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De tauro, de homine et leone

Nel documento Maria Chiara Scappaticcio Fabellae (pagine 176-180)

Capitolo VI De tauro, de homine et leone:

VI.1 De tauro, de homine et leone

Per nascondersi da un leone, un toro si rifugiò in una grotta. Nella grotta c’erano tre caproni che, vedendo il toro impaurito, cominciarono a prendersene gioco; a loro il toro rispose che se avessero conosciuto le sue ragioni si sarebbero guar-dati bene dal deriderlo.

Il motivo di questa favola degli Hermeneumata Pseudodositheana è ben diffuso e, con sottili variazioni nello sviluppo narrativo e nei personaggi intro-dotti, la sua tradizione è nota fin dal corpus esopico¹. Nel plot esopico e nella

Secolo: IV d.C.

Provenienza: Krokodilopolis (Medinêt el-Fayûm)

Edizioni: G. Vitelli, 1925 (PSI VII 848); Kramer 2001, n°10 (100–104) Repertori: CpL 39; CLA III 291; LDAB 138; MP352; PSI-online Conservazione: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana [inv. 18769]

Documento esaminato autopticamente

 Per una ricostruzione dei fili narrativi della favola in questione e per un possibile stemma ci si limita qui a rinviare a Rodríguez Adrados 2003, 305–306 (H. 242), dove vengono rintracciati anche gli elementi cinici contenuti nella favola. Di riferimento restano le osservazioni di Getzlaff 1907, 19–20, dove la favola degli Hermeneumata viene messa in parallelo con quella di Babrio.

https://doi.org/10.1515/9783110568509-013

raccolta di Babrio (e, poi, Aviano; ma non Fedro), infatti, i caproni selvatici (uno in Babrio e in numero indeterminato in Esopo) non si misero a deridere il toro ma a colpirlo e minacciarlo con le loro corna²; il toro, poi, diventa un cavallo nella raccolta del Romulus³.

Data la sua frammentarietà, poco il PSI VII 848 contribuisce a delineare le fila della narrazione: della favola de tauro, infatti, non resta altro che il verbo della massima che doveva sigillarla e mettere sotto gli occhi dei discenti una possibile esegesi della favoletta stessa⁴, differentemente dalla favola de homine et leone, per la ricostruzione delle cui linee narrative il frammento egiziano dà un contributo significativo.

Interrogato sulle ragioni per cui siano le donne a consegnare la loro dote agli uomini e non viceversa, Esopo rispose attraverso una favola. Un uomo ed un leone discutevano tra loro su chi fosse superiore e, alla ricerca di un elemento che ne desse giustificazione, si trovarono davanti ad un monumento dove c’era un dipinto che raffigurava un leone soffocato da un uomo. Vedendolo, il leone rispose che se a dipingere fosse stato un leone, e non un uomo, l’uomo sarebbe stato ritratto soffocato dal leone. Il leone, a sua volta, condusse l’uomo in un anfiteatro per mostrargli come la verità fosse distante dall’illusione della pittura e come l’uomo dovesse soccombere davanti alla forza del leone; l’uomo, però, riuscì ad ottenere un ribaltamento della tentata argomentazione del leone met-tendolo davanti all’artificiosità di questa⁵.

L’antico nucleo della favola era più essenziale di questo bipartito – tra l’argomentazione dell’uomo e quella del leone – che si legge negli Hermeneu-mata Pseudodositheana. Quella dell’uomo e del leone che discutono della su-periorità dell’uno o piuttosto dell’altro, è, infatti, favola del corpus esopico animata dagli stessi fili narrativi di quella della volpe e della scimmia il cui esordio è stato fatto risalire ad un frammento archilocheo⁶. La stessa favola dell’uomo e del leone si legge, priva della seconda parte del racconto ambientato nell’anfiteatro (e noto dai soli Hermeneumata), nella raccolta scolastica di

Af- Aesop. 332 (Chambry 19602); Babr. 91; Avian. fab. 13.

 Rom. 90.

 In merito si vedano le note di commento al testo infra.

 Sulla favola in questione ci si limita qui a rinviare a Rodríguez Adrados 2003, 330 –332 (H.

264), nonché al commento di Moretti 1984, quello più esaustivo sulla favoletta nella versione ampliata documentata dagli Hermeneumata (in particolare, 73–78); si confronti anche Moretti 1987. Di riferimento sulla favola degli Hermeneumata restano le osservazioni di Getzlaff 1907, 20 –25.

 Si confrontino rispettivamente Aesop. 59 e 39 (Chambry 19602); sull’eco archilochea si con-fronti Moretti 1984, 71.

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tonio e, prima che nel Romulus, in Aviano (dove l’uomo, in realtà, è un venator), ma non in Fedro⁷.

Le innovazioni registrate nella recensione leidense ed in quella parigina degli Hermeneumata Pseudodositheana sono, però, numerose, ed alcune di queste hanno un parallelo nella tradizione (pur nota in forma tanto frammen-taria) del papiro tardoantico della collezione fiorentina. Non soltanto, infatti, la favola nasce dal bisogno di giustificare un costume sociale che avrebbe potuto far interrogare alcuni, ma è anche attribuita all’auctor favolistico per definizione, perché viene messa direttamente sulle labbra di Esopo. Esopo, dunque, compare qui sia come il favolista per eccellenza sia come un sapiente interrogato a pro-posito dei mores, nello sforzo di rendere evidente l’eziologia della favola, e la sua presenza non fa che bollare con la sua autorità la favola stessa⁸.

Se ipotizzare che l’origine della favola de homine et leone fosse abbastanza antica è conseguenza di parallelismi con le versioni altrimenti note, l’attribu-zione ad Esopo è stata interpretata come qualcosa di tardo⁹. In questa pro-spettiva, il PSI VII 848 rappresenta un terminus ante quem, perché, per circolare nell’Arsinoite della Tarda Antichità, doveva trattarsi di un’inserzione indubbia-mente anteriore al IV secolo, quando avvenne la copia del manoscritto originario cui il frammento fiorentino apparteneva.

D’altro canto, una questione come quella sottoposta ad Esopo relativa alla dote non poteva che nascere in un ambiente come quello greco che vedeva contrapporsi alla pratica corrente quella arcaica nota dai poemi omerici¹⁰. La pertinenza della favola raccontata con la richiesta fatta al favolista, benché non immediatamente percepibile, è stata dimostrata alla luce di uno scolio alla Medea di Euripide: commentando, infatti, il solenne canto del Coro che de-nunciava il disordine generato dal misfatto di Giasone e rivendicava un inno contro i maschi se soltanto alle donne fosse stata messa tra le mani da Apollo l’arte della lira, lo scoliasta ricorda che le donne del Coro euripideo avrebbero

 Si vedano Aphth. fab. 34; Avian. fab. 24; Rom. 91. Differentemente dal corpus esopico ma come nella favola della raccolta di Aftonio e di quella di Aviano, anche negli Hermeneumata non c’è un riferimento esplicito al fatto che l’uomo ed il leone stessero passeggiando insieme.

 A proposito si confrontino le osservazioni di Morgan 2007, 394–403. Nella produzione di scuola su papiro nota si trova spesso Esopo nelle vesti di sapiente al quale vengono indirizzate domande specifiche, come nel caso del greco O.Wilken II 1226 (III-IV d.C.; LDAB 137; MP32076), sul quale si confronti anche Rodríguez Adrados 1999b, 9.

 Moretti 1984, 74: «presumibilmente invece l’inserimento nel βίος esopico avvenne solo in epoca tarda; sembra confermare quest’ipotesi la scarsa omogeneità fra la premessa biografica (la domanda a cui Esopo risponde narrando la favola) e il contenuto e la morale del μῦθος».

 In merito si confronti Moretti 1984, 77.

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fatto lo stesso che il leone nella favola esopica¹¹. La tradizione scoliastica greca e quella scolastica degli Hermeneumata Pseudodositheana si allineano, dunque, nel mettere sotto gli occhi del discente (e del lettore) un parallelo tra il leone soffocato dall’uomo in una pittura e le donne obbligate a sottostare all’uomo;

come i leoni avrebbero rappresentato l’uomo soccombere alla loro forza se fosse stato nelle loro mani il pennello, così le donne, se fosse stato in loro potere decidere, avrebbero preteso che la dote arrivasse dall’uomo. L’uso di testimo-nium ~ μαρτυρία ad indicare la prova – o, se si vorrà, lo scacco – che l’uomo aveva trovato per dimostrare le sue ragioni contro il leone riconduce, però, all’ambito del diritto¹², e non si può escludere che la favoletta sia stata investita anche del compito di illustrare una pratica fissata dalla giurisprudenza attra-verso esempi che la rendessero più immediatamente comprensibile a chi non conosceva (o si accostava) ai rudimenti della legge di Roma e, allo stesso tempo, alla sua lingua quale doveva essere il destinatario (ed il fruitore) dei manuali bilingui circolati nella pars Orientis ellenofona della Tarda Antichità.

La narrazione del frammento fiorentino si ferma alla prima metà della favola degli Hermeneumata Pseudodositheana, lasciando aperto l’interrogativo se la seconda parte del racconto – quella, riconducibile ad ambiente romano, in cui è il leone a portare l’uomo nell’anfiteatro¹³ – potesse essere aggiunta già nota nell’Oriente tardoantico (e se, a sua volta, risalisse all’Occidente antico o tar-doantico) o piuttosto introdotta nell’Occidente medievale. Analogamente non è dato di sapere se la morale che sigilla la favola nel solo Fragmentum Parisinum marcando la contrapposizione tra artis ratio ed ingenium naturae sia opera del compilatore delle favole degli Hermeneumata, del compilatore che accorpò il nucleo favolistico a quello preesistente degli Hermeneumata, o piuttosto ag-giunta posteriore¹⁴.

 Sch. Eur. Med. 424: οὐ γὰρ ἐν ἡμετέρᾳ γνώμῃ τὴν τῆς λύρας θέσπιν ἀοιδὴν ἐδωρήσατο ὁ

᾿Aπόλλων, οἷον˙ οὐ δυναταί ἐσμεν ἡμεῖς αἱ γυναῖκες ποιήματα γράφειν, ἐπεὶ τάχα ἄν αἱ γυναῖκες ἀντεκωμῴδουν τοὺς ἄνδρας, τῆν δὲ ἑαυτῶν φύσιν ἐπῄνουν, κατὰ τὸν τοῦ λέοντος μῦθον. Lo scolio euripideo è stato introdotto in parallelo alla favola degli Hermeneumata da Getzlaff 1907, 21–22; si confronti anche la ripresa in sede di commento al papiro in PSI VII 848, 155.

 Sull’istituto romano della dote ci si limita qui a rinviare a Fayer 2005, 673–750. Sulla valenza giuridica del lessico della favola dell’uomo e del leone degli Hermeneumata e, soprattutto, del Romulus si confronti Moretti 1984, 78–80.

 Su questa versione ampliata della favola si confrontino le osservazioni di Rodríguez Adrados 2000, 231–232.

 CgL III 101, 17–23: sepe ergo πολλακιϲ ουν | artis ratio τεχνεϲ λογοϲ | currit in eos τρεχει ειϲ αυτουϲ | alii autem corrigunt αλλοι δε διορθουϲιν | longius μακροτερον | libros intuentes βυβλιοιϲ ηνορωντεϲ | naturae ingenium φυϲηωϲ ευφυιαν. Su questa sezione della favola del Fragmentum Parisinum si confrontino le osservazioni di Moretti 1984, 74–75, finalizzate ad illustrare la 170 Capitolo VI De tauro, de homine et leone: PSI VII 848

Nel documento Maria Chiara Scappaticcio Fabellae (pagine 176-180)