3. La responsabilità del medico sperimentatore
3.4. Singole ipotesi di responsabilità tra normativa
La responsabilità del medico nel contesto sperimentale presenta profili peculiari non solo per l’assenza di dati scientifici sufficienti a fare affidamento sull’efficacia e la non pericolosità della terapia, ma anche per la presenza di una serie di fonti di regolazione che si affiancano a quelle più genericamente dedicate all’attività medica.
L’analiticità del legislatore tende allora, in un certo senso, a compensare l’incertezza della scienza, cosicché il medico possa agire serenamente possibile attenendosi alle norme dedicate alla sua attività. Infatti anche se i precetti e le regole deontologiche non sono vere e proprie norme di diritto positivo nazionale, non provenendo da una fonte di produzione normativa statale, costituiscono pur sempre dei principi posti alla base dell’operare medico. Di tali norme, l’ordine professionale si fa esclusivo garante e destinatario. Per il giudice rappresentano invece puntuali riferimenti ai fini dell’individuazione della responsabilità del medico481.
L’art. 6 della legge Gelli identifica nel rispetto delle linee guida, pubblicate ai sensi della stessa legge, «ovvero, in mancanza di queste, delle
buone pratiche clinico-assistenziali», una causa di non punibilità in sede
penale 482 . L’art. 7, comma 3, precisa poi che, in sede civile, nella determinazione del risarcimento del danno, il giudice «tiene conto della
condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della
480 Cfr.. G
UIDI B.,NOCCO L., DI PAOLO M., La prescrizione off-label: dentro o fuori la
norma?, in Resp. civ. prev., 2010, 10, p. 2167.
481 Cfr. P
UCCINI C., Istituzioni di medicina legale, Giuffrè, Milano, 1984, p. 684. 482
«Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa
quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico- assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto ».
172
presente legge e dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge», ossia tiene conto del rispetto delle
suddette linee guida, le quali verranno prossimamente emanate nel rispetto dell’art. 5 dello stesso testo.
Un primo rilievo va mosso con riferimento al fatto che la disposizione della legge n. 24/2017 si serve delle linee guida e delle buone pratiche clinico- assistenziali come parametro per la determinazione del risarcimento del danno e non come parametro di accertamento della colpevolezza, intesa come fondamento della stessa responsabilità del sanitario483.
Già la legge Balduzzi e la Suprema Corte consideravano le linee guida non idonee ad escludere la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 2043 c.c., attribuivano comunque loro un ruolo fondamentale nell’accertamento del grado della colpa484
.
A riguardo, nella giurisprudenza di merito è stato affermato che «in
materia di responsabilità medica, il fatto che il professionista si sia attenuto alle linee guida non esclude la sua colpa, specie se un particolare quadro clinico impone di discostarsene. Ed infatti, le predette linee guida che sono mere raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, hanno un fondamento statistico e, dunque, carattere di generalità, con la conseguenza che le stesse sono smentibili dal quadro clinico concreto, atteso che il paziente è un malato, e non già una malattia, con la propria personale specificità»485.
A contrario, in sede di azione amministrativa nei confronti del sanitario dipendente pubblico, la Corte dei Conti ha chiarito che «nel caso della
responsabilità amministrativa per danno sanitario va dimostrata la colpa grave del convenuto nel caso specifico, e pertanto vanno indicati gli elementi di prova in base ai quali, sul caso concreto, l'accusa ritiene che vi sia stata violazione delle buone pratiche mediche; pertanto non appare corretto ritenere che
483 Per un approfondimento circa la ratio della scelta legislativa cfr. N
OCCO L., La
responsabilità civile “canalizzata” verso le aziende e i nuovi filtri per la proponibilità della domanda risarcitoria, cit., p. 41. Sul tema, in generale cfr. MONATERI P.G.- ARNONE G.M.D.- CALCAGNO N., Il dolo, la colpa e i risarcimenti aggravati alla
condotta, Giappichelli, Torino, 2015.
484 Cfr. Cass. civ., sez. VI, 17 aprile 2014, n. 8940, in Giur. It., 2014, 5, 1109 nota di CARRATTA.
485
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l'esistenza di particolari linee guida che si pongono, in astratto, in contrasto con la condotta del medico nel fatto che ha determinato una lesione al paziente sia di per sé sufficiente a dimostrare che la condotta del sanitario è stata sicuramente connotata da colpa grave»486.
Quindi, se, da un lato, l’attenersi alle linee guida non permette di escludere la colpa del medico ai fini della responsabilità civile, dall’altro, nel giudizio instaurato con un’azione amministrativa davanti alla Corte dei Conti, per dichiarare la colpa grave, non è sufficiente nemmeno provare che il medico si sia discostato dalle stesse. Il richiamo operato dalla legge Gelli alla colpa grave potrebbe forse essere letto proprio come un’estensione ex lege del regime amministrativo della responsabilità erariale, a quello privatistico relativo alle azioni di rivalsa e di surrogazione.
Con specifico riguardo alla sperimentazione, il problema consiste allora nel chiedersi se l’osservanza delle norme di buona pratica clinico-assistenziale affiancata dal rispetto del protocollo possa risultare sufficiente ad escludere, non tanto la colpevolezza del medico (in quanto in tal caso la risposta sarebbe certamente negativa), quanto piuttosto la gravità della stessa ai fini di un’efficace esperimento dell’azione di rivalsa da parte dello sperimentatore/istituzione.
Per risolvere il quesito ci si deve calare nella concretezza del contesto sperimentale, nel tentativo di chiarire quali siano le ipotesi dalle quali possa effettivamente scaturire una responsabilità del medico.
Procedendo per esclusione, saranno verosimilmente da rigettare quelle azioni di regresso intentate dal promotore per rivalersi sul medico in ragione del risarcimento elargito rispetto ad un danno cagionato da un’intrinseca dannosità del farmaco. Sembra infatti molto difficile ipotizzare che, una volta ottenuta l’approvazione del Comitato etico, il medico, con la diligenza e la perizia del buon professionista possa rinvenire nella sostanza una pericolosità fino a quel momento ignorata, salvi i casi in cui la dannosità fosse riconoscibile in considerazione delle modalità con le quali il farmaco era stato conservato o maneggiato successivamente alla sua messa a disposizione da parte del promotore.
486
Corte dei Conti, Emilia-Romagna Sez. giurisdiz. Delibera, 07 aprile 2016, n. 49, in
174
In quest’ultima ipotesi potrebbe peraltro ravvisarsi una responsabilità del primario, considerata dalla giurisprudenza una responsabilità per colpa presunta487 e ravvisabile sia sotto il profilo della “colpa professionale” per omessa vigilanza sull’attività dei propri subordinati, sia “sul piano gestionale e organizzativo” per avere omesso di adottare linee programmatiche e di indirizzo per il personale sanitario488.
Inoltre, si deve escludere a priori che il medico possa essere chiamato a rispondere per colpa grave in tutti quei casi in cui vi era un vizio nel protocollo, non identificabile con la consueta diligenza489. Infatti, vi sono una pluralità di fonti che gli impongono di attenersi al protocollo, prime fra tutte le Good
clinical practice che al punto 2.6 prescrivono che lo studio venga «condotto in
conformità al protocollo che abbia preventivamente ricevuto
approvazione/parere favorevole di una commissione di revisione dell’istituzione o di un comitato etico indipendente».
La stessa fonte, al punto 4.5.2., vieta addirittura allo sperimentatore di «attuare alcuna deviazione dal protocollo né modifica dello stesso senza
accordo con lo sponsor e senza previa revisione ed approvazione/parere favorevole documentati da parte del Comitato etico della modifica, eccetto quando ciò sia necessario per eliminare un rischio immediato per i soggetti oppure quando i cambiamenti implicano solo aspetti logistici od amministrativi dello studio (ad es. cambiamento del responsabile del monitoraggio, cambiamento del recapito telefonico)».
Anche in questa fattispecie, dunque, nel valutare il grado di colpevolezza del singolo sanitario, si dovrà tener conto dell’elevato grado di preparazione, non solo del soggetto che stila il protocollo, ma anche del
487 Cfr. Cass. civ. Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22338, in Ragiusan, 2015, 369-370, pp. 144 ss..; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2010, n. 24144, in Danno e Resp., 2011, 3, pp. 328 ss.; Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4058, in Guida al Diritto, 2005, 16, pp. 67 ss..
488 Per un approfondimento sulla responsabilità del primario cfr. D
E MATTEIS R., La
responsabilità del primario tra passato e futuro, in Danno e resp., 2011, p. 1214. La
diligenza dello stesso è valutata con riferimento all’adempimento degli obblighi che gli vengono imposti dalla normativa speciale. Questa è rappresentata dal d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, come modificato dal d.lgs. n. 502/1992. Altre disposizioni gli attribuiscono poi specifici obblighi, quali l'efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite (d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dal d.lgs. n. 229/1999); la vigilanza sul corretto espletamento dell’attività del personale assegnato (CCNL 17 ottobre 2008); la valutazione, gestione ed attuazione delle misure di controllo dei rischi (d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81).
489
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Comitato etico chiamato a vagliarlo. Quest’ultimo è, in particolare, un organo plurisoggettivo e misto, il cui complessivo livello di preparazione tecnico- scientifica è presumibilmente più elevata di quella esigibile dal professionista medio.
Tuttavia, è stato giustamente osservato che l’elevato grado di diligenza richiesto dalla pericolosità dell’attività in esame non permette di esimere il medico da responsabilità qualora «quest’ultimo abbia omesso di evidenziare vizi
del protocollo che sarebbero stati identificabili adottando la diligenza richiesta dalla criticità della prestazione effettuata»490. Infatti lo stesso art. 48 del Codice di deontologia medica del 2014 chiama il medico ad attuare sull’uomo le sole «sperimentazioni sostenute da protocolli scientificamente fondati e ispirati al
principio di salvaguardia della vita e dell'integrità psico-fisica e nel rispetto della dignità della persona». Il principio è peraltro ribadito, in via quasi
ridondante, dall’articolo seguente che recita: «il medico propone e attua
protocolli sperimentali clinici a fini preventivi o diagnostico-terapeutici su volontari sani e malati se sono scientificamente fondati la loro sicurezza e il razionale della loro efficacia».
Il legittimo affidamento consentito al medico sul vaglio operato dal Comitato etico è allora, nel nostro ordinamento, soltanto parziale, in quanto il professionista è deontologicamente chiamato ad accertare in prima persona non solo la fondatezza scientifica del protocollo, ma anche l’idoneità della sperimentazione così formulata a tutelare i diritti individuali del singolo paziente. Chiaramente, nel caso in cui il danno sia causalmente riconducibile ad una carenza del protocollo, il medico potrà essere al più chiamato a rispondere solidalmente, ai sensi dell’art. 2055 c.c., con la struttura e con il promotore, mentre difficilmente potrà essere escusso in sede di rivalsa per colpa grave.
Particolarmente conveniente per il promotore potrebbe poi risultare, sempre in sede di regresso, la dimostrazione che il medico sia venuto meno all’obbligo di segnalazione di eventi avversi491
, impostogli dallo stesso
490 M
ASSIMINO F., op. ult. cit., p. 959.
491 Si noti come la definizione che il glossario delle Good clinical practice dà, al punto 1.2, di evento avverso è particolarmente ampia, potendosi trattare di «qualsiasi episodio
sfavorevole di natura medica che si verifichi in un paziente o in un soggetto partecipante in una sperimentazione clinica al quale sia statosomministrato un prodotto farmaceutico e che non deve avere necessariamente una relazione causale con tale trattamento». Si chiarisce infatti che «un evento avverso (AE) può quindi essere un
176
Regolamento 536/2014. Infatti il considerando n. 40 chiarisce che «per
consentire al promotore di valutare tutte le informazioni in materia di sicurezza potenzialmente pertinenti, lo sperimentatore dovrebbe, come regola, comunicare al promotore tutti gli eventi avversi gravi».
Il promotore potrebbe inoltre fare leva sull’art. 41492, il quale impone allo sperimentatore una serie di obblighi di segnalazione di eventi avversi, anche se verificatisi successivamente alla formale conclusione della sperimentazione clinica, facendo salve diverse disposizioni del protocollo. In virtù della formulazione dell’art. 41 sembra che l’obbligo di segnalazione possa definirsi come una vera e propria obbligazione scaturente dal rapporto contrattuale che lega il promotore e lo sperimentatore.
Se, dunque, il promotore dimostrerà che l’aggravamento del danno per il paziente stesso, o il patimento dello stesso da parte di pazienti diversi, si sarebbe potuto evitare attraverso l’adempimento diligente dell’obbligazione da parte del sanitario493, in base all’attuale impostazione legislativa494, la struttura risponderà ai sensi dell’art. 1228 c.c. nei confronti dello sponsor e potrà poi decidere di rivalersi nei confronti del medico.
qualsiasi segno (compreso un risultato anomalo di laboratorio), sfavorevole o non voluto, sintomo oppure una malattia associata all’impiego del prodotto medicinale (in sperimentazione) per coincidenza temporale, sia essa correlata o meno al prodotto medicinale (in sperimentazione)».
492 Art. 41 del Regolamento n. 536 del 2014: 1.Lo sperimentatore registra e documenta
gli eventi avversi o i risultati anomali di analisi di laboratorio che il protocollo reputa essenziali ai fini della valutazione della sicurezza e li comunica al promotore, in conformità ai requisiti di comunicazione ed entro i termini previsti nel protocollo. 2.Lo sperimentatore registra e documenta tutti gli eventi avversi, salvo diversa indicazione del protocollo. Lo sperimentatore comunica al promotore tutti gli eventi avversi gravi che si manifestano in soggetti che ha trattato nel corso della sperimentazione clinica, salvo diversa indicazione del protocollo. Lo sperimentatore comunica gli eventi avversi gravi al promotore, senza indebito ritardo e comunque entro un termine massimo di ventiquattro ore dopo essere venuto a conoscenza degli eventi, a meno che, per taluni eventi avversi gravi, il protocollo non preveda alcun obbligo di comunicazione immediata. Se del caso, lo sperimentatore trasmette al promotore una relazione di follow-up per consentirgli di valutare se l'evento avverso grave incida sul rapporto rischi/benefici della sperimentazione clinica. 3.Il promotore conserva le registrazioni dettagliate di tutti gli eventi avversi comunicatigli dallo sperimentatore. 4.Se lo sperimentatore viene a conoscenza di un evento avverso grave avente un rapporto causale sospetto con il medicinale sperimentale, che si manifesta dopo la fine della sperimentazione clinica su un soggetto da lui trattato, comunica senza indebito ritardo l'evento avverso grave al promotore
493 Incombe sul promotore, ai sensi dell’art. 1218 c.c., la prova che il danno fosse causalmente riconducibile alla mancata segnalazione.
494
Cfr. l’art. 7 della legge Gelli in materia di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e l’art. 9 relativo all’azione di rivalsa.
177
Nell’alveo della responsabilità dello sperimentatore, residuano certamente tutte le ipotesi, alle quali si è fatto cenno nel paragrafo precedente, in cui questo abbia operato un’errata ponderazione rischi-benefici con specifico riguardo alla personale condizione di salute del paziente. In tal senso, il medico potrebbe essere considerato responsabile per aver sottoposto il paziente ad una determinata terapia anche al di fuori dei casi ammessi dalla specifica normativa in materia di sperimentazione letta congiuntamente con le Good clinical
practice ed il Codice di deontologia medica. Si può peraltro anticipare fin d’ora
che riflessioni analoghe, riferite alla colpa specifica, sono idonee ad essere riproposte anche nel settore degli off label e delle cure compassionevoli495.
Si tratta allora di tutti quei casi in cui, alla luce di un’analisi ex post delle conoscenze scientifiche esigibili dal medico ai sensi dell’art. 2236 c.c. al momento della prestazione, emerga che il paziente meritava un diverso trattamento o, nell’ipotesi più grave, meritava una cura che gli è stata tout court negata. Quest’ultimo, in particolare, è il caso della somministrazione del placebo ad alcuni soggetti, come alternativa alla cura sperimentale, in virtù dell’assegnazione degli stessi al gruppo di controllo. La giustificazione etica del placebo nell’ambito di una sperimentazione clinica è tendenzialmente riconducibile alla necessità di eliminare dalla valutazione di efficacia del farmaco qualunque elemento che non sia rigorosamente attribuibile al farmaco stesso496.
La randomizzazione della distribuzione del trattamento sperimentale tra i vari soggetti passivi coinvolti, implicante il trattamento di alcuni con un farmaco placebo o con la terapia standard, rappresenta infatti una pratica «rispetto alla quale vi dovrà essere la massima consapevolezza del paziente e la
massima attenzione del medico nel modificare drasticamente la prestazione sanitaria in caso di deterioramento delle condizioni cliniche oltre livelli prestabiliti e comunque tollerabili»497.
Lo stesso art. 49, comma 3, del Codice di deontologia medica del 2014, impone al professionista di garantire «che il soggetto reclutato non sia sottratto
495 Il tema verrà approfondito nel paragrafo che segue. 496 L
EONE S., Placebo, in LEONE S.,PRIVITERA S. (a cura di), Dizionario di Bioetica, IDB-ISB, Bologna-Palermo, 1994, p. 720.
497
178
a consolidati trattamenti indispensabili al mantenimento o al ripristino dello stato di salute».
Si è infatti criticamente osservato come la scelta di utilizzare un farmaco placebo, piuttosto che una terapia standard, per il gruppo di controllo, privi i pazienti, nel tempo dell’esperimento, di una terapia alternativa, «il che
risulta eticamente e giuridicamente molto discutibile e comunque inaccettabile nei casi in cui la sospensione della terapia possa arrecare danno al paziente»498.
I trial basati sulla randomizzazione dei pazienti possono infatti rappresentare «un imbroglio ed un danno per i malati arruolati» in quanto tralasciano «il confronto tra la cura nuova ed una efficace già disponibile»499.
Nell’individuare le condizioni di liceità del trattamento placebo, il Comitato nazionale per la Bioetica ha ritenuto che simile pratica sia consentita e raccomandata soltanto qualora manchi una cura accertata per la malattia, in quanto, in tali casi, sarebbe «più etico dare un placebo che un trattamento non
provato»500.
Ulteriori ipotesi in cui la pratica in oggetto sarebbe lecita sono quella in cui il trattamento disponibile sia un farmaco sintomatico per disturbi non gravi, ovvero quella in cui la sospensione temporanea di una terapia non ha conseguenze temibili. Al contrario, qualora esista un farmaco efficace, il confronto sperimentale dovrebbe essere svolto utilizzando questo come termine di paragone piuttosto che il placebo501. Inoltre, viene chiarito che «la
sottrazione di un trattamento attivo va comunque attentamente considerata caso per caso e la possibilità che venga somministrato un prodotto intrinsecamente non efficace va comunicata al paziente per ottenerne il consenso»502.
Coerentemente, l’ Associazione Medica Mondiale (Edimburgo, 7 ottobre 2000) ha approvato una revisione della Dichiarazione di Helsinki, secondo la quale viene autorizzato l'uso di placebo soltanto ove manchino, per il necessario confronto sperimentale, farmaci di provata efficacia terapeutica.
498 F
IORI A., op. ult. cit., p. 176. 499 B
OBBIO M.,CAGLIANO S., Rischiare di guarire, cit., p. 50. 500
Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica ( La Sperimentazione dei Farmaci, ed. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 17 novembre 1992, 34).
501 Q
UARANTA F., La sperimentazione con placebo nuove norme della WMA
(Edimburgo, ottobre 2000), in Riv. it. med. leg. 2001, 3, p. 537.
502
179
Dal punto di vista civilistico, potrà prospettarsi una responsabilità del medico, ogni qual volta le competenze tecniche delle quali disponeva gli permettevano di riconoscere l’esistenza di una terapia efficace che il paziente meritava di ricevere, ovvero di prospettare le conseguenze dannose idonee a scaturire dalla sostituzione della stessa con il placebo. Si dovrebbe invece adottare un atteggiamento più clemente laddove egli abbia dato prova di sufficiente perizia nella scelta di omettere la terapia e si sia attenuto al protocollo predisposto dal promotore. Infatti, tale documento, nel suo contenuto minimo deve contenere «una descrizione delle misure adottate per ridurre al
minimo l'errore sistematico (bias), tra cui i metodi di randomizzazione e cecità, se del caso»503.
Più problematica, risulta, piuttosto, l’eventuale esclusione della responsabilità del medico per mera perdita di chances, nell’eventualità in cui il paziente assegnato al gruppo di controllo, e quindi trattato con placebo o con la terapia tradizionale, non abbia subito alcun peggioramento della propria condizione, ma non abbia nemmeno beneficiato dei miglioramenti eventualmente riscontrati nel gruppo sperimentale.
Da un lato, si potrebbe ritenere che, una volta che il paziente abbia sottoscritto la propria adesione alla sperimentazione, dichiarando di essere a conoscenza della possibilità di essere collocato in un gruppo di controllo, non potrà far valere una violazione del proprio diritto all’autodeterminazione, in quanto, in presenza del consenso «l'uso del placebo non può essere considerato