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La disciplina giuridica italiana : la legge n 654 del 1975 ( La Legge Mancino) Una legge tutta da rivedere?

Il PREGIUDIZIO OMOFOBO

III. La disciplina giuridica italiana : la legge n 654 del 1975 ( La Legge Mancino) Una legge tutta da rivedere?

Nel panorama europeo, l'Italia si colloca, tuttora, tra i Paesi che non prevedono norme penali specificamente rivolte a reprimere comportamenti omofobici, sotto forma di discriminazioni, di atti di violenza, della propaganda di idee, della costituzione di associazioni che predicano l'omofobia o della partecipazione a tali associazioni: non sono previste norme incriminatrici ad hoc, né circostanze aggravanti che diano rilievo alla motivazione di omofobia.

Da qualche anno a questa parte legislatori e giuristi, tuttavia, si sono trovati impegnati in un acceso dibattito intorno al rapporto tra le discriminazioni e le violenze subite da determinati gruppi sociali. Mentre già esiste, nel nostro ordinamento, una tutela penale nel campo della discriminazione razziale, ci si interroga oggi se sia ammissibile un allargamento della medesima tutela anche per le discriminazioni e le violenze perpetrate in ragione dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere della vittima. Siamo così dinnanzi ad un'inversione di tendenza, poiché nell'odierna discussione penalistica il rapporto tra omosessualità e diritto punitivo ha subito un'evoluzione, si è passati da un approccio di repressione dei rapporti omosessuali (le famigerate leggi anti-sodomia, come sopra detto, che per secoli hanno caratterizzato gli ordinamenti occidentali, e tutt'oggi presenti in molti Paesi), ispirato ai sentimenti del disgusto e della vergogna, ad un approccio di tutela delle persone LGBT.

Questa nuova sensibilità ha portato ad interrogarsi sulla legittimità e sull'opportunità politico-criminale di "reprimere con lo strumento della pena alcune forme di discriminazione a danno delle persone omosessuali, nonché punire più severamente alcune ipotesi di reato – attraverso la previsione di circostanze

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aggravanti – allorché il reato sia stato commesso in ragione dell’omosessualità della vittima".84

L'Italia nonostante non abbia ancora reso punibili le condotte omo-transfobiche, ha una collaudata legislazione penale di contrasto alle discriminazioni razziali introdotta con la legge 654 del 1975 (c.d. "Legge Reale") – emanata in attuazione della Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale di New York del 7 marzo 1966 – e poi modificata con la legge 205 del 1993 (c.d. "Legge Mancino", recante "Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa"), la quale, tra l'altro, ha esteso l'applicabilità della normativa anche alle discriminazioni religiose.

Il percorso di adeguamento al trend europeo intrapreso dal nostro legislatore, consiste proprio nell'innesto sulla preesistente legislazione antidiscriminatoria anche delle condotte motivate dall'odio nei confronti di omosessuali e transessuali. L'esito delle controverse vicende legislative in materia è rappresentato dall'approvazione in data 19 settembre 2013 da parte della Camera dei deputati del disegno di legge AS. 1052 recante Disposizioni in materia di contrasto dell'omofobia e della transfobia (c.d. ddl Scalfarotto), che giace ora in Parlamento

in attesa dell'approvazione da parte del Senato.85 Più in particolare, il ddl.

Scalfarotto si propone di intervenire su due versanti della normativa antidiscriminatoria. In primo luogo si propone di estendere la rilevanza penale anche alla motivazione omofobica e transfobica, in relazione ad alcune delle condotte che la legge Reale, all'art. 3, incrimina quando siano commesse "per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi". L'intervento estensivo (attuato con l'aggiunta dell'espressione "o fondati sull'omofobia o sulla transfobia" alle parole "per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi") riguarda, più nel particolare, le seguenti condotte dell'art. 3: a) compimento di atti di discriminazione (co. 1, lett. a, pt. II, L. n. 654/1975); b) compimento di atti di violenza o atti di provocazione alla violenza (co. 1, lett. b, L. n. 654/1975); c) istigazione alla commissione di atti di

84 Cit.Dolcini. E ., Omosessualità, omofobia, diritto penale, p. 8. Consultabile su rivista telematica

www.statoechiese.it

85 Cit. Per una ricostruzione, si veda Dolcini E., Omofobi: nuovi martiri della libertà di

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discriminazione (co. 1, lett. a, pt. II, L. n. 654/1975); d) istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla violenza (co. 1, lett. b, L. n. 654/1975); e) la costituzione e la promozione di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza; nonchè le partecipazioni a tali organizzazioni (co. 3, l. n. 654/1975). Si tratta dunque di due condotte attinenti ad atti di discriminazione e di violenza, due condotte di istigazione sterile – oggetto, dei ragionevoli dubbi circa i pericoli insiti in nuove restrizioni alla libertà di manifestazione del pensiero – e di una fattispecie di natura associativa. Il ddl AS. 1052 ha compiuto la scelta di non estendere ai motivi di omofobia-transfobia alla condotta della legge Reale che più si pone in una situazione di frizione con la libertà di manifestazione del pensiero (costituzionalmente tutelata dall'art. 21 Cost.), ossia la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale (art. 3, co. 1, lett. A, pt. I, l. 654/1975). La scelta è stata salutata con favore in dottrina, viste le forti e ragionevoli censure che, da sempre, hanno impegnato i giuristi nel denunciare i reati di opinione. In secondo luogo, il ddl Scalfarotto è intervenuto ad estendere ai delitti fondati su omofobia e transfobia la portata applicativa della circostanza aggravante c.d. "di odio" di cui all'art. 3, co. 1 della legge Mancino. La circostanza ha due caratteristiche importanti: è sottratta al meccanismo del bilanciamento con le circostanze attenuanti concorrenti (esclusa solamente l'attenuante prevista dall'art. 98 c.p.) e comporta la procedibilità d'ufficio (art. 3, co. 2 e art. 6, co. 1, l. 205/1993). Tale disegno di legge, prevede altresì due novità. La prima è rappresentata dalla norma definitoria che si vorrebbe introdurre come comma 3-bis art. 3 della l. 654 del 1975 (c.d. emendamento Verini-Gitti), al fine di rendere l'intera legge Reale più adeguata al tenore dell'art. 21 Cost. Sancisce tale disposizione, peraltro fortemente criticata,: "Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative

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all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni" .

Con estremo favore è stata invece accolta la disposizione di cui all'art. 2, rubricato "Statistiche sulle discriminazioni e sulla violenza", che delinea un obbligo per l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) di procedere periodicamente ad una rilevazione statistica volta a monitorare l'effettiva applicazione della legge.

Con riferimento al ddl Scalfarotto, risulta innanzitutto apprezzabile la scelta di non estendere la motivazione omo-transfobica al divieto di propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale. Non si avrebbe, se il disegno di legge dovesse passare in Senato, l'introduzione nel nostro ordinamento di una fattispecie di mera propaganda di idee fondate sull'odio omofobico. In secondo luogo, non si può non concordare con chi auspica "ulteriori delimitazioni di campo" rispetto sia alle condotte di istigazione, che alla fattispecie associativa, trattandosi di "figure di reato che faticano a legittimarsi nel diritto vigente" e che dunque – anche in virtù di una maggior libertà d'azione legislativa in assenza di un obbligo di incriminazione "non dovrebbero essere estese oltre gli attuali confini".86 È pur vero che la disciplina

penale in materia di propaganda ed istigazione all'odio razziale è stata autorevolmente definita "moderna fattispecie di delitto d'opinione", in quanto dotata del solido fondamento di legittimazione costituzionale costituito dalla tutela della dignità dell'essere umano e di una funzione concreta da svolgere in un mondo pericolosamente segnato da fondamentalismi, razzismi, pulizie etniche. Ed è vero anche che, secondo la psicologia sociale, i discorsi d'odio sono strettamente connessi con i crimini d'odio, ponendosi nei confronti di quest'ultimi in un rapporto di propedeuticità. L'odio si manifesta nelle più svariate strategie linguistiche ed argomentative: le offese e gli insulti (che talvolta giungono ad integrare fattispecie penali), la ridicolizzazione e lo scherno, la comparazione tra diverse categorie di vittime al fine di negarne la sofferenza, il capovolgimento di ruoli tra vittima e carnefice. Le forme più pericolose del discorso d'odio sono peraltro, come osservato, le più sottili. Quelle che si nutrono di dati reali, di differenze effettivamente esistenti tra i gruppi sociali, giungendo a giustificare intenti

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schiettamente discriminatori su più o meno solide basi empiriche e culturali. Gli hate speeches, soprattutto in quest'ultima forma, soprattutto quando utilizzati su vasta scala da gruppi dominanti, tendono allora a confermare stereotipi e giungono alla formazione di veri e propri pregiudizi. A quel punto, il passaggio tra pensiero e azione è postulato come inevitabile. E tuttavia, "un conto è la psicologia sociale e le sue dinamiche, altro è il diritto (penale e costituzionale) e la sua logica" 87.

Risulta quindi davvero difficile accogliere senza forti perplessità l'ennesimo tentativo di introdurre nel nostro ordinamento ulteriori reati che puniscano la mera manifestazione di idee, per quanto aberranti e odiose esse siano. Nonostante i tentativi di una lettura costituzionalmente orientata tale da rendere le condotte di propaganda ed istigazione adeguate al principio di offensività la giurisprudenza dimostra di manifestare ancora molte oscillazioni ed incertezze. Ed un principio di cautela, soprattutto rispetto all'adozione della più incisiva e stigmatizzante delle reazioni conosciute dall'ordinamento in un terreno così scivoloso come quello coperto dall'art. 21 Cost., richiederebbe un'astensione da parte del legislatore.

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CONCLUSIONI

Alla fine di questa lunga analisi, sono stati presi in esame vari argomenti, partendo dall’art 21 arrivando al Negazionismo per poi concludere con la tematica del pregiudizio Omofobo . Il tema ricorrente che non è mai stato abbandonato in questa tesi, è la libertà che ha ciascun individuo di manifestare il proprio pensiero in stretta connessione però ad una forte limitazione di esso in caso ogni qualvolta si diffondano forme di Odio e di Razzismo. Tuttavia si può dedurre che ciascuna persona sempre avrà fino a quando vive in uno stato di diritto, la possibilità e quindi il diritto di manifestare sempre la propria opinione a patto che non oltrepassi mai quella soglia che possa recare danno al prossimo. Tuttavia deve essere impedito , la formazione di tutto quello che inneggi all’odio, all’ intolleranza , alla xenofobia, e al razzismo. La libertà di manifestazione del pensiero è un principio sacrosanto e costituzionale di cui deve essere garante ciascun individuo, che mai deve essere usata in malo modo ma soprattutto non deve diventare un arma con la quale distruggere quelli che sono i capisaldi del nostro Stato Democratico ossia: Libertà, Uguaglianza. Siamo tutti responsabili di costruire la nostra vita personale e sociale insieme agli altri, con le nostre prerogative e le nostre diversità aumentando le opportunità, garantendo le possibilità, e favorendo la distribuzione dei vari compiti da assolvere nella costruzione della nostra convivenza sociale. L’uguaglianza delle e tra le persone va costruita con impegno attraverso il riconoscimento del loro valore, e dei loro diritti, per non scadere nell’incomprensione e quindi nei conflitti, talvolta anche drammatici. Ogni persona con la sua diversità, specificità, e originalità, ha una propria funzione da svolgere nella società, poiché ella altro non è che una piccola cellula di un immenso organismo. La seria ricerca di una società più equa e più giusta oggi più che mai, deve tornare a essere un ideale umano e un valore morale condivisa per una causa culturale, politica e sociale a sostegno di una autentica uguaglianza tra tutti i cittadini del mondo.

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