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L'immigrazione in Europa ed in Italia:dimensione del fenomeno, aspetti normativi e pratiche politiche

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INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1- LE POLITICHE EUROPEE DELL’IMMIGRAZIONE. IL QUADRO NORMATIVO

1.1 LE ORIGINI DELLA COMPETENZA COMUNITARIA 7

1.1.1 Il tema dell'immigrazione nel trattato Cee 7

1.1.2 I primi atti comunitari sull'immigrazione 11

1.2 DALL’ATTO UNICO EUROPEO AGLI ACCORDI DI SCHENGEN 13

1.2.1 L'Atto Unico Europeo 13

1.2.2 L'accordo di Schengen 15

1.3 IL TRATTATO DI MAASTRICHT 19

1.4 LE INNOVAZIONI DEL TRATTATO DI AMSTERDAM 21

1.5. IL CONSIGLIO EUROPEO DI TAMPERE 25

1.5.1 L’allargamento dell'Unione 27

1.6 GLI SVILUPPI SUCCESSIVI 28

1.6.1 La politica delle Comunicazioni 28

1.6.2 Il Programma dellAja 33

1.7 LA POLITICA IMMIGRATORIA DELL’UNIONE AL 2010 36

(2)

2 CAPITOLO 2- LA POLITICA COMUNE

2.1 LOTTA ALL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE 42

2.2 LA GESTIONE DEI FLUSSI IMMIGRATORI 44

2.3 ASILO E PROTEZIONE TEMPORANEA 48

2.3.1 La prima fase della politica d'asilo 52

2.3.2 La seconda fase della politica europea d'asilo 57

2.3.3 I richiedenti asilo in Europa: i dati statistici 58

2.4 CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DI STATI TERZI 59

2.5 INGRESSO E SOGGIORNO 60

2.6 CONTROLLI ALLE FRONTIERE 61

CAPITOLO 3- LE POLITICHE IMMIGRATORIE IN ITALIA

3.1 DALL’UNITÁ ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE 65

3.2 LA PRIMA GUERRA MONDIALE 68

3.3 TRA FASCISMO E II GUERRA MONDIALE 70

3.3.1. Il ventennio fascista 70

3.3.2 Il secondo dopoguerra 73

3.4. L’IMMIGRAZIONE TRA GLI ANNI ‘60 E ‘90 76

(3)

3

3.4.2 I primi tentativi di riforma legislativa 77

3.4.3 Gli anni '80 78

3.5 LA LEGGE MARTELLI 81

3.6 IL DECRETO DINI 87

3.7 LA LEGGE TURCO-NAPOLITANO 91

3.8 LA LEGGE BOSSI – FINI 101

3.8.1. Il testo 101

3.8.2. Le critiche alla legge Bossi-Fini 106

3.8.3 Modifiche alla Bossi-Fini 107

3.9 DECRETO MARONI 110

3.9.1 Il testo 110

3.9.2 Commenti alla legge Maroni 114

3.10 GLI ULTIMI SVILUPPI 125

CONCLUSIONE 130

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4 INTRODUZIONE

Negli ultimi anni si sta delineando, a livello europeo, una convergenza che tocca le politiche di limitazione dei flussi di stranieri in entrata, a cui si somma una generale tendenza nell’attuare misure di integrazione e protezione legislativa per quegli immigrati che risultano residenti; due componenti del più generale concetto di “politiche migratorie”.

L’immigrazione infatti rappresenta uno dei fenomeni più controversi e di difficile soluzione che la nostra società si trova ad affrontare, da un lato infatti esiste l’obbligo morale di una politica della solidarietà a prescindere dalla nazionalità degli immigrati, dall’altro vi sono le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Questo lavoro si propone di ripercorrere l’evoluzione delle politiche migratorie nella Comunità Europea per poi analizzare come le direttive comunitarie sono state recepite nell’elaborazione delle medesime in Italia.

Nel primo capitolo verrà analizzato il lungo cammino della gestione della materia da parte dell’Unione europea, percorso che è sempre stato caratterizzato dallo sforzo di far coesistere da un lato, l’interesse comune dall’altro la difesa delle prerogative delle Nazioni firmatarie.

Questo continuo sforzo di bilanciamento è da imputarsi alle norme contenute del Trattato di Roma del 1957 che non prevedevano, per la Comunità economica europea, alcuna competenza in materia di politiche dell’immigrazione. Questa particolarità è spiegabile in primis con la finalità essenzialmente economica del Trattato che nasceva si, con l’obiettivo di integrare tra loro i Paesi firmatari, ma allo scopo di creare un mercato unico europeo. Nonostante questo la Comunità è intervenuta più volte nelle politiche dell’immigrazione cozzando, però, contro gli interessi degli Stati membri restii nel vedersi sottrarre competenze a loro spettanti.

Occorre, infatti, sottolineare che su alcune questioni permane ancora una gelosa rivendicazione di poteri e prerogative da parte degli stati nazionali europei, con conseguenti accentuate differenziazioni dei regimi giuridici (per es. l’ammissione

degli stranieri nella propria sfera territoriale e la concessione della cittadinanza).

Il fatto che il fenomeno migratorio venga ormai pensato non più nel quadro concettuale dello stato nazione, ma in quello più ampio della Unione Europea , non ha pertanto comportato un pieno capovolgimento delle categorie di pensiero applicate al fenomeno

(5)

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migratorio. Paradossalmente, mentre globalizzazione dei mercati, deregolamentazione, apertura delle frontiere sono i temi che dettano i

ritmi del dibattito economico su scala mondiale, la logica tipica dello stato nazione (sostanzialmente la difesa della sovranità nazionale), permea ancora profondamente il “pensiero di stato” sull’immigrazione”.

Così ancor oggi la materia immigrazione è governata per alcuni aspetti dai singoli Stati, attraverso la giurisprudenza interna, e per altri dalla Comunità Europea. Inoltre vi sono particolari questioni che sono di competenza condivisa, cioè i Paesi firmatari possono prendere iniziative proprie ma solo nel caso in cui non siano palesemente contrarie alle direttive generali.

Il secondo capitolo è incentrato su una breve analisi degli istituti più importanti della materia immigratoria quali, asilo, ammissione entro i confini di cittadini stranieri, loro circolazione e soggiorno.

Il terzo capitolo è dedicato interamente all’analisi dell’evoluzione delle politiche migratorie in Italia, dall’unità ai giorni nostri.

Quest’ultima analisi risulterà già in partenza manchevole perché il tema dell’immigrazione è in continua evoluzione.

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6 CAPITOLO 1

LE POLITICHE EUROPEE DELL’IMMIGRAZIONE

IL QUADRO NORMATIVO

(7)

7

1.1 LE ORIGINI DELLA COMPETENZA COMUNITARIA

1.1.1 Il tema dell'immigrazione nel trattato Cee

Per comprendere meglio il processo di omogeneizzazione delle politiche migratorie europee è necessario ricostruire le tappe che hanno portato alla loro comunitarizzazione1. La Comunità Europea, come oggi la intendiamo, nasceva dall’iniziativa di sei paesi (Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Repubblica Federale tedesca ) che, a partire dagli anni cinquanta, dello scorso secolo dettero vita alle prime comunità (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nata nel 1951, Comunità Economica Europea e Comunità europea dell’energia atomica istituite entrambe nel 1957)2. Nell’ambito dell’impianto del Trattato di Roma3, alla Comunità economica europea4 non era stata data alcuna competenza formale in materia di politiche di immigrazione. Pertanto tutto ciò che poteva riguardare l’ingresso lo stanziamento e il lavoro dei cittadini extracomunitari, rimaneva competenza esclusiva degli Stati membri. In questo contesto, la situazione giuridica e i relativi diritti degli immigrati variavano in modo anche rilevante da Paese a Paese5.

La spiegazione dell’assenza di qualsiasi autorità in materia da parte delle istituzioni comunitarie, risiedeva innanzitutto nella finalità essenzialmente

1

La «comunitarizzazione» segna il passaggio della materia dall’area intergovernativa alla competenza comunitaria.

2

Nascimbene B. (a cura di), Comunità e Unione europea, G. Giappichelli ed., Torino, 2008. 3

Trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE) firmato a Roma il 25 marzo 1957, entra in vigore il 1° gennaio 1958 nei sei Stati fondamentali.

4

Nascimbene B., Unione Europea-Trattati, G. Giappichelli ed., Torino, 2009. 5

Melotti U., Migrazioni internazionali. Globalizzazione e culture politiche, Bruno Mondadori, Milano, 2004. pp. 106-134.

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8

economica che animava il progetto di integrazione europea che nasceva, appunto, con l’obiettivo primario di creare un mercato unico. Non era quindi sentita la necessità di attribuire competenze comunitarie generali in materia. La politica dell’immigrazione rientrava all’interno di una sfera di azione rispetto alla quale gli Stati ne rivendicavano, sulla base del diritto internazionale, la potestà esclusiva d’intervento legislativo.

Nasceva da questa decisa presa di posizione lo sforzo dei fondatori impegnati a eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori comunitari, mentre agli Stati rimaneva la completa libertà di dotarsi di norme sul trattamento dei cittadini di Stati terzi.

Tra i principi base del Trattato di Roma per la realizzazione del «mercato comune» vi erano inclusi l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali6, ma la libertà di circolazione degli individui è stata quella di più difficile attuazione perché, appunto, incideva sulla sovranità degli Stati membri. In teoria la definizione di «libera circolazione delle persone» sarebbe dovuta essere applicabile anche ai cittadini di Paesi terzi ma, fin dall’inizio, fu limitata solamente a quelli propri degli Stati dell’Unione. Gli articoli 527 e 598 della CEE inerenti la libera prestazione dei servizi, infatti, facevano riferimento

6

Art.3 lettera c Trattato CEE «rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l'istituzione di una cittadinanza dell'Unione conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima», GUCE, 24.12.2000.

7

Art. 52 «Nel quadro delle disposizioni che seguono, la restrizione alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro del territorio di un altro Stato membro vengono vietate *…+ la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio *….+».

8

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9

ai soli cittadini comunitari e, benché l’articolo 48 CEE sulla libera circolazione dei lavoratori9 non faceva nessun tipo di accenno alla nazionalità, lo si lesse in funzione dei due successivi.

Sebbene nel secondo comma dell’art. 59 (per il quale il Consiglio doveva estendere la disciplina sulla libera prestazione dei servizi ai cittadini extracomunitari residenti nella Comunità), non veniva fatto nessun chiaro riferimento a chi proveniva da un Paese terzo, questa norma non fu mai applicata.

L’assenza di attenzione verso le tematiche dell’immigrazione da Paesi terzi, trovava parziale giustificazione nel fatto che la manodopera negli Stati, almeno all’inizio dell’esperienza CEE, era di provenienza principalmente comunitaria. L’arrivo, però, di cittadini di così diverse nazionalità, iniziò a far avvertire l’urgenza di risolvere le problematiche sociali e politiche che il fenomeno dell’emigrazione portava con se10. Così la Commissione Europea, pur nel rispetto dei limiti delle competenze dell’Unione, si è più volte interessata alle problematiche dell’immigrazione conscia dei problemi che gli Stati membri avrebbero dovuto affrontare.

L’Unione si è mossa su due fronti diversi; da una parte cercando di risolvere i problemi del trattamento lavorativo riservato ai nuovi venuti, della loro integrazione

servizi all’interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione». 9

Punto 1 Art. 48 CEE: «La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata».

10

Art. 117 CEE: «Gli Stati membri convergono sulla necessità di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera che consenta la loro parificazione nel progresso. Gli Stati membri ritengono che tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato comune, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia delle procedure previste dal presente Trattato e dal ravvicinamento delle posizioni legislative, regolamentari e amministrative».

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10

e quella dei loro famigliari, dall’altra tentando di dare vita a qualche forma di coordinamento per contrastare l’immigrazione illegale.

Gli interventi della Comunità in materia di immigrazione venivano giustificati (non essendoci vere e proprie norme a riguardo) sulla base delle prerogative che il Trattato attribuiva alla Commissione in tema di politica sociale. Gli strumenti usati erano però pareri e raccomandazioni che non comportavano nessun obbligo di azione per gli Stati membri. Al di la di tutte le considerazioni sulla ripartizione delle competenze, i Paesi firmatari dovevano, in ogni caso, garantire un trattamento differenziato ai rifugiati e agli apolidi11.

In teoria la Comunità, avvalendosi dell’articolo 100 CEE12, avrebbe potuto arrogarsi il diritto di intervenire più incisivamente nella politica dell’immigrazione. Infatti l’articolo proponeva di avviare un riavvicinamento della legislazione degli Stati se le difformità legislative esistenti fossero state tali da ostacolare la creazione o il funzionamento del mercato comune.

La Comunità, inoltre, avrebbe potuto far ricorso all’ art. 235 CEE13 (relativo ai suoi «poteri impliciti») che a differenza dell’ art. 100 CEE non richiedeva la sussistenza di divergenze legislative per essere applicato, ma la sola presenza di lacune nel Trattato, tali da pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi fissati nello stesso.

11

Dichiarazione del Consiglio n. 64/305/CEE del 23 marzo 1964, relativa ai rifugiati. 12

Art. 100 CEE: «Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, stabilisce direttive volte al riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune».

13

Art. 235 CEE: «Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio; deliberando

all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato l’Assemblea, prende le disposizioni del caso».

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11

Il principale ostacolo all’applicazione dell’art. 100 CEE e dell’art. 235 CEE, stava nella regola dell’unanimità necessaria per l’adozione delle delibere in seno al Consiglio.

1.1.2 I primi atti comunitari sull'immigrazione

Uno dei primi atti comunitari in materia di immigrazione fu la Risoluzione relativa ad un programma di azione sociale14 presa nel 1974 dal Consiglio, a cui nell’ 1976 fece seguito una seconda Risoluzione15. Nel 1983 il Parlamento Europeo adottava un’ulteriore Risoluzione che invitava il Consiglio e la Commissione a predisporre proposte «sull’armonizzazione delle politiche dei visti e del diritto degli stranieri»16.

Nel 1985 La Commissione con il Libro Bianco17 poi, sottolineava la necessità un’azione coordinata sui temi dell’ingresso, soggiorno e occupazione dei cittadini di Paesi terzi e in materia di visti. Il tentativo della Commissione di ampliare i propri poteri in materia di immigrazione si scontrava, però, con la reticenza degli Stati, maldisposti a cedere prerogative fino ad allora godute.

L’atteggiamento dei Paesi membri, unito alla mancanza di norme specifiche che definissero i poteri decisionali della Comunità impedirono, all’Unione, di

14

Risoluzione del Consiglio relativa ad un programma di azione sociale, GUCE C13 del 12 febbraio 1974.

15

Risoluzione del Consiglio del 9 febbraio 1976, relativa ad un programma di azione a favore dei lavoratori migranti e dei loro familiari, GUCE C.34/2 del 14 febbraio 1976.

16

Risoluzione del Parlamento Europeo del 9 giugno 1983, GUCE C. 184 del 11 luglio 1983. 17

Commissione della Comunità Europea, Libro Bianco della Commissione su Il

completamento del mercato interno, del 14 giugno 1985. Vi erano contenute una serie di proposte della Commissione sull’asilo, condizione dei cittadini dei Paesi terzi e abolizione dei controlli alle frontiere intracomunitarie. Questo programma non venne mai attuato e la Commissione medesima preferì lasciare un ampio margine di azione alla cooperazione tra Stati membri.

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12

adottare strumenti giuridici più efficaci capaci di obbligare gli Stati membri ad mettere in atto le norme da essa elaborata.

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13

1.2 DALL’ATTO UNICO EUROPEO AGLI ACCORDI DI SCHENGEN18.

1.2.1 L'Atto Unico Europeo

Il 1 luglio 1987 entrava in vigore l’Atto Unico Europeo19 che segnava un arretramento della posizione dell’Unione in materia di immigrazione. In due dichiarazioni allegate all’Atto, infatti, gli Stati membri sottolineavano il loro diritto esclusivo a prendere le misure ritenute necessarie in materia di controllo dell’immigrazione da Paesi terzi, dichiarandosi pronti a cooperare per promuovere la libera circolazione delle persone, in particolare per quanto riguardava l’ingresso, la circolazione ed il soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi20(d’ora in poi chiamati TCU).

Con l’Atto Unico veniva ribadito, inoltre, il principio e la volontà di arrivare alla libera circolazione delle persone comunitarie e di Paesi terzi (agli extracomunitari veniva riconosciuto solo il diritto di ingresso dato che quelli di soggiorno e di lavoro erano riservati esclusivamente ai cittadini comunitari). Così la promozione della libera circolazione delle persone venne attuata, almeno inizialmente, a livello intergovernativo in particolare attraverso l’istituzione di fori di

18

Accordo di Schengen, Accordo fra i Governi degli Stati dell'Unione economica Benelux della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione

graduale dei controlli alle frontiere comuni, consultabile su www.camera.it/bicamerali/schengen.

19

Atto Unico europeo, firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 e all’Aia il 28 febbraio 1986, entrato in vigore il 1 luglio 1987, GU n. L 169 del 29 giugno 1987.

20

Dichiarazione generale relativa agli art. da 13 a 19 dell’Atto Unico europeo: «Nulla in queste disposizioni pregiudica il diritto degli Stati membri di adottare le misure che essi ritengano necessarie in materia di controllo dell’immigrazione da paesi terzi.».

Dichiarazione politica dei governi degli Stati membri relativa alla libera circolazione della persone: «Per promuovere la libera circolazione delle persone gli Stati membri cooperano, senza pregiudizio delle competenze della Comunità, in particolare per quanto riguarda l’ingresso, la circolazione ed il soggiorno dei cittadini terzi.».

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14

discussione e gruppi di lavoro che si proposero, in particolare, di risolvere il problema del rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne della Comunità. La creazione di reti di relazioni politiche e amministrative tra gli Stati, che nacquero per la risoluzioni di queste questioni, si svolse per lo più lontano dal quadro istituzionale comunitario in quanto né il Parlamento europeo né la Corte di Giustizia esercitavano controlli su tali organismi. Tra i diversi gruppi vengono ricordati il Gruppo Trevi, nato nel 197521, con la finalità di rafforzare la cooperazione tra i diversi servizi di polizia per prevenire la criminalità organizzata e il fenomeno sempre più dilagante dell’immigrazione clandestina, e il Comitato ad hoc per l’immigrazione istituito a Londra nel 198622 per elaborare politiche in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi. Da ricordare, come frutto del lavoro di questo gruppo, la Convenzione di Dublino del 1990 sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare le domande di asilo23. Va ricordato inoltre il Gruppo di Coordinamento creato nell’ambito del Consiglio europeo di Rodi del 1988, per coordinare e incentivare i lavori sulla libera circolazione delle persone.

21

Il Gruppo Trevi era composto dai Ministri di Giustizia e dell’Interno degli Stati membri della Comunità. Venne istituzionalizzato con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht. 22

IL Comitato ad hoc per l’immigrazione riuniva i Ministri responsabili per l’immigrazione degli Stati membri. Venne istituzionalizzato con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht. 23

In base a questa Convenzione la competenza dell’esaminare la domanda di asilo era data allo Stato in cui, chi richiedeva, aveva fatto ingresso. Gli Stati membri dell’Unione si avvalevano, per le loro scelte, dell’EURODAC una banca dati che consentiva, attraverso il confronto delle impronte digitali, di identificare chi varcava una frontiera esterna della Comunità.

(15)

15 1.2.2 L'accordo di Schengen24

Il risultato più significativo della cooperazione intergovernativa fu raggiunto con gli Accordi di Schengen del 1985 (e la sua Convenzione di applicazione del 1990)25. Si trattava di accordi conclusi al di fuori di ogni quadro comunitario, da un gruppo ristretto di Paesi (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi) a cui in seguito aderirono tutti gli Stati membri ad accezione del Regno Unito, dell’Irlanda, ed alcuni Stati Terzi26.

La Convenzione, pur non dettando una disciplina completa per l’ingresso e il soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, prevedeva, però, principi uniformi in materia di controllo:

 alle frontiere interne ed esterne (Art. 527),

24

Acquis di Schengen - Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, GU n. L 239 del 22/09/2000.

25

L’Accordo di Schengen, relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, venne firmato il 14 giugno 1985.

26

L’Italia aderì all’Accordo nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l’Austria nel 1995 e Danimarca, Finlandia e Svezia nel 1996. All’Accordo di Schengen

parteciparono, attraverso un particolare regime di associazione anche l’Islanda e la Norvegia e nel 2004 un analogo regime venne esteso alla Svizzera, permettendo così contestualmente l’adesione anche del Liechtenstein.

27

Articolo 5

«1. Per un soggiorno non superiore a tre mesi, l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti può essere concesso allo straniero che soddisfi le condizioni seguenti:

a) essere in possesso di un documento o di documenti validi che consentano di attraversare la frontiera, quali determinati dal comitato esecutivo;

b) essere in possesso di un visto valido, se richiesto;

c) esibire, se necessario, i documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del

(16)

16  politica dei visti e dell’asilo (Art. 1028),  cooperazione giudiziaria in materia penale.

Nello specifico si stabiliva che l’ingresso dei cittadini non comunitari per un periodo non superiore ai tre mesi (Art.10), era consentito solo se questi ultimi fossero stati in possesso dei documenti di identità e del visto, potessero fornire, se richiesto, la prova dello scopo del viaggio e del possesso di sufficienti mezzi di sussistenza (Art.

soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza o per il transito verso un terzo Stato nel quale la sua ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi;

d) non essere segnalato ai fini della non ammissione;

e) non essere considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti.

2. L'ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte queste condizioni, a meno che una Parte contraente ritenga necessario derogare a detto principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù di obblighi internazionali. In tale caso, l'ammissione sarà limitata al territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le altre Parti contraenti.

Tali regole non ostano all'applicazione delle disposizioni particolari relative al diritto di asilo né a quelle dell'articolo 18.

3. È ammesso in transito lo straniero titolare di un'autorizzazione di soggiorno o di un visto di ritorno rilasciato da una delle Parti contraenti o, se necessario, di entrambi i documenti, a meno che egli non figuri nell'elenco nazionale delle persone segnalate dalla Parte

contraente alle cui frontiere esterne egli si presenta». 28

Articolo 10

«1. È istituito un visto uniforme valido per il territorio dell'insieme delle Parti contraenti. Il visto, la cui durata di validità è disciplinata dall'articolo 11, può essere rilasciato per un soggiorno massimo di tre mesi.

2. Fino all'istituzione di tale visto, le Parti contraenti riconosceranno i rispettivi visti nazionali, sempreché il loro rilascio avvenga in base a condizioni e criteri comuni stabiliti nell'ambito delle disposizioni pertinenti del presente capitolo.

(17)

17

2329). Inoltre per poter entrare nei confini della Comunità, non dovevano essere considerati pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e soprattutto non dovevano figurare nell’elenco delle persone segnalate come non ammissibili nel territorio dell’Unione.

La Convenzione inoltre, istituiva il «Sistema di Informazione Schengen» (SIS) cioè un archivio comune, consultabile presso i posti di frontiera, che permetteva alle

29

Articolo 23

1. Lo straniero che non soddisfa o che non soddisfi più le condizioni di soggiorno di breve durata applicabili nel territorio di una delle Parti contraenti deve, in linea di principio, lasciare senza indugio i territori delle Parti contraenti.

2. Lo straniero in possesso di un titolo di soggiorno o di un autorizzazione di soggiorno temporanea in corso di validità rilasciati da un'altra Parte contraente, deve recarsi senza indugio nel territorio di tale Parte contraente.

3. Qualora lo straniero di cui sopra non lasci volontariamente il territorio o se può presumersi che non lo farà, ovvero se motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico impongono l'immediata partenza dello straniero, quest'ultimo deve essere allontanato dal territorio della Parte contraente nel quale è stato fermato, alle condizioni previste dal diritto nazionale di tale Parte contraente. Se in applicazione di tale legislazione l'allontanamento non è consentito, la Parte contraente interessata può ammettere l'interessato a soggiornare nel suo territorio.

4. L'allontanamento può avvenire dal territorio di tale Stato verso il paese di origine della persona o verso qualsiasi altro Stato nel quale egli può essere ammesso, in applicazione delle disposizioni pertinenti degli accordi di riammissione conclusi dalle Parti contraenti. 5. Le disposizioni del paragrafo 4 non ostano alle disposizioni nazionali relative al diritto di asilo né all'applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, quale emendata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, né alle disposizioni del paragrafo 2 del presente articolo e dell'articolo 33, paragrafo 1 della presente Convenzione.».

(18)

18

autorità competenti degli Stati membri di scambiarsi dati su persone e beni30 (art.9231).

Inoltre gli Accordi imponevano alle autorità nazionali l’obbligo di adeguamento, negli ordinamenti interni, di norme conformi alle disposizioni prese (con conseguente revisione delle legislazioni sugli stranieri e diritto di asilo) mentre rimaneva inalterata la facoltà degli Stati membri di concludere accordi con uno o più Paesi esterni in materia di controllo alle frontiere.

30

La segnalazione «di non ammissibilità» nel sistema SIS costituiva impedimento per la concessione di un visto o per il permesso di soggiorno. La segnalazione, secondo l’art. 96 della Convenzione, si basava su decisione di un’autorità amministrativa o giurisdizionale «le decisioni possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di uno straniero nel territorio nazionale costituisce un a minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale». Era da notare come nell’ipotesi in cui l’ingresso si basasse su motivazioni meritevoli, motivi umanitari, obblighi internazionali o interesse nazionale, il diritto di ingresso era garantito anche ad un soggetto segnalato. In questo caso però la facoltà veniva limitata esclusivamente al territorio dello Stato membro che lo aveva

concesso. La segnalazione decisa da uno Stato risultava, pertanto, vincolante per tutta l’area Schengen a meno che non sussistessero seri motivi.

31Articolo 92

«1. Le Parti contraenti istituiscono e gestiscono un sistema comune d'informazione in appresso denominato Sistema d'informazione Schengen, costituito da una sezione nazionale presso ciascuna Parte contraente e da un'unità di supporto tecnico. Il Sistema d'informazione Schengen consente alle autorità designate dalle Parti contraenti, per mezzo di una procedura d'interrogazione automatizzata, di disporre di segnalazioni di persone e di oggetti, in occasione di controlli alle frontiere, di verifiche e di altri controlli di polizia e doganali effettuati all'interno del paese conformemente al diritto nazionale nonché, per la sola categoria di segnalazioni di cui all'articolo 96, ai fini della procedura di rilascio di visti, del rilascio dei documenti di soggiorno e dell'amministrazione degli stranieri in applicazione delle disposizioni contenute nella presente Convenzione in materia di circolazione delle persone»

(19)

19

Se, in generale, si evince come il Sistema Schengen abbia reso possibile una cooperazione sul tema dell’immigrazione (gli stati firmatari si impegnavano al Titolo II a giungere alla «soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone») lo stesso ha palesato i suoi limiti soprattutto nell’assenza di qualsiasi disposizione per un controllo giurisdizionale sul funzionamento degli Accordi32.

1.3 IL TRATTATO DI MAASTRICHT

Le trasformazioni geopolitiche degli anni Ottanta e Novanta33, che hanno generato massicci flussi migratori, convinsero i Paesi membri sulla necessità di arrivare a dar vita a una politica immigratoria a livello comunitario.

Una prima risposta a questa necessità si è avuta con l’adozione del Trattato di Maastricht del 199234 che inseriva «la politica di immigrazione tra le questioni di interesse comune»35. Ciò non significava l’attribuzione di specifiche competenze alla

32

Per ovviare la mancanza di controllo alcuni Stati si sono dotati di organi di supervisione propri. Ad esempio il Parlamento italiano ha istituito un Comitato parlamentare di controllo composto da dieci senatori e dieci deputati con il compito di esaminare l’attuazione e il funzionamento della Convenzione.

33

Tra le trasformazioni a livello geopolitico si ricordano il crollo dell’Unione Sovietica, l’instabilità politica ed economica generata appunto, dalla dissoluzione dell’URSS e i conflitti interni nell’area jugoslava.

34

Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7/2/1992 entra in vigore l’1/11/1993. 35

Art. K1 del TUE «Ai fini della realizzazione degli obiettivi dell'Unione, in particolare della libera circolazione delle persone, fatte salve le competenze della Comunità europea, gli Stati membri considerano questioni di interesse comune i settori seguenti:

1) la politica di asilo;

2) le norme che disciplinano l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri da parte delle persone e l'espletamento dei relativi controlli;

(20)

20

Comunità, perché non venivano previste modifiche dei Trattati, ma si sanciva il principio secondo cui la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni, e nello specifico nei sei settori di interesse comune, da discrezionale diventa obbligatoria36.

La cooperazione politica si sviluppava, così, nel quadro istituzionale europeo e si poteva avvalere di nuovi strumenti giuridici di cooperazione, adottati all’unanimità dal Consiglio, come le «posizioni comuni» e «le azioni comuni»37. Per

3) la politica d'immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei paesi terzi; a) le condizioni di entrata e circolazione dei cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri;

b) le condizioni di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri, compresi il ricongiungimento delle famiglie e l'accesso all'occupazione;

c) la lotta contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolari di cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri;

4) la lotta contro la tossicodipendenza, nella misura in cui questo settore non sia già contemplato dai punti 7), 8) e 9);

5) la lotta contro la frode su scala internazionale, nella misura in cui questo settore non sia già contemplato dai punti 7), 8) e 9);

6) la cooperazione giudiziaria in materia civile; 7) la cooperazione giudiziaria in materia penale; 8) la cooperazione doganale;

9) la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altre forme gravi di criminalità internazionale, compresi, se necessario, taluni aspetti di cooperazione doganale, in connessione con l'organizzazione a livello dell'Unione di un sistema di scambio di informazioni in seno ad un Ufficio europeo di polizia (Europol)».

36

Licastro G., L’immigrazione nell’Unione Europea: un cammino difficile, articolo consultabile su www.diritto.it, pp 3-5.

37

Mentre le «convenzioni internazionali» sono atti di diritto internazionale e per questo vincolanti per gli Stati che li abbiano ratificati e accettato così gli obblighi contenuti, la

(21)

21

mitigare la scelta fatta nel Trattato, di lasciare la materia dell’immigrazione al di fuori del quadro istituzionale comunitario, venne introdotta la c.d. “norma passerella”38 attraverso cui «Il Consiglio, deliberando all’unanimità su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro, può decidere di rendere applicabile l’art. 100 CEE del Trattato che istituisce la Comunità europea ad azioni pertinenti a settori contemplati dall’art. K1». L’opportunità di sottrarre l’immigrazione dalle procedure della cooperazione internazionale, per assoggettarle al metodo comunitario, non fu però mai colta. Così il graduale passaggio verso l’esercizio di competenze comunitarie si sarebbe avuto solo successivamente attraverso le modifiche apportate ad Amsterdam.

1.4 LE INNOVAZIONI DEL TRATTATO DI AMSTERDAM

Tra le innovazioni introdotte dal Trattato di Amsterdam39 la più importante riguardava la parziale «comunitarizzazione» della disciplina dell’immigrazione che diede il via al passaggio della materia dall’area intergovernativa alla competenza comunitaria, soprattutto per quanto concerneva «visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone»40. La finalità del Trattato

«posizione comune» è uno strumento giuridico tipico della cooperazione intergovernativa in base al quale il Consiglio definisce, all’unanimità, l’approccio dell’Unione su una

determinata questione. Gli Stati, comunque, non sono obbligati a conformarsene. L’«azione comune» è un tipo di atto giuridico vincolante che può essere adottato dal Consiglio quando si ritiene necessario l’intervento dell’Unione in questioni specifiche per lo più di carattere materiale.

38

L’art. K9 TUE. 39

Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato dell’Unione Europea, i Trattati che

costituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi, GU n. C del 10 novembre 1997, in vigore dal 1 maggio 1999.

40

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22

era il perseguimento dell’art. 61 del Trattato CEE, cioè istituire uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

L’Unione voleva realizzare concretamente la libera circolazione delle persone, soprattutto attraverso l’abolizione dei controlli alle frontiere tanto per i cittadini degli Stati membri quanto per i cittadini di Stati terzi. Allo stesso tempo la Comunità si proponeva di raggiungere un elevato livello di sicurezza prevenendo e combattendo la criminalità organizzata operante nel territorio dell’Unione41. Così la materia dell’immigrazione diventava di competenza parallela tra istituzioni comunitarie e Stati membri. Nessuna disposizione del Titolo IV dava, però, alle istituzioni comunitarie una competenza esterna.

Il processo di «comunitarizzazione»42 nasceva dal compromesso tra i Paesi che erano decisi a proseguire verso tale obiettivo e quelli ostili come Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca 43 che volevano mantenere la materia dell’immigrazione nel 61-69). Nell’ambito della cooperazione intergovernativa rimanevano esclusivamente la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, la repressione del razzismo e della xenofobia.

41

Venne costituito a tale scopo l’Ufficio europeo di polizia (Europol) istituito con la Convenzione di applicazione del 1995 con lo scopo di creare un sistema accentrato di investigazione e intelligence.

42

L’attuazione del trasferimento dal «terzo» al «primo» pilastro delle materie connesse con l’immigrazione, era da attuarsi progressivamente nel corso di un c.d. «periodo transitorio» di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato.

43

La posizione di Gran Bretagna e Irlanda era regolata da un apposito Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Ai sensi dell’art. 1 del protocollo entrambi i Paesi non partecipavano all’adozione delle misure riguardanti i settori compresi dal Titolo IV e quindi nessuna disposizione del Titolo gli poteva essere imposta. Volendo i due Paesi potevano anch’essi adottare le decisioni prese dall’Unione notificando la loro decisione entro 3 mesi (art.4). Caso diverso era quello rappresentato dalla Danimarca che come gli altri due Paesi non era obbligata dalle disposizioni del IV Titolo ma a differenza degli altri non aveva nessuna possibilità di accettare le misure adottate ai sensi del Titolo IV TCE. Tale esclusione deriva

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23

campo della cooperazione a livello intergovernativo. Le materie trasferite al Consiglio venivano fatte confluire nell’art. K.1 del Trattato di Maastricht sull’Unione europea. In particolare gli art. 62 TCE e 63 TCE attribuivano al Consiglio competenza ad adottare misure:

 volte a garantire che non vi fossero controlli sulle persone, sia cittadini dell’Unione sia cittadini di paesi terzi, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne;

 relative all’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri;

 che stabilivano a quali condizioni i cittadini dei paesi terzi avessero la libertà di spostarsi al’interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi;

 in materia di asilo;

 applicabili ai rifugiati ed agli sfollati;

 in materia di politica dell’immigrazione nei termini delle condizioni di ingresso e soggiorno;

 norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno (compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare);

 immigrazione e soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare.

Gli atti in materia di visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone potevano, però, essere emanati solo se avessero ottenuto l’approvazione unanime44. Se le variazioni procedurali alla disciplina del Titolo IV direttamente dall’opposizione che lo Stato fece alla «comunitarizzazione» dei paesi

contraenti prevista negli Accordi di Schengen. 44

Le disposizioni in materia d’immigrazione, venivano prese attraverso due distinti

meccanismi decisionali. Durante una prima fase, il cosiddetto «periodo transitorio» (cioè il quinquennio che andava dal 1999 al 2004) per l’adozione delle delibere era necessaria l’unanimità del Consiglio cioè di tutti gli Stati membri. Dopo il 2004 il potere d’iniziativa

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attuate dal Trattato di Amsterdam, dimostravano i loro limiti, derivanti in larga parte dal tentativo di bilanciare i tanti pareri difformi all’interno dell’Unione, tuttavia il Titolo IV del Trattato CE introduceva una serie di disposizioni su cui creare una più razionale e stabile politica immigratoria europea.

diventava esclusivo della Commissione che non lo doveva condivide più con gli Stati. Questi potevano inviare proposte alla Commissione affinché le sottoponga all’attenzione del Consiglio. Ma questa non è obbligata a prendere in considerazione i progetti dei Paesi membri.

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25 1.5. IL CONSIGLIO EUROPEO DI TAMPERE

Un successivo sviluppo in tema di “comunitarizzazione” nelle politiche dell’immigrazione si ha con il Piano di azione di Vienna45 e con il seguente Consiglio europeo di Tampere46.

Il primo mirava ad individuare le misure prioritarie da prendere in materia di immigrazione da attuarsi entro e non oltre il 2001, mentre nel secondo veniva proposta l’elaborazione di una politica comune in materia di immigrazione che doveva basarsi su quattro elementi47:

 partenariato con i paesi di origine;  un regime unitario in materia di asilo;

 un equo trattamento dei cittadini di paesi terzi;  una gestione più efficiente dei flussi migratori.

L’obbiettivo primario del documento era quello di favorire l’immigrazione legale per meglio combattere quella illegale e a tale scopo erano previste misure di respingimento alle frontiere ed espulsioni per quei cittadini arrivati illegalmente sul territorio. Per arginare la piaga dello sfruttamento da parte di organizzazioni malavitose dei migrati da Paesi terzi, fu «caldeggiato il ricorso al partenariato con i paesi di provenienza e di transito»48. Si doveva inoltre affrontare la questione dello status giuridico dei nuovi venuti affinché a quelli da tempo residenti legalmente, venissero riconosciuti diritti e doveri analoghi a quelli dei cittadini dell’Unione. In materia di immigrazione, riconosciuto il diritto di ogni Paese membro di limitare a

45

Piano d’azione del Consiglio e della Commissione sul modo migliore per attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, GUCE C 19 del 23 gennaio 1999.

46

Tenutosi in via straordinaria nell’ottobre del 1999. 47

Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere 15-16 ottobre 1999, Bollettino dell’Unione europea, 1999,n. 10.

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26

proprio piacimento l’entrata nel suo territorio di cittadini non comunitari, la Commissione suggerì di collegare il permesso di soggiorno al permesso di lavoro. Inoltre l’Unione affrontò il problema del ricongiungimento familiare49 al fine di unificare le norme in materia, così da evitare che le differenze potessero influenzare la scelta di emigrare in un paese piuttosto che in un altro. In concreto il Trattato ha apportato modifiche sul Titolo IV TCE per lo più in materia di asilo politico. Prendendo come base di partenza il richiamo ad un rigoroso rispetto da parte di tutti gli Stati membri degli obblighi derivanti dalla normativa internazionale sui rifugiati (la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1957), all’Art. 6750veniva aggiunto il paragrafo 5 nel quale si prevedeva l’applicazione delle procedure di codecisione ad una serie di materie come l’asilo e la protezione temporanea. L’omogeneizzazione delle politiche di immigrazione ebbe, però, un cammino difficile per la riluttanza di alcuni Stati ad accettare norme a loro opinione, lesive della propria sovranità. C’era chi come la Germania e l’Austria, terre di primaria immigrazione per i paesi dell’Est europeo, si opponeva ad un più facile rilascio per i permessi di soggiorno, i visti di lavoro e ricongiungimenti familiari. La Spagna, invece, afflitta dal fenomeno del terrorismo basco, si adoperava perché il diritto di asilo non venisse concesso ai cittadini dell’Unione, mentre l’Italia lamentava di essere stata abbandonata dagli altri Stati e chiedeva di essere aiutata dall’Unione a presidiare le sue coste.

Tutti i Paesi firmatari concordavano, però, su alcune questioni fondamentali; in primis l’adozione di un regime comune in materia di asilo che si configurava come parte essenziale di un più vasto progetto di politica comunitaria per la gestione dei flussi emigratori. Accanto a tanti propositi però, persistevano inconciliabili differenze che vennero rese manifeste nel successivo Consiglio europeo, quello di Siviglia del

49

Il ricongiungimento familiare era stato riconosciuto come un diritto della Carta sociale europea del 1961 e della Convenzione europea sui lavoratori migranti del 1977.

50

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27

22 giugno 2002. Gli Stati per lo più divergevano sul modo di affrontare l’emigrazione clandestina; la Spagna, presidente di turno, propose di adoperare un atteggiamento più duro verso quei Paesi Terzi che non volevano collaborare (o ottenevano scarsi risultati dalla loro azione). Questo progetto trovava il sostegno di alcuni Stati come l’Italia, il Regno Unito, i Pesi Bassi e la Danimarca, mentre altri concordavano con la Svezia per una risoluzione più conciliante. Alla fine tali differenze furono appianate per mezzo di una soluzione “salomonica”; si decise di riservare notevoli vantaggi (come l’assegnazione di maggiori quote di immigrazione) ai Paesi che si dimostravano collaborativi e parallelamente non si procedeva a penalizzare gli altri (soprattutto non venivano riviste le politiche di aiuto allo sviluppo attuate dall’Unione).

1.5.1 L’allargamento dell'Unione

I primi anni del XXI secolo furono caratterizzati da un importante sviluppo della Comunità Europea con l’allargamento del Patto ad altri 10 paesi (al vertice di Copenaghen del 12-13 dicembre 2002 viene sancita l’estensione dell’accordo, reso poi formale dal trattato di Atene del 16 aprile 2003)51.

L’entrata nell’Unione di nuovi Stati, portava con se numerosi problemi tra cui quello che derivava dall’estensione dello status di cittadino comunitario a chi fino ad allora era visto come lo straniero da cui tutelarsi. Si pose ai legislatori, il problema di una vera integrazione dei nuovi arrivati affinché fossero estesi anche a loro diritti e doveri analoghi a quelli goduti dai vecchi cittadini dell’Unione. A tal fine la CE sollecitava un rafforzamento della cooperazione tra Stati con l’auspicabile istituzione di uno strumento unitario comunitario per la soluzione della questione.

51

Il Vertice di Copenaghen del 12-13 dicembre 2002, sanciva l’allargamento dell’Unione Europea a 25 membri, con l’ammissione, entro il primo semestre del 2004, di altri 10 Stati (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta e Cipro).

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28 1.6 GLI SVILUPPI SUCCESSIVI

1.6.1 La politica delle Comunicazioni

Il riferimento allo sviluppo di un approccio globale nella gestione della politica d’immigrazione era presente anche nei successivi Consigli europei di Siviglia (22 giugno 2002) e Salonicco (19-20 giugno 2003) e nel Programma dell’Aja52 nato dai lavori del Consiglio europeo del 200453.

Sebbene la Comunità europea esercitava le competenze attribuitele dal Trattato di Amsterdam, adottando numerose misure comunitarie in materia di immigrazione, ancora troppo forte era il ruolo, in questo settore, degli Stati membri, e la Comunità incontrava notevoli difficoltà ad imporre il proprio ruolo.

Le ragioni di questi impedimenti erano da ricercarsi non solo nella diffidenza degli Stati, poco disposti a delegare all’Unione parte delle loro prerogative, ma anche nelle numerose costrizioni giuridiche ed istituzionali dei trattati. In special modo risultavano di forte ostacolo, all’elaborazione di politiche comunitarie per l’Europa, la regola dell’unanimità in seno al Consiglio e il potere d’iniziativa condiviso con gli Stati membri.

Il 21 e 22 giugno 2002 i Paesi membri si riunivano per il Vertice di Siviglia dove ancora una volta ribadivano la volontà di velocizzare l’attuazione del programma di Tampere per la realizzazione di uno spazio europeo di «libertà

52

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 10 maggio 2005 – Il programma dell’Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni. Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia COM (2005) 184, GU C 236 del 24.9.2005.

Nello specifico il Programma dell’Aja si occupava di cittadinanza, asilo e immigrazione, di gestione delle frontiere, integrazione, lotta al terrorismo e criminalità organizzata. 53

Consiglio europeo di Bruxelles 4/5 novembre 2004 conclusioni della presidenza. Consultabile su www.consilium.europa.it.

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sicurezza e giustizia». A tal fine il Consiglio sottolineava la necessità e l’importanza di una vera politica europea comune in tema di immigrazione e di asilo definite, ancora una volta, questioni distinte ma strettamente connesse. Nel programma, inoltre, veniva ribadita la necessità di concentrare gli sforzi comuni per realizzare una gestione dei flussi migratori che fosse concordata con i Paesi di provenienza e di transito54, una politica razionale di integrazione di quei migranti legalmente residenti sul territorio dell’Unione e concordare “azioni risolute” di lotta all’immigrazione clandestina e al traffico degli esseri umani55.

Le Presidenze di Danimarca e Grecia, che si sono succedute nel secondo semestre del 2002 e nel primo del 2003, hanno prestato una forte attenzione alle tematiche legate alla gestione dell’immigrazione, cercando di attuare le linee guida del Consiglio e della Commissione56, nonché di accelerare l’adozione del quadro legislativo comune.

È interessante leggere, nella Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo57, contenente la revisione semestrale della “tabella di marcia” per la realizzazione di un’area di «libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione», quale sia il bilancio che la Commissione faceva di questi sforzi. Essa di diceva convinta che, grazie al rinnovato impegno espresso a Siviglia, la maggior parte degli obiettivi

54

Al Consiglio era conferito il potere di adottare, nell’ambito degli strumenti del Secondo Pilastro, idonee misure contro gli Stati che «abbiano dimostrato una ingiustificata mancanza di cooperazione nella programmazione congiunta dei flussi migratori».

55

Il Consiglio sottolineava come l’integrazione dei migranti implicasse sia diritti che doveri in capo ai migranti come pure alla società di accoglienza, e in particolare il riconoscimento dei diritti umani fondamentali ed un forte impegno contro il razzismo e la xenofobia.

56

Espresse nelle conclusioni dei Consigli di Vienna (1998), Tampere (1999), Laeken (2001), e nelle Comunicazioni della Commissione COM (2000) 757 del 22/11/00, su una politica comunitaria dell’immigrazione, e COM (2001) 387 dell’11/07/01, su un metodo aperto di coordinamento delle politiche comunitarie sull’immigrazione.

57

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potevano essere raggiunti. Osservava però che, mentre per ciò che atteneva alle questioni del controllo delle frontiere esterne, tutte le azioni previste stessero compiendo il loro percorso. Per altri ambiti, in particolare per la regolamentazione dell’immigrazione legale, c’era il rischio che, a causa dei forti contrasti tra gli Stati membri, il risultato raggiungibile non potesse essere più del «minimo comune denominatore». Per ovviare a questo rischio, la strategia che la Commissione intendeva adottare stava in un approccio graduale («step by step strategy»). Il passaggio del testimone della Presidenza Greca a quella dell’Italia, al termine del primo semestre del 2003, venne segnato da alcuni passaggi di estremo interesse. Anzitutto, il 3 giugno vennero pubblicate due Comunicazioni della Commissione in materia di immigrazione: COM (2003) 323 al Parlamento ed al Consiglio in vista del Consiglio di Salonicco, sullo sviluppo di una politica comune sull’immigrazione illegale, lo sfruttamento e il traffico di esseri umani, le frontiere esterne ed il rimpatrio degli immigrati illegali, e COM (2003) 336, al Consiglio, al Parlamento, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni, su immigrazione, integrazione ed occupazione58.

Quest’ultima in particolare, portava alla luce la più trascurata delle “milestones” individuate a Tampere; l’integrazione degli immigrati regolari nella società di destinazione. Nel documento la questione dell’integrazione degli emigranti veniva analizzata non solo in un contesto giuridico e politico ma anche in riferimento alla “Strategia di Lisbona”, l’obiettivo che la UE si era data nel 200059. Nel testo veniva individuato un legame tra raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e inserimento dei migranti, basato sulla considerazione che il loro ingresso nel mercato del lavoro per un verso risultava salutare per il mercato stesso

58

Nella stessa data è stata anche pubblicata la Comunicazione al Consiglio e al Parlamento COM (2003) 315, Verso regimi di asilo più accessibili, equi e meglio gestiti.

59

Nel documento si leggeva come l’obiettivo dell’Unione fosse «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita

(31)

31

(considerando il calo demografico costante tipico delle società occidentali) e per l’altro rappresentava l’elemento essenziale per un reale inserimento dei nuovi arrivati nella società di accoglienza. Nel testo, infatti, si leggeva che le politiche sull’immigrazione dovevano essere guidate da un «approccio multisettoriale, che tenga conto non solo degli aspetti economici e sociali dell’integrazione, ma anche nelle questioni legate alla diversità culturale e religiosa, alla cittadinanza alla partecipazione e ai diritti politici» (par. 3.2). Con «approccio multisettoriale» l’Unione intendeva volgere i suoi sforzi per elaborare politiche dirette all’integrazione dei migranti nel mondo del lavoro, della scuola e nella vita sociale60.

A questi propositi nella Comunicazione veniva ribadito l’invito, agli Stati membri, affinché si arrivasse ad una armonizzazione delle legislazioni nazionali sull’acquisto della cittadinanza e un’uniformità nei metodi per il suo conferimento. Inoltre veniva trattato un nuovo problema politico, quello relativo al conferimento della «cittadinanza civile» per i non cittadini stabilmente residenti nello Stato.

Questo argomento rivestiva un’importanza fondamentale infatti era noto che le materie dell’accesso alla cittadinanza ed ai diritti che essa conferiva (in particolare la libertà di ingresso nel territorio dello Stato ed i diritti politici) erano di competenza dello Stato, fondamento stesso della sua sovranità. L’avvento della Comunità europea (che poggiava sui diritti di libera circolazione entro i confini dell’Unione e il diritto di voto alle elezioni locali e a quelle del Parlamento europeo nel luogo di residenza) comportava un arretramento delle sovranità di ciascuno Stato.

Ma l’estensione dei diritti di cittadinanza europea anche agli stranieri non comunitari, legalmente residenti da un periodo di tempo significativo, era una

60

Pricolo B., L’integrazione dei cittadini di Stati terzi nelle politiche comunitarie di gestione dell’immigrazione, articolo consultabile su www.cestim.it.

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32

prospettiva tutt’altro che accettabile per i Paesi membri (e l’Unione non aveva mai voluto arrogarsi diritto di decisione in materia61).

La Comunicazione 336/2003 invece, riprendeva il concetto di cittadinanza civile62 già presente nella Comunicazione 757/200063 e lo estendeva, trasformandolo da mero auspicio a strumento efficace per favorire l’integrazione. Infatti nel par. 4.3. si leggeva che «il Trattato deve fornire mezzi che consentano di realizzare la cittadinanza civile, in particolare per quanto riguarda la partecipazione alla vita politica a livello locale, e la Commissione perseguirà questi obiettivi nella Convenzione ed in occasione della prossima Conferenza Intergovernativa». Inoltre la Comunicazione 336/2003 individuava gli orientamenti e le priorità politiche che l’Unione doveva perseguire; per prima cosa consolidare il quadro giuridico in maniera da rispettare la scadenze del giugno 2003 per l’adozione della Direttiva sullo stato dei TCN e, successivamente, presentare ulteriori proposte rispetto a quelle in discussione sulle condizioni dei TCN e rifugiati. Inoltre si prefiggeva di rafforzare le politiche in materia di integrazione, soprattutto in tema di accoglienza per i migranti in ingresso, e si adoperava affinché gli Stati membri semplificassero le loro normative e cercassero il più possibile di ravvicinarle. Nella Comunicazione trovava

61 Nel Memorandum esplicativo sulla Proposta di direttiva sullo status dei TCN residenti di lungo periodo 127/2001 l’Unione sottolineava come «l’impegno della Comunità in ordine al diritto di voto è previsto solo per le elezioni municipali ed europee e solo per i cittadini europei».

62

Definita come «nucleo comune di diritti e doveri fondamenti che il migrante acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di anni, in modo da garantire che questi goda dello stesso trattamento concesso ai cittadini del Paese ospitante anche quando non sia naturalizzato» in Comunicazione 757/2000.

63

Nella Comunicazione n.757/2000 si leggeva: «Rendere possibile agli immigrati di acquisire tale cittadinanza (civica) dopo un certo periodo di residenza, potrebbe permettere a molti di loro di sistemarsi in modo soddisfacente nella società di accoglienza, o potrebbe essere un primo passo verso l’acquisizione della nazionalità di quello Stato».

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33

anche spazio la questione della cooperazione con i Paesi terzi, necessaria per contrastare più efficacemente l’immigrazione illegale e rendere più ordinati i flussi migratori regolari64.

Poco dopo la pubblicazione della Comunicazione, il 19 e 20 giugno 2003, si svolse il Consiglio europeo di Salonicco che si occupò anche di immigrazione, frontiere ed asilo, ribadendo la volontà (già espressa a Siviglia nel 2002) di accelerare l’attuazione del programma stabilito a Tampere e definendo l’immigrazione come «assoluta priorità politica»65.

1.6.2 Il Programma dellAja

Cinque anni più tardi, il Programma dell’Aja del novembre 2004, ed il piano di azione del Consiglio e della Commissione del giugno 2005, rappresentavano il quadro generale della politica di immigrazione e di asilo per il quinquennio successivo. Il Programma66 mirava al rafforzamento del ruolo dell’Unione nella costruzione dello «spazio di libertà sicurezza e giustizia». Gli obiettivi di più stretta integrazione contenuti nel progetto di Costituzione, di cui il Programma si prefiggeva di riflettere le ambizioni, assumevano nuovo rilievo nelle prospettive del Trattato di Lisbona67.

Nel Programma, infatti, si postulava un approccio globale che includeva tutte le fasi delle migrazioni, dalle cause di fondo del fenomeno alle politiche di ingresso e

64

È dell’11/06/03 la Proposta di regolamento che istituisce un programma di aiuto finanziario di assistenza tecnica ai Paesi terzi nei settori dell’immigrazione e dell’asilo, COM (2003) 355. 65

Nel cap. II.9 delle conclusioni si leggeva: «vi è la marcata esigenza di una politica dell’Unione maggiormente strutturata, che contempli l’intera gamma delle relazioni con i Paesi terzi».

66

GUUE , 3 marzo 2005. 67

Restano tuttora di competenza degli Stati membri i settori relativi alla sicurezza e all’ordine pubblico. Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull'Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, consultabile su www.consilium.europa.it.

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34

ammissione, da quelle dell’integrazione a quelle del rimpatrio. Tale approccio richiedeva dunque un’analisi ed un impegno paritario tanto delle Istituzioni comunitarie quanto dei singoli Stati membri, dal momento che si trattava di materia di competenza concorrente.

Nel Programma e nel piano vi era la consapevolezza del legame tra immigrazione e promozione dei diritti fondamentali. Le politiche di immigrazione ed asilo concernevano, in effetti, categorie deboli come ad esempio i richiedenti asilo, ed i loro diritti fondamentali necessitavano di una particolare tutela. Proprio in quest’ottica si spiegava la trasformazione dell’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia68in Agenzia dei diritti fondamentali69.

Ugualmente importante era il ruolo di controllo e vigilanza che il Piano intendeva attribuire ai Parlamenti nazionali, specie sull’attività dell’Europol70.

Nel Programma, vi erano infatti menzionati:  la politica in materia di asilo e frontiere;

 l’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo;  la migrazione legale e la lotta al lavoro sommerso;

 l’integrazione dei cittadini dei pesi terzi;

 il partenariato con i Paesi di origine e di transito per l’adozione di misure di rimpatrio e riammissione;

 la gestione dei flussi migratori;  i controlli alle frontiere;

 l’adozione di una politica comune in materia di visti;  la lotta all’immigrazione clandestina.

68

Istituito dal Regolamento 1035/95 del Consiglio del 2 giugno 1997. 69

Regolamento 168/2007 del Consiglio del 15 febbraio 2007 in GUUE L 53 del 22 febbraio 2007.

70

Antoniello C., Le politiche sull’immigrazione e l’asilo nell’Unione europea:recenti sviluppi, pp.3-4; 5 novembre 2008, articolo consultabile su www.federalismi.it.

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Dei punti citati, sicuramente la migrazione legale rappresentava la sfida più complessa che l’Unione potesse raccogliere nell’ambito delle politiche di immigrazione ed asilo, (materia che comunque rimaneva riservata agli Stati membri in quanto sottratta alla procedura di codecisione71).

71

Decisione del Consiglio 2004/927/CE; art III-267, par 5 della Costituzione europea, art 79, par 5, versione consolidata del Trattato sul funzionamento dell’Unione.

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36

1.7 LA POLITICA IMMIGRATORIA DELL’UNIONE AL 2010

Nel 2005 veniva adottato un Piano di azione sull’immigrazione legale72 che fissava il percorso da seguire fino al 2009, anno di scadenza del Programma dell’Aja. Per quanto atteneva la lotta all’immigrazione clandestina, la cooperazione rientrava soprattutto nella dimensione esterna (controlli alle frontiere, espulsioni, accordi con i Paesi terzi), nella consapevolezza che le differenze di comportamento e di legislazione dei vari Paesi potevano rappresentare un decisivo fattore di attrazione per i flussi immigratori.

Il Piano inoltre si prefiggeva di facilitare l’entrata nell’Unione per motivi di lavoro, attraverso la promozione di direttive per agevolare l’ingresso di lavoratori non solo in possesso di un contratto a tempo indeterminato ma anche stagionale. Allo stesso tempo venivano previste azioni punitive nei confronti dei datori di lavoro che assumevano soggetti clandestini o irregolari, sanzioni civili e amministrative ma che nei casi più gravi si sarebbero potute trasformate in penali.

Il concomitanza ai progressi compiuti verso una politica comune in materia di immigrazione ed asilo, nei medesimi anni si intensificava drammaticamente il fenomeno immigratorio proveniente in particolar modo dai Paesi dell’Africa sub sahariana.

Il 18 giugno 2008 il Parlamento Europeo approvava una versione riveduta e corretta73 di una proposta di direttiva sui rimpatri, elaborata dal Consiglio.

72

COM (2007) 638. 73

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 17 giugno 2008 – Una politica d’immigrazione comune per l’Europa: principi, azioni e strumenti COM (2008) 359 def., non pubblicato in GUCE.

(37)

37

Con essa si stabilivano norme e procedure comuni per gli Stati membri dell’Unione in tema di rimpatrio di cittadini di Stati terzi in posizione irregolare74. Inoltre veniva ribadita la necessità di legiferare sulla materia, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale75. Così accanto a norme restrittive e punitive, si menzionavano anche una serie di garanzie giuridiche per la tutela dell’immigrato76.

Si obbligavano, inoltre, gli Stati membri ad emanare le disposizioni legislative e amministrative necessarie per conformarsi alle direttiva77 entro 24 mesi a decorrere dalla data di pubblicazione del documento sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Nella riunione del 15 e 16 ottobre 2008, il Consiglio europeo ritenne che fosse giunto il momento di dare un nuovo impulso alla determinazione di una politica comune in materia di immigrazione che tenesse conto, da un lato, dell’interesse collettivo dell’Unione e, dall’altro, delle specificità dei singoli Stati aderenti.

In quest’ottica il Consiglio decise di adottare in modo solenne il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo78.

Nel documento il Consiglio europeo assunse cinque impegni fondamentali;il primo fu quello di organizzare l’immigrazione legale tenendo conto delle esigenze, priorità e capacità d’accoglienza stabilite da ciascuno Stato membro e favorire l’integrazione.

74

Punto 11 Par. «Libertá sicurezza e giustizia» in Conclusioni della presidenza, consiglio europeo di Bruxelles 19-20 giugno 2008 consultabile su www.consilium.europa.eu.

75

Punto 8, vedi nota 62. 76

Punto 8, vedi nota 62. 77

La direttiva sostituiva le disposizioni degli articoli 23 e 24 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen.

78

Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, Bruxelles, 24 settembre 2008, consultabile su www.register.consilium.europa.eu/pdf/it.

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