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Abbiamo visto che Merleau-Ponty si oppone ad una visione deterministica e obiettivistica del mondo. Mentre l'universo della scienza valuta l’uomo come un oggetto, riducendolo a una «mera cosa», egli mostra l'importanza del soggetto per la costituzione del senso del mondo in quanto prospettiva che fonda tutte le altre.

Tout l'univers de la science est construit sur le monde vécu et si nous voulons penser la science elle- même avec ri'gueur, en apprécier exactement le sens et la portée, il nous faut réveiller d'abord cette expérience du monde dont elle est l'expression seconde. La science n'a pas et n'aura jamais le même sens d'être que le monde perçu pour la simple raison qu'elle en est une détermination ou une explication […] e choisis de reprendre ou cet horizon dont la distance à moi s'effondrerait, puisqu'elle ne lui appartient pas comme une propriété, si je n'étais là pour la parcourir du regard..1

Secondo Merleau-Ponty, la filosofia deve ristabilire la centralità del mio vissuto grazie al quale il mondo è originariamente colto come una mia veduta personale. Il filosofo riconosce a Kant di aver operato in questo senso, ricollocando il soggetto al centro dell'esperienza. Tuttavia egli non sposa la filosofia kantiana, trova al contrario nel kantismo un'uguale forma di analisi astrattiva, lo abbiamo visto anche nel corso di questo capitolo: se l'obiettivismo scientifico pone il senso delle cose nell'esteriorità dell'uomo, Kant lo fonda nell'interiorità del soggetto, facendone un contenuto aprioriostico e svincolato dal mondo; ripropone, così, un identico dualismo2. Per

Merleau-Ponty così come non si può pre-ordinare l'oggettività della realtà conosciuta sul soggetto conoscente, escludendo la sua prospettiva esistenziale, allo stesso modo il soggetto conoscitivo non può prescindere dal vincolo alla realtà a cui appartiene; se l'«Io» conosce il mondo, lo conosce a partire dalla sua inserzione in esso e non in maniera astratta e pre-esperenziale. L’errore che Merleau-Ponty rinviene nella filosofia kantiana, dunque, non riguarda l’attività organizzatrice dell’intelletto umano, ma l’idea che esista un insieme di categorie aprioristiche in grado di fornire criteri costanti per la realizzazione dell’esperienza.

Descartes et surtout Kant ont délié le sujet ou la conscience en faisant voir que je ne saurais saisir aucune chose comme existante si d'abord je ne m'éprouvais existant dans l'acte de la saisir, ils ont fait paraître la conscience, l'absolue certitude de moi pour moi, comme la condition sans laquelle il n'y aurait rien du tout et l'acte de liaison comme le fondement du lié. Sans doute l'acte de liaison n'est rien sans le spectacle du monde qu'il lie, l'unité de la conscience, chez Kant, est exactement contemporaine de l'unité du monde, et chez Descartes le doute méthodique ne nous fait rien perdre puisque le monde entier, au moins à titre d'expérience notre, est réintégré au Cogito, certain avec lui, et affecté seulement de l'indice « pensée de...».Mais les relations du sujet et du monde ne sont pas rigoureusement bilatérales: si elles l'étalent, la certitude du monde serait d'emblée, chez Descartes, donnée avec celle du Cogito et Kant ne parlerait pas de c renversement copernicien. L'analyse réflexive, à partir de notre expérience du monde, remonte au sujet comme à une condition de possibilité distincte d'elle et fait voir la synthèse universelle comme ce sans quoi il n'y aurait pas de monde […] L'analyse réflexive croit suivre en sens

1 PP, 659; tr.it.p.17.

2 Cfr. anche Mauro Carbone, «Les sensible et l'excedent. Merleau-Ponty et Kant via Proust», cap. in Id. La visibilité de l'invisible, Merleau-Ponty entre Cézanne et Proust, Hildesheim-Zürich-New York, G. Olms Verlag, 2001, pp. 151-170.

inverse le chemin d'une constitution préalable et rejoindre dans « l'homme intérieur », comme dit saint Augustin, un pouvoir constituant qui a toujours été lui.1

Nella critica al metodo compiuta nella Meditazione, anche Gadda formula una riflessione analoga a quella merleau-pontiana: se il geodeta può misurare il mondo a partire da un calcolo pregresso è perché egli si muove sul terreno chiaro dell’astrazione matematica; viceversa nell’esperienza concreta l’incontro con la datità del mondo avviene in tutto il suo carattere di ambiguità, senza che l’uomo sia fornito aprioristicamente di un criterio d’ordine o un insieme di regole trascendenti l’esperienza stessa. Gadda rivolge così una critica alle spiegazione causali e deterministiche della scienza che, procedendo per astrazioni e generalizzazioni, studiano il reale come un insieme di indici, allontanandosi dalla sua complessità e perdendo così completamente il contenuto esperienziale della conoscenza.

Bisogna riconoscere che il mistero del Peccato Originale non è più mistero dei misteri scientifici. E che proprio la scienza fisica e biologica è il campo dove le persone oneste dovrebbero dire «Non se ne vede il fondo» oppure, se prediligono espressioni popolaresche, «Non se < ne > capisce un accidente» invece di dir sempre «Si capisce» con arie cattedratiche, perciocché si sono poste delle pseudo-cause per spiegare l’inspiegabile. […] Empirismo significa […] processo di generalizzazione logica. Dai molti piccoli e frammentari e sommessi utilitaristici «non rubare» funzionanti da specie (individui) è venuto il categorico e moralistico e squillante «non rubare» funzionante da genere, pronunziato con feroci note dalla tromba della legge. Questo è l’empirismo. Io credo di muovermi su un terreno diverso.2

La critica alla scienza e all'empirismo è accompagnata anche in Gadda da un'obiezione al razionalismo e a Kant in particolar modo. Se in Merleau-Ponty si tratta di un'obiezione diretta in modo esplicito al filosofo, in Gadda la critica resta implicita in alcuni tratti, ma non per questo è meno evidente o inconsapevole. Il primo accenno diretto a Kant è nel IV paragrafo della prima stesura, dedicato al «carattere dei sistemi», laddove Gadda critica la nozione di «causa»:

La «semplicità» io chiamo aggruppamento. Esiste (kantianamente) una attività enucleante che crea queste idee e dispone il reale raggrumandolo. Ma tale attività ordinatrice è una funzione storica del pensiero, non un assoluto. Nei millenni futuri l'applicazione del principio di causa apparirà una grossolana superstizione, come a noi Encelado soffiante lava e lapilli. 3

1 PP, pp.659-60; tr. it. pp.17-18. 2 MM, p.717.

Parlare di una «funzione storica» è evidentemente contestualizzare l'«attività enucleante» della ragione nell'esperienza, farne dunque qualcosa di temporale, contingente e non un criterio aprioristico come in Kant. Nel XXIII paragrafo della Meditazione troviamo invece una critica indiretta al filosofo, laddove Gadda, sempre riferendosi all'attività enucleante della ragione, parla delle «categorie». È significativo che l'autore usi il vocabolario kantiano per illuminarne un senso diametralmente opposto1; infatti, mentre in Kant la categoria è trascendentale e aprioristica e dirige

l'esperienza come una funzione innata all'uomo, per Gadda, al contrario, non è pensabile alcun criterio regolatore dell'esperienza che prescinda da essa. Abbiamo già visto la critica gaddiana al concetto di «metodo»: nel sostenere che «il metodo dell’euresi è l’euresi stessa», Gadda contesta la possibilità di una serie di misure stabili in grado di strutturare il dato prima del nostro effettivo incontro con esso. Sotto questo profilo va letta la nozione di categoria gaddiana: un criterio operatore dato solo a posteriori e identificabile con lo stesso sistema categorizzato:

In realtà non si può pensare ad un «sistema» senza pensare ad una sua attività categorica […] direi, spingendo al paradosso le cose, che ogni organismo o sistema ha le sue categorie. Voglio insomma insistere su ciò che il processo autodeformatore della conoscenza in quanto organizza il reale viene necessariamente sistemandolo categoricamente; le due cose sono una sola: dicendo «si crea un sistema» e «si creano delle categorie», non si esprime che una necessaria concomitanza logica.2

E ancora, indirizzandosi quasi certamente a Kant, l'Ingegnere scrive:

Non esiste una ragione fissa ed eterna con le sue categorie immutabili, poche o molte che siano, ma un sistema autodeformantesi che muta e deforma o almeno raddoppia e triplica e moltiplica i suoi significati. E in ciò fare, e perciò solo, esso deve continuamente κατηγορε νῖ .3

Nella polemica contro i metodi astratti del filosofare e nella necessità di un nuovo approccio conoscitivo del reale, lontano tanto da un modello scientifico, quanto da un modello razionalistico, Gadda e Merleau-Ponty trovano una comunione d'intenti: entrambi cercano di offrire una chiave per interpretare i problemi classici della

1 Bisogna supporre da parte di Gadda una certa conoscenza della filosofia di Kant, tale da non ammettere che sia «un caso» questa evidente contrapposizione al kantismo. Non bisogna dimenticare che il relatore designato per la sua tesi, seppur solo avviata, è Piero Martinetti, il noto filosofo interprete dell’idealismo kantiano e post kantiano. È dunque molto probabile che l'indirizzo anti-kantiano e anti-razionalistico della Meditazione, più che traccia inconsapevole dell'autore, sia manifestamente una filiazione e una critica a Kant.

2 MM, p.733. 3 MM, p.733.

speculazione in modo da evitare sia una riduzione positivistica dell'esistenza a un meccanismo oggettivo del mondo, sia una eguale riduzione idealistica del mondo a proiezione della coscienza. Tale vicinanza si risolve in una considerazione ancora più sottile. Come Husserl prima di Merleau-Ponty, e come Merleau-Ponty nella Phénoménologie de la perception, anche Gadda mette in discussione la concezione di una coscienza separata dalla realtà indagata, considerando la coscienza nel riferimento ad un sistema più ampio e complesso. Vediamo nel particolare questa nostra asserzione.

Nel processo conoscitivo, pur delineando il mondo come «preesistenza logica» e ancorando ogni «vis conoscitiva» alla concretezza dell'esperienza, Gadda non accorda primato all’ente rispetto alla soggettività; al contrario, egli si difende da questo possibile fraintendimento criticando l'empirismo e negando l’autosussistenza di significazioni preordinate all'«io» conoscitivo.

Coloro che hanno avuto la religione dell'empirismo hanno dominato e dominano il mondo, perché essi dicono «vediamo cosa dice il dato che ne sa più di noi che siamo dei teoreti ma dei limitati»: il dato invece è un nucleo logico che ha in sé una esauribile ricchezza di riferimenti, un'infinità di riferimenti.

Non incolpatemi, ve ne prego, di materializzare o antropomorfizzare il dato: esso è soltanto una espressione dello spirito, un formidabile sì che deriva dalla somma di un coro di infiniti sì pronunziati da tutte le pieghe dello spirito: lo spirito si piega una prima volta (come un lenzuolo) e dice sì stabilendo le fondamenta del dato che stiamo considerando; poi, come si fa del lenzuolo, si ripiega una seconda lo spirito e dice ancora sì e di questo dato fa il primo piano; e infinite volte si piega, come la pastafrolla, in quattro, in otto, ecc. e tutte le volte dice sì per questo dato: - e il dato è il compiuto: è l'accordarsi di tutte le posizioni dello spirito.

Il dato dunque è un bambino che gioca nel parco 'con il permesso' del papà, della mamma, dello zio, della balia, del guardiano ecc., se vogliamo identificare in queste persone le posizioni teoretiche dello spirito.1

Il dato è tale in quanto è «il conosciuto», l’acquisito logico; non può dunque distinguersi dall'attività euristica che lo ha costituito come tale. Tuttavia, come sembriamo evincere dalla citazione, esso non è totalmente «creato» da una coscienza, la materialità del mondo sembra porre una resistenza: il dato, infatti, non è conosciuto secondo una forma aprioristica, ma è la deformazione di un materiale preesistente. Esso è dapprima molteplicità di relazioni o di riferimenti («è un nucleo logico che ha in sé una esauribile ricchezza di riferimenti, un'infinità di riferimenti»), il «compito» del conoscente è quello di strutturare tali riferimenti in infiniti in «ripiegamenti», in una molteplicità di risposte2 (di «sì») ad esso direzionate. In questo senso il dato è

«antropomorfizzato», non nel senso che esso è completamente «a carico»del soggetto, 1 MM, p.725.

ma io in quanto relazione ad una soggettività o coscienza. Il suo significato dipende quindi dal processo euristico («il flusso fenomenale s'identifica con una deformazione conoscitiva»), è manifestazione e sintomo di un’apertura dell'«io» al mondo e si identifica con la nostra percezione d'esso:

il dato è ciò che ha carattere di esteriorità per un certo aggruppamento conoscitivo […] le cosiddette percezioni forniscono dati o sono dati1

Il dato, dunque, è quel «supposto esterno» verso cui lo spirito si dirige; come tale tuttavia non è completamente un «oggetto», ma è una relazione, e non appartiene totalmente né alla dimensione dell’oggettività né a quella della soggettività.

Io «devo ammettere» il dato che è lo sbocco, la manifestazione «attualmente ultima» dell'accumularsi di lunghe attività teoretiche.2

Gadda descrive la realtà come struttura di sistemi, e paragona questi ultimi a meccanismi quali centrali idroelettriche, alternatori, locomotive, navi e fari, ma non si dimentica di specificare, a costo di moltiplicare le note, che ogni sistema non è solo una «macchina», ma comprende «macchina + uomo», «nave+mente», mettendo così in rilievo che il sistema non solo non si dà indipendentemente da una vis conoscitiva, ma sopratutto che il potere euristico si dà solo nell’essere del dato. Potremmo dire, fenomenologicamente, che anche per Gadda vale l'assunto husserliamo (poi ripreso da Merleau-Ponty) secondo cui «ogni coscienza è sempre coscienza di qualcosa».

Per comprendere come l'autore milanese possa declinare questo assunto nella sua concezione gnoseologica, occorre rifarsi alla nozione di «deformazione». Nei paragrafi precedenti abbiamo detto che per Gadda nel processo euristico soggetto e oggetto o, meglio, vis conoscitiva e dato non sono isolabili, ma si costituiscono come poli di una deformazione. Si tratta ora di comprendere come avvenga nello specifico questa «deformazione». Gadda descrive il reale come un reticolo di relazioni non ordinato e simmetrico, ma coagulato in diversi nuclei o «gnocchi». Ogni «gnocco» è un dato, un

2 A nostro avviso, considerare il ruolo della coscienza come un «sì» accordato ai riferimenti che implica il dato, considerandola cioè come assenso, o identificarla con il permesso di giocare nel parco che i genitori o i tutori concedono al bambino, implica una materialità del mondo che non è mai completamente riducibile ad una coscienza. In altre parole una coscienza non ha potere assoluto, ma è la risposta a una domanda che evidentemente è il mondo stesso a porre, è l'«attività enucleante» adi relazioni e riferimenti che le preesistono.

1 MM, p.721. 2 MM, p.724.

«nodo euristico» coagulato dall'attività conoscitiva, e come tale non è né indipendente dalla soggettività, né dal sistema-mondo da cui proviene.

Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come uno gnocco distaccato da altro nella pentola. I filamenti di questo grumo ci potano ad altro, ad altro, infnitamente ad altro.1

Ricorriamo ancora alla similitudine della scacchiera presente nella Meditazione milanese: per Gadda conoscere significa introdurre una volontà coordinatrice in un reticolo di relazioni. La relazione che essa introduce come criterio elettivo, analogamente al pezzo giocato negli scacchi, non può che modificare quel sistema, deformando le relazioni preesistenti e facendo venire alla luce nuove configurazioni, nuovi dati. Guardando questa similitudinte dalla prospettiva della configurazione così emersa, possiamo concludere che ogni dato si costituisce sempre sul preesistente, man mano che l'attività euristica varia e deforma. Esso è così continuamente «mosso» o «modificato» dal processo conoscitivo che a partire da esso avanza, allargando il campo-sistema in cui è immerso o annichilendolo per far emergere nuove relazioni. È ciò che abbiamo visto anche a proposito dell'«ipotiposi illustrativa» della luce e della farfalla. Se invece osserviamo la similitudine del sistema-scacchiera dalla prospettiva della volontà coordinatrice, vediamo il suo essere e il suo operare solo a partire dal sistema che essa modifica; essa presenta una «tendenza operatrice» di una certa configurazione che le preesiste e in cui s'inserisce. Secondo questa prospettiva, quindi, l'attività teoretica non solo è indirizzata al dato, ma si confonde in esso, fino ad esserne indistingubile. «Deformazione» indica allora una reciprocità tra l'attività di un «aggruppamento conoscitivo» (così come lo chiama Gadda, evitando significativamente di definirlo «soggettività») e «preesistenza logica» di un sistema-mondo.

Nel corso della Meditazione Gadda ammette di «confondere i termini della ragione con l'attività sistematrice o categorica», in altre parole l'elemento oggettuale-conosciuto e quello soggettivo-conoscente2, amalgamando così la coscienza al dato. Nel

ventitreesimo paragrafo del trattato, egli precisa il rapporto tra questi due elementi,

1 MM, p.645.

2 «Il critico: 'Nel corso di quest'ultimo paragrafo avete finito per confondere i termini della ragione o posizioni attualmente ultime della ragione con l'attività sistematrice o categorica, in altre parole soggetto e oggetto. Rispondo: 'Vi è del vero nel vostro richiamo, specie per quanto si riferisce alle mie espressioni affrettate. […] Quanto al soggetto ed oggetto, lasciamo andare! Troviamo un altra strada ché questa è stanca e polverosa!'» (MM, p.735).

mostrando che l’attività teoretica dello spirito non è chiusa in una trascendenza metafisica ma s'identifica con la percezione

la percezione o coscienza è l'attività, è il sistema, è il mettere in ordine il mondo.[...] il sistema allaccia o annoda attualmente il reale, e in ciò e coscienza.1

Le ragioni di questa «confusione» tra coscienza e dato vengono chiarite da Gadda negli enunciati del secondo e del quarto teorema della terza parte della Meditazione. Il primo di questi, vale a dire il «Teorema 2°», vede unificati nell’attività euristica il sistema e la coscienza:

Teorema 2°. «ogni sistema è autocosciente».

[…] Un sistema ci si rivela come un operatore del reale (ossia, in generale, esso è un qualche cosa, diviene un qualche cosa, è un è-divenire). È quindi inammissibile che questo operatore non sia conscio della sua funzione, dal momento che esso è la funzione ordinatrice; elaboratrice.

Il sistema è quindi coscienza.2

Accanto a questo, Gadda formula il «Teorema 4°»:

Veniamo ora allo spinoso Teorema 4°. «Il sussistere dell'autocoscienza implica il sussistere del sistema.»

Dimostrazione. Se autocoscienza è attività conscia di sé, non può concedersi che il mero semplice sia autocosciente. Infatti il mero semplice è un chiuso in sé e non potrebbe rappresentare alcunché, nemmeno a sé medesimo, non potendo riferirsi ad alcunché, nemmeno a sé medesimo. Ché relazione implica almeno sdoppiamento o polarità. C.d.d.3

Se il sistema è attività conscia del proprio operare, anche l'autocoscienza, in quanto coscienza consapevole della propria attività, non può essere pensata se non in relazione ad un sistema. Dal momento che la coscienza é potenza ordinatrice, sussiste in quanto sussiste il dato da essa «enucleato» o «deformato», ed è solo in esso che può sapersi.

Considerati dunque la «confusione» che Gadda ammette di compiere tra soggetto e oggetto, unitamente alla concezione di una coscienza come percezione e ai due teoremi presi in esame, si profila una nozione di coscienza «ambigua» che non si identifica con la soggettività, ma con la prassi conoscitiva, nel riferimento e nell’apertura ad un mondo in cui si protende fino a confondersi. La coscienza è quindi un tendere, un movimento di

1 MM, pp.826-827. 2 MM, p.822. 3 MM, pp.828-29.

polarizzazione e di articolazione del campo percettivo che ha come risultato l’approdo ad un dato; il dato a sua volta è la condizione di esistenza di una coscienza, come confusione al mondo.

Nella Phénoménologie de la perception troviamo una concezione di coscienza analoga. In quest'opera Merleau-Ponty problematizza il pregiudizio di un mondo «fatto» per mettere in luce il suo significato intenzionale, vale a dire l'atto in virtù del quale ogni oggetto comincia a esistere per la nostra percezione e ad arricchirsi di un certo senso. Riprendendo la concezione husserliana di intenzionalità, secondo la quale ogni atto psichico è sempre indirizzato al mondo, Merleau-Ponty cerca di comprendere la genesi del senso delle cose. Ciò induce a considerare il soggetto non come un osservatore distaccato dal mondo, ma come una volontà direttamente implicata nella realtà percepita. La sua coscienza è così sempre un «tendere verso qualcosa» e non si dà se non come «coscienza di qualcosa».

Tuttavia Merleau-Ponty non si limita a riproporre il significato generale di un protendersi dell’io percepiente verso il percepito: la lettura di alcuni inediti nel 1943, pubblicati poi postumi nel secondo volume di Ideen (1952), consente a Merleau-Ponty