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STRUTTURE, MONADI, MOLTEPLICITÀ

4. LA MAGLIA E IL GARBUGLIO, «FORME» DELLA MOLTEPLICITÀ

L’ipotiposi della catena delle cause va emendata e guarita, se mai, con quella di una maglia o rete: ma non di una maglia a due dimensioni (superficie) o a tre dimensioni (spazio-maglia, catena spaziale, catena a tre dimensioni), sì di una maglia o rete a dimensioni infinite.2

Abbiamo già considerato le implicazioni teoretiche dei due assi metaforici del bateau ivre e della lanterna. Esiste però una terza direttrice di immagini che non è stata ancora esaminata, si tratta della linea metaforica qui definita della maglia o della rete a dimensioni infinite, che si declina anche nelle varianti del groviglio, dello «gnocco filamentoso», e del «pasticcio». Questo terzo asse metaforico, come i due precedenti, è connesso alle concezioni della grama sostanza e della conoscenza come deformazione; tuttavia mentre con le due precedenti linee metaforiche Gadda esemplifica sopratutto le condizioni del processo conoscitivo, con questa terza tipologia di immagini egli si riferisce alla struttura del reale stesso per mostrarne l'architettura3.

1 P, p.185-86. 2 MM, p.650.

3 In merito al rapporto conoscenza-realtà non bisogna dimenticare che in Gadda il processo euristico e la realtà conosciuta coincidono: sebbene «logicamente» preesistente ad ogni individuazione, il reale di cui parla si identifica con la deformazione conoscitiva.

Le metafore della rete e del garbuglio sono direttamente connesse alla concezione di un reale molteplice, concepito leibnizianamente come trama di monadi, ma le cui prospettive interagiscono e si integrano reciprocamente. Si tratta ora di comprendere questa struttura di realtà definita da Gadda come «universo in deformazione perenne, che mai è identico a se stesso, se non nella grossa apparenza»1 e di approfondire questa concezione di molteplicità come «germinazione costante» tra le due polarità di essere e divenire.

* * *

Nella Meditazione milanese, Gadda dedica un paragrafo al rapporto tra materia e molteplicità2. Nella prima stesura del trattato questa parte corrisponde quinto tratto della Meditazione; l'autore la riprenderà qualche mese dopo, nella seconda redazione del trattato - che come sappiamo è interrotto e consta di soli quattro paragrafi – anticipandolo rispetto alla prima versione al terzo paragrafo. In quest'ultima versione lo scrittore, pur non modificando la teoria espressa e mantenendo molte parti della prima formulazione, riprende e circostanzia le argomentazioni relative al rapporto tra materia e molteplicità. In modo particolare, Gadda introduce una distinzione tra materia e sostanza (nella prima stesura tale distinzione compare solo in una nota autografa a margine del testo3) Abbiamo visto che l'autore adotta il modello della scacchiera per definire la sostanza come nozione imperfetta e grama, relativa ad un certo grado di «permanenza» nel divenire, ma sul finire del paragrafo ad essa dedicato si riferisce ad un'altra «sostanza fisica o materia». Cos’è dunque questa sostanza? E in che modo la nozione di materia, di aristotelica memoria, entra nella sua definizione? Il discorso prende avvio da una polemica operata dal 'Critico', ossia la contro-voce dialogante

1 MM, p.760.

2 «La materia e la molteplicità». Nella Meditazione milanese Gadda dedica inoltre un altro paragrafo alla molteplicità («La molteplicità dei significati del reale») che si trova nella seconda unità del testo, precisamente è XVI tratto. Il titolo di questo paragrafo è compreso in quello adottato per designare l'intera unità di cui fa parte (Ricordiamo che la Meditazione milanese è divisa in tre parti, più una prefazione e una nota finale. La seconda Gadda la aveva provvisoriamente intitolata «I limiti attuali della conoscenza e la molteplicità dei significati del reale. Teoria della deformazione del reale: coinvoluzioni di sistema reali»). La distinzione che opereremo in questo nostro lavoro tra i due paragrafi è legata al fatto che mentre nel paragrafo III (o V) il molteplice è considerato nella sua simultaneità, nel XVI il molteplice è considerato come fattore di un divenire diacronico dei significati. Dedicheremo a quest'ultimo aspetto alcune riflessioni nell'ultimo capitolo di questa ricerca.

3 Cfr. con il V tratto della prima stesura (MM, pp.652-56) e con le «Postille e note dell'autore» poste in fondo all'edizione da cui citiamo, in particolare p.304: «La sostanza è la memoria del tempo, la materia è la memoria dello spazio».

dell'autore che Gadda adotta nel corso della Meditazione come pretesto per chiarire possibili equivoci, per portare avanti nuove argomentazioni o per introdurre postille digressive alla sua filosofia. In questo caso, dunque è il critico che pretende chiarimenti sull'uso del termine sostanza e quello di materia, offrendo l'occasione all'autore di introdurre una distinzione tra le due nozioni e mostrare così i modi della loro interazione1 Tale confronto permette inoltre all'autore di chiarire come intendere la «molteplicità». Il carattere del molteplice, infatti, non è solo frutto di un atteggiamento conoscitivo e non si confonde banalmente con il relativismo: prima che caratterizzare il processo conoscitivo, il molteplice è una potenzialità connaturata alla stessa realtà materiale. Solo distinguendo una materia come estensione e potenza, quid morfologico di ogni sostanza, da una sostanza come pausa della deformazione e «forma della temporalità», Gadda potrà considerare il molteplice non solo ipotesi di una «ermeneutica a soluzioni multiple» (in cui, pur nella interazione tra conoscente e conosciuto; la presenza del conoscente resta irriducibile) ma caratteristica intrinseca e fondativa del reale stesso.

Nella seconda versione del paragrafo, dunque, Gadda distingue materia e sostanza come due direttrici di esperienze complementari e indissociabili: la prima («memoria dello spazio») è «connaturata e co-necessaria ad ogni deformazione e a ogni divenire»2, la seconda («memoria del tempo») implica la prima come proprio sviluppo spaziale concreto. Sono dunque due nozioni differenti che tuttavia si co-appartengono nei modi di un «necessario procedere» e di un «necessario coesistere».

E diciamo un certo nostro aforisma: 'la sostanza è la memoria del tempo; la materia (pensata come tale) è la memoria dello spazio'. La sostanza è il grado di permanenza del tempo, la materia il grado di identità dello spazio. Qui tempo e spazio hanno senso di necessario procedere e necessario coesistere.3

Sostanza e materia sembrano dunque costituirsi in un unico «sinolo», in cui la sostanza è compresa come forma provvisoria della materia, e la materia ingrediente spaziale della sostanza. A differenza di ogni filosofia finalistica e aristotelica, tuttavia, da cui mutuiamo il termine sinolo, le deformazioni del sistema gaddiano non sono

1 Il critico:«Nel conchiudere il paragrafo precedente avete avuto un accenno alla 'materia o sostanza fisica'; e nell’esercizio che, qual codicillo, avete aggiunto al paragrafo l’idea della ‘materia’ è entrata nuovamente in scena, e forse anche più disinvolta. Non amo questo disordine. Decidetevi: sostanza o materia?» (MM, p.878).

2 Cfr. MM, p.878. 3 MM, p.879.

guidate finalisticamente verso una forma-ideale1, ma la loro trasformazione è sempre una configurazione contingente, una «nascente organizzazione»2, il cui fine non si pone mai come modello3. Nel paragrafo dedicato a «I fini», significativamente designati al

plurale, Gadda riconosce il movimento e la deformazione di un sistema n verso un sistema n+1, ma considera questo tendere verso una «superordinazione» come un'organizzazione spontanea.

Dappoiché l’n+1 è un discendere da n-2, n-1 in n nulla vieta di considerare un tendere di n-1 ad n, ad n+1 ecc. E dicendo ‘un tendere’ non volevo dire che il modello finale n+1 fosse già davanti ai conosci n: ma che essi intravedevano in sé una nascente organizzazione o sistemazione, verso n+1.4

Da questo assunto, tuttavia, non si deve derivare che la deformazione di un sistema in una più vasta configurazione sia completamente dettata dal caso. La materia reale infatti pone dei limiti e delle possibilità all’informarsi nel sistema, condizionandone il divenire. Gadda ammette inoltre che un sistema «superiore» n+1 possa in certi casi porsi come scopo («chiamata finale») o come condizione di possibilità per l'esistenza di un sistema n; ma anche in questo caso si tratta di un fine parziale e contingente, elaborato sulla materia e non a prescindere da essa. Nella Meditazione troviamo due esempi chiarificatori:

Così il modello n del mio corpo (consolidato dal lavoro degli evi) valendosi de' suoi agenti (cioè modalità fisiologiche e chimiche subordinate) organizza duramente il cibo, l'ossigeno dell'aria, ecc. - come modello finale agente su ciò che abbranca e che pare materia. 5

Così la relazione impalcatura agisce da chiamata finale sulla relazione “assi” E la segheria producente assi è sorta perché il mercato e la tecnica chiedevano imperiosamente impalcature in legno. L'operaio che accudisce al taglio delle assi ha un “fine” - quello di fornir assi a chi si occupa di pontature o impalcature di legno. 6

Come si può ben vedere da questi casi, anche i fini che si caratterizzano come scopo o guida per certe configurazioni non sono mai assoluti: il tendere del sistema verso una più ampia organizzazione deve essere sempre considerato come «groviglio

1 Il termine «ideale» è qui usato in senso assoluto, come forma intrinseca o estrinseca al divenire della materia.

2 MM, p.776-77.

3 A questo tema è dedicato il XIX tratto. 4 MM, pp.776.

5 MM, p.779. 6 MM, p780.

estremamente complesso [e] confuso» i cui i fini sono, quando ve ne sono, sempre parziali e molteplici:

Considerate, e con ciò come ultimo avvertimento, che questa superordinazione deve essere veduta come un groviglio estremamente complesso e direi confuso, e non con facile e banale schematismo.1

L'unione di materia e sostanza non è dunque guidata da alcun modello ideale e assoluto, e, anche nel momento in cui l'esigenza di un fine sembra costituire la condizione di esistenza di un certo sistema, esso resta sempre situato e incapace di dar ragione della complesse relazioni che intervengono a determinarlo:

In queste formulazioni del pensiero gaddiano ritroviamo uno dei presupposti basilari della sua filosofia, già discusso in diverse occasioni: quello della pluralità delle cause che convergono a determinare i fatti del reale. Nella teoria che potremmo definire 'della complessità dei fini', inoltre, vediamo delinearsi il duplice aspetto di sincronia e diacronia nella determinazione di una realtà molteplice. Secondo la logica qui esposta da Gadda, infatti, ogni sistema si differenzia sia diacronicamente, come divenire di un n-1 ad un n e ad un n+1 (o viceversa2), sia sincronicamente, come appartenenza in uno stesso momento a differenti configurazioni (al sistema n subordinate o super-ordinate).

Così compresa, l'idea gaddiana del rapporto tra sostanza e materia si inserisce nella teoria della deformazione conoscitiva, e converge con l'assunto fenomenologico di una identificazione tra realtà e «flusso fenomenale»: la sostanza non è compresa come entità noumenica al di là della nostra esperienza, ma come rapporto intrinseco tra il permanere e il divenire di una certo sistema, ed è dunque colta come qualcosa di relativo e posto; anche la materia a sua volta è conosciuta come ingrediente spaziale e morfologico della sostanza3, ed è dunque conosciuto nel suo informarsi e nel suo divenire sistema4. Aggiungiamo inoltre che, pur distinguendo materia e sostanza l'una come riferimento spaziale, l'altra come riferimento temporale, Gadda non arriva ad credere kantianamente

1 MM, p.777.

2 Ricordiamo infatti che Gadda non pensa il divenire come evoluzione e come progresso, ma come deformazione. Cfr. MM, pp.777-78: «I termini n, n+1, n+2 sono modi di esprimermi relativi ad una singola discendenza, ad una traccia coinvolutiva, ad un lacerto astratto dal muscolo, ad una ‘gens’ di relazioni reali. Ma le relazioni reali, le ‘gentes’ di relazioni sono infinite nella summa della nazione (i lacerti nel compatto muscolo): e si mescolano e si aggrovigliano, e si disperdono e nascono e crescono…».

3 Gadda definisce la materia come «quid morfologico» che è comune ad ogni differenziazione.

4 Per quanto spaziale, proprio perché considerato come genere della sostanza, la materia, come la sostanza «può pensarsi come 'mnemosynum' nei regni del tempo», MM, p.878.

nell'esistenza aprioristica delle categorie di spazio e tempo1, né a contraddire la radice empirica della propria filosofia che considera l'astratto solo come dimensione appartenente a quella del concreto.

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Questi presupposti presentano tuttavia una difficoltà. Nella seconda stesura del paragrafo sulla «la materia e la molteplicità», infatti, Gadda non esclude che sostanza e materia possano pensarsi separatamente. Oltre alla «sostanza fisica» intesa come convergere della materia fisica nella forma provvisoria della sostanza, «sostanze altre vi sono, consegnate ad aspetti immateriali del mondo […] e così vi è materia che non è sostanza»2. Lo scrittore illustra questa più rigorosa distinzione in un'immagine sintetica

ed eloquente:

3

Questo passaggio esclude quindi le nostre ipotesi? O Gadda stesso si contraddice? Per non essere frainteso, il disegno necessita un approfondimento. La distinzione qui schematizzata sembra infatti negare, almeno apparentemente, l'assunto fenomenologico avanzato da Gadda di una coincidenza tra realtà e fenomeno così come sembra escludere l'indirizzo antidicotomico tra concretezza e astrazione, fin qui messo in luce. Cerchiamo allora di capire in modo più approfondito cosa intende l'autore quando parla di sostanza senza materia e di materia senza sostanza.

1 Cfr. con il cap.I di questo lavoro. 2 MM, p.879.

Consideriamo prima di tutto la sostanza. Per quanto Gadda la definisca come persistere o «perdurare» di certe relazioni non deformate in rapporto ad un sistema deformantesi, la sua concezione al fuori della materia non deve essere confusa con una «durata pura» in senso bergsoniano. L'eco di Bergson è tuttavia presente. L'espressione con cui lo scrittore riferisce la sostanza alla «memoria del tempo» e il disegno con cui intende chiarire la distinzione tra questa e la materia, infatti, ricorda l'illustrazione che Bergson traccia in Matière et mémoire. Se si considera inoltre che Gadda legge Bergson e che forma il proprio pensiero anche a partire dalla sua filosofia, il rischio di sovrapporre la concezione del filosofo francese al nostro scrittore potrebbe aumentare. Per quanto Bergson sia un autore scarsamente citato nell'opera gaddiana, il cui nome non ha mai una ricorrenza nella Meditazione, è tuttavia probabile che i riferimenti alla filosofia bergsoniana, anche indiretti, siano consapevoli. Riguardo invece il peso e l' influenza del pensiero di Bergson nelle posizioni teoretiche di Gadda, la critica ha pareri differenti1. Noi ci limitiamo a riconoscere una certa similarità tra alcune asserzioni dello

1 L'ipotesi di un riferimento a Bergson nella filosofia di Gadda è una quaestio ancora irrisolta. Come riassume efficacemente Federica Pedriali in una nota al saggio Il vettore, la cartolina, lo stemma. Da

«Meditazione» a «Pasticciaccio» (in EJGS, URL

http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/journal/issue1/articles/pedrialispazio.php#Anchor-52645, nota 28), le posizioni in merito ad un bergsonismo gaddiano possono riassumersi in: «bergsonismo no» poiché il nome del filosofo non figura nel trattato ( Cfr. Albert Sbragia, The Modern Macaronic, in Id. Carlo Emilio Gadda and the Modern Macaronic,, Gainesville, University of Florida Press, 1996); «bergsonismo sì ma non troppo» (Robert Dombroski, Gadda e il barocco, op.cit, in particolare pp. 45-47, 49-50), «bergsonismo sì e come parte di quella “disordinata polistoria con cui Gadda recepisce i molteplici segnali di crisi del positivismo ottocentesco”» (Gianfranco Gabetta, Gadda e il caleidoscopio dell’euresi, in «aut aut», n.256, 1993, pp.15-46.). Ricordiamo inoltre che Gian Carlo Roscioni sfrutta la menzione che Gadda fa di Bergson ne I viaggi la morte per confermare l’innesto di «elementi vitalistici» su una «psicologia evoluzionistica di marca spenceriana» (Gian Carlo Roscioni, La disarmonia, op.cit, in particolare pp. 21, 36). Non sono diverse le posizioni di Andrea Calzolari (Gadda filosofo, in «Poliorama» n.4, 1985, pp.102-47, in particolare pp.115-16) e di Niva Lorenzini, (Gadda, la ciclicità, la «deformazione» in Id. (a cura di), Mito e esperienza letteraria. Indagini, proposte, letture, Bologna, Pendragon, pp.319-51. ). Giulio De Jorio Frisari propone invece un Glossario bergsoniano (in Id., Carlo Emilio Gadda filosofo milanese, Bari, Palomar., 1996 pp.211-38). Giuseppe Bonifacino, infine, dichiara che tanto la durée bergsoniana quanto il sapere scientifico sono incapaci di reintegrare «la declinazione entropica della memoria», e colloca gli interessi e le ragioni del soggetto gaddiano al di là di entrambi, in una «cognizione senza durata» («L’ora buia o splendente» Tempo ed etica nella Cognizione, in Id., Il groviglio delle parvenze. Studio su Carlo Emilio Gadda, Bari, Palomar, 2002, pp.127-174, e. in particolare pp. 133-34, 143, 149, 162.

Ora in EJGS, URL:

http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/journal/issue2/booknews/bonifacinogroviglio.php). Anche noi ci troviamo piuttosto di questo avviso, mettiamo solo l'accendo su quello che ci sembra un certo “debito” nei confronti di alcune “svolte” introdotte da Bergson nella storia pensiero filosofico. In particolare, è l'esigenza di considerare una temporalità diversa da il tempo fisico adottato dalla scienza, che l'autore milanese sembra riprendere direttamente Bergson. Manca però in Gadda la collocazione diretta di questa durata nella coscienza. Ricordiamo inoltre che il nome del filosofo non compare nella Meditazione. Affidandoci ai testi conservati nella sua biblioteca, sappiamo che l'unico testo bergsoniano che porta una data antecedente la stesura della Meditazione milanese è un compendio della filosofia accolto da Giovanni Papini in La filosofia dell’intuizione, pubblicata nel 1919 e

scrittore e la filosofia bergsoniana della temporalità senza tuttavia ammettere una posizione analoga in merito alla concezione di durata.

Si può cogliere innanzitutto una certa similarità tra questo schema della Meditazione milanese e il noto disegno riportato in Matière et mémoire tramite cui il filosofo sintetizza graficamente il rapporto tra la durata, pensata come flusso continuo, e lo spazio contingente. Per maggiore chiarezza, proviamo a ribaltare lo schema gaddiano: vediamo che l'aerea situata alla base del triangolo (sostanza o «memoria del tempo») corrisponde alla base del cono AB, (durata reale o memoria) della figura bergsoniana, mentre il vertice del triangolo interseca il quadrato (materia o estensione o potenza) allo stesso modo in cui il vertice del cono si inserisce sul piano rettangolare della percezione spaziale P.

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