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La definizione del fenomeno omofobico e i vari provvedimenti adottati a tal proposito dal sistema Europeo

Il PREGIUDIZIO OMOFOBO

II. La definizione del fenomeno omofobico e i vari provvedimenti adottati a tal proposito dal sistema Europeo

L'omofobia - intesa, secondo la definizione contenuta nella Risoluzione sull'omofobia in Europa del gennaio del 2006 e ribadita nella Risoluzione del 24 maggio 2012, come “una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo”, è un fenomeno profondamente radicato nella realtà sociale, italiana e straniera, ed è sotto gli occhi di tutti80

79 Cfr. Winkler M. M., L’abominevole diritto , Gay e lesbiche , giudici e legislatori, pp.18,pp.33

a.p 55, Il Saggiatore, Milano 2011

80 Cfr. Dolcini E., Omofobia e legge penale. Note a margine di alcune recenti proposte di legge, op.

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L’omofobia può manifestarsi sotto plurime forme , può esserci in tutti quei discorsi pieni di odio e di istigazione alla discriminazione, nelle varie manifestazioni di violenza verbale, in quella fisica e psicologica, nelle persecuzioni e negli omicidi, nelle varie discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza . Tale fenomeno si concretizza nel momento stesso in cui, un determinato soggetto si autoconvince che il prossimo è un essere diverso, inferiore.

Dunque nel parlare dell’omofobia può accadere di unire i discorsi di odio con i crimini di odio stessi, che spesso sono idonei a determinare e a inquadrare vari stereotipi legati alle varie categorie sociali. L’odio che si ha nei confronti degli individui sulla base dell’orientamento sessuale, va fin da subito analizzato in un ottica prettamente culturale, cercando di creare cambiamenti nelle coscienze delle persone , trovando laddove sia necessario, l’ausilio dell’intervento statale rafforzato con lo strumento repressivo del diritto penale, visto l’incremento e la pericolosità del fenomeno.

A fronte della acquisizione criminologica circa la gravità dei crimini d’odio, e fra questi dei crimini a sfondo omofobico, sono molte le legislazioni che hanno scelto di punire gli atti di discriminazione nei confronti degli omosessuali. Si pensi al Belgio, che dal 2003 ha ampliato il novero delle discriminazioni che possono essere condannabili includendo con provvedimenti specifici anche l’orientamento sessuale, tra i motivi di discriminazione illegittima. Inoltre nel 2007 la Corte Costituzionale belga con la sentenza del 2004 ha decretato illegittime alcune disposizioni di una precedente legge del 2003, approvando anche un nuovo pacchetto di leggi federali anti-discriminazione. La legge del 10 maggio del 2007 ha riformato ampiamente la normativa preesistente in materia proprio di discriminazione, includendo tutte discriminazioni a carattere omofobico. Il titolo VII della medesima legge ha modificato il codice penale inserendo il movente fondato sull’orientamento sessuale e prevedendo la penalizzazione di taluni atti e comportamenti discriminatori di natura omofobica come il reato di incitamento alla discriminazione. Nel codice penale della Repubblica di Cipro è stata inserita per esempio, la discriminazione sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale che già conteneva anche discriminazioni in base alla razza , la religione, alla nazionalità o all’etnia. In Danimarca oltre a punire tutte le dichiarazioni -informazioni che

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inneggino all’odio ,alla violenza e alla discriminazione a base omofobica, è prevista come una circostanza aggravante . In Finlandia il codice penale punisce chiunque nella sua attività senza giustificato motivo rifiuti un servizio, l’ingresso o allontana qualcuno nell’ambito di una riunione, ponga qualcuno in una posizione di diseguaglianza o in uno stato di inferiorità per connotazioni razziali, etnici per il colore della pelle, della religione, per l’età ,per l’aspetto fisico o orientamento sessuale. In Olanda si punisce con la detenzione fino ad un anno o con multa fino a 4500 euro chiunque infami qualcuno per motivi razziali, religiosi o per l’orientamento sessuale. In Spagna, il codice penale ,all’articolo 510 sanziona con reclusione da uno a tre anni e con multa, tutti coloro che creano discriminazione, odio, o violenza contro gruppi,-associazioni per motivi razziali, antisemiti, religiosi . In aggiunta il discriminare qualcuno per i suoi gusti sessuali è vista come una forma di aggravante. Tuttavia ci sono in altri stati membri dell’unione europea come la Germania, la Bulgaria, il Lussemburgo, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, dove la mera discriminazione contro le persone dello stesso sesso, non è visto come reato.

Tuttavia il quadro normativo rilevante in materia di diritti degli omosessuali è costituito solo in minima parte da norme interne, mentre va sempre più arricchendosi la cornice normativa europea ed internazionale. Si pensi ad esempio agli artt. 10 e 19 (ex art 13 TCE) del TFUE che impegnano l’Unione e il Consiglio, in particolare, a combattere tra l’altro, anche le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale; all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che vieta “qualsiasi forma di discriminazione” non solo basata sul sesso ma anche sull’orientamento sessuale; all’Art. 9 della stessa Carta che riconosce il “diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia” senza far riferimento a persone di sesso diverso, come invece fa l’art. 12 della CEDU (“Uomini e donne in età maritabile”); alle risoluzioni del Parlamento europeo a partire da quella dell’8 febbraio 1994; alle Direttive UE, fra le quali deve essere segnalata la 200/78/CE, che per prima ha previsto misure per la lotta alle discriminazioni fondate sulle “tendenze sessuali”; alle raccomandazioni adottate dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel 1981, relative alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

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In uno scenario decisamente più ampio si colloca la dichiarazione congiunta, sottoscritta il 18 dicembre 2008, da 66 Stati dinanzi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condanna la violazione dei diritti umani basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, quali le uccisioni, la tortura, l’arresto arbitrario e la “privazione dei diritti economici, sociali e culturali, tra cui il diritto alla salute”. Spunti ancor più interessanti sono forniti dagli arresti giurisprudenziali delle Corti Europee. In Particolare nell'alveo delle numerose decisioni emesse dai giudici di Strasburgo in tema di libertà d'espressione, garantita dall'art. 10 della CEDU, e limiti all'esercizio del diritto, contemplati nel paragrafo 2 del medesimo articolo interessante è la pronuncia della Corte europea diritti dell'uomo del 09 febbraio 2012, n.1813, sez. V.

In particolare, oggetto del vaglio della Corte EDU è una condanna emessa sulla base della legge penale svedese che, incriminando il reato di incitamento all'odio contro un gruppo nazionale o etnico, interferisce con l'esercizio della libertà d'espressione di cui all'art. 10 CEDU.

Questi i fatti di causa. Nel dicembre 2004 i ricorrenti, di cittadinanza svedese, si recano presso una scuola secondaria superiore e distribuiscono un centinaio di volantini. Tali volantini sono opera di un'organizzazione denominata National Youth e contengono, tra l'altro, propaganda omofoba. L'omosessualità viene infatti definita in questi termini: una “tendenza sessuale deviante”, capace di sortire un “effetto moralmente distruttivo sulla sostanza della società”, tuttavia descritta come ‘normale' e ‘buona' dal corpo docente ed invece responsabile della diffusione della malattia dell'HIV e dell'AIDS. Una “lobby omosessuale”, si prosegue nel volantino, sarebbe all'opera per cercare di occultare e sminuire il fenomeno della pedofilia. A seguito di tale gesto, i quattro ricorrenti vengono accusati del reato di incitamento all'odio contro un gruppo nazionale o etnico, secondo quanto previsto dal codice penale svedese al Capitolo 16, Art. 8.

La Corte distrettuale svedese, in primo grado, riconosceva chiaramente che il tenore dei volantini era espressione di disprezzo nei confronti degli omosessuali e che, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa, le affermazioni contenute nei volantini

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travalicavano, e di molto, quella che poteva essere considerata “una obiettiva discussione sugli omosessuali come gruppo”. In ragione di ciò la Corte riteneva la sussistenza del reato e condannava alla pena della reclusione (2 mesi) i primi due ricorrenti, ad una pena pecuniaria sospesa e al probation rispettivamente il terzo e il quarto ricorrente.

A fronte dell'appello promosso sia dall'accusa che dalla difesa, la Corte d'Appello - riferendosi ad un precedente della Corte Suprema svedese (concernente alcune affermazioni omofobe poste in essere da un pastore durante un sermone ritenute prive di rilevanza penale) - rovesciava la sentenza di primo grado sulla scorta della considerazione secondo la quale la conferma delle statuizioni del giudice di prime cure avrebbe comportato palese violazione dell'art. 10 della CEDU.

Da ultimo, nel luglio 2006, la Corte Suprema svedese, adita dal Procuratore Generale, confermava la condanna per il reato di incitamento all'odio contro un gruppo nazionale ed etnico, perché, guardando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, e alla interpretazione costante del concetto di “disprezzo”, risultava necessario valutare con attenzione le circostanze del caso (ben diverse da quelle del precedente succitato): il fatto che i volantini fossero stati distribuiti in una scuola e soprattutto collocati negli armadietti degli studenti impediva loro di rifiutare la propaganda ivi contenuta. Non solo. I contenuti dei volantini venivano considerati dalla suprema Corte offensivi e dispregiativi verso gli omosessuali come gruppo e ciò in contrasto con l'art. 10, par. 2 della CEDU che non consente di esercitare la libertà d'espressione contro la reputazione e i diritti di altri. I primi tre ricorrenti venivano condannati a pene pecuniarie comprese fra i 200 e i 2.000 Euro, il quarto ricorrente al probation.

Tutti i ricorrenti adivano la Corte europea dei diritti dell'uomo sulla scorta della considerazione che la condanna della Corte Suprema svedese aveva violato il loro diritto alla libertà d'espressione, sancito dall'art. 10 CEDU .

Dopo aver ripercorso le disposizioni di diritto domestico rilevanti nel caso di specie la Corte di Strasburgo si appunta sulla genesi di tale crimine d'odio contro gli omosessuali come gruppo, frutto di un emendamento di legge entrato in vigore in Svezia nel gennaio 2003. In particolare, sottolinea la Corte, i lavori preparatori di

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tale emendamento evidenziano la vulnerabilità degli omosessuali come gruppo: essi sono spesso oggetto di vittimizzazione e subiscono reati a cagione del loro orientamento sessuale. Frequentemente tali reati sono il risultato di una propaganda carica di odio e di disprezzo verso gli omosessuali quale gruppo sociale .

La Corte, dichiarata l'ammissibilità del ricorso, passa poi ad esaminare le questioni di diritto e il merito delle allegazioni delle parti.

Aspetto peculiare di tale vicenda processuale è anche l'intervento volontario di terzi nel processo: si tratta in particolare dell'intervento ad adiuvandum di due organizzazioni internazionali come l'International Centre for the Legal Protection of Human Rights e l'International Commission of Jurists. Entrambe sottopongono alla Corte europea dei diritti dell'uomo un parere denunciando che, a dispetto della diffusione dei discorsi d'odio omofobico, sia a livello europeo che internazionale, non sono stati adottati strumenti specifici di contrasto del fenomeno. Mentre la Corte avrebbe sviluppato una nutrita giurisprudenza in materia di limitazioni alla libertà d'espressione, non avrebbe ancora avuto l'opportunità, a parere delle due organizzazioni internazionali, di sviluppare un orientamento consolidato in materia di hate speech omofobico, ossia diretto verso gli omosessuali come gruppo. In particolare, viene ricordata quella giurisprudenza che ritiene incompatibili con la Convenzione leggi che incriminano i rapporti sessuali fra soggetti dello stesso sesso, nonché leggi, nei diversi campi, dal servizio militare, all'adozione, alla tutela dei minori che discriminano in base all'orientamento sessuale. Ecco perché, ritengono le due organizzazioni, il caso in esame consentirebbe alla Corte europea di consolidare un orientamento rispetto ai discorsi d'odio contro una persona o un gruppo di persone a cagione del loro orientamento sessuale, considerato, tra l'altro, che una chiara analogia può essere tratteggiata fra il razzismo e la xenofobia - oggetto precipuo di attenzione della giurisprudenza della Corte - e l'omofobia. “L'orientamento sessuale”, spiegano le due parti intervenienti, “può essere considerato nello stesso modo di categorie come la razza, l'etnia e la religione che sono comunemente tutelate da leggi contro hate speech ed hate crime, poiché l'orientamento sessuale è una caratteristica fondamentale per l'identità di una

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persona. Ed è, a maggior ragione, usato come segno distintivo di una identità collettiva” 81.

I giudici di Strasburgo, dato conto delle allegazioni delle parti e dei pareri delle due organizzazioni internazionali, convengono innanzitutto sul fatto che la condanna dei ricorrenti costituisca una interferenza nel diritto alla libertà d'espressione sancito dal par. 1 dell'art. 10 CEDU; tuttavia, questa interferenza deve ritenersi in contrasto con la Convenzione europea solo laddove essa non sia giustificata secondo il disposto del par. 2 del medesimo articolo 10. Ecco dunque che la Corte si chiede se tale interferenza sia ‘prescritta dalla legge', persegua una delle finalità previste nell'art. 10, par. 2 della Convenzione e sia ‘necessaria in una società democratica'. La Corte, rifacendosi a diversi precedenti, statuisce che l'interferenza con la libertà d'espressione è prescritta dalla legge (ossia dal codice penale svedese) e finalizzata al legittimo obiettivo di tutelare ‘la reputazione e i diritti di altri', in particolare del gruppo omosessuale, secondo il disposto del par. 2 dell'art. 10 CEDU. Pur riconoscendo che i ricorrenti intendevano suscitare un dibattito sul tema della carenza di obiettività nell'educazione delle scuole svedesi, il Collegio rileva come il contenuto dei volantini, sebbene non capace di incitare all'odio, fosse caratterizzato da accuse “gravi e pregiudizievoli” . Inoltre tali volantini sarebbero stati distribuiti in modo da impedire che gli studenti potessero rifiutare la propaganda ivi contenuta.

A questo punto, i giudici di Strasburgo, in un passaggio fondamentale, richiamando un proprio precedente, Féret v. Belgium, n. 15615/07 par. 73, 16 luglio 2009, relativo alla manifestazione di opinioni razziste durante una campagna elettorale, affermano che “attacchi verso le persone commessi insultando, ridicolizzando, diffamando determinati gruppi della popolazione possono essere sufficienti affinché le autorità combattano i discorsi razzisti anche contro la libertà

81 Cfr. par. 45 della sentenza in commento. Si rimanda, più in generale, su libertà d'espressione e

diffamazione nei confronti di identità collettive, a Cuccia V., Libertà d'espressione e identità collettive, Torino, 2007. Quando un gruppo è fatto oggetto di vittimizzazione e di discriminazione, leggi contro l'hate speech dovrebbero tutelare quelle caratteristiche che sono essenziali per l'identità personale o di un gruppo sicché limitazioni della libertà d'espressione devono essere consentite quando l'obiettivo del discorso è di denigrare, insultare o incitare all'odio verso persone o gruppi in ragione del loro orientamento sessuale

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d'espressione esercitata in maniera irresponsabile”. Soprattutto chiariscono che non è necessario dimostrare che vi è stato un attuale richiamo alla violenza e al crimine, ma è sufficiente, perché possa dirsi integrato un incitamento all'odio, l'insultare, il ridicolizzare, l'ingiuriare. Ciò rappresenta, secondo la Corte, un esercizio irresponsabile del diritto alla libertà d'espressione: la tolleranza è uno dei capisaldi della democrazia e la tutela della democrazia non può consentire un esercizio abusivo della libertà d'espressione.

In altre parole, i giudici riconoscono, con analisi lucida e condivisibile, che una limitazione del diritto alla libertà d'espressione sia giustificata ed anzi doverosa laddove di tale diritto si abusi, attraverso discorsi d'odio nei confronti di gruppi sociali individuati, quale nel caso di specie il gruppo omosessuale.

Appellandosi, infine, ad un altro importante precedente (Smith and Grady v. United Kingdom)  la Corte, con grande lungimiranza e allineandosi alle principali Risoluzioni europee in materia di omofobia, sottolinea, accedendo alle tesi emerse nel parere delle due organizzazioni internazionali intervenute - ed è forse questa la vera originalità della sentenza - che “la discriminazione basata sull'orientamento sessuale è tanto grave quanto la discriminazione basata sulla razza, l'origine o il colore”.82

Da ultimo, per valutare se la limitazione all'esercizio della libertà d'espressione sia ‘proporzionata' rispetto al fine della tutela della reputazione del gruppo omosessuale, la Corte ritiene, conformandosi alla giurisprudenza costante di Strasburgo , si debba tener conto della natura e della severità delle pene inflitte: si fa notare perciò che i ricorrenti non sono stati condannati alla pena detentiva, nonostante per il reato commesso essa fosse prevista, bensì alla pena pecuniaria, commisurata in ammontare ridotto e sospesa, nonché al probation (il quarto ricorrente), tutte pene ritenute non eccessive considerate le circostanze del reato. Alla luce di queste considerazioni la Corte - all'unanimità - sentenzia che non può dirsi integrata alcuna violazione dell'art. 10 CEDU, ossia del diritto alla libertà d'espressione.

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Nonostante l'apparente novità di cui è portatrice, la decisione in commento è meno rivoluzionaria di quanto possa apparire. Da un lato, è estremamente significativo ed emblematico che la Corte abbia per la prima volta applicato i principi del discorso offensivo contro determinati gruppi sociali al gruppo, identificato in base alla identità sessuale, degli omosessuali - riconoscendo, seppur implicitamente, come legittima e necessaria una limitazione al diritto della libertà d'espressione, laddove esso sia esercitato “in maniera irresponsabile”, o, in altre parole, laddove si integrino gli estremi dell'abuso del diritto. Altrettanto significativo è che allo stesso tempo la Corte abbia equiparato la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale alla discriminazione razziale, così sottolineando inequivocabilmente la gravità di ogni forma di hate speech omofobico e inquadrando l'omofobia in quelle forme di intolleranza, come la xenofobia e il razzismo, bandite dalle società democratiche.

Come sottolineato efficacemente, in linea con il pensiero dei giudici di Strasburgo, il bilanciamento deve dunque essere effettuato tra la libertà di esprimere il proprio pensiero, da un lato, e la necessità di garantire comunque il rispetto della dignità umana e dell'uguaglianza dei cittadini a prescindere dalle caratteristiche personali e sociali, dall'altro. Un giusto equilibrio fra libertà e dignità, dunque, tra libertà e persona.

In definitiva, non si tratta di una mera questione di bilanciamento fra beni - quali la libertà d'espressione e la tutela della reputazione di gruppi individuati -, bensì sono in gioco valori più alti: “l'hate speech è distruttivo per la società democratica nella sua interezza, poiché i messaggi d'odio riceveranno credito, con il connesso risultato di discriminazione e forse persino violenza contro i gruppi di minoranza . Non è necessario aspettare che l'hate speech diventi un pericolo reale e imminente per la

società democratica”. 83

In definitiva, è condivisibile l'opinione dei giudici della Corte: non si tratta di una mera questione di bilanciamento fra beni - quali la libertà d'espressione e la tutela della reputazione di gruppi individuati -, bensì sono in gioco valori più alti: “l'hate speech è distruttivo per la società democratica nella sua interezza, poiché i messaggi

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d'odio riceveranno credito, con il connesso risultato di discriminazione e forse persino violenza contro i gruppi di minoranza . Non è necessario aspettare che l'hate speech diventi un pericolo reale e imminente per la società democratica”.

III. La disciplina giuridica italiana : la legge n 654 del 1975 ( La Legge Mancino)