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DELL’ARTICOLO 8, 3 COMMA, DELLA COSTITUZIONE

SOMMARIO: 1-L’EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO 2-LA NATURA GIURIDICA DELLE INTESE 3-IL CONTENUTO DELLE INTESE 4-LA PROCEDURA DA SEGUIRE PER LA STIPULA DELLE INTESE 5-IL RAPPORTO LEGGE-INTESA. LA LEGGE DI APPROVAZIONE.

1 L’EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO.

L’attuale articolo 8 della Costituzione è frutto di un’elaborazione tipicamente parlamentare. In sede d’Assemblea costituente e, più precisamente, di Commissione per la Costituzione, il 23 gennaio 1947 venne presentato un emendamento Terracini, su cui aveva preventivamente concordato Aldo Moro, a nome della Democrazia Cristiana.

L’emendamento Terracini stabiliva: “I rapporti tra lo Stato e le altre Chiese” (diverse da quella cattolica) “sono regolati per via legislativa, d’intesa con le loro rappresentanze legittime”. Il giorno successivo, la norma venne approvata dalla Commissione in una

formulazione molto simile a quella dell’attuale art. 8, con l’inserimento però dell’inciso “ove lo riecheggiano”, che sembrava rendere necessario un atto d’iniziativa delle Chiese interessate. In Assemblea, dopo varie discussioni, si raggiunse l’accordo sul testo attualmente vigente134.

Non erano state, quindi, le confessioni religiose di minoranza a chiedere le “intese” quale particolare strumento giuridico atto a regolare i loro rapporti con lo Stato. Le Comunità israelitiche, nei loro documenti rivolti alla Costituzione, avevano, però, sottolineato la necessità dell’eguaglianza giuridica di tutte le confessioni, in particolare in materia di tutela penale dei diversi culti; così come le Chiese Evangeliche d’Italia che rivendicavano l’assoluta indipendenza di tutte le Chiese dallo Stato, per cui l’apertura dei templi, le riunioni religiose, la nomina dei ministri di culto, l’ordinamento degli enti ecclesiastici, possano avvenire in piena libertà, nell’ambito del diritto comune.

Era chiara la contestazione della normativa preesistente – legge 24 giugno 1929, n. 1159 (Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi), nonché le relative norme d’attuazione emanate con r.d. 28 febbraio 1930, n. 289 – che prevedeva, appunto, speciali controlli dello Stato per l’apertura di templi, le riunioni religiose, la nomina dei ministri di culto, ecc…; ma un sistema pattizio non era stato suggerito

134 S. DOMIANELLO-G. CASUSCELLI, Le intese con le confessioni diverse dalla cattolica, in AA. VV., Le fonti e i principi del diritto ecclesiastico, Utet, 2000, p. 37. In realtà in assemblea fu accolta anche la proposta di spostare quest’ultimo comma, innestandolo nell’art. 14 (l’attuale art.

199). Il trasferimento fu però criticato nella successiva seduta dall’On. Mortati, per la diversità delle materie trattate: “La sede opportuna della disciplina di tale materia mi pare sia proprio quella delle disposizioni generali e precisamente della parte che riguarda i rapporti tra lo stato e gli altri ordinamenti”.

né, in un primo tempo, contemplato da parte delle Chiese evangeliche italiane135.

Per la gran parte della dottrina, infatti, questo strumento fu creato conseguentemente all’inserimento nella Carta di un riferimento diretto al Concordato con la S. Sede (art. 7 cost.) per la regolamentazione dei rapporti intercorrenti tra quest’ultima e lo Stato.

Il terzo comma dell’art. 8 Cost. venne formulato in maniera volutamente ambigua e oscura136, e fu proprio il parallelismo di facciata con il Concordato con la Chiesa cattolica, in Assemblea costituente, a creare quel diversivo che deviò l’attenzione dall’infelice formulazione dell’art 8, 3 comma. Infatti, chi come Giovanni Leone, si permise di segnalare le scorrettezze tecniche della norma, venne perentoriamente zittito dal presidente Terracini (udienza del 25 marzo 1947)137.

Per alcuni autori138, la risposta che i nostri costituenti diedero alle istanze pluraliste, fu dettata per la maggiore da esigenze di propaganda e non da un comune sentire in chiave pluralista. È pacifico che la ragione politica della norma costituzionale (art. 8) sta nella volontà “di avvicinare attraverso l’istituto delle intese, quanto più possibile, la condizione giuridica dei culti acattolici139 a quella della

135 G. LONG, voce, Intese, IV) intese con le confessioni diverse dalla cattolica, in Enciclopedia giuridica Treccani, 1993, p. 1.

136 Per S. LANDOLFI, L’intesa tra Stato e culto acattolico. Contributo alla teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Napoli, Jovene, 1962, p. 89. “la formula usata nell’art. 8 venne fuori al solo scopo di non lasciare intravedere le conseguenze impegnative per il legislatore che sarebbero derivate con maggiore immediatezza da formule più chiare”. Infatti, l’impegno attuativo del legislatore è stato procrastinato per più di trent’anni.

137A. VITALE, Corso di diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 1998, p. 155, nota 4.

138 Tra i quali, A. VITALE, op. ult. cit., pp. 153 ss.

139 Condizione giuridica che era (e lo è tuttora per le confessioni religiose prive d’intesa) disciplinata dalla l. 24 giugno 1929, n. 1159 (Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi). D’emanazione fascista,

Chiesa cattolica140. Il primo scopo delle intese sarebbe stato, quindi, quello di emancipare dalla legislazione unilaterale statale, mediante un‘estensione del principio di bilateralità, le chiese di minoranza.

Dopo l’approvazione della Costituzione furono presentate varie richieste di trattative per addivenire ad un’intesa, sia da parte delle Chiese evangeliche, che da parte delle Comunità israelitiche, ma solo nel 1976, cioè dopo quarant’anni di vigenza della Costituzione, furono stipulate le prime intese e fu data attuazione all’art. 8, 3 comma141.

prevede alcune facoltà riguardanti la natura di questi gruppi, ma sconta controlli di tipo giurisdizionalista e di polizia molto invasivi e quindi inficianti l’autonomia ed originarietà degli stessi.

140 Cfr. S. LANDOLFI, L’intesa tra Stato e culto acattolico. Contributo alla teoria delle “fonti”

del diritto ecclesiastico italiano, cit. p. 41.

141 Cfr. A. BERLINGO’, Le fonti del diritto ecclesiastico, in AA. VV. Le fonti e i principi del diritto ecclesiastico italiano, cit., p. 36-37. Le cause del ritardo possono essere individuate in molteplici fattori. In primo luogo va ricordato che l’ultimo comma dell’art. 8 Cost. non ha precedenti nel nostro diritto positivo, non potendosi certo considerare tale la disciplina statuale delle comunità israelitiche (r.d. n. 1731 del 1930 e r.d. n. 1561 del 1931), cui pure non mancò, in fase preparatoria, l’apporto di giuristi israeliti e il sostegno del consorzio delle università israelitiche. Quanto agli ordinamenti stranieri può dirsi sostanzialmente altrettanto: un lontano precedente è stato rinvenuto nell’art. 115 della Costituzione Cecoslovacca del 1920, ove si stabiliva che “i rapporti tra lo Stato e queste Chiese o confessioni saranno definiti in via legislativa, dopo gli accordi con i loro rappresentanti. Il precedente Cecoslovacco è citato da A.

VITALE, Corso di diritto ecclesiastico, Napoli, 1972, p. 102, nota 191. In secondo luogo deve tenersi conto che (sebbene la portata dell’innovazione non fosse del tutto chiara ai Costituenti: in Commissione come in Assemblea occorse un esiguo spazio di tempo per giungere all’attuale redazione dell’art. 8, e la discussione non presentò il livello, sia tecnico sia polemico, caratterizzante quella dell’art 7) nella formulazione del primo e ultimo comma dell’art. 8, svolse un ruolo non secondario l’intento di apportare un correttivo al richiamo dei Patti Lateranensi. Parte cospicua dei Costituenti voleva operare un “tentativo di svuotamento e di riduzione del consenso da alcuni dato all’art. 7”; altri, ancora, temevano che l’atteggiamento della democrazia cristiana mirasse alla “attribuzione di una superiorità della Chiesa cattolica a detrimento delle altre religioni”. Basti ricordare l’On. Cevolotto, che aveva proposto di introdurre la formula:

“particolari leggi e patti concordati regoleranno il regime giuridico e amministrativo delle associazioni e degli enti morali di qualunque culto”. Per molti anni, quindi, il richiamo di cui al 2 comma dell’art. 7 ostacolò l’abbandono del principio della religione di Stato e della politica confessionista degli apparati pubblici, ritardando, tra l’altro, l’attuazione dello strumento delle intese. In terzo luogo, peso non trascurabile ebbe anche l’atteggiamento d’indifferenza, se non d’ostilità, assunto da alcune confessioni, a causa di una pregiudiziale rifiuto del modello pattizio di relazioni con lo Stato: l’istituto dell’intesa, poco noto anche dal punto di vista teorico, era da taluno aprioristicamente ricondotto, in specie negli anni 60, al cosiddetto “sistema costantiniano”.

Soltanto negli anni 70 la crisi del confessionismo, che si accompagnò all’affermazione del pluralismo (anche confessionale), consentì il superamento d’ostacoli e diffidenze. Nel 1976 prendevano avvio le prime trattative con la Tavola Valdese per la stipula in una intesa.

Fu l’allora Presidente del Consiglio Andreotti che, riferendosi alla revisione del Concordato, precisò che alla stessa Commissione che conduceva le trattative con la S. Sede era stato affidato “un altro delicato affare di Stato e cioè la predisposizione, sentendo i relativi responsabili, di aggiornate norme riguardanti le confessioni religiose diverse dalla cattolica”142.Così facendo il governo manifestò l’intento di attribuire adeguata solennità ai rapporti con le altre confessioni religiose, implicitamente, sottrasse al Ministero dell’interno la competenza sull’attuazione dell’art. 8 Cost., che venne affidata ad una commissione nominata dal Presidente del Consiglio. Questo comportò una svolta, per la quale i rapporti con le confessioni acattoliche divenivano, per la prima volta, materia di rango politico e costituzionale. Evoluzione che, senza dubbio, fu conseguenza dell’avvio delle trattative per la revisione concordataria, conclusione avvalorata da numerosi indizi, tra i quali, il fatto che il Presidente del Consiglio si espresse sull’argomento nel corso di un dibattito sulla revisione concordataria e, ancor più, l’identità della commissione143.

Dopo il 1984, anno in cui fu firmato l’accordo di revisione del Concordato e della prima intesa144, la stipulazione di nuove intese incontrò meno difficoltà.

Si giunse, così, nell’arco di un decennio (’84-’95), alla firma, seguita dalla relativa legge d’approvazione, di sei intese, cinque delle quali con confessioni facenti parte della frammentaria realtà protestante, e la restante con l’Unione delle Comunità ebraiche

142 G. LONG, voce, Intese, cit. p. 2.

143 T. ARNONE, Sulle intese tra Stato e confessioni acattoliche, cit. p. 812.

144 Con le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese.

italiane145. Il 20 marzo del 2000, due nuove intese sono state stipulate dal Governo italiano, rispettivamente con la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e con l’Unione buddista italiana. Manca ancora la traduzione in legge da parte del Parlamento. Chi guardava a queste due nuove intese con la speranza che la specificità dei soggetti interessati, di certo più accentuata rispetto a quella dei precedenti intercolutori dello Stato, fosse valorizzata, è rimasto profondamente deluso.

In questo lasso di tempo, apparendo la condizione giuridica delle confessioni senza intesa in condizione d’inferiorità rispetto a quella delle confessioni che ne sono provviste, la commissione di studio elaborò un disegno di legge (Norme sulla libertà religiosa e

145 Legge 11 agosto 1984, n. 449 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese), sulla base dell’intesa del 21 febbraio 1984. A questa si aggiungono due successive intese di modifica, firmate rispettivamente il 3 aprile 1986 (mai approvata dal Parlamento) e il 25 gennaio 1993, quest’ultima approvata con legge 5 ottobre 1993, n. 409 (Integrazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell’art. 8, 3 comma, Cost.). Il 27 maggio 2005 è stata, poi, firmata un’altra intesa, ma non ancora approvata con legge.

Legge 22 novembre 1988 n. 516 (norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7 giorno), sulla base dell’intesa del 29 dicembre 1986 e legge (di modica) 20 dicembre 1996, n. 637. Il 23 aprile 2004 è stata firmata un’altra intesa, ma non ancora approvata con legge.

Legge 22 novembre 1988, n. 517 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia), sulla base dell’intesa del 29 dicembre 1986.

Legge 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane), sulla base dell’intesa del 27 febbraio 1987 e legge (di modifica) 20 dicembre 1996 n. 638.

Legge 12 aprile 1995, n. 116, sulla base dell’intesa con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia.

Legge 29 novembre 1995, n. 520, sulla base dell’intesa con la Chiesa evangelica luterana in Italia.

del 20 aprile 1993.

Sono state poi avviate una serie di intese in vista della conclusione ai sensi dell’art. 8 della Costituzione. E sono: Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (confessione riconosciuta come ente di culto con DPR del 23/02/1993; inizio trattative, 20 luglio 2000); Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale (confessione riconosciuta come ente di culto con DPR del 16/7/1998; inizio trattative, 21 novembre 2000); Chiesa Apostolica in Italia (confessione riconosciuta come ente di culto con DPR del 21/2/1989; inizio trattative, 30 gennaio 2001); Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (confessione riconosciuta come ente di culto con DPR del 20/11/2000; inizio trattative, 18 aprile 2001); Unione Induista Italiana (confessione riconosciuta come ente di culto con DPR del 29/12/2000; inizio trattative, 18 aprile 2001).

abrogazione della legislazione sui “culti ammessi”), approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 settembre 1990, ma mai presentato al Parlamento146.

2 LA NATURA GIURIDICA DELLE INTESE.

L’istituto dell’intesa in materia ecclesiastica s’inserisce in un più ampio contesto entro il quale lo Stato e le parti sociali non si considerano più le une completamente subordinate all’altro nella produzione normativa, bensì, come soggetti che dialogano o meglio concertano a livello paritario le decisioni che ricadranno sulla vita civile delle persone. S’è prevista, in tal senso, una bilateralità diffusa e potenzialmente illimitata dei procedimenti legislativi e amministrativi.

L’intesa prevista dall’art. 8, 3 comma, Cost. (I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base d’intese con le relative rappresentanze), si distingue dalle semplici forme di partecipazione a procedimenti amministrativi, in quanto essa costituisce una base per la futura legge, che sarà una legge d’approvazione di quanto già stabilito di comune accordo dai due soggetti stipulanti. Nel nostro caso la legge segue all’intesa, mentre nelle forme di partecipazione a procedimenti amministrativi, l’intesa è qualcosa di posteriore rispetto alla legge ordinaria (unilaterale o di derivazione bilaterale) e si limita a precedere o preparare un atto amministrativo.

146 S. DOMIANELLO, G. CASUSCELLI, Le intese con le confessioni diverse dalla cattolica, in AA. VV. Le fonti e i principi del diritto ecclesiastico, Torino, Utet Libreria, 2000, p. 37.

La struttura delle intese può essere descritta come una tipica forma di coordinamento paritario tra soggetti posti sullo stesso piano al fine di codeterminare il contenuto dell’atto sottoposto ad intesa, attraverso una negoziazione diretta volta a superare le divergenze originarie.

La differenza sta nel tipo d’atto: nel caso dell’art. 8 Cost. si tratta, non di mero atto amministrativo, ma di una legge, i cui contenuti saranno vincolati al necessario concorso della volontà della confessione, che negozierà con lo Stato i contenuti dell’intesa e quindi della legge stessa147.

Partendo dal presupposto che l’istituto dell’intesa sia nato “di rimbalzo” dispetto all’inserimento del Concordato con la Chiesa cattolica148, la Costituzione ha cercato di riequilibrare la disuguaglianza di trattamento tra Chiesa cattolica e altri culti esistente nel regime autoritario, ed ha espresso chiaramente un intento risarcitorio nei confronti delle confessioni di minoranza. Si deve, però, tenere presente che, a differenza del Concordato, le intese non hanno precedenti nella tradizione italiana, e anche la loro utilizzazione in altri ordinamenti (come quello germanico) non è stata d’aiuto all’elaborazione dogmatica. È accaduto, così, che se per un certo periodo le differenze tra intese e Concordato sono state considerate incolmabili, quando il principio costituzionale è stato attuato, queste differenze si sono venute attenuando e si è accentuato il loro valore garantista e di tutela ordinamentale dei culti acattolici.

147 N. COLAIANNI, voce, Intese (diritto ecclesiastico), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 2001, aggiornamento V, pp. 699-700.

148 F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit. p. 76.

Occorre chiarire preliminarmente che non può considerarsi intesa (ai sensi dell’art. 8 della Costituzione) qualsiasi accordo tra la rappresentanza di un culto e un organo amministrativo, avente ad oggetto questioni settoriali (ad esempio in materia previdenziale). Le intese previste dalla Costituzione sono solo quelle che regolano i rapporti complessivi tra Stato e confessione religiosa, e che sono elaborate e stipulate nell’ambito di una contrattazione tra Governo e rappresentanza confessionale. Ad esse possono seguirne altre, quando i contraenti vogliano modificare l’intesa generale già esistente, o intendano aggiungere ad essa la disciplina di una qualche materia di comune interesse.

Da questo punto di vista, l’intesa può considerarsi come strumento tipico, e speciale, di negoziazione legislativa capace di dar vita ad un sistema normativo di relazioni bilaterali. Da ciò deriva che, pur restando ferma la distinzione tra Concordato e intese (strumento di diritto internazionale il primo, strumento di negoziazione di diritto interno, le altre), l’art. 8 della Costituzione qualifica le confessioni di minoranza come veri soggetti costituzionali con capacità contrattuale legislativa nei confronti del Governo149. La norma qui considerata ha dato molti problemi di tipo interpretativo, riguardo alla natura giuridica delle intese, alla posizione di queste nei confronti del procedimento legislativo, alla capacità a stipularle, alla determinazione alla rappresentanza dei culti e al possibile contenuto delle intese stesse, che sono state oggetto di un dibattito che non ha conseguito univoco orientamento.

149 C. CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea e legislazione italiana, Giappichelli Editore, Torino, 2005, p. 215-216.

Una prima tesi estrema, minimalista, nega alle intese qualsiasi natura giuridica, considerandole solo come “atti aventi un valore politico”150, un “rilievo di convenienza ed opportunità”, i quali , per non essere regolati nelle forme e per essere soltanto “base” della futura legge, non vincolerebbero il legislatore a confrontarsi alle statuizioni di esse. Ciò vuol dire cogliere soltanto un aspetto dello strumento costituzionale, il fatto cioè che l’esecutivo fa valere la propria responsabilità sia nel decidere di avviare la trattativa , sia nel corso del negoziato sino alla conclusione; ma questo significa trascurare che l’intesa assume un preciso e permanente valore costituzionale perché alla conformità con essa è subordinata la legittimità costituzionale della legge regolatrice dei rapporti tra stato e confessione religiosa151.

A questa tesi se ne aggiunge un’altra che vede le intese o come atti di diritto interno o, come atti di diritto esterno all’ordinamento statale. L’inevitabile parallelismo tra concordato e intese152 ha indotto

150 In tal senso cfr. V. DEL GIUDICE, Manuale di diritto ecclesiastico, cit. pp. 140 ss. osserva che per le intese non è stabilita forma alcuna, e che quindi esse possono assumere aspetto più o meno determinato: e ciò fa pensare che ad esse non si possa attribuire un valore giuridico ma soltanto un rilievo di convenienza e di opportunità.; M. PETRONCELLI, Diritto ecclesiastico, Napoli, 1981, pp. 54 ss. Riguardo alla norma dell’ultimo comma dell’art. 8, accede alla dottrina secondo cui tratterebbesi di una semplice facoltà che, ove lo Stato se ne avvalga e raggiunga “l’intesa”, porta l’obbligo di emanazione di una legge in conformità ad essa. Accettato questo principio ne deriva che se dal punto di vista politico l’intesa è un presupposto dell’emanazione della legge, dal punto di vista giuridico, essa non entra nel processo formativo della legge, per cui questa, anche ove l’intesa non sia raggiunta, e sempre ove non contrasti con i principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione ed in particolare con i primi due commi dello stesso art. 8, è costituzionalmente valida.

151 C. CARDIA. Principi di diritto ecclesiastico, Torino, Giappichelli editore, cit. p 216.

152 Sull’argomento, G. CASUSCELLI, Concordati, intese e pluralismo confessionale, cit. pp. 240 ss., sostiene che sotto il profilo sostanziale non vi è alcuna differenza tra intese e concordati: i

“soggetti” di questi accordi sono sempre da un lato organizzazioni confessionali, caratterizzate dal non avere quale loro elemento costitutivo un territorio e dall’essere composte di soggetti–cittadini di un ordinamento territoriale, e dall’altro Stati nel cui ambito territoriale devono organizzarsi le confessioni religiose; “oggetto” degli accordi è in ogni caso il regolamento della condizione giuridica nell’ordinamento dello Stato dei soggetti (persone fisiche e giuridiche che fanno anche parte di un ordinamento giuridico confessionale); il “fine”, da ultimo, è anche per le intese non

alcuni autori a sottolineare la parità sostanziale153tra gli strumenti pattizi di cui agli art. 7 e 8 della Costituzione, ed ha fornito nuovi argomenti a chi ha cercato di situare le intese in un ambito esterno all’ordinamento statuale. Quest’ultimo orientamento muove dalla constatazione che il riconoscimento della sovranità canonico non impedisce allo Stato di valutare l’originarietà ed alterità degli ordinamenti confessionali in genere154.

L’intesa, perciò, operando il collegamento tra realtà ordinamentali tra loro incompatibili, non può che essere vista come negozio giuridico di diritto esterno, nel senso che si colloca “in una sfera giuridica che non è quella dell’ordinamento statuale, ma è quella di un ordinamento che viene creato, di volta in volta, dall’incontro della volontà dello Stato e delle Comunità acattoliche”155.

Se seguissimo tale tesi dovremmo supporre che esiste un

Se seguissimo tale tesi dovremmo supporre che esiste un