., 102.

231 Prima di delineare il concetto stesso di ‘attività pericolosa’, appare necessario soffermarsi sul

significato di ‘attività’. Si era, infatti, posta la questione se all’interno del lemma fosse possibile ricomprendere anche un singolo atto isolato. Solo con il codice civile del 1942, infatti, si parla di ‘organizzazione’ a proposito di impresa e si differenzia tra atto ed attività. Il primo è caratterizzato dalla sua singolarità, mentre la seconda rappresenta un complesso di atti ripetuti nel tempo e collocati in un sistema produttivo organizzato da un imprenditore, soggetto che svolge la propria attività in modo continuo e stabile nel tempo.

232 G.G

ENTILE,Responsabilità, cit., 104; B. PAGLIARA,Appunti in tema di responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, in Dir. prat. assic., 1975, 645.

La dottrina maggioritaria non ha tuttavia abbracciato una tale lettura restrittiva: lo stesso tenore letterale dell’articolo in oggetto opta per una interpretazione più ampia. I termini «esercizio» ed «attività» sono entrambi generici, al punto da poter ricomprendere al loro interno sia l’attività organizzata in forma di impresa, sia quella che non presenta tali caratteristiche233.

In definitiva, quindi, l’articolo 2050 cod. civ. trova applicazione in caso di attività pericolosa, imprenditoriale o meno che essa sia234, lettura questa condivisa anche dalla giurisprudenza: nelle parole dei Supremi Giudici si legge che «Connotazione peculiare, infatti, della responsabilità ex art. 2050 c.c. è l’esercizio di una attività e la natura pericolosa di essa, il che comporta di regola, una

233 Si è posto inoltre in luce che se l’obiettivo del legislatore fosse stato quello di limitare la portata

della norma alla sola prima categoria di attività, avrebbe sicuramente potuto utilizzare espressioni più consone allo scopo. Infine, tenuto presente che l’articolo 2050 cod. civ. mira a difendere i terzi da pericoli derivanti da attività particolarmente pericolose, a poco rileva che queste ultime siano esercitate all’interno di un’organizzazione imprenditoriale oppure nell’ambito di attività prive delle suddette caratteristiche.

234 Concorde la dottrina nel ritenere che l’articolo 2050 cod. civ. sia applicabile solo alle ‘attività’

pericolose e non invece anche alle ‘condotte’ pericolose. Le prime ricorrerebbero in presenza di un’attività in sé e per sé caratterizzata da una particolare potenzialità di danno, indipendentemente dall’azione umana. Le seconde, invece, sarebbero quelle attività che, pur innocue in linea astratta, diventano potenzialmente lesive in concreto, a causa del comportamento dell’uomo. In quest’ultimo caso troverà applicazione la regola generale dell’articolo 2043 cod. civ. Si vedano al riguardo, ex multis, A.GORASSINI,F.TESCIONE,Per qualsiasi commento sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, cit., 241. Occorre ricordare inoltre l’esistenza di una ulteriore teoria, secondo la quale rientrerebbero nell’articolo 2050 cod. civ. solo le attività economiche e non quelle biologiche, per tali ultime intendendosi quelle «comuni ovvero necessarie, tutte le azioni involontarie, i movimenti coscienti e incoscienti che provengono dalla disposizione fisica, fisiologica e psichica», in P. TRIMARCHI,Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 15. Più in particolare, il punto di partenza è quello secondo cui la responsabilità per rischio svolge una funzione solo se applicata all’esercizio di attività economiche. La sua applicazione, invece, alle attività biologiche potrebbe aversi solo in base a considerazioni di giustizia del caso concreto e non sulla base di una regola fissa e generale. Contra, tuttavia, si è osservato come nel testo dell’articolo 2050 cod. civ. manchi ogni elemento idoneo a qualificare ulteriormente il termine ‘attività’.

successione continua e ripetuta di atti che si svolge nel tempo ed è coordinata ad un fine, nell’esercizio, pertanto, normalmente di un’attività di impresa… Ciò non toglie che possano rientrare nella previsione di cui all’art. 2050 c.c. anche atti sporadici, compiuti al di fuori di un’attività di impresa, ma deve trattarsi di un atto coordinato ad un fine esplicito, oggettivamente pericoloso»235.

La pericolosità viene identificata non nella mera possibilità, ma nell’intensa probabilità del prodursi di danni a terzi236. L’attività deve presentare cioè una potenzialità dannosa di grado superiore al normale, potenzialità che è oggetto di misurazione, secondo alcuni, tramite un criterio quantitativo – che tenga in considerazione il numero dei pregiudizi normalmente causati da quella particolare attività, forniti da dati statistici ed elementi tecnici e di comune esperienza –, secondo altri alla luce di un criterio qualitativo237.

Se il dettato normativo riconduce la pericolosità all’attività o condotta238, la giurisprudenza ha ritenuto di riportare all’interno dell’articolo 2050 cod. civ. anche ipotesi in cui l’attività non è caratterizzata da una intrinseca pericolosità, ma il

235 Cass. civ., 24 febbraio 1983, n. 1425. Riprova della lettura estensiva del termine ‘attività

pericolosa’ è il fatto che l’articolo 2050 cod. civ. è stato applicato anche alle attività sportive. Sono state individuate come attività pericolose, per esempio, l’organizzazione di gare – automobilistiche, motociclistiche e ciclistiche – su strada, la gestione di una scuola di equitazione e così via. Anche altre tipologie di attività sono nel tempo state additate come pericolose dalla giurisprudenza: si pensi all’attività di smaltimento dei rifiuti tossici, alla fabbricazione e vendita di bombole di gas, alla produzione di sigarette e di farmaci emoderivati, nonché all’attività di erogazione del carburante.

236 Cass. civ., 24 febbraio 1983, n. 1425, in Rep. Foro it., 1983, voce Responsabilità civile, n. 109;

Cass. civ., 21 novembre 1992, n. 13530, ivi, n. 146.

237 D.

DE MARTINI,Responsabilità per danni da attività pericolosa e responsabilità nell’esercizio di attività pericolosa, in Giur. it., 1973, I, 981.

238 La pericolosità riferita alla attività sarebbe da intendersi come intrinseca potenzialità di danno

dell’attività in sè e per sé considerata, a prescindere dal fattore umano. Se riferita, invece, alla condotta, la pericolosità andrebbe riferita al comportamento dell’uomo, causa determinante dell’evento lesivo. La fattispecie di cui all’articolo 2050 cod. civ. sussisterebbe solo nella prima ipotesi, ossia quando la pericolosità è connaturata all’attività stessa.

prodotto presenta una maggiore potenzialità di rischio. La pericolosità viene in altri termini traslata sull’oggetto finale.

Per quanto concerne la valutazione della pericolosità, essa si basa su un giudizio ex ante – ossia su un giudizio preventivo volto a vagliare se una determinata attività presenti o meno una elevata probabilità di danno – affidato al prudente apprezzamento del Giudice, e fondato su criteri oggettivi, quali la natura dell’attività ed i mezzi adoperati239.

L’articolo 2050 cod. civ. richiede inoltre ulteriori elementi, accanto a quello appena analizzato dell’attività pericolosa.

In primis, la produzione di un danno.

In secondo luogo, un nesso di causalità tra la pericolosità dell’attività svolta ed il fatto dannoso che ne è scaturito, il cui onere della prova incombe in capo al soggetto danneggiato240. L’articolo 2050 cod. civ. si applica, quindi, ai fatti dannosi connessi alla natura intrinsecamente pericolosa di una determinata attività e non a quelli che non sono in rapporto di immediatezza con il carattere pericoloso dell’attività stessa. La norma in esame non estende, quindi, la sua portata ai danni che derivano da attività accessorie, collaterali o successive all’attività pericolosa principale, dal momento che «la particolare disciplina prevista dalla disposizione

239 L’accertamento della pericolosità, affidato al Giudice, appare non semplice, data la percepibile

difficoltà di individuare, in astratto, i confini della nozione di pericolosità delle singole attività. Può, infatti, accadere che attività già pericolose smettano di essere tali grazie al progresso tecnologico ed alla scoperta di nuovi mezzi di prevenzione. Oppure altre attività, per le quali si ignorava la pericolosità, diventano tali grazie a nuovi metodi di accertamento. Una influenza sul carattere pericoloso o meno di un’attività viene rivestita anche dalle circostanze in cui la stessa è svolta. Si pensi, ad esempio, all’attività sciistica, che diventa pericolosa ove esercitata a fini agonistici.

240 Come confermato anche dalla giurisprudenza, secondo cui: «in tema di responsabilità per

esercizio di attività pericolosa la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico – la prova del quale incombe al danneggiato – tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile in alcun modo». Così Cass. civ., 8 maggio 1984, n. 2796. Sulla stessa scia anche Cass. civ., n. 12307/1998; Cass. civ., n. 7177/1995; Cass. civ., n. 509/1975.

presuppone una pericolosità intrinseca o, quantomeno, inerente ai mezzi utilizzati, sicché, se le attività in questione non sono esse stesse pericolose, troverà applicazione la disciplina di diritto comune»241.

Per quanto riguarda, infine, l’onere della prova, l’articolo in oggetto prevede una prova liberatoria in capo al soggetto esercente l’attività pericolosa, consistente o nella dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso, o nella dimostrazione che è intervenuto un fattore autonomo causale, idoneo da solo a determinare l’evento lesivo242. Più in particolare, egli dovrà

241 L. C

ORSARO,Responsabilità da attività pericolose, in Dig. civ., XVII, Torino, 1998, 87. 242 La giurisprudenza maggioritaria ha quindi ritenuto che l’articolo 2050 cod. civ. configuri una

particolare ipotesi di responsabilità per colpa presunta, che si caratterizzerebbe oltre che per l’inversione dell’onere della prova, anche per un eccezionale ampliamento del dovere di diligenza che grava in capo al soggetto danneggiante. Più in particolare, per essere qualificato come diligente, quest’ultimo dovrebbe fornire la prova di aver adottato sia tutte le misure precauzionali normativamente imposte, sia quelle ulteriormente suggerite dalla tecnica e dalla comune esperienza. Al riguardo si vedano, ex multis, Cass. civ., 26 aprile 2004, n. 7916, in Mass. Foro it., 2004, 594; Cass. civ., 13 maggio 2003, n. 7298, in Danno e resp., 2003, 1193; Cass. civ., 11 giugno 1999, n. 5744, in Giur. it., 2000, 1399, con nota di F. PATARNELLO,La regola prevista dall’art. 2050 c.c. è applicabile al solo rapporto esterno tra l’esercente attività pericolosa e il terzo danneggiato da tali attività; Cass. civ., 4 dicembre 1998, n. 12307, in Foro it., 1999, I, 1938. In dottrina si rimanda a G. ALPA,La responsabilità oggettiva, in Contr. e impr., 2005, 970; M.BIANCA,Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 709. Parte della dottrina, partendo da un tale inasprimento del dovere di diligenza, ha allora ritenuto corretto parlare di responsabilità per culpa lievissima. Lettura, questa, confortata anche dalla Relazione al codice civile, come visto in precedenza. Al riguardo, cfr. A. DE

CUPIS,Dei fatti illeciti, in Comm. al codice civile, a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna – Roma, 1971, sub art. 2050, 79. Altra parte della dottrina, tuttavia, assieme ad una corrente recente della giurisprudenza, hanno sostenuto che la prova liberatoria prevista dalla disposizione in esame non consisterebbe nella dimostrazione dell’assenza di colpa, in quanto sarebbe invece necessario provare il caso fortuito, ossia che l’evento dannoso è da ricondurre ad un elemento in grado di interrompere il nesso di causalità tra l’attività pericolosa ed il danno. Ne consegue che il criterio di imputazione della responsabilità ha natura oggettiva. Si rimanda aCass. civ., 10 marzo 2006, n. 5254, in Mass. Foro it., 2006, 525; Cass. civ., 4 maggio 2004, n. 8457, in Foro it., I, 2378 ss.; P.TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, cit., 279; M.COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, cit.; V.DI MARTINO, La responsabilità civile nelle attività pericolose e nucleari, cit., 150.

dimostrare di aver rispettato le norme esistenti in materia, ossia le leggi e i regolamenti che disciplinano l’attività esercitata. Inoltre, l’eventuale progresso tecnico può consigliare l’adozione di misure di natura preventiva, tese ad evitare la produzione del danno.

In altri termini, quindi, sin dalle prime applicazioni della norma, si richiedeva che l’esercente l’attività pericolosa adottasse tutte quelle misure cautelari che, secondo la normale prudenza, sono idonee ad evitare il pericolo di danno a terzi. Se leggi o regolamenti impongono l’adozione di determinare misure preventive, queste ultime dovrebbero considerarsi sufficienti ad escludere la responsabilità ex articolo 2050 cod. civ. La giurisprudenza, tuttavia, non le ha ritenute sufficienti, richiedendo talvolta l’osservanza di ulteriori cautele da parte dell’esercente243.

Occorre peraltro sottolineare che alcuni autori sono giunti a leggere nella norma in esame un’ipotesi di responsabilità senza colpa: a tale risultato si è giunti sulla scia dell’elaborazione giurisprudenziale, secondo cui data una certa attività pericolosa, non si ritiene raggiunta la prova dell’adozione delle misure idonee ad evitare il danno, giungendo in tal modo a fondare l’obbligo di risarcire il danno sulla base del solo nesso eziologico intercorrente tra l’attività ed il danno. Si veda al rigardo M. CINELLI,Contributi e contraddizioni della giurisprudenza in materia di responsabilità da attività pericolose, in Riv. dir. civ., 1970, II, 173.

243 Se, infatti, da un lato in ipotesi di danno causato da un’attività pericolosa, non può dirsi che sono

state adottate tutte le misure idonee ad evitare il danno, in ipotesi di mancata osservanza di quelle prescritte da leggi o regolamenti, dall’altro lato, il rispetto di queste ultime non è sufficiente, in quanto l’onere della prova che incombe in capo al soggetto danneggiante è più ampio. Cfr., ex multis, Cass. civ., n. 5960/1984, secondo cui: «Per escludere la responsabilità ex art. 2050 c.c., non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione di norma di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l’evento dannoso». Si veda inoltre, anche se risalente nel tempo, Cass. civ., 8 ottobre 1970, n. 1895, secondo cui: «nel caso di danno cagionato nello svolgimento di un’attività pericolosa, non può ritenersi provata l’adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno se non sono state osservate tutte le misure prescritte da norme legislative o regolamentari per l’esercizio dell’attività».

Vengono, in primis, in rilievo gli obblighi di avviso o informazione244, per tali intendendosi tutti gli accorgimenti che l’esercente l’attività pericolosa è tenuto ad adottare al fine di avvertire i terzi del pericolo incombente245. Accanto ad essi,

244 In relazione agli obblighi di informazione, pare doveroso un riferimento alla normativa sulla

respnosabilità del produttore per prodotti difettosi, di cui si tratterà nel paragrafo successivo, come sviluppata dalla dottrina e giurisprudenza tedesche, che hanno provveduto a suddividere gli obblighi attinenti alla sicurezza dei prodotti messi in circolazione in quattro categorie:

Konstruktionspflichten, Fabrikationspflichten, Instruktionspflichten e

Produktbeobachtungspflichten. Con particolare riferimento a questi ultimi, la locuzione indica una categoria, frutto dell’opera di dottrina e giurisprudenza tedesche, creata per porre un rimedio all’esclusione di responsabilità per il produttore nel caso in cui il difetto del prodotto si manifesti successivamente alla messa in circolazione dello stesso. A loro volta i Produktbeobachtungspflichten trovano la loro origine nei cd. Verkehrspflichten, ossia gli obblighi del traffico: il produttore dovrebbe, nel periodo successivo all’immissione del prodotto in commercio, compiere una doverosa attività di controllo e monitoraggio degli stessi, oltre a dover migliorare le tecniche produttive. Tale attività di ricerca e indagine deve confluire poi in una fase di informazione al pubblico dei consumatori. In dottrina si rinvia a A. CORDIANO, Sicurezza dei prodotti e tutela preventiva dei consumatori, cit., 118 ss.; EAD.,Profili di responsabilità civile nella produzione di organismi geneticamente modificati, in Rass. dir. civ., 2001, 422.

245 Si pensi, ad esempio, alla predisposizione di cartelli o recinzioni per avvertire il terzo del pericolo

in cui incorre introducendosi all’interno dell’area in cui si svolge l’attività pericolosa. Di conseguenza, l’esercente non potrà poi liberarsi dall’addebito di responsabilità affermando che la