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LE POLITICHE IMMIGRATORIE IN ITALIA 3.1 DALL’UNITÁ ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE

R. D L 17 novembre 1938 XVII, n 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana Registrato alla Corte dei conti, addì 18 novembre 1938 XVII Atti del Governo, registro 403,

3.6 IL DECRETO DIN

Nonostante il lungo iter che aveva condotto all’approvazione della legge Martelli, alcuni punti chiave rimanevano ancora irrisolti. A seconda dell’orientamento politico, infatti, vennero messi in evidenza il problema della effettività delle espulsioni da una parte e quello della mancata applicazione delle norme a tutela degli immigrati da un’altra.

Inoltre vi era un’ulteriore nodo irrisolto della legge; si trattava della mancanza di una procedura realistica per l’ingresso, a fini lavorativi, degli stranieri. Lo stesso Martelli si rese conto dell’incompletezza della legge appena varata e tentò di perfezionarla, proponendo nuove misure relative all’integrazione, ma il suo progetto di legge non fu approvato a causa della trasformazione del clima politico. Gli anni ‘90 furono caratterizzati da un’estrema instabilità politica che non permise, di fatto, l’approvazione di alcun disegno di legge.

L’unica novità normativa di quegli anni fu l’adozione di un provvedimento normativo181 che riguardava l’acquisizione della cittadinanza italiana, che di fatto ne restrinse le possibilità di accesso da parte degli immigrati non di origine italiana182. La legge del 1992 cancellò la disciplina dell’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge a favore dei nati in Italia da genitori stranieri sancita dalla legge precedente,

181

Nuove norme sulla cittadinanza, l. 5 febbraio 1992, GU n. 91, 15 febbraio 1992. 182

Art 1 « ...è cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini; b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono».

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quella del 1912. Infatti le nuove norme introdussero un l’obbligo di residenza legale senza interruzione dalla nascita fino alla maggiore età.

Il 18 novembre 1995 veniva approvato il decreto legge n. 489183 (c.d. Decreto Dini) che tentava di riconsiderare la materia dell’immigrazione alla luce delle esperienze maturate nei cinque anni dall’entrata in vigore della legge Martelli. Sul piano dei contenuti il decreto mostrava, accanto ad elementi indubbiamente positivi, precisi limiti. I più significativi riguardavano le norme sulle espulsioni e sugli ingressi. In particolare rispetto alla legge Martelli veniva ridotto, senza realismo, a sette giorni il tempo utile per la presentazione del ricorso in caso di espulsione per soggiorno irregolare.

L’espulsione in seguito a condanna venne poi estesa anche al caso di reati di modesta gravità184 (ad esempio il danneggiamento aggravato) e venne introdotta la possibilità di espulsione del condannato su richiesta del Pubblico Ministero a prescindere dall’entità della condanna.

Riguardo alla disciplina degli ingressi, veniva stabilita la norma che non potevano ottenere il visto di ingresso chi era già stato condannato all’estero per uno dei reati per i quali in Italia era prevista esplicitamente l’espulsione185. Soprattutto questa ultima norma generava le proteste delle associazioni umanitarie che sottolineavano come venisse così dato valore a sentenze di condanna pronunciate nell’ambito di ordinamenti giudiziari diverso da quello italiano spesso non altrettanto rispettosi dei diritti della difesa186.

183

D.L. 18 novembre 1995, n.489, Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei Paesi non appartenenti all'Unione europea, GU n. 270, 18 novembre 1995. 184 Art. 7. 185 Art. 4. 186

Briguglio S., Legge Martelli e Decreto Dini: il dibattito legislativo in corso, articolo consultabile su www.impegnoeducativo.it.

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Tra gli elementi di carattere positivo, quelli di maggior rilievo erano rappresentati dalle norme concernenti la possibilità di condonare la posizione di quegli stranieri irregolarmente presenti in Italia187. Non si trattava, infatti, di una sanatoria generalizzata (quale quella del ’90) ma piuttosto di un provvedimento riguardante solo alcune categorie; ad esempio il «cittadino di Paese non appartenente all'Unione europea, in possesso di un permesso di soggiorno di almeno due anni, *…+ decorso un anno dal suo regolare ingresso nel territorio dello Stato, può richiedere alla questura territorialmente competente il ricongiungimento familiare per il coniuge e per i figli considerati minori dalla legge italiana»188. La norma riguardava anche coloro per i quali un datore di lavoro dichiarava la propria disponibilità all’assunzione189, regolare e al versamento anticipato di una quota di contributi previdenziali190 e anche quegli stranieri che potevano certificare lo svolgimento di un’attività lavorativa a carattere continuativo (anche in mancanza di disponibilità del datore di lavoro)191.

L’impianto del provvedimento, per quel concerneva la regolarizzazione del lavoratore, cercava - riconoscendo la validità della dichiarazione autonoma del lavoratore - di dar forza all’immigrato che lavorava alle dipendenze di un datore di lavoro disonesto. In realtà la scelta di limitare a sei mesi la durata del permesso di soggiorno nei casi in cui il rapporto di lavoro denunciato non poteva esser prontamente sanato, scoraggiava una grande parte degli immigrati dall’intraprendere l’iter della regolarizzazione. Ben diverso sarebbe stato l’esito del provvedimento se si fosse stabilito di separare il problema del rapporto tra Stato- immigrato da quello tra immigrato-datore di lavoro, prescindendo cioè dalla volontà

187

Decreto legge del governo DINI- Commenti al decreto legge, articoli consultabili su www.citinv.it. 188 Art. 11. 189 Art. 12. 190 Art. 12 c. 6. 191 Art. 12 c. 1.

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soggettiva del datore di lavoro ai fini della regolarizzazione del soggiorno dello straniero.

Di chiaro spirito umanitario, invece, appariva la norma secondo cui qualsiasi straniero presente nel pese avesse diritto all’assistenza sanitaria a prescindere dalle condizioni di soggiorno e senza che l’erogazione delle prestazioni sanitarie comportasse la segnalazione agli organi di polizia192.

Positiva era, inoltre, l’accentuazione delle sanzioni previste a carico di chi favoriva o sfruttava l’immigrazione clandestina193.

In realtà la regolarizzazione del 1995, sebbene fosse stata elaborata per sanare le posizioni di ben determinate categorie di stranieri, si dimostrò nella pratica più caotica delle altre perché fondata su di un decreto, ripetutamente modificato, che mai venne convertito in legge.

192

Art. 13. 193

Art. 8 «chiunque compie attività dirette a favorire l'ingresso nel territorio dello Stato dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, in violazione delle disposizioni del presente decreto, e' punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa sino a lire trenta milioni. Se il fatto e' commesso, a fine di lucro, da tre o più persone in concorso tra loro, ovvero riguarda l'ingresso di cinque o più persone, la pena e' della reclusione da quattro a dodici anni e della multa da lire trenta milioni a lire cento milioni. Se il fatto e' commesso al fine di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, ovvero riguarda l'ingresso di minori da impiegare in condizioni illegali al fine di favorirne lo sfruttamento, la pena e' della reclusione da cinque a quindici anni e della multa da lire cinquanta milioni a lire duecento milioni».

91 3.7 LA LEGGE TURCO-NAPOLITANO

Dopo un decennio caratterizzato a livello politico da grande instabilità si aprì, con l’insediamento del governo Prodi uscito vincitore dalle elezioni del 1996, una fase di maggior stabilità che rese possibile l’elaborazione e poi l’approvazione di una legge sull’immigrazione. La nuova normativa, conosciuta come Turco-Napolitano194, veniva approvata nel 1998 e fu poi tradotta in un Testo Unico195 che raggruppava tutta la legislazione vigente in materia di immigrazione.

L’esperienza concreta del periodo precedente, la difficile gestazione, prima, e la mancata conversione, poi, del D.L. del novembre 1995, l’intenso confronto parlamentare sul disegno di legge, gli sviluppi del fenomeno migratorio, avevano d’altronde messo in piena evidenza l’insufficienza e la non riproponibilità di provvedimenti parziali e di emergenza e di ricorrenti sanatorie, e la necessità di definire ormai un quadro normativo certo, generale e unitario.

La legge Turco-Napolitano si prefiggeva tre obiettivi:

 contrasto dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento criminale dei flussi migratori;

 realizzazione di una puntuale politica di ingressi legali limitati, programmati e regolati;

 avvio di realistici ma effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati legali e per gli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia.

La normativa si articolava attorno ai seguenti temi:

a) modalità di ingresso e dei controlli alle frontiere, disciplina dell’accesso al lavoro, regolamentazione del lavoro autonomo e del lavoro stagionale;

194

L. 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, GU n. 59, 12 marzo 1998 - Supplemento Ordinario n. 40.

195

D.L. 25 luglio 1998 n. 286 Testo unico delle diposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

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b) disciplina più efficace del respingimento alle frontiere e delle espulsioni;

c) norme penali e processuali finalizzate al contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina;

d) garanzie per l’immigrato legale: di poter passare da una condizione di temporaneità ad una maggiore stabilità, mediante la previsione di strumenti nuovi come la carta di soggiorno; di vedere tutelato il diritto a salvaguardare la propria famiglia o a costruirne una nuova; di ottenere il riconoscimento di diritti di cittadinanza quali i diritti alla salute, all’istruzione, ai servizi sociali, alla rappresentanza e al voto amministrativo.

Le soluzioni adottate, comportavano un’ampia iniziativa sul piano internazionale per la definizione e lo sviluppo di un sistema di accordi di cooperazione e di specifica collaborazione in materia di immigrazione con i paesi di maggior provenienza del flusso migratorio. Inoltre un impegno sistematico di adeguamento delle strutture amministrative ai compiti loro affidati dalla nuova legge, e di stretta concertazione interministeriale e la più ampia collaborazione con gli enti locali e con le Regioni, cui spettava un ruolo determinante specie per la realizzazione di una politica dell’accoglienza, dell’integrazione, dei diritti.

La legge era suddivisa in sette titoli. Nel titolo I196 venivano previste le disposizioni generali e di principio che definivano l’ambito di applicazione della legge197,il trattamento dello straniero198, nonché uno strumento di programmazione dei flussi, alla base del sistema di governo del fenomeno dell’immigrazione199.

Quanto all’articolo 1, si segnalava oltre alla definizione dei destinatari della legge, per il richiamo alle norme comunitarie e internazionali più favorevoli agli stranieri : «la presente legge non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, se non in quanto si tratti di norme più favorevoli». Relativamente

196

Titolo I “Principi generali” art. 1-3. 197

Art. 1, “Ambito di applicazione”. 198

Art. 2, “Diritti e doveri dello straniero”. 199

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all’articolo 2, andava precisato che i diritti fondamentali della persona umana venivano riconosciuti indiscriminatamente, nel territorio dello stato, a tutti gli stranieri, indipendentemente dalla regolarità o meno dell’ingresso o del soggiorno200.

Agli immigrati regolarmente soggiornanti, veniva assicurata pienezza di diritti in materia civile nell’ambito della disciplina della legge e delle convenzioni internazionali, fino a configurare uno status particolare, comprendente la facoltà di partecipare alla vita pubblica a livello locale, per gli stranieri in possesso della “carta di soggiorno”201.

L’articolo 3 introduceva un nuovo strumento di governo per disciplinare il fenomeno migratorio, costituito da un documento programmatico triennale per la politica dell’immigrazione, che il Presidente del Consiglio doveva sottoporre all’approvazione del Consiglio dei Ministri e presentare al Parlamento, e da uno o più decreti che avevano lo scopo di definire annualmente, o per il più breve periodo relativo al lavoro stagionale, le quote degli immigrati per i quali era ammesso l'ingresso.

Il documento programmatico indicava, inoltre, le azioni e gli interventi che lo Stato italiano si proponeva di attuare anche in cooperazione con altri paesi europei, con le organizzazioni internazionali, le istituzioni comunitarie e le organizzazioni non governative.

Si prevedeva inoltre un ruolo attivo delle Regioni, delle Province e dei Comuni e di altri enti locali, che dovevano concorrere a elaborare iniziative volte a favorire l’integrazione e l’inserimento degli stranieri nel tessuto sociale. A tal fine venivano istituiti i Consigli territoriali per l’immigrazione, per il coordinamento e la promozione degli interventi da attuare a livello locale.

200

Art. 2 c. 1. 201

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Il titolo II202 concerneva l’ingresso, il soggiorno, il respingimento e le espulsioni dei cittadini stranieri. Oltre alle norme sui visti203 e sugli ordinari controlli alla frontiera, vi erano anche precisate le modalità del rilascio del permesso di soggiorno204 con riferimento ai diversi motivi dell’ingresso e del soggiorno nel territorio dello stato (affari, turismo, lavoro stagionale, visite, studio e formazione, lavoro autonomo, lavoro subordinato, motivi familiari, ecc.).

Di particolare interesse era l’articolo 7 che disciplinava il rilascio della “carta di soggiorno”, un titolo permanente, di cui poteva fruire lo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni, purché immune da pregiudizi penali di rilievo o da provvedimenti di prevenzione di maggiore gravità. La carta consentiva allo straniero lo svolgimento di ogni attività lecita (con eccezione di quelle riservate al cittadino italiano), l’accesso ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione e il diritto di elettorato attivo e passivo nelle lezioni comunali e circoscrizionali, diventando così lo strumento essenziale per consolidare il percorso di cittadinanza prefigurato dalla nuova normativa.

Il capo II205 del Titolo II era integralmente dedicato alla materia del respingimento e delle espulsioni. L’articolo 8206 prevedeva, in particolare, l’adozione del respingimento, oltre che sulla linea di frontiera, anche nei confronti di chi veniva colto, subito dopo l’ingresso in Italia, in luoghi diversi dai valichi autorizzati. Gli articoli 9207 e 10208 intendevano potenziare l’azione di contrasto delle immigrazioni clandestine, sia attraverso più incisive misure di controllo e di coordinamento, sia

202

Titolo II “Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato” art 4-15.

203

Art. 4, “Ingresso nel territorio dello Stato”. 204

Art. 5,”Permesso di soggiorno”. 205

Capo II “Controllo delle frontiere, respingimento ed espulsione” art. 8-15. 206

Art. 8 ”Respingimento”. 207

Art.9 “Potenziamento e coordinamento dei controlli di frontiera”. 208

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attraverso norme sanzionatorie più severe e articolate sul piano penale o amministrativo. Con l’articolo 11209 si disciplinavano le espulsioni amministrative, ridotte a due ipotesi: la prima riguardava l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato; la seconda si riferiva a quella disposta dal Prefetto nei confronti del clandestino che era entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera, oppure nei confronti dell’irregolare che non aveva ottemperato agli obblighi previsti per il rinnovo del permesso di soggiorno, o ancora nei confronti degli stranieri pericolosi per la sicurezza pubblica.

Anche in osservanza al Protocollo 7 aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 9 Aprile 1990, n. 98), l’espulsione veniva eseguita con accompagnamento immediato alla frontiera in casi limitati (espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale, espulsioni già disposte e rimaste indebitamente ineseguite, una volta esauriti i rimedi giurisdizionali), ovvero quando ricorrevano circostanze obbiettive che facevano ritenere concreto il pericolo che l’interessato si sottraesse al provvedimento. Negli altri casi, l’espulsione avveniva mediante provvedimento di intimazione allo straniero a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni.

Nelle ipotesi in cui lo straniero clandestino fosse colto in fragranza di reato, si prevedevano opportune forme di raccordo per assicurare sia l’effettività dell’espulsione, sia la garanzia del diritto di difesa dell’imputato, che poteva chiedere l’autorizzazione al rientro nel territorio dello Stato al fine di partecipare al processo penale a suo carico. In tutti i casi veniva assicurata la possibilità per il clandestino, di ricorrere al giudice, con diritto al patrocinio gratuito per i non abbienti.

Trattandosi di misure amministrative, il legislatore ha ritenuto di attribuire la competenza al Tribunale civile, con un procedimento rapidissimo, destinato ad esaurirsi in quindici giorni, salvo ulteriore ricorso in Cassazione. La scelta a favore del

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giudice ordinario civile, quale autorità giurisdizionale competente a decidere sul ricorso contro l’espulsione, rispondeva a criteri funzionali e sistematici. Ad esempio era palese che solo il giudice ordinario, per struttura ed organizzazione diffuse sul territorio, appariva in grado di operare entro i termini brevi previsti dalla legge (48 ore per la convalida del provvedimento di trattenimento210, e 10 giorni per la decisione sul ricorso contro l’espulsione). Solo nel caso di espulsione disposta dal Ministro dell’interno, per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, si era ritenuto necessario mantenere la tradizionale competenza del giudice amministrativo, trattandosi di provvedimenti a contenuto altamente discrezionale.

Per assicurare l’effettività delle espulsioni disposte con accompagnamento alla frontiera e dei respingimenti, veniva introdotta la pratica del trattenimento dell’immigrato in appositi Centri. Si ricorreva alla misura della permanenza quando risultava impossibile procedere con la necessaria immediatezza all’esecuzione dell’espulsione o del respingimento; in particolare, quando era necessario procedere ad accertamenti supplementari o all’acquisizione di documenti e visti.

I centri di permanenza ed assistenza temporanea, gestiti a cura dell’Amministrazione dell’interno, erano comunque da ritenersi estranei al circuito penitenziario, tant’è che in essi era garantita, oltre all’assistenza, anche la libertà di comunicazione con l’esterno, mentre l’azione di polizia – esterna ai centri – era esclusivamente finalizzata ad impedire eventuali tentativi di elusione della misura.

Nel rispetto del disposto dell’art. 13 della Costituzione, il provvedimento del questore che disponeva il trattenimento doveva essere trasmesso entro 48 ore al Tribunale e convalidato nelle 48 ore successive, sentito l’interessato. Veniva favorita la contemporanea trattazione, nel merito, dell’eventuale ricorso contro il provvedimento di espulsione. La misura del trattenimento poteva avere durata massima di venti giorni ed era prorogabile per ulteriori dieci giorni qualora fosse

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stata imminente l’eliminazione dell’impedimento all’espulsione o al respingimento. Trascorso tale termine il provvedimento perdeva efficacia.

La misura suddetta rappresentava una novità per l’ordinamento italiano, ma trovava un comune denominatore nella quasi totalità dei paesi europei ed un fondamento autorevolissimo - peraltro sorretto dall’articolo 10, primo e secondo comma, della Costituzione211 - nell’articolo 5, (comma 1 lettera f) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall’Italia con legge del 4 agosto 1955, n. 848. Tale norma, infatti, contemplava la possibilità di ricorrere a misure di custodia provvisorie preordinate all’esecuzione del provvedimento di espulsione.

Con gli articoli 13212 e 14213, infine, venivano disciplinate le espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria: sia a titolo di misura di sicurezza – nel caso di rinvio a giudizio o di condanna per uno dei gravi reati previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale – sia nell’ipotesi di sostituzione della misura dell’espulsione alla detenzione.

Al capo III214 venivano introdotte per la prima volta, dopo la breve esperienza del decreto legge n. 477 del 13 settembre 1996, norme volte alla tutela delle vittime del traffico di clandestini, in modo particolare per sfruttamento sessuale. Tutti gli stranieri, donne, uomini e minori, che intendevano sottrarsi alle condizioni di sfruttamento nelle quali erano costretti a vivere, non incorrevano nell’espulsione, ma potevano usufruire del permesso di soggiorno e partecipare a un programma di assistenza ed integrazione sociale. Si intendeva, con questa norma,

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Art. 10 «C. 1. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. C.2 Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge».

212

Art. 13 “Espulsione a titolo di misura di sicurezza”. 213

Art. 14 “Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione”. 214

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aiutare le vittime e proteggerle da ritorsioni da parte dei loro aguzzini, anche valorizzando le loro denunce in un quadro di più forte azione di contrasto alle organizzazioni criminali che controllavano questi fenomeni.

Completavano le norme contenute nel capo III, alcune disposizioni a carattere umanitario che vietavano l’espulsione nei confronti di particolari soggetti (es. minori, possessori di carta di soggiorno, donne in stato di gravidanza)215, e altre che introducevano speciali misure di protezione temporanea216 per eventi eccezionali quali disastri naturali, conflitti armati e simili situazioni di grave pericolo. Il titolo III217 riguardava la disciplina del lavoro che andava ad integrare ed innovare profondamente la legge n. 943 del 1986. Nell’ambito di questo titolo venivano definite le modalità di entrata in Italia per motivi di lavoro, sulla base delle quote di ingresso determinate nei decreti governativi.

Gli ingressi in Italia, per lavoro, erano possibili dietro chiamata nominativa del datore di lavoro, previa autorizzazione degli Uffici del lavoro, attraverso liste predisposte nel paese di origine e trasferite in Italia a cura delle autorità

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