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La sentenza n.19 del 1962 emessa dalla Corte Costituzionale

II. I reati di opinione nella disciplina giuspenalistica

2.2 La sentenza n.19 del 1962 emessa dalla Corte Costituzionale

La sentenza n .19 emessa nel 1962 andava a imputare a carico di Cappelloni Guido, Luzi Marcello e Amadio Giovanni, il reato di pubblicazione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, previsto dall'art. 656 del Cod.

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penale. Il Pretore di Ascoli Piceno, in accoglimento di una eccezione della difesa, con ordinanza del 29 dicembre 1960 rimise a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del citato articolo, per la parte in cui puniva la pubblicazione e la diffusione di notizie tendenziose, in relazione agli artt. 18, 21 e 49 della Costituzione. Di per se, la notizia tendenziosa non era falsa, poichè la tendenziosità non poteva essere intesa come finalità di ledere l'ordine pubblico. Tuttavia la notizia , veniva considerata tendenziosa, soltanto se veniva presentata con un commento, o con la stessa formulazione letterale o con anche parole , da essere sfruttata al fine della propaganda di determinate correnti di idee, da essere rapportata alla professione di un dato principio, fino ad arrivare alla difesa di un certo interesse.

L'ordinanza, argomentava la non manifesta infondatezza della questione sollevata, mettendo in evidenza che il divieto di un siffatto modo di presentare una notizia, era inconciliabile con un ordinamento basato sul riconoscimento della libertà di pensiero e dei partiti politici. Nel febbraio 1961 l'ordinanza venne notificata agli imputati, al Procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e fu comunicata ai Presidenti delle due Camere, e i1 aprile 1961 fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 83, edizione speciale.

Innanzi a questa Corte si costituì soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con atto d'intervento depositato il 23 febbraio 1961. Tuttavia in tale circostanza veniva osservato che l’art 18 della Cost. che riguardava la libertà di associazione , era invocato malamente. Inoltre aggiungeva l’avvocatura dello stato che anche l’art 49 era mal invocato. Tendenziose erano le notizie false nel modo, e cioè quelle che si risolvevano nel creare, attraverso il modo della rappresentazione, una falsa impressione del vero . Comunque, pur accogliendosi l'interpretazione del Pretore, non si capiva come l'art. 656 potesse incidere sulla libertà di associazione politica che era riconosciuta dall’art 49 della Cost., solo a condizione che si praticasse il metodo democratico. Osservava l’avvocatura , che l’insufficiente attenzione dedicata alla turbativa dell’ordine pubblico, provocava il convincimento erroneo

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del pretore riguardo all’illegittimità costituzionale alla stregua dell’art 21 della cost. L'ordine pubblico non poteva esser sacrificato infatti , a quelle manifestazioni del pensiero che apparivano idonee a porlo in pericolo. Nonostante ciò , risultava indifferente l’art 656 del cod. penale dove, il reato sussisteva indipendentemente dall’elemento intenzionale del reo e da ogni suo convincimento legato all’ idoneità della notizia volta a turbare l’ordine pubblico. Tuttavia veniva osservato , che se fosse stata esatta la tesi delineata nell’ordinanza, doveva ritenersi non legittimo anche l’art 265 del cod. penale , che puniva la diffusione e la comunicazione in tempo di guerra ,delle varie notizie tendenziose , le quali potevano destare pubblico allarme o anche deprimere lo spirito pubblico o menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico .

Tuttavia si dichiarava che, ogni diritto costituzionalmente garantito , non poteva essere esercitato recando offesa ad altro diritto parimenti riconosciuto; ed era nella comune opinione che il cittadino avesse il diritto che la collettività giuridicamente- organizzata gli assicurasse la possibilità di vita operosa in un ambiente in cui l'ordine pubblico fosse assicurato.

All’udienza in discussione l’Avvocatura dello stato, arrivò a delle sue conclusioni che affermavano, che l'art. 656 del Cod. penale. puniva come reato la pubblicazione e la diffusione di notizie false, esagerate, o tendenziose, per le quali poteva essere turbato l'ordine pubblico. La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Pretore di Ascoli Piceno investiva soltanto quella parte dell'articolo che riguardava le notizie tendenziose. Per notizie tendenziose, ai sensi dell'anzidetta disposizione, bisognava intendere quelle che, pur riferendo cose vere, le presentavano tuttavia in modo che chi le apprendeva poteva avere una rappresentazione alterata della realtà che poteva accadere se venivano riferiti o messi in evidenza, una parte di fatti, accadimenti, non evidenziando o minimizzandone altri suscitando in chi le apprendeva , una realtà distorta , lontana dal vero .

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Le notizie tendenziose quindi deformavano la verità, e quindi la loro pubblicazione o anche diffusione mettevano in pericolo l’ordine pubblico e quindi dovevano essere punite, come prevede il cod. penale. Quindi l 'espressione notizie false, esagerate o tendenziose, impiegata nell'art. 656 del Cod. pen. era una forma con la quale il legislatore si proponeva di abbracciare ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentava la realtà in modo alterato. Il problema relativo alla legittimità costituzionale della disposizione dell'art. 656 riguardante le notizie tendenziose non si poneva, dunque in termini diversi da quello riguardante le notizie false od esagerate.

Proseguendo l’art. 656 del Cod. pen. puniva, infatti, la pubblicazione e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, solo in quanto idonee a turbare l'ordine pubblico. Tuttavia quest'ultimo era inteso nel senso di ordine legale su cui poggiava la convivenza sociale che era un bene collettivo, che non era da meno rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero. L'esigenza dell'ordine pubblico non era affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né era incompatibile con essi. In particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato nella Costituzione vigente, e basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (art. 1), sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero della legge (artt. 54, 76-79, 97- 98, 101, ecc.), era connaturale un sistema giuridico, in cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non potessero esser realizzati se non con gli strumenti, e attraverso i procedimenti previsti dalle leggi, e non era dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o addirittura di violenza. Tale sistema rappresentava l'ordine istituzionale del regime vigente; e appunto in esso andava identificato l'ordine pubblico del regime stesso. L'ordine pubblico era un bene inerente al vigente sistema costituzionale, e quindi non poteva dubitarsi che il mantenimento di esso fosse finalità immanente del sistema costituzionale. Se per turbamento dell'ordine pubblico bisognava intendere , l'insorgere di un concreto ed effettivo stato di minaccia per l'ordine legale mediante mezzi illegali idonei a scuoterlo, era perciò chiaro che non potesse esser considerate in contrasto con la Costituzione le disposizioni legislative che

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effettivamente, e in modo proporzionato, fossero volte a prevenire e reprimere siffatti turbamenti. Occorreva perciò concludere che anche la libertà di manifestazione del pensiero (come del resto questa Corte già ha avuto occasione di affermare nelle sentenze n. 1 del 1956, e n. 33, 120 e 121 del 1957) incontrasse un limite nell'esigenza di prevenire o far cessare turbamenti dell'ordine pubblico. Era da escludere, quindi, che, in alcuna delle sue parti il precetto dell'art.656 del Cod. penale, il quale prevedeva come reato la pubblicazione e la diffusione di notizie, che, comunque alterando la verità, si rivelasse idoneo a turbare l'ordine pubblico. contrasti con l'art. 21 della Costituzione. La mancanza di contrasto era, poi, tanto più chiara, in quanto la valutazione circa l'idoneità alla turbativa dell'ordine pubblico, era rimessa al giudice, il quale come era proprio di ogni valutazione giudiziaria, la eseguiva secondo criteri obbiettivi e rigorosi, tenendo presente l'effettiva realtà del momento.

Il richiamo poi che veniva fatto all’art 18 e 49 della Costituzione che garantiva rispettivamente la libertà di associazione in generale e quella di associazione in partiti politici ; in particolare aveva evidentemente carattere rafforzativo rispetto alla tesi, secondo la quale l'art. 656 del Cod. penale. contrastava con la libertà di manifestazione del pensiero.

L'ordinamento costituzionale italiano era un ordinamento democratico, basato, tra l'altro, sulla libera possibilità di associazione e sulla libera organizzazione di partiti politici al fine di concorrere a determinare la politica nazionale. Tuttavia si cercò di trarre altri argomenti in favore della tesi della illegittimità costituzionale della norma penale che puniva come reato la pubblicazione di diffusione delle notizie tendenziose. Non si vedeva però, come la libertà di associazione in generale e quella di associazione in partiti politici in particolare, potesse valere a far considerare coperta da garanzia costituzionale quella possibilità di divulgazione di notizie alterate, idonee a turbare l'ordine pubblico, che l'art. 21, come era visto, non proteggeva affatto. Concludendo , la corte costituzionale dichiarò non fondata la questione proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, relativa alla legittimità

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costituzionale dello art. 656 del Cod. penale., in riferimento agli artt. 21, 18 e 49 della Costituzione.