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la tradizione dei Προγυμνάσματα

Nel documento Maria Chiara Scappaticcio Fabellae (pagine 43-46)

Che alla polisemia del μύθος, tutta interna e circoscritta alla lingua greca, faccia fronte una relativa semplicità della definizione della ‘favola’ in lingua latina è cosa evidente se la differenza tra mito (fabula) e favola (fabella) è generalmente marcata; d’altro canto, Fedro parla delle sue come di fabulae e lo stesso termine è impiegato per indicare il testo teatrale¹. Al livello dell’insegnamento retorico, il μύθος è materia, da un lato, dei Προγυμνάσματα e, dall’altro, delle Τέχναι Ῥητορικαί, con la differenza che nelle seconde il μύθος, inteso come ‘mito’, costituisce un elemento che esercita seduzione e forza nella strutturazione di un discorso; ai Προγυμνάσματα, invece, spetta illustrare come il μύθος in quanto

‘favola’ risponda alle proprie esigenze didattiche e formative².

La favola entra, così, nell’insieme di quei quindici esercizi propedeutici dei quali i maestri di retorica si servivano per preparare i loro allievi alla retorica propriamente detta; di tali esercizi alcuni affondavano le radici nel terreno del maestro di grammatica e costituivano un ponte verso l’apprendimento della retorica, e la favola era tra questi per il suo carattere narrativo³.

Di questa tradizione verrà esaminata l’argomentazione che, relativamente alla favola, si legge a partire da Elio Teone, fino ad Aftonio e allo PseudoEr-mogene; Elio Teone, del resto, costituisce il modello indiscusso per la pressoché totalità delle trattazioni analoghe. Basterà, infatti, pensare a Nicolao di Mira, i cui progimnasmi rappresentano piuttosto, nel V secolo, una ‘variazione su tema’

 Sui nomi della favola latina si veda il contributo di Sluşanschi 1995.

 Sul ruolo del mito e della favola nell’ambito dell’insegnamento retorico in età imperiale si veda il contributo di Gangloff 2002; sulla favola retorica si vedano, inoltre, Rodríguez Adrados 1999a, 128–132 ed il più sintetico quadro di Holzberg 2002, 29–31, nonché, più recentemente, Chiron 2008, dove viene riattraversato il ruolo della favola come esercizio preparatorio all’oratoria soprattutto alla luce delle testimonianze progimnasmatiche in lingua greca. I pro-gymnasmata di Elio Teone, dello PseudoErmogene, di Aftonio, di Nicolao di Mira e del com-mentatore aftoniano Giovanni di Sardi sono raccolti e pubblicati soltanto in traduzione inglese da Kennedy 2003; recente è anche un’edizione tradotta e commentata dei progymnasmata at-tribuiti a Libanio (si veda Gibson 2008) e di riferimento è il contributo di Alpers 2009 sul commento di Giovanni di Sardi ai Προγυμνάσματα di Aftonio. Sul valore di questo esercizio per l’insegnamento retorico greco ci si limita qui a rinviare, anche per ulteriori riferimenti biblio-grafici, ai soli contributi di Webb 2001 e Penella 2011.

 Che alcuni di questi esercizi preparatori fossero ‘in bilico’ tra il terreno del grammatico e quello de retore è questione sulla quale ci si è già soffermati; in merito si vedano le osservazioni di Webb 2001, 298–299, ma si confrontino anche, relativamente alla κλίσις χρείας, lo studio specifico di Wouters 2007 e sull’ethologia quello di Berardi 2013.

https://doi.org/10.1515/9783110568509-005

del trattato di Teone che fa presupporre, se non una ripresa diretta, almeno una fonte comune⁴.

Quanto alla tradizione latina, se controversa può essere l’interpretazione dell’unico trattato dichiaratamente e programmaticamente progimnasmatico, i Praeexercitamina priscianei, derivati da un modello greco, le allusioni alla favola e ad alcuni altri esercizi preparatori che si leggono nell’Institutio quintilianea e in Svetonio sembrano ricondurre alle classi del grammatico piuttosto che a quelle del retore⁵: se la favola aveva – come aveva – anche una finalità morale, questa avrebbe potuto funzionare (ed insegnare) soltanto finché le menti degli allievi fossero state abbastanza ‘modellabili’ da esserne inevitabilmente sugge-stionate, e questo non sarebbe potuto avvenire se non in un primo stadio del percorso formativo, quello grammaticale. Del resto, è nelle classi del grammatico che si familiarizzava con le strutture di una L(ingua)2, e nelle classi del gram-maticus dovevano, perciò, circolare le favole bilingui della tradizione degli Hermeneumata Pseudodositheana⁶.

II.1 ‘Flettere’ la favola: l’esercizio del retore Teone

Μῦθός ἐστι λόγος ψευδὴς εἰκονίζων ἀλήθειαν⁷: la definizione che apre la sezione sulla favola nei Προγυμνάσματα di Elio Teone (prima metà del II d.C.)⁸ ammo-nisce, in prima battuta, il discente sull’essenza del genere e dell’esercizio che ne

 Non ci si soffermerà in questa sede sulla trattazione di Nicolao di Mira. Basti, però, sottoli-neare che lì viene fatto un ulteriore passo in avanti nell’analisi teorica della favola (Felten 1913, 6–11): una volta definita ed illustrata la favola, ne viene messo in luce il rapporto con i tre generi oratori ed è assegnata all’oratoria deliberativa a causa della sua funzione persuasiva; le favole, infatti, rappresentano un esercizio preliminare per la διήγησις (narratio), perché la loro natura fittizia è funzionale a mostrare come vadano interrelati gli eventi. Sulla discussione sulla favola di Nicolao di Mira si vedano le osservazioni di van Dijk 1997, 66–68 e di Chiron 2008, 264–268, mentre sul retore e sulla sua opera esaustiva è la più recente ricerca di Fruteau de Laclos 1999.

 Su questi contesti si veda supra.

 La questione sarà più analiticamente affrontata infra.

 Ael. Theon progymn. 72, 27 (Patillon 1997, 30); è probabilmente una definizione che risale alle origini della teorizzazione su questo tipo di esercizi che si ritrova in Aftonio, benché non sembra ci sia dipendenza tra questo ed Elio Teone. Sull’argomentazione relativa alla favola nella trat-tazione di Elio Teone si vedano l’inquadramento di van Dijk 1997, 47–51 e Chiron 2008, 259–260.

 Per la datazione del trattato retorico di Elio Teone e, in particolare, per i suoi rapporti con l’opera quintilianea e svetoniana si veda Patillon 1997, VIII-XVI; sul retore e sul rapporto del suo trattato con analoghe trattazioni progimnasmatiche si confronti anche il più recente contributo di Heath 2002.

II.1 ‘Flettere’ la favola: l’esercizio del retore Teone 35

deriva: che si tratti o meno del riflesso di una specifica dottrina filosofica, la favola è inquadrabile in più prospettive – talora ambigue – e suscettibile di interpretazioni multiple note ai maestri tanto quanto ai lettori. La descrizione che Elio Teone fa della favola è molto attenta ed è esaustivo il tratteggio dell’esercizio⁹. L’esemplarità della storia è sintetizzata nella morale e la favoletta in sé non è che un veicolo funzionale a trasmettere contenuti etici soprattutto perché vengano assorbiti da bambini ed indotti. La favola si colora, così, nelle scuole, di una duplice finalità, dal momento che prospettiva grammaticale (e retorica) e morale si integrano: grammatici e retori si servono delle favole per il loro valore etico, ma allo stesso tempo per il tono leggero e piacevole¹⁰.

Prima ancora di tracciare le linee dell’esercizio, Elio Teone tratteggia un sintetico ma esaustivo quadro di ‘storia letteraria’, mettendo, innanzitutto, sotto gli occhi del suo lettore la pluralità di nomi – o meglio di aggettivazioni – di cui si colora la favola (73)¹¹:

καλοῦνται δὲ Αἰσώπειοι καὶ Λιβυστικοὶ ἢ Συβαριτικοί τε καὶ Φρύγιοι καὶ Κιλίκιοι καὶ Καρικοὶ Αἰγύπτιοι καὶ Κύπριοι˙ τούτων δὲ πάντων μία ἐστὶ πρὸς ἀλλήλους διαφορά, τὸ προκείμενον αὐτῷ ἑκάστῳ ἴδιον γένος, οἷον «Αἴσωπος εἶπεν», ἢ «Λίβυς ἀνήρ», ἢ «Συβαρίτης», ἢ «Κυ-πρία γυνή», καὶ τὸν αὐτὸν τρόπον ἐπὶ τῶν ἄλλων˙ ἐὰν δὲ μηδεμία ὑπάρχῃ προσθήκη σημαίνουσα τὸ γένος, κοινοτέρως τὸν τοιοῦτον Αἰσώπειον καλοῦμεν.

Che siano esopiche, libiche, sibaritiche, frigie, cilicie, carie, egizie o ciprie, a differenziare le favole è soltanto l’indicazione propria di ognuno dei loro generi, per cui ad aver raccontato può esser stato Esopo; ma la definizione può anche scaturire dall’argomento delle favole stesse, che si tratti di ‘un uomo della Libia’, di ‘un Sibarita’, o di ‘una donna di Cipro’. Se c’è, però, un’etichetta sotto la quale confluiscono tutte le favole, comprese quelle che non hanno un’intestazione tale da poterle includere in uno dei sottogeneri menzionati, è senz’altro quella di

‘esopiche’. La ragione non è tanto che sia stato effettivamente Esopo l’inventore del genere – perché c’è chi parla di Omero, chi di Esiodo, chi di Archiloco, ma anche chi del cilicio Conis, del sibarita Thouros e del libico Cybissos — ma che Esopo ne abbia piuttosto fatto un impiego più intelligente ed ampio¹². ‘Esopica’, dunque, diventa la favola per antonomasia, indipendentemente dal fatto che

 Per un’analisi della favola nel trattato retorico di Elio Teone si veda Patillon 1997, XLIX-LV.

 Sulla funzione morale della favola si veda Morgan 2007, 401–403, nonché, più specifico sulla finalità morale della favola nel sistema formativo, Legras 1996.

 Patillon 1997, 31.

 Ael. Theon progymn. 73 (Patillon 1997, 31–32). Sulla tradizione della favola orientale e sulla sua influenza sulla tradizione greca, si veda Rodríguez Adrados 1999a, 287–333 (sulla favola egiziana, in particolare, 328–333).

36 Capitolo II La favola nelle scuole: la tradizione dei Προγυμνάσματα

auctor ne sia stato Esopo stesso: è un grosso melting pot che identifica una tradizione di genere.

Come esercizio scolastico, la favola prende diverse forme: presentazione, flessione (in numeri e casus obliqui, soprattutto all’accusativo), contestualizza-zione all’interno di un racconto, estensione ed abbreviacontestualizza-zione, contestacontestualizza-zione o difesa; è possibile aggiungere anche una morale, o, partendo soltanto da una morale, immaginare la favola che più le convenga. Nella sua formulazione, è necessario esprimersi in modo semplice, naturale, privo di fronzoli stilistici e chiaro¹³.

D’altro canto, è la semplicità che rende agevole il processo di familiarizza-zione stessa con le favole, perché gli allievi, innanzitutto, apprendano a me-moria quelle che, rispondenti a questo carattere di linearità formale, sono nei repertori degli ‘antichi’¹⁴; ma non soltanto le raccolte degli autori antichi costi-tuiranno le loro fonti, dal momento che favole saranno nel loro patrimonio culturale perché raccontate loro, e altre ne potranno certamente inventare¹⁵.

II.2 Dire e fare favole:

Nel documento Maria Chiara Scappaticcio Fabellae (pagine 43-46)