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LE POLITICHE IMMIGRATORIE IN ITALIA 3.1 DALL’UNITÁ ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE

R. D L 17 novembre 1938 XVII, n 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana Registrato alla Corte dei conti, addì 18 novembre 1938 XVII Atti del Governo, registro 403,

3.5 LA LEGGE MARTELL

Nel 1989 si registrarono grandi trasformazioni che cambiarono radicalmente lo scenario geo-politico dell’Europa. La caduta della cortina di ferro e il conseguente movimento di popolazione dall’Est modificarono radicalmente la composizione della popolazione immigrata in Italia. La percentuale di stranieri provenienti dai paesi africani, sul totale delle presenze immigrate presenti, diminuì mentre aumentò quella dei cittadini albanesi, rumeni, ucraini, polacchi e di chi fuggiva dalle guerre civili scatenatesi nell’ex Jugoslavia.

Sotto la spinta degli afflussi sempre più massicci di stranieri e di preoccupanti atti di violenza (non ultimo l’omicidio nell’estate del 1989 di Jerry Masslo, figura molto nota nel mondo dei sindacati e dell’associazionismo) il governo decise di intervenire, e nel febbraio 1990 il Parlamento approvò con la maggioranza del 92% dei voti la L. 39, la cosiddetta “Legge Martelli153”, dal nome del Ministro proponente. La legge era composta da 13 articoli che avevano lo scopo disciplinare il fenomeno dell’immigrazione e la condizione giuridica dello straniero. L’articolo 1 di tale legge, conteneva la disciplina basilare della materia riguardante lo status di rifugiato, in precedenza inesistente nella legislazione nazionale poiché «dalla data di

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Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello stato., D.L.30 dicembre 1989 n. 416 in GU n. 303 del 30/12/1989 convertito nella Legge 28 febbraio 1990, n 39 GU, serie gen., n 49, 28 febbraio 1990, c.d. Legge Martelli.

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entrata in vigore del presente decreto cessano nell'ordinamento interno gli effetti della riserva geografica posta dall'Italia all'atto della sottoscrizione della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722 »154 .

Con l’approvazione della legge Martelli, quindi, potevano ottenere lo “status di rifugiato” tutti coloro che possedevano i requisiti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra senza limitazioni di provenienza. Non era consentito «l’ingresso nel territorio dello stato dello straniero» che intendeva «chiedere la qualifica di rifugiato quando:

a) risulti già riconosciuto rifugiato in altro stato;

b) provenga dal territorio di uno stato che abbia aderito alla Convenzione di Ginevra o risulti aver soggiornato per più di due mesi in altro stato ove era protetto dalle persecuzioni; [...]

d) sia stato condannato in Italia per uno dei delitti previsti dall'articolo 380, commi primo e secondo, del codice di procedura penale o risulti pericoloso per la sicurezza dello stato, ovvero appartenga ad associazioni di tipo mafioso o dedite al traffico di stupefacenti»155.

Lo straniero che intendeva varcare i confini dello Stato per essere riconosciuto come rifugiato doveva «rivolgere istanza motivata e, in quanto possibile, documentata all'ufficio di polizia di frontiera»156.

Con l’articolo 2 venivano introdotte una serie di norme che disciplinavano modalità e condizioni per l’ingresso regolare dello straniero nel territorio dello Stato. La legge indicava i motivi che potevano giustificare l’ingresso: i «cittadini stranieri extracomunitari possono entrare in Italia per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o lavoro autonomo, cura»157.

154 Art 1 c. 1. 155 Art 1 c. 4. 156 Art. 1 c 5. 157 Art. 2 c 1.

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Al comma 2 era previsto che entro il 30 ottobre di ogni anno, con decreto ministeriale, venisse determinata l’entità numerica dei flussi d’ingresso in Italia degli stranieri per ragioni di lavoro158, consistenza numerica che doveva tenere conto «della domanda di lavoro interno, della evoluzione del mercato del lavoro nazionale e della capacità di accoglimento del sistema universitario e delle strutture sociali»159.

L’ingresso in Italia per l’immigrato, era subordinato al possesso «di passaporto valido o documento equipollente, riconosciuto dalle autorità italiane, nonché di visto ove prescritto, che siano in regola con le vigenti disposizioni, anche di carattere amministrativo, in materia sanitaria e assicurativa e che osservino le formalità richieste»160. «Il visto di ingresso è rilasciato dalle autorità diplomatiche o consolari competenti in relazione ai motivi del viaggio. Nel visto sono specificati il motivo, la durata e, se del caso, il numero di ingressi consentiti nel territorio dello stato»161.

Gli stranieri che non risultavano in regola con i documenti di ingresso dovevano essere respinti alla frontiera da parte dei competenti uffici di polizia162, inoltre gli uffici dovevano respingere anche quegli immigrati, che benché muniti di visto «risulti siano stati espulsi o segnalati come persone pericolose per la sicurezza dello Stato, ovvero come appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso o dedite al traffico illecito di stupefacenti, nonché gli stranieri che risultino manifestamente sprovvisti di mezzi di sostentamento in Italia»163.

Analogo comportamento veniva adottato, sulla base dell’accordo di Schengen, quando si trattava di stranieri segnalati alla fine della non ammissione,

158 Art. 2 c 2. 159 Art. 2 c. 3 160 Art. 3 c. 1. 161 Art 3 c 2. 162 Art 3 c 4. 163 Art 3 c 5.

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ovvero considerati pericolosi per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di ciascuno degli Stati contraenti.

L’ articolo 3 inoltre prevedeva sanzioni per coloro che compiono «attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello stato in violazione delle disposizioni del presente decreto» che veniva punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire due milioni. «Se il fatto era commesso a fine di lucro, ovvero da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da lire due milioni a lire dieci milioni»164.

L’articolo 4 trattava del «soggiorno dei cittadini extracomunitari nel territorio dello stato», il primo comma infatti definiva chi aveva diritto al soggiorno cioè «gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 3 che siano muniti di permesso di soggiorno»165. Il comma 3 si occupava più specificatamente del permesso di soggiorno che «deve essere richiesto, entro otto giorni dalla data d'ingresso, al questore della provincia in cui gli stranieri si trovino»166, «ha durata di due anni *…+e deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza»167 ed «è prorogabile *…+ competente alla proroga o al rinnovo è il questore della provincia in cui lo straniero risiede o abitualmente dimora»168.

L’articolo 7 illustrava l’espulsione, provvedimento con le quale le autorità indicate dalla Legge Martelli (Ministro dell’Interno169, Giudice170, Prefetto171) disponevano che lo straniero abbandonasse il territorio nazionale entro il termine di quindici giorni dalla notifica del provvedimento stesso, «ovvero che venga 164 Art. 3 c. 6. 165 Art. 4 c. 1. 166 Art. 4 c. 3. 167 Art. 4 c. 4. 168 Art. 4 c. 5. 169 Art. 7 c. 5. 170 Art. 7 c. 4. 171 Art. 4 c. 5.

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accompagnato immediatamente e coattivamente alla frontiera dalla Forza Pubblica»172. I motivi che potevano dar luogo all’espulsione o che la imponevano erano, in genere, infrazioni alle leggi italiane («gli stranieri che abbiano riportato condanna con sentenza passata in giudicato»173), comprese le norme sull’ingresso e il soggiorno174, nonché lo stato d’indigenza e la non liceità delle fonti di sostentamento. Come regola generale però «il questore esegue la espulsione mediante intimazione allo straniero ad abbandonare entro un termine stabilito il territorio dello stato»175, norma che lasciava all’immigrato la libertà di evadere il provvedimento.

Era inoltre prevista l’espulsione con accompagnamento alla frontiera tramite la forza pubblica176, ma vi si faceva ricorso solo in casi speciali autorizzati direttamente dal Ministero dell’Interno per gravi motivo di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, oppure per quelli stranieri che non avevano rispettato la notifica di espulsione ed erano stati catturati dalla polizia.

La debolezza di questa procedura di allontanamento dipendeva da due fattori: da un lato pesava la scarsità delle risorse da investire per l’accompagnamento oltre i confini, e da un altro era il riflesso di una generale volontà permissivista della classe politica e delle forze sociali. Ovviamente l’incertezza sulla reale esecutività dei provvedimenti, rendeva vana qualsiasi politica di controllo alle frontiere e destinava qualsiasi politica dell’immigrazione al fallimento.

Infine il cittadino straniero una volta espulso, non poteva fare rientro in Italia senza la speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno prevista dall’articolo 151 del T.U.L.P.S. In generale «lo straniero espulso è rinviato allo stato di appartenenza 172 Art. 7 c. 7. 173 Art. 7 c. 1. 174 Art. 7 c. 2. 175 Art. 7 c. 7. 176 Art. 7 c. 1.

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ovvero, quando ciò non sia possibile, allo stato di provenienza, salvo che, a sua richiesta e per giustificati motivi, l'autorità di pubblica sicurezza ritenga di accordargli una diversa destinazione, qualora possano essere in pericolo la sua vita o la sua libertà personale per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali»177.

L’articolo 9 si occupava della «regolarizzazione dei cittadini extracomunitari già presenti nel territorio dello stato» che «entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto» dovevano «regolarizzare la loro posizione relativa all'ingresso e soggiorno, richiedendo all'autorità di pubblica sicurezza il permesso di soggiorno»178. A questo scopo gli interessati erano «tenuti a presentarsi agli appositi uffici delle questure o dei commissariati di pubblica sicurezza territorialmente competenti, muniti di passaporto o di altro documento equipollente»179.

La regolarizzazione, che rappresentava la misura più importante del decreto, fu la più consistente mai concessa in Italia, essendo aperta a lavoratori dipendenti o autonomi, disoccupati (che venivano autorizzati a iscriversi al collocamento), a familiari di stranieri già presenti e a richiedenti asilo. Le Regioni, in collaborazione con i Comuni maggiormente toccati dal fenomeno, immigratorio, diventarono destinatarie di contributi statali per la realizzazione di centri di prima accoglienza e di servizi per gli stranieri180.

In generale la legge Martelli migliorava e definiva la situazione legislativa degli immigrati, dei loro familiari e dei richiedenti asilo, abrogando le misure del Testi Unico dei Pubblica sicurezza del 1931. Allo stesso tempo però la mancanza di una vera volontà ad allontanare gli immigrati che non avevano il diritto alla permanenza, e il ricorso alla regolarizzazione, fungevano da richiamo per chi era 177 Art. 7 c. 6. 178 Art. 9 c. 1. 179 Art. 9 c. 2. 180 Art. 11 e art. 12.

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all’estero ed era in procinto di emigrare. Infatti nel periodo successivo all’entrata in vigore della legge, aumentarono a dismisura i flussi irregolari di stranieri.

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