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3. La responsabilità del medico sperimentatore

3.1. Definizione della categoria

La qualifica di medico sperimentatore può essere attribuita a tutti i soggetti coinvolti nell’attività di sperimentazione, considerati medici in base alla definizione del diritto nazionale, nonché le persone «la cui professione è

riconosciuta dallo Stato membro interessato come abilitante al ruolo di sperimentatore, data la necessità di conoscenze scientifiche ed esperienza nel campo dell'assistenza dei pazienti»401.

Il Regolamento n. 536 del 2014402 impone che nel dossier di sperimentazione siano elencati «il nome e la funzione degli sperimentatori

principali», cosicché il giudizio autorizzatorio dello Stato interessato e del

Comitato etico incaricato si possa estendere anche all’idoneità dei professionisti coinvolti. In particolare, si prescrive che «la qualifica degli sperimentatori è

descritta in un curriculum vitae aggiornato e in altra documentazione pertinente. Va descritta ogni precedente formazione sui principi della buona pratica clinica o qualsiasi esperienza lavorativa nel campo delle sperimentazioni cliniche e dell'assistenza dei pazienti. Sono illustrate le situazioni, come gli interessi economici e le affiliazioni istituzionali, che potrebbero condizionare l'imparzialità degli sperimentatori»403.

Nel nostro ordinamento, il d.lgs. 2007, n. 200, formalmente non abrogato dal Regolamento404, definisce lo «sperimentatore» come «un medico o

un odontoiatra qualificato ai fini delle sperimentazioni, responsabile dell'esecuzione della sperimentazione clinica in un dato centro». Nella

trattazione dedicata alla responsabilità del medico nel contesto in esame è allora possibile riferirsi alla figura del comune professionista sanitario, qualificato da

401 Art. 49 del Regolamento n. 536 del 2014, rubricato «Idoneità degli individui

coinvolti nella conduzione della sperimentazione clinica».

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Allegato I, punto M, del Regolamento n. 536 del 2014. 403 Allegato I, punto M, del Regolamento n. 536 del 2014.

404 Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 200, Attuazione della direttiva 2005/28/CE

recante principi e linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano, nonché' requisiti per l'autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali. La direttiva

2005/28/CE risulta ancora vigente in quanto, a differenza della 2001/20/CE, è relativa ad un profilo specifico della sperimentazione, ossia l’applicabilità alla stessa delle norme di buona pratica clinica.

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una determinata specializzazione, anche con riferimento al contenuto dei doveri dei quali questo si fa portatore nei confronti del paziente.

L’art. 3, comma 12, del suddetto decreto, precisa infatti che «le cure

mediche prestate ai soggetti in sperimentazione e le decisioni di natura medica prese nel loro interesse ricadono sempre sotto la responsabilità di un medico qualificato o, se del caso, di un odontoiatra qualificato». La circostanza che

l’attività professionale sia svolta parallelamente ad un’attività di ricerca, dunque, non esonera in alcun modo il medico dalle responsabilità connesse al proprio operato, piuttosto la arricchisce di contenuti.

Invero, il ruolo del medico sarà sempre ascrivibile alla sequenza

standard articolata in diagnosi, cura e monitoraggio della patologia, ma

all’ovvia constatazione che il trattamento prescritto non è ancora validato, si aggiungono tutta una serie di profili etico-giuridici che incidono profondamente sulla valutazione della responsabilità del medico nei confronti del paziente. Si pensi alle conseguenze che derivano da un’errata diagnosi, alla quale seguirà non solo un trattamento inidoneo rispetto all’effettiva patologia sofferta, ma anche l’esposizione ad un rischio non necessario in considerazione dell’incertezza scientifica.

Un altro peculiare effetto che la diagnosi del medico è idonea a generare è la decisione di assegnare il paziente al gruppo sperimentale o al gruppo placebo, al quale la terapia oggetto di studio viene negata. La scelta del trattamento implica poi considerazioni più ampie che impongono una valutazione rischi/benefici maggiormente difficoltosa rispetto a quella che il medico è chiamato ad operare in presenza di rischi noti in quanto elencati nel foglietto illustrativo del farmaco o perché diffusi nel sapere scientifico consolidato.

Una trattazione a sé stante merita poi il ruolo del consenso del paziente che, com’è stato sostenuto, «in quest’ambito è ancor più disinformato» di quanto non lo sia in presenza di una terapia ufficiale405. Infine, anche il monitoraggio degli esiti del trattamento implicherà valutazioni proprie, come ad esempio l’opportunità di iniziare a somministrare al paziente la cura effettiva, sottraendolo al cd. gruppo di controllo trattato con il placebo, ovvero

405

FIORI A., Medicina legale della responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 1999, p. 184.

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disattendere il protocollo clinico, interrompendo il trattamento prima del tempo o modificando le dosi, in considerazione delle peculiarità del caso concreto.

Anche la decisione del medico di tornare ai metodi di cura ordinari in presenza di una reazione avversa, o comunque di una mancata risposta positiva alle cure sperimentali, potrebbe non essere così scontata. Si deve infatti tener conto che simile ripensamento porta con sé una rinuncia alla contribuzione al progresso scientifico, una resa della scienza di fronte ad un’esigenza della salute non pienamente soddisfatta dai metodi noti.

Il discorso sarà poi parzialmente diverso per la sperimentazione clinica conoscitiva (o pura), la quale, soprattutto se eseguita su volontari sani, merita una disciplina più rigorosa, in quanto non diretta a soddisfare l’interesse del soggetto passivo406.

Il medico sperimentatore, tuttavia, non è lasciato solo di fronte ad un quadro etico e professionale così complesso. Da un lato, il codice di deontologia medica, nella sua più recente versione, gli impone di garantire che «il soggetto

reclutato non sia sottratto a consolidati trattamenti indispensabili al mantenimento o al ripristino dello stato di salute» e, come evidenziato

poc’anzi, il d.lgs. 200 del 2007, fa salva la responsabilità del medico qualificato,

sub art. 3, comma 12.

Dall’altro l’attività del medico sperimentatore si inserisce pur sempre in un contesto plurisoggettivo connotato dalla presenza di altri agenti con compiti specificamente normati e dal necessario rispetto della documentazione interna (il protocollo, il dossier per lo sperimentatore, il fascicolo permanente per la sperimentazione clinica, le indicazioni del promotore circa le reazioni avverse…).

A riguardo, l’art. 3, comma 7 impone che la sperimentazione sia condotta «in conformità al protocollo che abbia preventivamente ricevuto il

parere favorevole di un comitato etico indipendente e che definisca, tra l'altro, i criteri di inclusione ed esclusione dei soggetti della sperimentazione clinica, il monitoraggio e gli aspetti concernenti la pubblicazione dei dati. Lo sperimentatore e il promotore tengono conto di tutte le indicazioni relative all'avvio e alla realizzazione della sperimentazione clinica espresse dal Comitato etico e dall'Autorità competente».

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Mentre il Regolamento n. 536 del 2014 precisa, all’art. 47, che «il

promotore e lo sperimentatore, nel redigere il protocollo e nell'applicare il presente regolamento e il protocollo, tengono altresì opportunamente conto degli standard di qualità e delle linee guida di buona pratica clinica».

Il promotore è inoltre onerato della redazione del dossier per lo sperimentatore, allo scopo di «fornire agli sperimentatori e alle altre persone

coinvolte nella sperimentazione clinica informazioni volte a facilitare la comprensione del razionale delle caratteristiche essenziali del protocollo, quali la dose, la frequenza/l'intervallo di dosaggio, i metodi di somministrazione e le procedure di monitoraggio della sicurezza, e ad agevolare il rispetto di tali caratteristiche»407.

Ci si deve allora chiedere quale sia la concreta incidenza di tali documenti nella valutazione della condotta del medico che abbia avuto un esito infausto e, in particolare, se gli sia concesso di discolparsi semplicemente provando di essersi attenuto al protocollo in un caso concreto che non sembrava richiedere di disattenderlo. Per rispondere al quesito si deve tuttavia partire da un preliminare inquadramento della natura della responsabilità dello sperimentatore, alla luce dei più recenti interventi normativi e giurisprudenziali.

In ultima analisi, si procederà a verificare se i dilemmi etici e le considerazioni in tema di responsabilità civile che concernono il medico sperimentatore propriamente inteso presentano profili di analogia con quelle riferibili al professionista che proceda alla prescrizione di farmaci al di fuori dell’indicazione terapeutica autorizzata ovvero di trattamenti ancora in fase sperimentale, come cure compassionevoli.