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STRUTTURE, MONADI, MOLTEPLICITÀ

2. LEIBNIZ E DE SAUSSURE: IL PROBLEMA DELL'ESPRESSIONE

Emmanuel de Saint-Aubert, in una delle sue efficaci ricognizioni sul pensiero merleau-pontiano, ha approfondito la critica di Merleau-Ponty a Leibniz, in particolare al tema lebniziano dello «sguardo di sorvolo»1. La differenza più evidente tra i due

filosofi, come suggerisce Saint-Aubert, è che mentre Leibniz «est l'homme de l'algoritme»2 e il «maestro» di coloro che ambiscono ad una logica ed ad una lingua

universali, Merleau-Ponty lavora esattamente contro questa ambizione. Dalla Phénoménologie al Visible et l'invisible la sua posizione a riguardo, se è mutata, è per assumere un posto ancora più centrale e significativo rispetto alle riflessioni del 1945:

Le sens plein d'une langue n'est jamais traduisible dans une autre. Nous pouvons parler plusieurs langues, mais une d'elle reste toujours celle dans laquelle nous vivons. Pour assimiler complètement une langue, il faudrait assumer le monde qu'elle exprime et l'on n'appartient jamais à deux mondes à la fois. S'il y a une pensée universelle, on l'obtient en reprenant l'effort d'expression et de communication tel qu'il a été tenté par une langue, en assumant toutes les équivoques, tous les glissements de sens dont une tradition linguistique est faite et qui mesurent exactement sa puissance d'expression. Un algorithme conventionnel - qui d'ailleurs n'a de sens que rapporté au langage – n'exprimera jamais que la Nature sans l'homme. Il n'y a donc pas à la rigueur de signes conventionnels, simple notation d'une pensée pure et claire pour elle-même, il n'y a que des paroles dans lesquelles se contracte l'histoire de toute une langue, et qui accomplissent la communication sans aucune garantie, au milieu d'incroyables hasards linguistiques.3

Già nel 1945 Merleau-Ponty ritiene che la «potenza espressiva» di una lingua risieda non nella referenzialità dei suoi singoli segni, ma negli «slittamenti di senso», nello scarto dunque, e nell'equivoco.

Contro l'ipotesi della lingua come algoritmo, Merleau-Ponty si esprime ancora durante le conferenze che tiene in Messico nel 19494, in occasione di un semestre di

congedo consacrato ad una missione all'Università del Messico, le cui note sono parzialmente riportate e commentate da Saint-Aubert nei suoi scritti.5 In America latina

il filosofo torna ad esporre il primato della percezione ma, a differenza della famosa

1 Cfr. Emmanuel de Saint Aubert, «Le chiasmé vérité de l'harmonie pretablie». La critique merleau-pontyenne de Leibniz, op. cit.

2 Ivi, p.202.

3 PP, p.875, tr.it, p. 257, c.vo nostro.

4 Anno che si situa a cavallo tra l'edizione della Phénoménologie de la perception e la redazione della Prose du monde dove Merleau-Ponty elabora una teoria dell'espressione significativa per le sue opere successive e che porterà alle riflessioni più mature di Le visible et l'invisible.

5 Ci riferiamo in particolare a a Emmanuel de Saint-Aubert, Le scénario cartésien, op.cit e Id. Du lien des êtres aux éléments de l'être ; Merleau-Ponty au tournant des années 1945-1951, Paris, Vrin, 2004; cfr. anche Id.,Vers une ontologie indirecte; op.cit.

conferenza del 19461 in cui aveva messo alla prova davanti ai membri della Societé

française de Philosophie le idee elaborate nella Phénoménologie de la perception, nel 1949 Merleau-Ponty inserisce il quadro percettivo entro il contesto più ampio dell'espressione e torna a far valere la concezione di una «puissance linguistique» contro l'ipotesi di una lingua-algoritmo:

langage universel (Descartes) (Leibniz). Remplacer langage par algorithme, système de signes sans équivoque construit d'après système de pensées. Rôle du langage est vêtement, transmission, indices. Signes morts et signification vivante. Pas de communication: conscience trouve dans les signes ce qu'elle y a mis: sujet qui parle associe message. Au contraire: pas de Cogito non situé, donc problème d'autrui et de l'expression, donc langage mêlé à pensée et véhiculant communication effective: Pas de rapport clair signes-signification, extérieur-intérieur, mais ambiguïté. Pensée est expression […] Il ne s'agit pas de de réduire le non-sensible au sensible. Mais de rendre l'esprit sensible aussi bien que le sensible. C'est là le sens de notre notion générale de perception. L'expression est la solution même du problème que nous étudions, puisqu'elle est transcendance, passage de moi en autrui. 2

La critica alla concezione di un codice linguistico puramente referenziale e senza equivoci torna ne' La prosa del mondo, opera iniziata tra il 1950 e il 1951 e interrotta probabilmente nell'autunno-inverno del 1951 o agli inizi del 19523. La ragione

dell'interruzione, come abbiamo già accennato nel primo capitolo, non è da ascriversi ad un ripensamento dei temi in essa elaborati, quanto piuttosto all'urgenza colta da MP di rifondare le categorie filosofiche di soggetto e mondo. Anche le ricerche condotte in quest'opera riprendono e proseguono l'esame della percezione, ma, ancor più che le conferenze messicane, sono proiettate verso un ripensamento della coscienza percettiva in un più attento e dedicato esame all'espressione4.

Nelle pagine della Prose du monde il filosofo elabora in modo più approfondito ciò che resta il tema a nostro avviso più originale della sua precedente Tesi: la concezione di 1 Maurice Merleau-Ponty, Le primat de la perception et ses conséquences philosophiques, in «Bulletin de la Société française de philosophie», tome XLI, no. 4, octobre-décembre 1947; ripubblicato in Id., Le primat de la perception et ses conséquences philosophiques, Lagrasse, Éditions Verdier, 1996; tr. it. R. Prezzo e F. Negri (a cura di), Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche (1946), Milano, Medusa, 2004.

2 Maurice Merleau-Ponty, Notes de préparation inédites des Conférences de Mexico, version 1, début 1949 citato da Emmanuel de Saint Aubert, Le scénario cartésien, op.cit.; pp. 202-203 nota 2.

3 Ricordiamo che Merleau-Ponty non intese portare a compimento quest'opera. L'opera appare per la prima volta in Francia nel 1969 (La prose du monde, sous la direction de Claude Lefort, Paris, Gallimard). Claude Lefort, che è stato il curatore dell'opera, nell'avvertenza che premette al testo ci fornisce alcuni preziosi elementi che portano a collocare la redazione dell'opera tra la fine del 1950 e il 1952, ma più probabilmente Lefort è orientato a credere che l'opera sia stata scritta nell'arco di un unico anno, il 1951. Ricordiamo che la traduzione di Mauro Sanlorenzo, è pubblicata per la prima volta in Italia nel 1984 con una introduzione di Carlo Sini (La prosa del mondo, Editori Riuniti, Roma 1984).

un pensiero non come fatto «interiore» all'uomo, ma come articolazione di un essere-al-mondo. Il fondamento corporeo del linguaggio è mantenuto, ma più che sottolineare l'intenzionalità del soggetto nella percezione, esso spiega l'adesione concreta del nostro essere al mondo e la co-implicazione del Sé e dell'Altro nella costituzione del senso di un discorso1. Sul fondamento della corporeità, infatti,

Merleau-Ponty torna a motivare, contro la teoria del Cogito cartesiano, l'immanenza del senso nell'espressione e il presupposto di ogni comunicazione in una intersoggettività originaria. Nel testo Merleau-Ponty ribadisce che la «parola espressiva» è nel «glissement» (come aveva scritto nella Phénoménologie de la perception) e nello «scarto» tra una parola parlata (il cui significato è «institué») e il movimento di un ripresa e ricostituzione del parlante. Ma ancor più che nella Phénoménologie, in quest'opera successiva egli approfondisce la relazione tra il Sé e l'Altro messa in evidenza dal linguaggio, accentuando in essa di uno spossessamento del Sé ed esplorando il potere che il linguaggio dell'Altro ha di «conquistarci», di sottrarci a noi stessi trascinandoci fuori dal nostro pensiero2: la parola non si limita ad enunciare ciò

che già conosciamo, ma ci introduce a «nuove e sconosciute esperienze», «a prospettive che non saranno mai le nostre»3. La letteratura è l'ambito privilegiato di

questa indagine del linguaggio come potere di uno scambio effettivo, in cui Io e Altro si trovano uniti in un unica trama. È in tali riflessioni che Merleau-Ponty porta, per così dire, al limite delle possibilità la nozione di «corpo proprio». Nelle pagine dell'opera, infatti, il filosofo attesta la «generalizzazione» del corpo soggettivo in una «universalità del sentire»4.

Torneremo su queste problematiche nei prossimi paragrafi, ma sottolineiamo fin d'ora che proprio la riflessione sul linguaggio condotta nella Prose farebbe cogliere a Merleau-Ponty l'esigenza di riformare la nozione di corpo fenomenologico e, con essa, le categorie filosofiche del soggetto e dell'oggetto. Tale ipotesi, avanzata da Claude

1 Non che questi aspetti siano assenti nella Phénoménologie, ma i termini con cui vengono discussi nella Prosa, come cercheremo di spiegare di seguito nel testo e nei prossimi paragrafi, toccano e sollevano problemi differenti. Già nella Phénoménologie il tema dell'intersoggettività si presenta non solo nella dimensione della «parola parlata», ma anche là dove Merleau-Ponty considera il dialogo un «essere a due», come inerenza ad una esperienza comune a me e all'Altro,che non è creata da nessuno dei due e che purtuttavia è condivisa da entrambi.(Cfr. PP, terza parte)

2 «Il faut donc ici que j'admette que je ne vis pas seulement ma propre pensée mais que, dans l’exercice de la parole, je deviens celui que j’écoute» (PM, p.1516, tr.it. p.125).

3 Cfr. PM, «Le langange indirect et les voix du silence», p.1474; tr.it. p.67.

4 «Il y a une universalité du sentir- et c'est sur elle que repose notre identification, la généralisation de mon corps, la perception d'autrui» (PM, p.1531; tr.it., p.140).

Lefort nell'avvertissement premesso alle pagine della Prose1, spiegherebbe l'interruzione del manoscritto, riconducendola appunto all'urgenza di riconsiderare e rifondare le nozioni di soggetto e mondo. In questo senso, la necessità che guida la successiva riflessione ontologica del filosofo non si sovrappone ai contenuti della Prose, ma sorge da essi; l'incompiutezza del testo non va quindi colta come rinuncia alle tematiche qui espresse, ma come loro approfondimento. È Lefort a mostrarci che La prosa del mondo sia la prima parte di un dittico che, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto essere subordinata ad un altro testo, Origine de la verité, nel quale Merleau-Ponty intendeva svelare il senso ontologico della teoria espressiva; questo secondo lavoro, sempre secondo la ricostruzione di Lefort, è poi confluito nelle pagine del Visible et l'invisible2. Nelle due opere Merleau-Ponty considera la tematica espressiva e linguistica nella dimensione carnale dell'esistenza, dove «carne» (chair) non deve essere considerata la dimensione del corpo proprio. In essa, infatti, il filosofo non cerca di rielaborare una dialettica tra concreto e astratto per vedere nel primo termine la radice di ogni concettualizzazione, ma mira a recuperare una sorta di «infrastruttura corporea» del concetto, rendendo la chair non il fondamento di ogni immagine mentale o espressione linguistica, ma l'In der Welt Sein stesso, inteso come forma corporea e spirituale. In modo chiarificante si esprime Mauro Carbone che nella presentazione all'edizione italiana di Le visible et l'invisible scrive:

Non che con ciò [ovvero la distinzione tra visibile e l'invisibile delineata nell'opera] Merleau-Ponty si limiti a rovesciare l'impostazione platonica che afferma la derivazione del mondo sensibile da quello intellegibile […] fra questi non vi è distinzione radicale e contrapposizione di caratteri, né quindi primato di uno e derivazione dell'altro, bensì una relazione di reciproca implicazione e vicendevole rinvio- di «chiasma».3

Il «chiasma», altra figura importante nell'ontologia di Merleau-Ponty, è adottato dal filosofo a partire dal suo significato nella retorica, nella quale esso designa l'incrociarsi di una coppia di termini secondo uno schema sintattico «AB,BA». Analogamente alla figura stilistica, anche la figura ontologica il chiasma indica la «reversibilità» di una coppia di concetti filosofici: interno ed esterno, visibile e invisibile, parola e silenzio. 1 Cfr. PM, pp.1425-34, tr. it pp.19-27.

2 Cfr. la prefazione di Claude Lefort , Ivi, p.1432, tr. It. p.25. In particolare: «la pensée du Visible et l’invisible germe dans la la première ébauche de La Prose du monde, au travers des aventures qui, de modification en modification, trouvent leur aboutissement dans l'interruption du manuscrit – de telle sorte que l'impossibilité de poursuivre l'ancien travail n'est pas la conséquence d'un nouvel choix, mais son ressort» (Ivi, p.1432, tr.it. p.25). Ricordiamo inoltre che la ragione dell'incompiutezza di quest'ultima opera, come sappiamo, è data dalla prematura morte dell'autore.

Approfondiremo in un altro capitolo questo aspetto complesso e affascinante dell'ontologia merleau-pontiana.

Potremmo temporaneamente concludere, però, che formulazione della struttura chiasmatica dell'In Der Welt Sein trova la sua origine da un'esigenza posta dall'esame espressivo e linguistico condotto nella Prosa, precisamente nell'idea di un linguaggio che non è mai rivestimento di un pensiero interiore, ma trama comune tra io-mondo-altri. La tensione qui ancora irrisolta tra fondamento del linguaggio nel corpo fenomenologico e il suo superamento nella carne come trama comune tra gli esseri si annuncia in filigrana nel tema della «coesistenza» o «situazione comune» tra il sé e l'altro.

Manca tuttavia ancora un commento che ci permetta di portare a conclusione l'esame del rapporto che lega Merleau-Ponty a Leibniz. Date queste premesse, si può comprendere infatti che sul tema del linguaggio le posizioni dei due autori divergono, muovendosi in direzioni uguali e contrarie. Saint-Aubert le sottolinea in tutta la loro tensione oppositiva, mostrando altresì che la riflessione di Merleau-Ponty è volutamente antitetica rispetto al modo di procedere leibniziano: mentre Leibniz parte dal concreto per tendere al linguaggio universale dell'algoritmo, Merleau-Ponty cerca di restituire anche all'algoritmo la dimensione carnale dell'esistenza:

La phénoménologie du langage de Merleau-Ponty adopte alors, pour mieux la condamner, une démarche inverse à celle de Leibniz: autant ce dernier a cherché à soumettre l'univocité et la nécessite de l'algorithme toute la dimension charnelle de la vie expressive (jusqu'à la dimension la plus charnelle et la mois univoque qu'est l’analogie), autant Merleau-Ponty cherche à restituer le dimension charnelle et contingente de toute vie expressive en commençant par celle qui en paraissait la plus dépourvue, l'algorithme.1

La critica ad un «linguaggio puro»2, la teoria di un potere espressivo delle parole che

sorga da un «glissement» e da una «ambiguïté» di base, sono posizioni che Gadda avrebbe potuto condividere: in ogni sua opera infatti (nei diari come nei racconti, nei saggi e nelle pagine filosofiche come nei romanzi) lo scrittore ha lavorato contro l'univocità di senso del segno linguistico aprendolo alle più inusitate deformazioni compiendo audaci associazioni e vertiginosi cambi di registro stilistico, mescolando linguaggi diversi, decomponendo le parole in forme ibride e dialettali, stravolgendo anche l'uso della punteggiatura per mostrare la polifonia dei sensi che sono sottesi alle

1 Emmanuel de Saint-Aubert, Le scénario cartesién, cit. p.205. 2 Cfr. PM, 1° tratto, « Le fantôme d'un langage pur ».

parole, o meglio, che vivono tra di esse. Per quanto nella gnoseologia gaddiana il conoscente conservi un potere di coordinazione o delle relazioni reali in nuclei o sistemi significativi, - un potere che, come abbiamo introdotto, viene sconfessato da Merleau-Ponty nelle sue ultime riflessioni- , nella prassi narrativa, nel mélange degli stili letterari e nelle contaminazioni dialettali, Gadda mette in primo piano il linguaggio come dimensione di costituzione reciproca di conoscente e conosciuto: la lingua dei suoi racconti e romanzi si costituisce come trama di significati continuamente ripresi e deformati dai personaggi, come una sorta di tessuto comune tra di essi che se da un lato li identifica e li differenzia, dall'altro crea un sostrato indifferenziato, un tessuto magmatico tra di essi. Prima però di azzardare una similitudine tra l'essere chiasmatico merleau-pontiano e la struttura del linguaggio nelle opere di Gadda occorre innanzitutto confrontare la nozione gaddiana di sistema con il concetto di «struttura» in Merleau-Ponty, concetto che evolve nel pensiero del filosofo e che prenderà via via i connotati di «chiasma».

* * *

In via preliminare si possono fare alcune considerazioni sui rispettivi legami che uniscono Gadda e Merleau-Ponty a De Saussure, poiché affini sono i motivi di convergenza e divergenza tra il padre dello strutturalismo linguistico e i due autori presi in esame. Analogamente a De Saussure, infatti, sia Gadda che Merleau-Ponty ragionano in termini di «sistema», ritengono cioè che il dato conosciuto non sia un elemento discreto, ma una «unità strutturale» il cui senso non è dato dal valore dei singoli elementi, ma risiede piuttosto negli scarti e nei vuoti che si costituiscono tra di essi - analogamente al modello saussuriano (e gaddiano) della scacchiera, in cui il gioco non è dato dalla posizione dei singoli pezzi, ma dalle possibilità che si inscrivono tra di essi, dalle relazioni che si instaurano tra la collocazione di un elemento e quelle di tutti gli altri.

In Gadda abbiamo visto che il sistema è la «forma»1 provvisoria del dato conosciuto,

un'unità sistemica priva di «contorni puliti», contingente e «mobile». In Merleau-Ponty la nozione di struttura attraversa tutta la sua opera da La structure du comportement a

1 Il termine è tra virgolette perché se il sistema può essere inteso come forma, essa non può essere che grama, mobile e provvisoria.

Le visible e l'invisible1, ed è connessa alla concezione di forma gestaltica, già parzialmente considerata in ambito fenomenologico e percettivo, ovvero una «totalità strutturata» in cui la funzione delle parti è determinata dall'organizzazione dell'intero2.

La Gestalt non esaurisce tuttavia la problematica strutturale nell'opera del filosofo. Innanzitutto perché il collegamento con la Psicologia della Forma non è costante nell'opera del filosofo, secondariamente perché non è l'unico riferimento adottato da Merleau-Ponty nell'ordine della struttura: intorno agli anni Cinquanta infatti la sua riflessione si arricchisce di un più attento esame della linguistica saussuriana che accentua le caratteristiche della struttura corpo-mondo già discusse nella Phénoménologie, ma senza ricadere nelle intenzionalità soggettive.

Come mostra Renaud Barbaras in un articolo dedicato al rapporto tra il pensiero merleau-pontiano e la Gestatpsychologie3, nella Structure du comportement e nella Phénoménologie de la perception Merleau-Ponty introduce il concetto di «forma» gestaltica per definire la struttura del percepito come una signification incarnéedi cui sappiamo disporre senza conoscerne punto per punto la definizione e che coincide con il rapporto immanente di senso che si instaura tra il nostro organismo e l'ambiente4.Con

questa nozione il filosofointende ricongiungere la coscienza al mondo superando alcune

1 A questo proposito si veda anche Silvia Chiletti, Ai limiti di fenomenologia e strutturalismo. Il concetto di struttura nella filosofia di Maurice Merleau-Ponty, «Segni e Comprensione», n.62, XX, maggio-agosto 2007, pp.102-118. Nell'articolo, Silvia Chiletti mostra efficacemente l'evoluzione del concetto di struttura nel pensiero di Merleau-Ponty, contestualmente, la sua presenza costante all'interno delle riflessioni del filosofo. Se inizialmente la struttura spiega il carattere della percezione e del comportamento umano, nelle considerazioni sul linguaggio diventa modello di un significato che si compie negli scarti e negli slittamenti di un linguaggio che è inteso come suolo comune, luogo di scambio collettivo tra gli individui, per poi connotare il dispiegamento sensibile dell'Essere come chiasma.

2 Ricordiamo tuttavia che Merleau-Ponty mira ad un'appropriazione personale della concezione di forma gestaltica: rifiutando qualsiasi principio realista-materialista e, con esso, l’idea che le strutture fisiche siano il sostrato di quelle biologiche e psichiche, Merleau-Ponty si scosta dalle conclusioni e dagli scopi della Psicologia della Forma.

3 Renaud Barbaras, Merleau-Ponty et la psychologie de la Forme, «Les études philosophiques», avril-juin 2001, pp.151-163. Anche Barbaras inoltre dichiara: «En effet, il n’est pas exagéré de dire que, du début jusqu’à la fin, Merleau-Ponty a tenté de penser la forme, découverte par la gestaltpsychologie, et que, en ce sens, la forme tient lieu de la « chose même » à laquelle le précepte husserlien nous enjoint de faire retour : toutes les descriptions merleau-pontiennes, du comportement comme du monde perçu, sont guidées par la Gestalt et comme enserrées en elle» (Ivi, p.151)

4 «Si nous nous reportons aux recherches objectives elles-mêmes, nous découvrons d'abord que les conditions extérieures du champ sensoriel ne le déterminent pas partie par partie et n'interviennent