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Sperimentazione clinica e terapia innovativa: profili di responsabilità tra codice civile, normativa di settore e deontologia medica.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Sperimentazione clinica e terapia innovativa:

profili di responsabilità tra codice civile,

normativa di settore e deontologia medica

Candidata Relatrice

Francesca Grotteria Chiar.ma Prof.ssa Grazia Ceccherini

Controrelatore

Chiar.mo Prof. Giovanni Comandè

Anno accademico

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(3)

3 Indice analitico

Introduzione ... 4

1. I riferimenti normativi della sperimentazione terapeutica ... 12

1.1. Contenuto e limiti dell’attività sperimentale ... 12

1.2. Le sperimentazioni a basso livello di intervento e le terapie innovative ... 29

1.3. Al confine tra cura e sperimentazione: i trattamenti compassionevoli... 41

1.4. L’accesso ai risultati della sperimentazione ... 48

1.5. Il profilo assicurativo ... 56

1.6. Meccanismi di ristoro alternativi al risarcimento del danno ... 83

2. I profili di responsabilità in prospettiva piramidale ... 99

2.1. Precisazioni sul metodo... 99

2.2. La natura dell’attività e la responsabilità dello sponsor ... 101

2.2.1. La natura pericolosa dell’attività ... 101

2.2.2. L’applicabilità del Codice del consumo ... 116

2.2.3. L’ipotesi del concorso tra più titoli di responsabilità ... 125

2.3. Il titolo ed il contenuto della responsabilità dello sponsor e della struttura ... 137

3. La responsabilità del medico sperimentatore ... 145

3.1. Definizione della categoria ... 145

3.2. La natura della responsabilità ... 148

3.3. La colpevolezza: tra perizia e imprudenza ... 161

3.4. Singole ipotesi di responsabilità tra normativa speciale e regole deontologiche ... 171

3.5. La colpa nella prescrizione off label e nelle cure compassionevoli ... 186

3.6. La colpa professionale nelle attività pericolose ... 202

3.7. La prescrizione off label negli Stati Uniti ... 208

Conclusione ... 225

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4

Introduzione

Il tema della sperimentazione sull’uomo merita, in primo luogo, una definizione. Il termine sembra infatti prestarsi ad apprezzamenti non univoci, in quanto può essere genericamente riferito all’utilizzo sia di nuove tecniche medico-chirurgiche sia di nuovi farmaci direttamente sulla persona1 e, d’altra parte, anche i concetti di “novità” e di “tecniche” sono suscettibili di diverse interpretazioni.

Nel lessico della dottrina medico-legale italiana, anche in considerazione della distinzione operata dalla Dichiarazione di Helsinki2, si è soliti distinguere tra sperimentazione terapeutica o clinica, da un lato, e sperimentazione scientifica, biologica o pura, dall’altro.

Invero, più di recente alcuni Autori hanno iniziato a servirsi dell’attributo “clinica” per designare entrambi i tipi di sperimentazione, al fine di differenziarli da quella preclinica3.

Nel corso dell’elaborato, ci si riferisce alla sperimentazione clinica proprio in quest’ultimo senso, ossia come studio clinico suscettibile di avere sia finalità puramente scientifiche, che direttamente curative, e non dunque nell’esclusiva accezione di “terapeutica”.

La distinzione infatti, certamente esiste, ma non va enfatizzata, in quanto entrambe le sperimentazioni rappresentano fasi di un procedimento unitario, comunque volto alla ricerca scientifica finalizzata, direttamente o

1 B

ELLELLI A., Aspetti civilistici della sperimentazione umana, Cedam, Padova, 1983, p. 1.

2

Dichiarazione di Helsinki (Dichiarazione di Helsinki, adottata nella diciottesima Assemblea Generale della World Medical Association (WMA), tenutasi nel giugno del 1964 ad Helsinki). All’interno dell’introduzione al testo, come revisionato nel 1989, si legge che: «In the field of biomedical research, a fundamental distinction must be

recognized between medical research, in which the aim is essentially diagnostic or therapeutic for a patient, and medical research, the essential object of which is purely scientific and without implying direct diagnostic or therapeutic value to the person subjected to the research».

3T

ERROSI VAGNOLI E., Utilità diagnostica e terapeutica – art. 46, in FINESCHI V. (ed.),

Il codice di deontologia medica, Giuffrè Milano, 1996, pp. 318 ss.. Tuttavia, secondo

altri Autori, il termine «clinico» mantiene un’accezione sinonimica rispetto al significato di «terapeutico». In quest’ultimo senso, cfr. PORTIGLIATTI BARBOS M., La

sperimentazione medica, in GIUSTI G. (ed.), Trattato di Medicina legale e scienze affini, Cedam, Padova, 1998, vol. I, pp. 535.

(5)

5

indirettamente4, alla migliore tutela della salute e poggiano peraltro sugli stessi principi etici fondamentali5.

Il presente studio rinviene allora un suo primo oggetto in quella pratica svolta su soggetti ricoverati in reparti di degenza e sui quali la sperimentazione potrebbe anche compiersi in relazione ad una ricerca del tutto indipendente dalla forma morbosa da cui i pazienti sono affetti ed avere pertanto carattere decisamente non terapeutico6.

L’ulteriore contesto nell’ambito del quale sarà valutato, in particolare, l’operato del medico è la cosiddetta terapia innovativa7

. Il termine sarà utilizzato al fine di distinguere la disciplina della pratica sperimentale, intesa come clinical trial guidata da un protocollo e sottoposta all’approvazione del Comitato etico competente, da quella concernente tutte quelle pratiche che, pur essendo “sperimentali” non sono trial, ossia non risultano procedimentalizzate e finalizzate ad uno scopo specifico8.

Autorevole dottrina ha definito questa seconda categoria come «quella

terapia in senso stretto che, pur potendosi considerare “innovativa” e, secondo un linguaggio più corrente, “sperimentale” in quanto non ancora sottoposta a verifica rigorosa e completa secondo i protocolli prescritti, venga ritenuta dal medico, in un caso singolo o in singoli casi, impiegabile con l’unico specifico obiettivo di procurare al paziente il miglior vantaggio nelle condizioni date»9.

L’attività di sperimentazione clinica e quella di terapia innovativa hanno allora una diversa finalità che corrisponde, sul piano pratico, ad una

4 Cfr. R

ODRIGUEZ D., La sperimentazione nell’uomo, in BARNI M. (a cura di), Bioetica,

deontologia e diritto per un nuovo codice professionale del medico, Giuffrè, Milano,

1999, p. 111. 5

BARNI M., SANTOSUOSSO A. (a cura di), Medicina e diritto – Prospettive e

responsabilità della professione medica oggi, Giuffrè, Milano, 1995, p. 235.

6 La definizione è di R

ODRIGUEZ D., La sperimentazione nell’uomo, cit., p. 111.

7

Sul tema generale cfr. SANTOSUOSSO A., Libertà di cura e libertà di terapia, La

medicina tra razionalità scientifica e soggettività del malato, Roma, Il pensiero

scientifico, 1998. 8 F

IORI A., Medicina legale della responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 174-175, distingue proprio tra sperimentazione sull’uomo a fine specifico propriamente detta e sperimentazione sull’uomo a fine non specifico, comprendendo, all’interno di quest’ultima, più vasta, categoria, tutte quelle pratiche sanitarie che rappresentano «il

dinamismo applicativo di nuove proposte diagnostiche e terapeutiche incessantemente immesse nella professione». Secondo l’Autore, questa categoria assumerebbe il

carattere sostanziale, benché non formale, della sperimentazione sull’uomo nel suo processo di diffusione tra i medici e di conseguente apprendimento scientifico da parte di essi.

9

ZATTI P., Spunti in tema di libertà di cura: tra sperimentazione e terapia innovativa,

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6

diversa caratterizzazione dei soggetti coinvolti, a due (anzi, a più) discipline normative e, dunque, a differenti requisiti di liceità.

La sperimentazione clinica è un processo che mira ad introdurre nuovi contenuti nel campo delle conoscenze scientificamente condivise e, qualora abbia ad oggetto un prodotto farmaceutico, è anche finalizzata all’ottenimento di un’autorizzazione all’immissione in commercio. Risulta allora evidente che proprio simile pratica rappresenta la condizione di accesso del nuovo mezzo terapeutico al sistema sanitario. Al contrario, una terapia praticata in assenza di tale condizione, assumerà appunto la qualifica di “innovativa”, e potrà perciò ambire ad essere ugualmente lecita soltanto nel rispetto della normativa appositamente dettata, nonché del Codice di deontologia medica, il quale impone, tra i vari requisiti indispensabili, anche il consenso informato scritto del paziente.

Proprio il consenso informato, in entrambi i contesti sperimentali, merita una disciplina rafforzata, volta a rendere il paziente effettivamente consapevole dei rischi ai quali va incontro e dell’entità dei benefici che potrebbero compensarli. L’adesione alla terapia deve avvenire in virtù di un onesto confronto con il professionista, senza che questo possa andare esente da responsabilità celandosi «dietro il paravento di un frasario scientifico

scarsamente comprensibile»10.

Sebbene entrambe le attività si caratterizzino per dover fronteggiare il rischio da ignoto scientifico e per trovare il proprio fondamento etico-giuridico nella libera volontà del paziente, non si deve mai perdere di vista il fatto che la procedura sperimentale sia il presupposto dell’attività terapeutica e, pertanto, tale interconnessione non può consentire che «una legittimazione della terapia

innovativa refluisca in un annebbiamento dei compiti e della necessità della sperimentazione»11.

Nel corso dell’analisi, tuttavia, si incorrerà in una casistica che ha reso evidente l’evanescenza di tale distinzione, al punto da rendere insufficienti gli interventi giurisprudenziali e necessario il ricorso allo strumento legislativo,

10B

ARNI M., Diritti- doveri, responsabilità del medico, dalla bioetica al biodiritto, Giuffrè, Milano, 1999, p. 189.

11

ZATTI P., Spunti in tema di libertà di cura: tra sperimentazione e terapia innovativa, cit., p. 883.

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7

finalizzato a ricondurre le ipotesi concrete sui binari della certezza giuridica, con l’introduzione di discipline più o meno specifiche12

.

Invero, negli anni Ottanta, più voci avevano evidenziato l’insufficienza della regolamentazione legislativa a contenere la pratica sperimentale, in considerazione dell’estrema rilevanza del fenomeno in termini sociali, scientifici e culturali13. Si era infatti ritenuto che l’estrema delicatezza della questione e la molteplicità dei profili, talora interferenti con tematiche affini o collegate, richiedesse al legislatore un compito particolarmente arduo ai fini della qualificazione unitaria della fattispecie e della sufficiente autonomia concettuale della stessa14.

Alcuni Autori già presentivano che la disciplina della responsabilità per i danni conseguenti all’attuazione di nuove terapie avrebbe risentito e seguito la corrente delle evoluzioni segnate dalla più vasta problematica dell’illecito civile e penale del medico, faticando invece ad assumere caratteristiche sue proprie15.

Nel decennio successivo è stato poi rilevato che il quadro legislativo e giurisprudenziale non era sostanzialmente mutato, cosicché le denunce della dottrina potevano dirsi ancora attuali16. Tuttavia, come anticipato, la prassi ha avuto un ruolo determinante nel sollecitare improrogabilmente l’intervento del Parlamento, chiamato a giudicare dell’ammissibilità e delle condizioni di liceità di una sperimentazione avente per oggetto un metodo di cura oncologica non ancora riconosciuto dalla medicina ufficiale (il cd. multitrattamento Di Bella)17 ed intervenuto, pertanto, con una legge ad hoc, a consegnare una prima regolamentazione nazionale alla sperimentazione clinica.

Eppure voci autorevoli suggerivano al legislatore di esplicitare, non tanto i canoni di carattere eminentemente tecnico che dovrebbero sovraintendere all’effettuazione di un’attività sperimentale sull’uomo, quanto

12 Il riferimento è al d.l. cd. “di Bella”, ossia Decreto legge 17 febbraio 1998, n. 23. ed all’analitico d.m. 16 gennaio 2015, intervenuto a seguito della cd. vicenda Stamina. 13 Cfr. B

USNELLI F.D., Bioetica e diritto privato, frammenti di un dizionario, Giappichelli, Torino, 2001, p. 222; BELLELLI A., Aspetti civilistici della

sperimentazione umana, Cedam, Padova, 1983, p. 2; SICA S., Sperimentazione umana,

disciplina francese e esperienza italiana, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1990, p.

9. 14

Così SICA S., Sperimentazione umana, disciplina francese e esperienza italiana, cit., p.10.

15 Cfr. B

ELLELLI A., Aspetti civilistici della sperimentazione umana, cit., p. 111. 16

Cfr. BUSNELLI F.D., Bioetica e diritto privato, frammenti di un dizionario, cit. p. 222 17

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8

piuttosto «di istituire un meccanismo di controllo preventivo avente ad oggetto

le garanzie di sicurezza della persona»18.

Si proponeva dunque di superare logiche di controllo puramente amministrativo, basate sul rispetto di una disciplina minuziosa, in quanto tale incapace di reggere gli sviluppi della ricerca biomedica e quindi continuamente bisognosa di aggiornamenti, optando piuttosto per l’affidamento ad organi quali i Comitati etici, idonei ad operare, di volta in volta, una valutazione non solo tecnico scientifica, ma anche etico giuridica circa l’ammissibilità della sperimentazione. Simile organo è stato peraltro previsto per la prima volta nelle

Good clinical practice internazionali, recepite in Italia già nel 199719.

In quest’ottica si auspicava un «futuro normativo europeo», che specificasse e sviluppasse i principi enunciati dalla Convenzione europea di bioetica del 17 novembre 1992, anche al fine di ridurre «le disparità di

trattamento tra paese e paese con riguardo alla protezione della persona umana in un campo particolarmente delicato come quello delle ricerche mediche»20.

Le Istituzioni europee sono effettivamente intervenute a più riprese, optando inizialmente per lo strumento della direttiva, per poi giungere all’adozione del Regolamento n. 536 del 2014, al quale si deve oggi guardare per la disciplina della sperimentazione clinica.

Il presente lavoro si pone proprio l’intento di comprendere se e in che limiti le attuali previsioni legislative siano idonee ad affrontare la complessità dell’attività sperimentale. A riguardo, per quanto siano innegabili i progressi del legislatore nell’assumere la prospettiva del paziente, senza rinunciare alla tutela degli interessi economico-imprenditoriali coinvolti, si può subito osservare che, né la regolamentazione speciale emanata a livello comunitario, né tantomeno la frammentata disciplina italiana, risultano soddisfacenti se lette isolatamente.

La rilevanza degli interessi implicati nell’attività lato sensu sperimentale richiede infatti un’interpretazione sistematica contrassegnata dalla

18 Così B

USNELLI F.D, op. ult. cit., p. 215. 19

Decreto ministeriale, 15 luglio 1997, di recepimento delle Good Clinical Practice:

Consolodated Guidelines, adottate dall’EMEA (Agenzia europea per la valutazione dei

medicinali) nella seduta plenaria del Comitato permanente per i medicinali per uso umano (CPMP) del 17 luglio 1996, documento E6: (CPMP/ICH/135/1995).

20

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9

diversificazione delle fonti normative influenti sia sotto il profilo della loro cogenza, sia per gli interessi di volta in volta tutelati.

Ad un primo, più generale, livello rinveniamo le fonti legislative nazionali ed il citato Regolamento europeo n. 536/2014, affiancati da previsioni di rango primario e secondario ulteriormente speciali, in quanto concernenti le singole tipologie di sperimentazione. Nell’ambito delle fonti di rango primario si rinvengono anche disposizioni dedicate alla prescrizione off label e alle terapie compassionevoli, trattate, in alcuni casi, come materia di confine tra terapia innovativa ed attività di ricerca sull’uomo controllata e procedimentalizzata.

La prima, infatti, si riferisce all’impiego di un farmaco per «un’indicazione

o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata», mentre le terapie compassionevoli,

che richiedono sempre un’autorizzazione specifica21, sono dedicate a quei pazienti «affetti da una malattia cronica o gravemente invalidante o la cui

malattia è considerata potenzialmente letale, e che non possono essere curati in modo soddisfacente con un medicinale autorizzato»22.

Avvicinandoci progressivamente al punto di vista del medico, rinveniamo fonti redatte con il diretto coinvolgimento della comunità scientifica, come le Good clinical practice a livello internazionale ed il Codice di deontologia medica a livello nazionale, le quali assumono il ruolo di parametro ai fini della valutazione di liceità della procedura sperimentale (le prime) e dell’operato medico (il secondo).

In particolare, il Codice di deontologia medica del 1995 ha rappresentato per tre anni l’unica fonte normativa italiana che operava un esplicito richiamo alla sperimentazione, non solo ammettendola, ma anche promuovendola, seppur «nei limiti dei principi generali e specifici

dell’ordinamento giuridico»23 .

All’ultimo livello, si colloca infine il protocollo sperimentale, il quale «descrive l'obiettivo, la progettazione, la metodologia, le considerazioni

21 V. infra, p. 1.3.

22

Definizione contenuta all’art. 83, par. 2, del Regolamento europeo del 31 marzo 2004, n. 726, «che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei

medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'agenzia europea per i medicinali».

23

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10

statistiche e l'organizzazione di uno studio», è necessariamente redatto dal

promotore e sottoposto al vaglio del Comitato etico. Simile documento rappresenta infatti la più analitica mappa che lo sperimentatore deve seguire nello svolgimento della sua attività di ricerca.

Dal punto di vista degli interessi tutelati, è possibile, d’altro canto, individuare alcune fonti legislative degne di separata trattazione per essere precipuamente dedicate al risvolto economico della tutela della salute e della ripartizione dei costi della ricerca.

Infatti, soprattutto al fine di procedere ad un giudizio di liceità della prescrizione off label e delle terapie compassionevoli è quanto mai opportuno distinguere, dalle disposizioni di legge a ciò dedicate, quelle che chiariscono le ulteriori e distinte condizioni in virtù delle quali il farmaco prescritto per l’utilizzo innovativo può essere posto a carico del Sistema Sanitario Nazionale.

In ambito europeo, d’altro canto, non si potrà prescindere da una breve analisi della regolamentazione concernente l’accesso ai dati della sperimentazione clinica, implicante un bilanciamento tra interesse alla progressione della ricerca ed interessi imprenditoriali di tutela della proprietà intellettuale.

Ad un quadro siffatto, nel momento in cui si è chiamati a giudicare la responsabilità dei soggetti agenti nell’attività sperimentale, si dovranno aggiungere le disposizioni dedicate alla disciplina ex post dell’operato medico. Il riferimento è innanzitutto alle norme generali in tema di responsabilità aquiliana e contrattuale di cui al Codice del 1942, nonché quelle speciali, di derivazione europea, in tema di danno da prodotto difettoso, oggi inserite nel Codice del consumo.

Un ruolo di primaria importanza nell’analisi sarà rivestito dagli articoli 2050 e 2236 del Codice civile. Il primo permette infatti di trattare l’attività sperimentale come un’attività pericolosa, il secondo risulta invece imprescindibile per valutare l’operato professionale nell’«ambientazione» creata dal primo24, nella quale trova peraltro spazio, in più declinazioni, il principio di precauzione.

24

L’espressione è di MASSIMINO F., La responsabilità nelle sperimentazioni cliniche, in

(11)

11

L’interesse per la disciplina dell’attività sperimentale è tenuto vivo anche dalle più recenti riforme in tema di responsabilità sanitaria. Proprio il 1° aprile di quest’anno è infatti entrata in vigore la legge Gelli, n. 24 25

, recante «disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita,

nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie».

La versione del testo definitivamente approvata opera peraltro specifici richiami all’attività sperimentale. In particolare, l’art. 7 estende ad essa l’applicazione delle disposizioni concernenti la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, sia diretta ex art. 1218 c.c. che vicaria, ex art. 1228 c.c.; mentre l’art. 10 quelle dettate in tema di oneri assicurativi incombenti sulla struttura medesima.

Infine, non mancherà una pur breve riflessione in ottica comparata sulla perdurante idoneità delle categorie classiche della responsabilità civile, prima fra tutte la colpa, a costituire parametro di spettanza del risarcimento. Si dovrà infatti chiarire se e quando di risarcimento sia ancora opportuno parlare in un contesto, quale quello della responsabilità dello sperimentatore, in cui le esigenze terapeutiche e quelle del progresso scientifico si affiancano all’incertezza del rischio.

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1. I riferimenti normativi della sperimentazione terapeutica

1.1. Contenuto e limiti dell’attività sperimentale

L’elaborazione di una disciplina dedicata all’attività di sperimentazione è resa indispensabile dall’ineliminabile conflitto tra i beni giuridici coinvolti. Il contesto sperimentale è infatti uno degli ambiti della medicina nel quale gli interessi economici, pubblici e privati, affiorano con maggiore prepotenza, rischiando di pregiudicare il diritto tutelato dall’attività medica in via primaria, ossia la salute dell’individuo.

Attualmente, sebbene si assista ad un certo grado di procedimentalizzazione circa l’autorizzazione della sperimentazione clinica ed i ruoli dei soggetti coinvolti, non si trova un riscontro altrettanto chiaro in relazione all’aspetto patologico dell’attività in esame, in particolare, in relazione alla responsabilità del medico sperimentatore. Prima di interrogarsi sul ruolo di quest’ultimo e degli altri agenti coinvolti, pare tuttavia opportuno procedere ad inquadrare la disciplina del contesto in cui questi sono chiamati ad operare, per poi occuparsi delle disposizioni che li riguardano in paragrafi appositamente dedicati.

La pietra miliare nel campo della bioetica della sperimentazione umana è il Codice di Norimberga del 1947, emesso a seguito del processo intentato nei confronti di quei medici che avevano piegato la sperimentazione a pratica criminale a servizio dell’ideologia nazista. Questa fonte, ormai risalente nel tempo, ha introdotto per la prima volta, nell’ambito in esame, il principio del consenso informato, individuandone requisiti e contenuti. In relazione ai primi, si richiede la consapevolezza della scelta, la quale dev’essere informata e scevra da condizionamenti e frodi di alcun genere, mentre, per quanto attiene ai contenuti, già si faceva riferimento a «la natura, la durata e gli scopi

dell'esperimento, il metodo e i mezzi con i quali questo sarà effettuato, gli inconvenienti e i rischi ragionevolmente prevedibili e le conseguenze possibili sulla sua salute e sulla sua persona che potrebbero derivare dalla sua partecipazione all'esperimento».

Mentre il legislatore nazionale si fa attendere, l’Associazione medica mondiale approva la Dichiarazione di Helsinki, individuando i principi

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fondamentali ai quali deve ispirarsi la ricerca clinica e legandola inscindibilmente all’etica e alla deontologia professionale. Il documento è stato per otto volte oggetto di rielaborazione e costituisce tutt’oggi, nella sua ultima versione del 2013, il parametro di riferimento internazionale sui principi etici nella ricerca biomedica.

All’art. 7 della Dichiarazione, infatti, si legge «La ricerca medica è

sottoposta agli standard etici che promuovono e garantiscono il rispetto per tutti i soggetti umani proteggendo la loro salute e i loro diritti». Nel

bilanciamento tra il diritto alla salute ed il progresso scientifico, la scelta pende esplicitamente a favore del primo, come è evidente dalla lettura dell’art. 8 («sebbene lo scopo primario della ricerca medica sia quello di generare nuove

conoscenze, queste non possono prevaricare sui diritti e gli interessi dei singoli soggetti coinvolti nella ricerca») e dell’art. 16, II parte, il quale individua come

presupposto per l’autorizzazione di una sperimentazione sull’uomo la prevalenza dell’importanza dell’obiettivo sui rischi e sugli oneri ai quali i partecipanti andranno incontro.

Qualche disposizione più avanti viene individuato il mezzo attraverso cui questa ponderazione dovrà estrinsecarsi: il protocollo di ricerca. In particolare, si auspica che ogni sperimentazione clinica sia guidata da un documento, il quale, premessi i criteri prescelti per operare l’attività di bilanciamento, dovrebbe proseguire con un’illustrazione de «le informazioni

relative a finanziamento, sponsor, affiliazioni istituzionali, potenziali conflitti di interesse, incentivi previsti per i soggetti e le informazioni relative alle disposizioni per il trattamento e/o il risarcimento ai soggetti che risultano danneggiati a seguito della partecipazione allo studio». I redattori della

Dichiarazione di Helsinki, dunque, individuano nella trasparenza delle informazioni circa i conflitti di interesse un requisito fondamentale per il corretto svolgimento dell’attività di sperimentazione.

A presidio dell’osservanza del protocollo e come garanzia di adeguatezza dello stesso, è previsto un organismo indipendente deputato ad un controllo ex ante ed ex post sull’attività svolta: il Comitato Etico.

La fonte in esame concede poi ampio spazio al ruolo del consenso informato, il quale deve essere espresso dal paziente preferibilmente in forma scritta e deve poter essere ritirato in qualsiasi momento, senza ritorsioni e senza

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14

che venga mai inficiato il rapporto con il medico. Al momento della raccolta del consenso, un ruolo di primo piano è giocato proprio da quest’ultima figura, che rappresenta un anello di congiunzione tra paziente e sponsor della sperimentazione, tra il protocollo di cura e la singola cartella clinica. Come è stato acutamente osservato, infatti, anche in un contesto sperimentale, il paziente dovrebbe sempre avere l’impressione di avere a che fare con un medico-soccorritore, piuttosto che con un medico-ricercatore26.

Questo sentimento di fiducia non deve tuttavia spingersi a condizionare il soggetto nella scelta di aderire o meno alla terapia, in tal senso, si raccomanda al medico di essere «particolarmente cauto e attento se vi è una relazione di

particolare dipendenza tra il medico e l’individuo» 27

. Addirittura, per determinate situazioni, si raccomanda di affidare il compito della raccolta del consenso ad una «persona appropriatamente qualificata che sia completamente

estranea a questa relazione»28.

L’ultima versione del documento in oggetto contempla anche la problematica dell’uso dei placebo. Questi presidi mostrano la loro utilità negli studi sperimentali controllati, nel corso dei quali si prevede l'impiego di due gruppi di pazienti: al gruppo sperimentale viene somministrato il farmaco in studio, al gruppo di controllo il placebo. L'assegnazione di ogni soggetto ad uno dei due gruppi dovrebbe avvenire in modo casuale, attraverso la randomizzazione. La giustificazione etica del placebo coincide con la necessità di pervenire ad una valutazione di efficacia del farmaco che escluda qualunque elemento che non sia rigorosamente attribuibile al farmaco stesso29. La dichiarazione di Helsinki attualmente autorizza l’uso dei placebo solo ove manchino, per il necessario confronto sperimentale, farmaci di comprovata efficacia terapeutica e qualora i pazienti interessati non risultino «esposti a

rischi aggiuntivi irreversibili o a seri danni come conseguenza del non aver ricevuto il miglior trattamento disponibile»30.

26

BOBBIO M.,CAGLIANO S., Rischiare di guarire. Farmaci, sperimentazione, diritti del

malato, Donzelli, 2005, p. 40.

27 Art. 27 della Dichiarazione di Helsinki, adottata nella diciottesima Assemblea Generale della World Medical Association (WMA), tenutasi nel giugno del 1964 ad Helsinki.

28 Art. 27, Dichiarazione di Helsinki. 29 L

EONE S., Placebo, in LEONE S.,PRIVITERA S. (a cura di), Dizionario di Bioetica, IDB-ISB, Bologna Palermo, 1994, 719.

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Questo fondamentale documento di soft law, infine, si conclude con l’art. 37, riservato agli «Interventi non provati nella pratica clinica». E’ significativo l’inserimento di un riferimento all’uso non provato di farmaci nell’ambito della disciplina della sperimentazione, in quanto sembra così porsi sullo stesso piano, perlomeno etico, il coinvolgimento di un paziente in un’attività sperimentale e il trattamento dello stesso con un farmaco, la cui efficacia per la patologia diagnosticata non è provata, in un contesto curativo ed individuale.

In attesa di una legge organica che inquadri il fenomeno della sperimentazione clinica e, più in generale, della ricerca medica sull’uomo31

, si assiste alla comparsa sulla scena di altre fonti para-normative, quali la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e la biomedicina, approvata a Strasburgo dal Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa il 19 novembre 1996, ed il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica32, da contestualizzare, del resto, nella cornice di principi ricavabili dalla nostra Costituzione.

Nel parere del 17 novembre 1992, il Comitato avverte infatti il bisogno di «ribadire i principi fondamentali che permettono di congiungere il progresso

con il rispetto dei diritti umani». Infatti, sebbene si consideri la sperimentazione

umana, non solo lecita, ma «doverosa», non si è miopi di fronte agli interessi economici che vorrebbero indirizzare la ricerca esclusivamente sulle patologie che «assicurano profitti elevati», trascurando quelle meno remunerative, anche se di maggiore gravità. Si ha anche premura di ricordare che la sperimentazione, non solo trova il suo fondamento nella tutela della salute, ma deve anche accompagnarsi al rispetto di un principio generale di solidarietà, «dato che con

la ricerca si raccolgono informazioni che, pur non avendo un’utilità immediata per chi vi si sottopone, entrano a far parte di un patrimonio comune che anticipa l’evoluzione della terapia».

I fondamenti costituzionali della ricerca sull’uomo sono allora evidenti: la ricerca è legittimata ed incentivata dall’art. 9 della Carta Costituzionale, che affida allo Stato il compito di «promuovere la ricerca scientifica e tecnica» ed è orientata e limitata dagli articoli 2 e 32 Cost.. Quest’ultimo articolo tutela la

31 B

USNELLI F. D., Bioetica e diritto privato: frammenti di un dizionario, G. Giappichelli, 2001, p. 208.

32

Comitato Nazionale per la Bioetica, La sperimentazione dei farmaci, 17 novembre 1992.

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16

salute come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», legittimando così il connotato di doverosità attribuito alla ricerca, la quale risulta strumentale rispetto alla promozione del benessere umano; mentre l’art. 2 Cost. permette di legittimare la sperimentazione anche al di fuori di un contesto curativo, in virtù del principio di solidarietà33.

A quest’ultimo proposito, il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica distingue tra sperimentazione conoscitiva, o pura, e sperimentazione terapeutica: quest’ultima arreca un vantaggio diretto al soggetto sottoposto, rappresentando un vero e proprio intervento medico, mentre la prima può avvantaggiarlo solo indirettamente, nel momento in cui il suo contributo risulterà utile al conseguimento di un risultato scientifico suscettibile di applicazione pratica. Solo la sperimentazione conoscitiva è sempre subordinata, oltre che al consenso informato, anche all’approvazione dei Comitati Etici34

. In dottrina si è attribuita rilevante importanza alla distinzione, in quanto funzionale al giudizio di liceità della sperimentazione stessa. Infatti, la prima è consentita solo nella misura in cui il paziente prestante il consenso non corra rischi apprezzabili per la salute, mentre la sperimentazione terapeutica, nella quale l’obiettivo ultimo del progresso scientifico si sposa con il bisogno di cure del soggetto, può essere considerata alla stregua di un atto terapeutico, la cui liceità è ammessa nei limiti in cui «presenti probabilità di successo almeno pari alle

terapie note disponibili per una determinata patologia»35.

Un primo intervento del legislatore nazionale, invero, precede di poco il parere suddetto. Si tratta del d.lgs. 29 maggio 1991, n. 178, il quale recepisce le direttive sulle specialità medicinali per uso umano36, attuato poi dal decreto

33 B

USNELLI F. D., Bioetica e diritto privato, cit., p. 210. 34

Sul tema cfr. MANNA. A., Sperimentazione clinica, in Enc. dir. Aggiorn., vol. IV, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 1122 ss.; L.LENTI -E.PALERMO FABRIS -P.ZATTI (a cura di), I diritti in medicina, Milano, Giuffrè, 2011; G. UMANI RONCHI, G.BOLINO,L. BONACCORSO, La responsabilità professionale nella sperimentazione farmaceutica, in

Riv. it. medicina legale, 2000, 3, pp. 733 ss..; PORTIGLIATTI BARBOS M.,

La Sperimentazione medica, in Trattato di medicina legale e scienze affini, diretto da

GIUSTI G., Cedam, Padova, 1998, pp. 535 ss; GIUNTA F., Lo statuto giuridico della

sperimentazione clinica e il ruolo dei comitati etici, in Dir. pubbl., 2002, pp. 622 ss.;

CHIAIA W., La responsabilità dello sperimentatore nella sperimentazione di farmaci

sull’uomo, in Ragiusan, 2005, fasc. 251, pp. 250 ss..

35 Cfr. G

IUNTA F., Lo statuto giuridico della sperimentazione clinica e il ruolo dei

comitati etici, op cit., p. 629. Il diverso ruolo giocato dal consenso del paziente nelle

due tipologie di sperimentazione cfr. infra, cap. 3, § 3.5 e 3.6. 36

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17

ministeriale 199237. Il decreto rappresenta un tentativo dell’Italia di tenere il passo con il legislatore europeo, rivedendo interamente la materia della produzione e del commercio dei medicinali per uso umano, soprattutto in previsione dell’appuntamento con il mercato unico del farmaco, precursore dell’istituzione della Agenzia europea per i medicinali avvenuta nel 1995.

L'allegato 1 al decreto ministeriale sopracitato, recante "Disposizioni

sulle documentazioni tecniche da presentare a corredo delle domande di autorizzazione all'immissione in commercio 2 di specialità medicinali per uso umano, anche in attuazione della direttiva n. 91/507/CEE", è stato poi sostituito

dall'allegato 1 del decreto ministeriale 15 luglio 1997, il quale, in attuazione del d.lgs. 230 del 1995, recepisce le linee guida dell’Unione Europea di Buona Pratica Clinica (cd. Good clinical practice)38.

E’ allora nel 1997 che l’Italia aderisce a tali standard internazionali di etica e qualità scientifica, istituiti per progettare, condurre e registrare gli studi clinici di aderenza umana. Le linee guida hanno l’obiettivo di fornire uno standard comune non solo all’Unione Europea, ma anche ad altri stati, quali Giappone e Stati Uniti, in modo tale da facilitare la mutua accettazione dei dati clinici da parte delle rispettive autorità regolatorie, in virtù della condivisione di principi etici e metodologici comuni. Dal momento del loro recepimento hanno rappresentato un punto di riferimento fondamentale per la legislazione successiva, sia con riferimento ai principi generali e alle procedure alle quali la sperimentazione deve ispirarsi, sia per l’individuazione di caratteristiche, compiti e responsabilità dei soggetti coinvolti, con particolare attenzione al ruolo del Comitato Etico (IEC) e dello sponsor, ivi dettagliatamente disciplinati. L’ordinamento italiano ha dunque dato un primo segno di concreta ricezione delle Good clinical practice con i decreti ministeriali 15 luglio 1997 e 18 marzo 1998, l’uno istitutivo dei Comitati etici e l’altro attinente ai profili organizzativi degli stessi, introdotti come strumento di chiarezza e di ausilio per

37 Decreto ministeriale 27 aprile 1992, Disposizioni sulle documentazioni tecniche da presentare a corredo delle domande di autorizzazione all'immissione in commercio di specialità medicinali per uso umano, anche in attuazione della direttiva n. 91/507/CEE. 38 Good Clinical Practice: Consolodated Guidelines, adottate dall’EMEA (Agenzia europea per la valutazione dei medicinali) nella seduta plenaria del Comitato permanente per i medicinali per uso umano (CPMP) del 17 luglio 1996, documento E6: (CPMP/ICH/135/1995).

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18

l'operatore sanitario39. Il decreto premette che le suddette linee guida costituiscono parte integrante del testo, in quanto «forniscono orientamenti di

massima integrativi e di maggiore dettaglio per l’istituzione e il funzionamento dei Comitati etici».

Il primo dei due decreti ministeriali, accompagnato dal plauso della dottrina40, provvede inoltre a rendere obbligatoria l’approvazione delle singole sperimentazioni da parte del Comitato etico41, il quale dev’essere istituito «dall’organo di amministrazione delle strutture sanitarie che intendono

eseguire sperimentazioni cliniche dei medicinali»42, secondo le indicazioni fornite dalle stesse Linee Guida ed in base ad una composizione che rispecchi il carattere interdisciplinare della valutazione. Precursori di simili organismi sono in realtà alcune Regioni, quali la Toscana, che negli anni Settanta avevano attribuito al consiglio di amministrazione dell’ente ospedaliero la facoltà di autorizzare lo svolgimento della sperimentazione, solo dopo aver ricevuto il parere favorevole, obbligatorio e vincolante, di una commissione consultiva43.

Al fine di conformarsi agli obblighi comunitari successivamente sorti, il legislatore italiano è poi intervenuto in materia con una serie di decreti legislativi. Il riferimento è al d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211 e al d.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, entrambi attuativi della direttiva 2001/20/CE, nonché al d.lgs. 6 novembre 2007, n. 200, attuativo della direttiva 2005/28/CE. Tra le fonti secondarie, invece, è attualmente in vigore il d.m. dell’8 febbraio 2013.

Alla luce del dato normativo attualmente vigente, possiamo parlare della sperimentazione come un’attività procedimentalizzata, in quanto, secondo le Good Clinical Practice, la cui osservanza in tutte le fasi della sperimentazione è espressamente prevista anche dal più recente d. lgs. n.200 del

39

Circa i compiti di natura giuridica attribuiti dall’ordinamento ai comitati etici e sul problema della responsabilità ascrivibile ai suoi membri si rinvia a EUSEBI L., voce

Comitati etici per la sperimentazione: profili penali, in Trattato di biodiritto, RODOTÀ

S.e ZATTI P.(diretto da), vol. III, I diritti in medicina, L.LENTI,E.PALERMO FABRIS,P. ZATTI (a cura di), Giuffrè, Milano, 2011, pp. 737-750.

40

BUSNELLI F. D., op. cit., p. 216; GABBRIELLI M., Le funzioni medico legali, in AA.VV., Guida all'esercizio professionale per i Medici Chirurghi e gli Odontoiatri, Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 1994, p. 413.

41 L’art. 3, comma 3, del decreto ministeriale 15 luglio 1997 assegna infatti ai Comitati etici indipendenti il compito «di approvare l'esecuzione delle singole sperimentazioni e

i relativi protocolli sperimentali ed i documenti connessi, fatte salve le competenze attribuite al Ministero della Sanità dalla normativa vigente».

42

Art. 3 del decreto del Ministero della Sanità, 15 luglio 1997. 43

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19

2007, all’art. 3, prima di iniziare uno studio, lo sperimentatore deve redigere in maniera chiara e dettagliata un protocollo a cui dovrà rigidamente attenersi una volta approvato dai competenti organismi di controllo44.

Il protocollo, la cui redazione è affidata al promotore45, consiste in un documento «chiaro e dettagliato» deputato a descrivere «l'obiettivo, la

progettazione, la metodologia, le considerazioni statistiche e l'organizzazione di uno studio» e che «solitamente fornisce anche le informazioni di base e il razionale di uno studio clinico, che possono essere anche contenuti in altri documenti a cui fa riferimento il protocollo», il quale può peraltro fungere da

base per il contratto di sperimentazione, che è invece funzionale a definire «la

distribuzione delle mansioni e degli obblighi con le eventuali deleghe e, se del caso, gli aspetti finanziari» della sperimentazione46. Il d.m. 21 dicembre 2007 ha successivamente specificato che il protocollo deve contenere anche una previsione dei rischi e dei benefici; una valutazione etica della sperimentazione; le modalità di prestazione del consenso, incluse quelle speciali per soggetti incapaci; la lista dei sottostudi e dei centri in cui vengono condotti.

Lo stadio successivo coincide con il parere favorevole richiesto al Comitato etico sul protocollo. Simile organismo è definito all’art. 1, lett. d) del d.lgs. 200 del 2007 come un organismo indipendente, composto da personale

sanitario e non, che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela, esprimendo, ad esempio, un parere sul protocollo di sperimentazione, sull'idoneità degli sperimentatori, sulla adeguatezza delle strutture e sui metodi e documenti che verranno impiegati per informare i soggetti e per ottenerne il consenso informato; che svolga i compiti di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, alle norme di buona pratica clinica definite nell'allegato 1 al decreto del Ministro della sanità in data 15 luglio 1997, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 191 del 18 agosto 1997 e al

44 Il d.lgs. 6 novembre 2007, n. 200, all’art. 1, lett. n), definisce lo sperimentatore come «un medico o un odontoiatra qualificato ai fini delle sperimentazioni, responsabile

dell’esecuzione della sperimentazione clinica in un dato centro».

45 Il d.lgs. 6 novembre 2007, n. 200, art. 1, lett. m) definisce il promotore «una società,

istituzione oppure un organismo che si assume la responsabilità di avviare, gestire ed eventualmente finanziare una sperimentazione clinica».

46

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20

decreto del Ministro della salute in data 12 maggio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 194 del 22 agosto 2006»47.

Una volta ottenuto il parere favorevole del Comitato, parere peraltro obbligatorio e vincolante, il promotore, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211, dovrà richiedere l’autorizzazione all’autorità competente, ossia il Ministero della salute48.

Il Comitato Etico ed il Ministero della salute mantengono, peraltro, un ruolo attivo durante l’intero svolgimento del percorso sperimentale. Infatti, nel

corpus normativo di riferimento è possibile individuare alcune ipotesi in cui il

parere e l’autorizzazione vengono revocate. In particolare, la sperimentazione può essere vietata o sospesa, «qualora il comitato etico abbia ragioni obiettive

di ritenere che siano venute a mancare le condizioni della domanda di autorizzazione» o «qualora sia in possesso di informazioni che possano sollevare dubbi sul piano scientifico o sulla sicurezza della sperimentazione clinica».

Per le medesime ragioni, anche il Ministero della Salute può disporre la revoca della medesima dandone notifica al promotore della sperimentazione, in modo che la sperimentazione venga sospesa o vietata49. Almeno in linea teorica,

dunque, sembra possibile ritenere che la sperimentazione sia sottoposta a controlli realizzati in momenti diversi, concernenti una pluralità di aspetti e attraverso un vaglio multilivello.

Un’ulteriore garanzia di obiettività e correttezza metodologica ed etica della sperimentazione farmaceutica è rappresentata dalla disciplina del consenso informato. A riguardo, non si può trascurare di segnalare come, alla fine degli anni Novanta, una nuova fonte di soft-law internazionale abbia arricchito il

47 Sul ruolo dei Comitati Etici cfr. I

MMACOLATO M.,MORI M., Comitati etici per la

sperimentazione: storia, funzioni, problemi, in RODOTÀ S. e ZATTI P. (diretto da),

Trattato di biodiritto, vol. III, L. LENTI,E.PALERMO FABRIS,P.ZATTI (a cura di), I diritti in medicina, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 705-735; EUSEBI L. (2011), Comitati etici per la sperimentazione: profili penali, in RODOTÀ S.,ZATTI P.(diretto da), Trattato di biodiritto, in I diritti in medicina, Vol. 3, Giuffrè, Milano, pp. 737-750.

48 In particolare, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211, « detta autorizzazione viene rilasciata dalla Direzione generale della valutazione dei medicinali e della farmacovigilanza».

49

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21

quadro normativo, con specifico riferimento al ruolo del consenso: si tratta della Convenzione di Oviedo50.

All’art. 16 è elencata una serie di condizioni che devono sussistere per poter considerare legittima la ricerca condotta sull’essere umano. Innanzitutto si postula l’assenza di un «metodo alternativo alla ricerca sugli esseri umani, di

efficacia paragonabile», mentre, in secondo luogo, è richiesta la proporzione tra

rischi e benefici; si impone poi che il progetto di ricerca sia stato «approvato da

un’istanza competente» e che l’attività segua ad una completa informazione

della persona sui suoi diritti e garanzie. In particolare, l’art. 9 prescrive che la persona interessata riceva «una informazione adeguata sullo scopo e sulla

natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi», donando il

proprio consenso «espressamente, specificamente e […] per iscritto», con la consapevolezza di poterlo ritirare in qualsiasi momento.

Dal punto di vista procedurale, le Good Clinical Practice impongono che il consenso sia «documentato mediante un modulo di consenso informato

scritto, firmato e datato», modulo che dev’essere preso in considerazione dal

Comitato Etico al fine dell’emissione del parere favorevole alla sperimentazione. A riguardo, tale organismo indipendente «deve garantire che

non vi siano situazioni di coercizione né di influenza indebita sui soggetti dello studio» nonché «che le informazioni relative al pagamento dei soggetti dello studio, compresi metodi, somme, e tempi di pagamento, siano ben chiarite nel modulo di consenso informato scritto e in ogni altra informazione scritta che venga fornita ai soggetti».

Proprio al fine di assicurare un’adeguata comprensione del contenuto del modulo, «il linguaggio usato nelle informazioni orali e scritte concernenti

lo studio, compreso il modulo di consenso informato scritto, deve essere il più possibile pratico, non tecnico e deve essere comprensibile». La disciplina si

cala ancor di più nella concretezza del rapporto medico-paziente nel momento in cui prescrive che al soggetto sia sempre data la possibilità di formulare domande e di beneficiare di «un periodo di tempo adeguato affinché possa

soppesare la sua decisione». Infine, le Linee Guida vietano che, attraverso il

modulo in esame, il soggetto rinunci ai propri diritti legali o esoneri lo

50 Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 4 aprile 1997. Entrata in vigore il 1° dicembre 1999.

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22

sperimentatore, l’istituzione, lo sponsor od i loro rappresentanti dalla responsabilità per negligenza.

Il più recente intervento di ampio respiro in materia di sperimentazione è rinvenibile nell’ordinamento europeo ed è direttamente applicabile nei singoli Stati membri: si tratta del Regolamento del 16 aprile 2014, n. 536 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano51. Tra le esigenze sottese all'emanazione del Regolamento 536/2014 è stata rinvenuta, innanzitutto, la necessità di superare le difformità applicative determinate dalla direttiva 2001/20/CE.

Infatti, i Comitati etici ivi disciplinati, essendo istituiti presso le singole strutture sanitarie, hanno svolto il proprio ruolo consultivo, in concreto, attraverso i sistemi normativi e organizzativi dello Stato di riferimento. È raro, pertanto, riscontrare un’uniformità nelle loro determinazioni, come peraltro già rilevato dalla dottrina all’indomani della loro istituzione52. La questione assume particolare rilevanza qualora si tratti di autorizzare una stessa sperimentazione che interessi più Paesi membri. A riguardo, non solo il parere dei Comitati Etici potrebbe condurre all’approvazione di protocolli distinti, ma la possibilità di modificare questi ultimi in seguito alla loro approvazione rischia di creare discrepanze tra i vari Stati membri anche quando inizialmente il promotore presenti un protocollo comune53.

Da ricondurre all’obiettivo di armonizzazione è senza dubbio la previsione di procedure di presentazione della domanda per l'autorizzazione

51 Lo strumento normativo adottato per veicolare le nuove norme è il primo elemento innovativo del recente intervento comunitario, come rilevato da DE VICO A., Alcune osservazioni sul Regolamento Europeo n. 536/2014 sui Clinical Trials, 07 settembre 2015, http://www.filodiritto.com/articoli/2015/07/alcune-osservazioni-sul-regolamento-europeo-n.-5362014-sui-clinical-trials.html. È in corso di approvazione la legge delega di recepimento intitolata «Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali, nonché disposizioni per l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute», approvata dal Senato della Repubblica, il 24 maggio 2016 (S. 1324) ed attualmente in esame in commissione alla Camera dei deputati.

52

Cfr. BORGIA L.M. (a cura di), Manuale di bioetica per la sperimentazione clinica e i

comitati etici : conformità ai principi nelle normative e nei modelli operativi della ricerca, C.G. Edizioni medico scientifiche, Torino, 2008. Invero, già nel parere del

Comitato Nazionale per la Bioetica del 27 febbraio 1992, I comitati etici, si legge che l’approvazione delle singole sperimentazioni da parte del Comitato etico incontra il limite della «esiguità, eterogeneità di composizione e di scopi dei C.E. esistenti». 53 F

IERRO L., L'UE verso la mondializzazione della sperimentazione clinica. Dalla

semplificazione delle procedure ai diritti degli arruolati, in Riv. it. medicina legale,

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23

della sperimentazione clinica, che può ora essere inoltrata tramite un unico fascicolo indirizzato a tutti gli Stati membri in cui si intende condurre la sperimentazione. La domanda deve essere trasmessa tramite un unico portale, istituito e gestito dall’Agenzia europea per i medicinali54

. Solo attraverso questo nuovo strumento il promotore potrà presentare il fascicolo di domanda, cosicché il portale rappresenterà presto l'unico punto di accesso per la presentazione dei dati e delle informazioni concernenti le sperimentazioni cliniche55. Peraltro, l’art. 40 del Regolamento istituisce una «Banca dati elettronica per le

comunicazioni in materia di sicurezza», ossia un unico database europeo per

catalogare dati e informazioni che gli Stati inseriscono come dati di partenza delle sperimentazioni delle quali richiedono l’autorizzazione.

Ulteriore obiettivo prefissato dal regolamento è quello della semplificazione delle procedure. In tal senso si è andati ad incidere sulla procedura autorizzativa della sperimentazione, in primis eliminando la fase della presentazione delle domande rivolte a tutti gli stati in cui si intende avviare la sperimentazione, in quanto l’art. 5 permette ora di presentare una sola domanda elettronica, tramite il portale UE, rivolta a tutti gli Stati coinvolti nella sperimentazione. La ratio della nuova impostazione è chiaramente enunciata al considerando n. 4 del Regolamento, il quale spiega che «poiché le

sperimentazioni cliniche realizzate in un solo Stato membro sono ugualmente importanti per la ricerca clinica europea, anche il fascicolo di domanda per simili sperimentazioni cliniche dovrebbe essere presentato tramite tale portale unico».

Contestualmente alla presentazione della domanda dovrà essere effettuata la designazione del Reporting Member State (RMS), ossia lo Stato membro relatore, scelto tendenzialmente tra gli Stati membri coinvolti nella sperimentazione attraverso le procedure descritte allo stesso art. 5. Lo Stato designato dovrà procedere alla convalida della domanda, tenendo conto delle osservazioni eventualmente presentate dagli Stati membri interessati tramite il portale UE, al massimo entro dieci giorni dalla presentazione della stessa, specificando se la sperimentazione clinica rientra nell'ambito di applicazione del regolamento, e se il fascicolo di domanda è completo alla luce dell'allegato I

54

Regolamento 536/2014, art. 81, par. 1. 55

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(art. 5, paragrafo 3). Se invece, trascorsi i dieci giorni lo Stato membro relatore non trasmetterà nulla al promotore, sempre in un’ottica di semplificazione, la sperimentazione proposta sarà considerata in linea con il regolamento, ed il fascicolo di domanda dovrà essere considerato completo. Si propende dunque per il meccanismo del silenzio-assenso, peraltro già accolto dalla Direttiva n. 2001/20/CE.

La fase successiva vede invece protagonisti gli altri Stati membri interessati dalla sperimentazione, i quali sono chiamati dall’art. 7, paragrafo 2 ad operare la propria valutazione sulla sperimentazione, eventualmente richiedendo ulteriori informazioni al promotore, entro quarantacinque giorni dalla data di convalida, e a presentare, attraverso il portale UE, la parte II della relazione di valutazione, compresa la conclusione, al promotore.

Il regolamento distingue infatti tra parte I e parte II della relazione di valutazione, in base ai diversi aspetti presi in considerazione dalle stesse. In particolare, la parte I della valutazione è operata dallo Stato relatore circa «l’appartenenza alla categoria delle “sperimentazioni cliniche a basso livello

di intervento”; i benefici terapeutici e per la salute pubblica previsti; i rischi e gli inconvenienti per il soggetto; la conformità ai requisiti in materia di fabbricazione e importazione dei medicinali sperimentali e dei medicinali ausiliari stabiliti al capo IX; la conformità ai requisiti di etichettatura stabiliti al capo X; la completezza e l'adeguatezza del dossier per lo sperimentatore»

(art. 6); mentre la parte II contiene una valutazione operata dai singoli Stati membri interessati, in relazione al proprio territorio, circa il rispetto dei requisiti del consenso informato; l’idoneità degli individui coinvolti nella conduzione della sperimentazione clinica; l’idoneità dei siti di sperimentazione clinica; le modalità di arruolamento dei soggetti; le modalità di risarcimento dei danni e di trattamento dei dati personali (art. 7).

Infine, ciascuno Stato membro interessato notifica al promotore, mediante il portale UE, se la sperimentazione clinica è autorizzata, rifiutata o se l’autorizzazione è sottoposta ad alcune condizioni (art. 8).

Il naturale esito degli eventi dovrebbe a questo punto coincidere con l'avvio della sperimentazione, a meno che, dopo due anni dalla data di notifica dell'autorizzazione, in uno Stato membro nessun paziente risulti inserito nel

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25

progetto, in quanto, in tal caso, scatterebbe la decadenza dell'autorizzazione in relazione a quello Stato (art. 8).

L’intento di armonizzazione e semplificazione è peraltro completato da una serie di previsioni, articolate sul piano organizzativo-formale e contenutistico-sostanziale. Dal primo punto di vista, l’art. 85 dispone l’istituzione di «un gruppo di coordinamento e consultivo per le

sperimentazioni cliniche (Clinical Trials Coordination and Advisory Group, CTAG)», composto da referenti nazionali, non solo con il compito di favorire lo

scambio di informazioni tra i Paesi membri, ma anche di elaborare raccomandazioni circa la scelta dello Stato membro relatore. Sempre in materia di organizzazione, il recente Regolamento prevede un articolato sistema di comunicazioni e controlli, implicante, ad esempio, l’obbligo dello sperimentatore di comunicare al promotore eventi avversi gravi incorsi durante la sperimentazione; l’obbligo del promotore di monitorare adeguatamente la sperimentazione clinica, non solo segnalando all’Agenzia europea per i medicinali le sospette reazioni avverse gravi e inattese (cd. SUSAR), conformemente all'articolo 42, ma anche notificando allo Stato membro interessato qualunque evento inatteso potenzialmente in grado di incidere in maniera rilevante sulla valutazione del medicinale o nella conduzione di una sperimentazione clinica in generale; il promotore dovrebbe inoltre fornire agli sperimentatori il cd. dossier per lo sperimentatore, volto a fornire loro e agli altri soggetti coinvolti nell’attività «informazioni volte a facilitare la

comprensione del razionale delle caratteristiche essenziali del protocollo». Dal

punto di vista sostanziale, l’Allegato I al Regolamento si occupa di individuare analiticamente il contenuto dei documenti dei quali deve constare la domanda iniziale, primo tra tutti il protocollo.

A seguito dell’analisi dei meccanismi autorizzativi e di controllo, sembra possibile concludere che la disciplina comunitaria, entrata in vigore il 28 maggio 2016, trovi i suoi cardini nell’armonizzazione e nella semplificazione, nonché nell’iper-normativizzazione e nella rapidità e precisione delle tempistiche, pur non eliminando il fondamentale contributo e coinvolgimento degli Stati membri, ma prendendo coscienza di un contesto sperimentale figlio della globalizzazione, nel quale lo sponsor-promotore ha assunto un ruolo da protagonista, quale portatore di interessi sovrannazionali,

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26

nell’ambito di un mercato mondiale sempre più competitivo56

. Il Regolamento è allora volto ad unificare gli standard di tutela, così da scongiurare, perlomeno a livello comunitario, il rischio che il promotore trasferisca fasi della sperimentazione in quei Paesi che gli consentono di ridurre i costi anche a sacrificio dei diritti umani fondamentali, con un corrispondente incremento dei suoi obblighi e delle sue responsabilità nell’attività di sperimentazione57.

I meriti del Regolamento, peraltro, non si esauriscono in materia di autorizzazione alla sperimentazione, ma investono anche altri aspetti, quali la revisione della distribuzione delle responsabilità, il ruolo e l’importanza del consenso informato, nonché i farmaci a basso interesse commerciale.

Rimandando il primo profilo a successiva trattazione58, risulta invece imprescindibile, in questa sede, la descrizione della disciplina del consenso contenuta nella nuova fonte comunitaria. Si è già fatto cenno all’attenzione prestata al consenso informato dalla Convenzione di Oviedo, dalla Dichiarazione di Helsinki, nonché dalle Good Clinical Practice. Il Regolamento 536/2014, nonostante riconosca esplicitamente la valenza integrativa di queste ultime due fonti al considerando n. 43, si distingue comunque per un approccio originale al consenso, al quale dedica l’intero Capo V, intitolato “Protezione dei soggetti e consenso informato”. Tale Capo coniuga i requisiti del consenso solo dopo aver affermato che la sperimentazione clinica possa essere condotta qualora «i benefici previsti, per i soggetti o la salute pubblica, giustifichino i

rischi e gli inconvenienti prevedibili e la conformità a questa condizione è costantemente verificata» (art. 28).

Nel nostro ordinamento, questa disposizione ha come esito quello di attribuire un ruolo di primo piano al Comitato etico della struttura in cui si svolge la sperimentazione, il quale ha il compito di valutare i benefici prevedibili al momento dell'inizio della sperimentazione, sia per i singoli partecipanti, sia per la salute pubblica, verificandone la prevalenza sui rischi e sugli inconvenienti prevedibili59.

56 Cfr. sul tema, F

IERRO L., op. cit..

57 Il tema della responsabilità dello sponsor, nonché degli altri soggetti coinvolti nell’attività di sperimentazione sarà approfondito nei paragrafi seguenti.

58 V. infra cap. 2 e 3. 59 Cfr. F

ERRARI M., La nuova normativa per un approccio armonizzato alla

regolamentazione delle sperimentazioni cliniche nei paesi dell'Ue, in Resp. Civ. Prev.,

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27

Il Regolamento disciplina i vari aspetti del consenso prestando particolare attenzione ai soggetti incapaci, nonché ad alcune categorie di soggetti deboli (minori e donne in stato di gravidanza o allattamento)60. Il contributo di maggiore innovazione apportato dal testo in esame è invero da rinvenire in corrispondenza alle procedure speciali di sperimentazione introdotte dal Regolamento stesso. In primo luogo, l’art. 30 prevede una procedura di acquisizione con modalità semplificate, se adeguatamente giustificate nel protocollo, nell’ambito dei «cluster trials», ossia di sperimentazioni cliniche la cui metodologia presuppone l'assegnazione di gruppi di soggetti, e non di singoli soggetti, per la somministrazione di diversi medicinali sperimentali.

La ratio della semplificazione è enunciata dal considerando n. 33, il quale spiega che «nell'ambito di simili sperimentazioni cliniche, i medicinali

sono utilizzati conformemente all'autorizzazione all'immissione in commercio e i singoli soggetti ricevono un trattamento standard a prescindere dalla loro accettazione o meno di partecipare alla sperimentazione clinica o di ritirarsi dalla stessa, con la conseguenza che, in caso di mancata partecipazione, l'unica differenza riguarderà i dati del paziente, che non saranno utilizzati per la sperimentazione clinica». Si tratta dunque di sperimentazioni “a basso livello di

intervento” volte fondamentalmente a porre a confronto trattamenti già consolidati e condotte all'interno di un unico Stato membro.

L’art. 35 ammette invece modalità semplificate di acquisizione del consenso informato nelle situazioni di emergenza61, nelle quali non risulti possibile ottenerlo prima dell'intervento. Al fine di evitare che in tali casi i pazienti risultino esclusi dalla sperimentazione e dai suoi benefici, in presenza di stringenti condizioni62, si ammette dunque che il consenso informato sia

60 L’art. 31 è dedicato alla sperimentazione su soggetti incapaci; l’art. 32 alla sperimentazione sui minori e l’art. 33 alla sperimentazione su donne in gravidanza o allattamento.

61

Il considerando n. 36 definisce le situazioni di emergenza come «quelle situazioni in

cui il paziente si trovi all'improvviso in condizioni cliniche che, a causa di traumi multipli, ictus o infarto, ne mettano in pericolo la vita imponendo un intervento medico immediato. In simili casi può essere opportuno intervenire nell'ambito di una sperimentazione clinica in corso, già approvata. In determinate situazioni di emergenza, tuttavia è impossibile ottenere il consenso informato prima dell'intervento».

62 L’art. 35, paragrafo 1, ammette che «le informazioni relative alla sperimentazione

clinica possono essere fornite dopo la decisione di includere il soggetto nella sperimentazione clinica a condizione che detta decisione sia presa in occasione del

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fornito dal rappresentante legale del soggetto e, una volta che questo riacquisti le sue piene facoltà, sia nuovamente acquisito da lui stesso. Peraltro, il considerando n. 36, auspica che nella dazione del consenso siano rispettate le «obiezioni eventualmente espresse in precedenza dal paziente», in chiaro ossequio al principio di autodeterminazione, come espresso all’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’applicazione dell’art. 8 Cedu.

primo intervento sul soggetto, in conformità del protocollo di tale sperimentazione clinica, e tutte le seguenti condizioni siano soddisfatte: a) il soggetto non è in grado di fornire il consenso informato preventivo né di ricevere informazioni preventive sulla sperimentazione clinica a causa dell'urgenza della situazione, dovuta a una condizione clinica improvvisa che ne mette in pericolo la vita o ad altra condizione clinica grave; b)vi sono motivi scientifici per ritenere che la partecipazione del soggetto alla sperimentazione clinica sarà potenzialmente in grado di recare al soggetto un beneficio diretto clinicamente rilevante, che si tradurrà in un miglioramento misurabile in termini di salute capace di alleviare la sofferenza e/o migliorare la salute del soggetto della sperimentazione o nella diagnosi della sua condizione; c) non è possibile, entro il periodo di finestra terapeutica, fornire tutte le informazioni preventive e ottenere il consenso informato preventivo dal suo rappresentante legalmente designato; d) lo sperimentatore certifica di non essere a conoscenza di obiezioni alla partecipazione alla sperimentazione clinica sollevate in precedenza dal soggetto; e) la sperimentazione clinica è direttamente associata alla condizione clinica del soggetto, a causa della quale non è possibile ottenere, entro il periodo di finestra terapeutica, il consenso informato preventivo del soggetto o del suo rappresentante legalmente designato né fornire informazioni preventive, e inoltre la sperimentazione clinica è di natura tale da poter essere condotta esclusivamente in situazioni di emergenza; f)la sperimentazione clinica pone un rischio e un onere minimi per il soggetto rispetto al trattamento standard applicato alla sua condizione».

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