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3. La responsabilità del medico sperimentatore

3.3. La colpevolezza: tra perizia e imprudenza

Per quanto attiene al metro di valutazione della colpa, richiesto ai fini della responsabilità, le disposizioni di riferimento sono l’art. 1176 c.c., comma 2, il quale impone di valutare l’adempimento delle obbligazioni del professionista con riguardo alla natura dell’attività esercitata e all’art. 2236 c.c. che lo chiama a rispondere nei soli casi di dolo o colpa grave, qualora si sia

444 Sul punto v. supra, cap. 1, § 1.5.

445 Il quale limitava l’ambito di applicazione dell’obbligo assicurativo del quale era onerato lo sponsor, escludendo «quei reclami imputabili a imperizia, imprudenza e/o

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trovato di fronte allo scioglimento di un «problemi tecnici di speciale

difficoltà».

La collocazione dell’art. 1176 c.c. all’inizio del libro dedicato alle obbligazioni gli permette di assumere, in base al criterio di interpretazione sistematica, un ruolo preminente, in quanto enunzia il metro di valutazione delle condotte debitorie, ossia quello del buon padre di famiglia446. Il secondo comma, in particolare, ha la funzione di rendere tale criterio più aderente alle fattispecie derivanti da esercizio di attività professionali447.

Secondo parte della dottrina448, la specificazione non varrebbe a creare una nozione di diligenza diversa da quella genericamente enunciata al primo comma, ma introdurrebbe piuttosto un diverso criterio di valutazione del comportamento dovuto in funzione della natura dell’attività dedotta in obbligazione.

In questo senso, la diligenza professionale rappresenterebbe un’applicazione particolare di quella ordinaria449

, una diligenza più intensa e concreta da pretendere con riguardo all’esecuzione di una prestazione da parte di un lavoratore qualificato ed esperto in una certa attività professionale, nonché con riguardo al risultato peculiare che l’obbligazione da lui assunta comporta450

. La valutazione del comportamento professionale deve infatti tener conto del

446 Cfr. M

USOLINO G., Contratto d’opera professionale, in F. D. BUSNELLI (diretto da),

Il Codice Civile. Commentario Schlesinger, Giuffrè, Milano, 2014, p. 469.

447 Sulla diligenza professionale si vedano, M

ENGONI L., Obbligazioni di risultato e

obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 194; CATTANEO G., La

responsabilità del professionista, Milano, Giuffrè, 1958; FAVALE R., La responsabilità

civile del professionista forense, in Giust. civ., 2004, p. 25.

448 Cfr. M

USOLINO G., Contratto d’opera professionale, cit., p. 471. 449 Cfr. C

ATTANEO G., La responsabilità del professionista, cit., p. 53; SANTORO

PASSARELLI F., voce Professioni intellettuali, in Noviss. dig. it., XVI, Utet, Torino, 1967, p. 25.

450 Cfr. Cass. civ., 1 febbraio 2011, n. 2334, in Danno e resp., 2011, p. 835, con nota di BUGATTI, nella quale si legge che «La responsabilità del medico in ordine al danno

subìto dal paziente presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra cui il dovere di diligenza da valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata; tale diligenza non è quella del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato ai sensi dell'art. 1176, 2° co., c.c., che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all'esercizio della professione e ricomprende pertanto anche la perizia»; Cass. civ.

1990, n 2428, in Giur. it., 1991, I, 1, c. 600, secondo la quale la diligenza del medico- chirurgo «va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività e che, in

rapporto alla professione, implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale».

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grado di scrupolosità e accortezza mediamente richiesto, avendo come riferimento un professionista astratto che sia accorto e regolato.

Chiaramente, la colpa professionale non si risolve solo in mancanza di buona volontà, zelo e scrupolosità, ma attiene innanzitutto alla carenza di perizia, intesa come «insieme delle cognizioni tecniche acquisite sia attraverso

lo studio, sia tramite l’esperienza, che consentono di eseguire secondo le regole l’arte della prestazione»451

. È proprio nella perizia che si può riassumere il concetto più moderno di colpa professionale452.

Ulteriore parametro di valutazione dell’adempimento dell’obbligazione del professionista è la prudenza, ossia un criterio della condotta umana a cui ogni soggetto, indipendentemente dalle proprie cognizioni, deve attenersi per non incorrere in responsabilità. Nel valutarla si tiene conto dell’imprudenza, della superficialità e del disinteresse per i beni che il cliente affida alle cure del professionista. In particolare, nell’ambito professionale, l’imprudenza coincide con «l’agire senza una preventiva riflessione, giungendo in tal modo ad

omettere le cautele del caso e a trascurare la considerazione dei rischi eventuali che possono conseguire all’azione così svolta»453

.

Nell’ambito del contratto d’opera professionale, il legislatore del 1942 ha poi inserito una disposizione specifica, ossia l’art. 2236 c.c., il quale circoscrive la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave qualora la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. La disposizione trova la propria ragion d’essere nella necessità di conciliare due opposte esigenze: non mortificare l’iniziativa del professionista, sottraendolo alle ripercussioni di ingiuste rappresaglie del cliente nell’ipotesi di insuccesso, e, dall’altro, non essere eccessivamente indulgenti nei suoi confronti di fronte a decisioni non ponderate o inerzie riprovevoli454.

Con riguardo al rapporto con l’art. 1176 comma 2, si è ipotizzata una complementarietà piuttosto che una specialità dell’art. 2236 c.c.455. In questo senso, la prima disposizione, relativa alla diligenza del buon professionista con

451 Cfr. M

USOLINO G., Contratto d’opera professionale, cit., p. 477. 452 F

RANZONI M., L’illecito, in FRANZONI M.(a cura di), Trattato della responsabilità

civile, 2010, Giuffrè, Milano, p. 255.

453 Cfr. M

USOLINO G., Contratto d’opera professionale, cit., p. 480. 454 Cfr. Relazione al codice civile del 1942.

455

cfr. Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2001, n. 499, in Giur. it., 2003, p. 460, con nota di FRANCALANCI A..

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riguardo alla natura dell'attività prestata, vale come regola generale, mentre, quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà trova applicazione l’art. 2236 c.c., il quale delimita la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave.

È da ritenersi pacifico che, ai fini della configurabilità del dolo nell’illecito contrattuale, sia sufficiente la consapevolezza di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione, accettando così il rischio di impedire il soddisfacimento della pretesa creditoria, mentre non occorre l’ulteriore requisito della consapevolezza e volontà di arrecare danno456

. Con specifico riguardo all’ipotesi di prescrizione di una terapia sperimentale, il dolo, configurabile come «dolo eventuale», si potrebbe, ad esempio, ravvisare in tutti quei casi in cui il medico, nel giudicare dell’efficacia del farmaco sperimentale, non tenga conto dei principi etici e gli adempimenti previsti dalla normativa speciale dettata a tutela del paziente e, in via più generale, a tutela della salute e dell’ordine pubblico457

.

Nell’illustrare il concetto di colpa grave, secondo alcuni, si mostra invece utile l’antico brocardo, secondo il quale «culpa lata est non intelligere

quod omnes intelligunt»458. In questo senso, con riferimento alla materia in esame, incorre in colpa grave il professionista che non adotta le cautele e mostra di ignorare e non applicare le cognizioni che ogni professionista di quel settore deve adottare e conoscere.

Vi rientrerà allora «ogni disattenzione e ignoranza che normalmente

non ci si attende da un professionista di pari livello»459. Il riferimento al “pari

livello” è anch’esso fondamentale ai fini della valutazione della colpa, in quanto si ritiene che, soprattutto quando la diligenza assuma connotati di sapere tecnico e professionale, il parametro di riferimento del buon professionista debba essere

456 Cfr. Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10659, la quale ha respinto il ricorso proposto contro la sentenza del giudice di merito il quale aveva ritenuto che la nozione di dolo eventuale fosse sufficiente a far parlare di condotta dolosa in sede civile, affermando che: «ai fini della configurabilità del dolo nell'illecito contrattuale, è

sufficiente la consapevolezza di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione, in tal modo accettando il rischio di impedire il soddisfacimento della pretesa creditoria, mentre non occorre l'ulteriore requisito della consapevolezza e volontà di arrecare il danno».

457

Così MASSIMINO F., La prescrizione dei farmaci “off-label”, in Danno e resp., 2003, , p. 935. L’autore ritiene che in questi casi potrebbero configurarsi «i reati di lesioni

volontarie o, addirittura, di omicidio volontario».

458

Cfr. MUSOLINO G., Contratto d’opera professionale, cit., p. 499. 459

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valutato tenendo conto anche del grado di specializzazione dello stesso, del livello tecnologico degli strumenti dei quali disponeva e del generale grado di efficienza della struttura in cui questo era chiamato ad operare460.

Da questa definizione di colpa grave emerge la limitata riferibilità dell’art. 2236 c.c. ai soli casi di imperizia. La stessa Corte Costituzionale ha infatti affermato che «soltanto l’imperizia debba essere considerata

un’esimente in caso di condotta colposa lieve produttrice di danno, quando sussista una speciale difficoltà»461. È infatti la perizia ad essere l’elemento caratterizzante la responsabilità professionale, mentre l’art. 2236 c.c. non trova applicazione per i casi di negligenza e imprudenza462. Il grado di prudenza e di diligenza in senso stretto, intesa come attenzione, accuratezza, zelo e buona volontà, dovrebbe dunque valutarsi alla stregua dei canoni comuni, anche se pur sempre tenendo conto della professionalità della prestazione.

La limitazione della responsabilità alla colpa grave non dà, quindi, luogo a un’irragionevole immunità, poiché se la perizia richiesta coincide con quella del “professionista medio”, la diligenza e la prudenza necessarie sono quelle del professionista adeguatamente accorto, che, nel caso del medico, presti la massima cura all’interesse del paziente a lui affidato. Del resto, nella nozione di colpa grave rientra anche la temerarietà sperimentale e ogni imprudenza da cui traspaia superficialità e disinteresse per il bene primario affidato dal cliente al prestatore d’opera intellettuale463

. 460 In tal senso, cfr. C

OLOMBINI E., La responsabilità del professionista, in Arch. civ., 1967, p. 997; CAPOCACCIA A., Natura della responsabilità del prestatore d’opera

intellettuale con particolare riferimento al concetto di colpa grave, in Arch. ric. giur.,

1960, p. 489.

461 Corte Cost., 28 novembre 1973, in Foro it.,1974, I, p. 19. 462 In dottrina cfr. M

USOLINO G., Profili di colpa professionale: continuità delle fonti

romane e interpretazioni eterodosse, in Riv. not., 1996, p. 477; ZENOVICH ZENO V.,

Questioni in tema di responsabilità per colpa professionale sanitaria, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 361; ALPA G., Responsabilità civile e danno, Mulino, Bologna, 1991, p. 238; MENGONI L., Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir.

comm., cit., p. 206. In giurisprudenza cfr., Cass. civ., 10 maggio 2000, n. 5945, in Mass. Giust. civ., 2000, pag. 977, Cass. civ., 18 novembre 1997, n. 11440, in Mass. Giust. civ.,

1997, pag. 2205; Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, Foro it., 1999, I, 3322, con nota di DI

CIOMMO, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di

responsabilità del medico ospedaliero. In quest’ultima pronuncia, la Cassazione ha

infatti precisato che la limitazione della responsabilità del medico ai casi di dolo o colpa grave ex art. 2236 c.c. non si applica all'imprudenza e alla negligenza: «infatti, anche

nei casi di speciale difficoltà, tale limitazione non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso».

463

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Secondo alcuni, la conseguenza di quest’impostazione, che vede concordi la dottrina e la giurisprudenza, coincide con un’applicazione sempre più circoscritta dell’art. 2236 c.c., proprio in virtù del progresso scientifico. Infatti, si è osservato che «le tecniche estremamente sofisticate hanno

accresciuto i poteri del medico, ma nello stesso tempo ne hanno aumentato anche gli obblighi: quanto più la medicina diventa una scienza esatta, tanto più l’obbligazione del medico diventa una obbligazione di risultato»464

.

Del resto, se da un lato mancano criteri medico-legali per fornire pareri circa la gravità della colpa, dall’altro questi sarebbero sostanzialmente inutili perché raramente riconducibili all’art. 2236 c.c.465, la cui sfera di applicazione sarebbe da limitare a quelle ipotesi in cui «il caso non è stato ancora studiato a

sufficienza, o non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare»466.

Peraltro, la valutazione della colpa incontra una netta distinzione sul profilo oggettivo, ossia quello della natura e del contenuto dell’incarico assunto. Chiarificatorio, a riguardo, risulta quanto affermato dalla Cassazione civile nel 1975: «Di fronte ad un caso concreto che sia comune ed ordinario, cioè che sia

tipico perché conosciuto dalla scienza e dall’esperienza medica, con la conseguente esistenza di regole precise ed indiscusse, sussiste la responsabilità ordinaria del medico, anche per colpa lieve ove la regola o le regole da applicare non siano osservate per inadeguatezza o incompletezza della preparazione professionale comune e media (imperizia) o per omissione della diligenza media (negligenza). Il medico risponde, invece, per colpa grave (oltre che per dolo), quando il caso concreto sia straordinario od eccezionale, sì da essere non adeguatamente studiato nella scienza medica e sperimentato nella pratica, ovvero quando nella scienza medica siano proposti e dibattuti diversi, ed incompatibili tra loro, sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica, tra i quali il medico operi la sua scelta»467.

464

Così, PRINCIGALLI A., La responsabilità del medico, cit., p. 6. 465 F

IORI A., op. ult. cit., p. 478

466 Cass. civ., 22 gennaio 1999, n. 589, cit. 467

Cass. civ., 18 giugno 1975, n. 2439. Cfr. anche Cass. civ., sez. III, 29 marzo 1976, n. 1132, in Giur. it., 1977, I, pp. 1980 ss..

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Da simile assunto, peraltro confermato dalla giurisprudenza successiva468, possono muoversi una serie di rilievi. Innanzitutto, è stata criticata la severità dell’interpretazione che le Corti tendono ormai a prediligere per il requisito oggettivo della «speciale difficoltà». Infatti, in virtù delle intenzioni del legislatore, la nozione andrebbe estesa anche ai casi di complicanze impreviste, di forme cliniche abnormi rispetto al consueto quadro nosocologico di una determinata malattia, di reazioni non comuni del singolo paziente e dell’inadeguatezza delle strutture sanitarie entro le quali i medici incolpevolmente operano, tutti elementi che rendono spesso realmente difficile anche un caso apparentemente banale469.

Si è allora giunti ad affermare che il senso originario dell’art. 2236 c.c., ossia garantire al professionista un più sereno esercizio dell’attività470

, è stato «progressivamente snaturato», tanto che le condanne al risarcimento avrebbero ormai quasi sempre ad oggetto la sola colpa lieve, «spesso così lieve da non

poter configurare neppure colpa»471.

Sembra, dunque, che da una congiunta lettura dell’elemento soggettivo come perizia del professionista medio con quello oggettivo come caso di ardua soluzione perché non sufficientemente noto alla scienza medica, la clemenza nei confronti dell’operato del professionista sia davvero contenuta472

.

468 Cfr. ex multis, Cass. civ. 1990, n 2428, in Giur. it., 1991, I, 1, c. 600, la quale ammette un’attenuazione della responsabilità professionale solo «quando il caso

affidato allo stesso professionista sia di particolare complessità o perché non ancora a sufficienza sperimentato e studiato o perché ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire, ed, in tale ipotesi, il medico sarà tenuto al risarcimento dei danni solo per dolo o colpa grave».

469 F

IORI A., op. ult. cit., p. 481. La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. III, 22/11/2012, n. 20586, in Ced Cass, 2012) ha invece recentemente escluso che un intervento chirurgico di per sé non di speciale difficoltà potesse essere ritenuto tale «per

il solo fatto che nel corso di esso si verifichino delle complicanze». Nel caso di specie la

Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto di non speciale difficoltà un intervento di isterectomia complicato dalla presenza di aderenze tra i tessuti, le quali avevano causato alla paziente un danno nefrologico. Un altro caso nel quale non si è tenuto conto della complessità della situazione al fine di escludere la responsabilità del medico-chirurgo è Cass. civ., 29 marzo 2001, n. 4609, in Danno e

resp., 2001, pp. 828 ss..

470 Cfr. B

ERTOCCHI A., op. ult. cit., p. 43. 471 F

IORI A., op. ult. cit., p. 485. Nello stesso senso cfr. BERTOCCHI A., op. ult. cit., p. 47, la quale ritiene che «l’alternativa realmente tenuta in considerazione dai giudici

non sarebbe colpa lieve/colpa grave, bensì più semplicemente colpa o non colpa».

472 Si è ritenuto che ormai il criterio discretivo sia quasi esclusivamente quello oggettivo, legato al livello di evoluzione scientifica e tecnologica, mentre in posizione più defilata rimangono le capacità soggettive possedute dal singolo medico, com’è evidente da Trib. Napoli, 11 febbraio 1985, in Dir. giur., 1986, pp. 1021 ss., nella quale

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La stessa Corte di legittimità ha consapevolmente rilevato che «in quei

pochi casi in cui l'art. 2236 c.c. è stato realmente applicato, la valutazione della non gravità della colpa del medico risulta implicitamente contenuta nel giudizio espresso sulla natura dell'intervento»473, mentre, in relazione agli interventi lato

sensu routinari si è trasformato in un grimaldello idoneo a mutare la natura

dell’obbligazione del medico da obbligazione di mezzi ad obbligazione di risultato.

Eppure, uno dei residui margini di applicazione è ravvisabile proprio in materia di sperimentazione.

Autorevole dottrina ha infatti sostenuto che il campo in esame sia intrinsecamente caratterizzato dai «problemi tecnici di speciale difficoltà», «dal

momento che il trattamento, in quanto sperimentale, non è pienamente conosciuto dalla scienza medica e non esistono, quindi, per esso, regole precise a cui conformarsi»474. A sostegno di simile ricostruzione si cita del resto proprio quell’orientamento giurisprudenziale al quale si è fatto cenno poc’anzi475

. Invero, il giudizio potrebbe rivelarsi molto più complesso. Non è possibile, infatti, affermare a priori che il medico operante presso una struttura nella quale si svolge una sperimentazione o comunque collegato alla stessa (ad esempio per il semplice fatto che è a conoscenza della terapia sperimentale e sceglie di indirizzare i suoi pazienti nella struttura a ciò dedicata) si trovi sempre di fronte ad un problema tecnico di speciale difficoltà. La decisione di sottoporre un paziente ad una sperimentazione, sia che si tratti di una sperimentazione conoscitiva, sia che questa abbia una finalità propriamente terapeutica, richiede innanzitutto valutazioni implicanti la diligenza professionale, circa l’attenzione rivolta alla sfera personale del paziente, e la prudenza, con riguardo alla scelta della migliore terapia alla luce di una ponderazione tra rischi e benefici.

Devono tuttavia operarsi considerazioni distinte. Nel caso della sperimentazione pura, la cooptazione di un volontario sano postula senza

si adotta un punto di vista estremo nello statuire che «la speciale difficoltà di cui all’art.

2236 c.c. deve sempre avere un contenuto oggettivo rispetto al medico o al chirurgo né va parametrata alla loro maggiore o minore abilità ed esperienza, né deve dipendere da una loro ingiustificata mancanza di cognizioni».

473 Cass. civ. Sez. III, 19 maggio 2004, n. 9471, in Danno e Resp., 2005, 1, 30 nota di DE MATTEIS.

474

BELLELLI A., op. ult. cit., p. 123. 475

169

dubbio una cautela non assimilabile a quella normalmente implicata nella prescrizione di un farmaco ordinario volto, peraltro, a curare un’effettiva patologia. La prudenza si esplicherà non solo nel momento dialettico finalizzato all’ottenimento del consenso informato da parte del paziente, ma anche nella peculiare ponderazione rischi/benefici. A quest’ultima operazione dovrà procedersi tenendo conto del fatto che i rischi sono sopportati da un individuo, mentre degli eventuali benefici godrà la collettività. Pertanto, il livello di rischio consentito affinché l’attività possa dirsi lecita dev’essere prossimo allo zero476

. In sede di valutazione della colpa medica si deve dunque ritenere che il giudizio concernente la diligenza e la prudenza sia in qualche modo preliminare rispetto a quello attinente alla perizia. Anzi, nel contesto sperimentale si può azzardare un paradosso in base al quale l’impeccabile preparazione professionale con riferimento alle possibili conseguenze idonee a scaturire da un determinato trattamento, in sede di valutazione della colpa medica, potrà addirittura concorrere ad aggravare il giudizio di responsabilità.

Se infatti il medico era a conoscenza di tutti i potenziali rischi del trattamento sperimentale, ma si è comunque determinato nel senso della prescrizione della cura, magari guidato dal desiderio di contribuire al progresso scientifico, risulterà manchevole in termini di prudenza, con riferimento alla quale non opera nemmeno la limitazione di cui all’art. 2236 c.c., oltre che, eventualmente, con riferimento all’obbligo di consenso informato.

D’altro lato, maggiore è l’incertezza che circonda il nuovo trattamento, tanto più elevata dovrà essere la prudenza nel prescriverlo, in quanto, la ponderazione rischi/benefici operata dal professionista verrà valutata dai consulenti tecnici prima di tutto in termini di prudenza e accuratezza e, solo nel caso di esito favorevole, avrà senso stimare anche la perizia scientifica esplicata nella prescrizione medica. In dottrina si è infatti sostenuto che la libertà professionale del medico non può mai sconfinare «nel velleitarismo, nello

sperimentalismo, nell’empirismo, nella compiacenza e nel soggettivismo immotivato»477.

476 C

HIAIA W., La responsabilità dello sperimentatore nella sperimentazione di farmaci