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La nozione di confessione religiosa nell'ordinamento giuridico italiano e spagnolo

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Università degli Studi di Bologna

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea in Giurisprudenza

La nozione di confessione religiosa nell'ordinamento giuridico italiano e

spagnolo

Relatore:

Prof. Giovanni Cimbalo

Tesi di Laurea di:

Francesca Baccala

Anno accademico : 2005/2006

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INDICE

INTRODUZIONE

... pag. 1

PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

IL CONCETTO DI CONFESSIONE RELIGIOSA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

1. La nozione di confessione religiosa... pag. 4 2. Elaborazioni dottrinali ... pag. 13 2.1. La tesi dell’autoreferenzialità... pag. 13 2.2. La tesi del riconoscimento sociale ... pag. 20 2.3. La tesi del riferimento all’ordinamento giuridico .... pag. 21 2.4. La concezione teleologica ... pag. 24 3. La posizione della giurisprudenza ... pag. 27 3.1. La giurisprudenza costituzionale... pag. 27 3.2. La giurisprudenza di merito... pag. 33 4. Il disegno di legge-quadro e l’esigenza di una legge

generale sulla libertà religiosa ... pag. 41

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CAPITOLO SECONDO

LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

1. Breve excursus storico ... pag. 51 2. L’interpretazione dell’art. 7, 1 comma,

della Costituzione ... pag. 57 3. L’articolo 7, 2 comma, della Costituzione e

i Patti Lateranensi ... pag. 62 3.1. L’interpretazione della dottrina ... pag. 62 a) La “costituzionalizzazione” dei Patti Lateranensi ... pag. 65 b) La “costituzionalizzazione” del principio pattizio ... pag. 67 c) Il principio dello “stare pactis” ... pag. 68 3.2. L’interpretazione della giurisprudenza ... pag. 70

CAPITOLO TERZO

SULLE INTESE TRA STATO E CONFESSIONI RELIGIOSE. L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 8,

3 COMMA, DELLA COSTITUZIONE

1. L’evoluzione storica dell’istituto ... pag. 75 2. La natura giuridica delle intese... pag. 81 3. Il contenuto delle intese ... pag. 88 4. La procedura da seguire per la stipula delle intese ... pag. 94 5. Il rapporto legge-intesa. La legge di approvazione ... pag. 96

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PARTE SECONDA

CAPITOLO PRIMO

LE FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO SPAGNOLO

1. Il Concordato tra la S. Sede e lo Stato spagnolo

del 27 agosto 1953 ... pag. 103 2. La Ley de Libertad Religiosa del 28 giugno 1967 ... pag. 106 3. La Costituzione spagnola del 28 giugno 1978... pag. 109 4. La Ley Orgànica de Libertad Religiosa

del 5 luglio 1980 (LOLR) ... pag. 112 a) Il contenuto ... pag. 114 b) I soggetti ... pag. 115 c) I limiti ... pag. 116 5. Il Real Decreto n. 142 del 9 gennaio 1981.

Sull’organizzazione e funzionamento del Registro

de Entidades Religiosas ... pag. 118

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CAPITOLO SECONDO

I SOGGETTI COLLETTIVI DESTINATARI DEL DIRITTO DI LIBERTA RELIGIOSA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO SPAGNOLO

1. I soggetti collettivi ... pag.121 1.1. I gruppi religiosi o “comunità”... pag.121 1.2. Le confessioni religiose... pag.125 a) Nella dottrina... pag.125 b) Nella Costituzione... pag.131

c) Nella Ley Organica de Libertà

Religiosa (LOLR) ... pag.133 2. Il principio di cooperazione con le confessioni

religiose... pag.136 2.1. I Requisiti per stipulare accordi ... pag.139 2.2. Il “notorio arraigo” ... pag.147 2.3. Il Registro degli Enti Religiosi... pag.150

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CAPITOLO TERZO

LA POSIZIONE GIURIDICA DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE

1 La Chiesa cattolica... pag. 154 2 Le confessioni religiose diverse dalla Chiesa

cattolica con accordo ... pag. 160 3 Le confessioni non iscritte ... pag. 165 4 Gli enti religiosi ... pag. 168

CONCLUSIONE...

pag. 171

BIBLIOGRAFIA...

pag. 175

(7)

INTRODUZIONE

Questo lavoro si propone di studiare il concetto di confessione religiosa nell’ordinamento giuridico italiano prima, e in quello spagnolo, poi. Nella prima parte di tale studio si affronterà il discorso sulle confessioni religiose, in Italia, partendo dal presupposto che non esiste una vera e propria definizione di tale concetto.

Il Costituente nel porre il principio, consacrato nell’art. 8 della Costituzione, della eguale libertà delle confessioni di fronte alla legge, non si preoccupò di riempire di contenuto quella locuzione, lasciandola aperta a numerose interpretazioni.

Di qui l’impegno della dottrina e della giurisprudenza per circoscrivere ed applicare nella realtà concreta tale concetto, giungendo, infine, ad elencare una serie di criteri concreti alla cui stregua individuare le confessioni religiose e, così, distinguerle dalle semplici associazioni con carattere di fede.

Vedremo come siano state presentate in Parlamento varie proposte di legge, l’ultima delle quali mostrata alla Camera il 28 aprile 2006 e assegnata alla Commissione Affari costituzionali il 19 settembre, recante titolo: “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi”.

In conclusione, cercheremo di vedere qual è il rapporto che lo Stato intrattiene con le confessioni religiose, compresa la Chiesa cattolica, attraverso il riferimento agli art. 7 e 8 della Costituzione.

Nella seconda parte di tale tesi, si studierà, invece, l’ordinamento giuridico spagnolo, per delineare la nozione di confessione religiosa.

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Ci soffermeremo, in primis, sulle fonti del diritto ecclesiastico spagnolo, che partono dal Concordato tra la S. Sede e lo Stato spagnolo del 27 agosto 1953 e la Ley de Libertad Religiosa del 28 giugno 1967, fino alla Costituzione del 1978, il cui art. 16 codifica il diritto di libertà religiosa, alla Ley Organica de Libertad Religiosa del 5 luglio 1980, che sviluppa in maniera particolareggiata le linee generali di tale diritto e al Real Decreto del 9 gennaio 1981, sull’organizzazione e funzionamento del Registro degli enti religiosi, costituito all’interno del Ministero di Giustizia e creato per regolare l’iscrizione delle confessioni e dei suoi enti.

L’art. 16 della Costituzione spagnola garantendo la libertà religiosa, ideologica e di culto degli individui e delle comunità ed affermando che i pubblici poteri devono mantenere le conseguenti relazioni di cooperazione con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni, enuncia, in concreto, quali sono i soggetti collettivi del diritto di libertà religiosa: le comunità, oramai quasi dimenticate dal legislatore, dalla dottrina e dalla giurisprudenza e, le confessioni.

Le uniche confessioni ad avere pieno riconoscimento nell’ordinamento giuridico spagnolo sono: la Chiesa cattolica, menzionata in forma espressa nell’art. 16.3 della Costituzione e le comunità protestanti, ebraiche ed islamiche, le uniche che, per numero di credenti e conformi alle credenze religiose della società spagnola, abbiano raggiunto “notorio arraigo” in Spagna.

Per finire, illustreremo la posizione giuridica delle confessioni non iscritte che sono, semplicemente, quelle confessioni che non hanno potuto (perché la domanda d’inscrizione è stata negata), o non hanno voluto iscriversi nel Registro pubblico degli enti religiosi ma che, non sono prive di protezione da parte dell’ordinamento giuridico, e gli enti religiosi, ai quali si riferisce l’art 6.2 della Ley Organica de

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Libertad Religiosa quando afferma che “le Chiese, Confessioni e Comunità religiose possono creare ed esortare, per la realizzazione dei loro scopi, associazioni, fondazioni, e istituzioni, in accordo alle disposizioni dell’ordinamento giuridico generale”.

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PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

IL CONCETTO DI CONFESSIONE RELIGIOSA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO

ITALIANO

SOMMARIO: 1-LA NOZIONE DI CONFESSIONE RELIGIOSA 2-

ELABORAZIONI DOTTRINALI 2.1-LA TESI DELL’AUTOREFERENZIALITA’ 2.2-LA TESI DEL RICONOSCIMENTO SOCIALE 2.3-LA TESI DEL RIFERIMENTO ALL’ORDINAMENTO GIURIDICO 2.4-LA CONCEZIONE TELEOLIGA 3-LA POSIZIONE DELLA GIURISPRUDENZA 3.1- LA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 3.2-LA GIURISPRUDENZA DI MERITO 4-IL DISEGNO DI LEGGE-QUADRO E L’ESIGENZA DI UNA LEGGE GENERALE SULLA LIBERTA’ RELIGIOSA.

1 LA NOZIONE DI CONFESSIONE RELIGIOSA

Nel settore della fenomenologia religiosa, sono proliferate, specie nella seconda metà del secolo, le iniziative più varie, che si autoqualificano come religiose: iniziative prodotte nell’ambito della società nazionale o provenienti dall’estero, segnatamente dagli Stati Uniti d’America o dall’Estremo Oriente, anche a seguito dell’intensificarsi dei fenomeni migratori che hanno interessato il nostro Paese negli ultimi anni.

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Sono cosi proliferate nuove religioni, nuovi movimenti religiosi1, sedicenti religioni, pseudo-religioni, le cui organizzazioni e i cui stili di vita hanno un diretto riflesso nella società in cui si sviluppano e nel nostro ordinamento

Punto fondamentale di tale rapporto è la Costituzione.

L’art. 7, 1 comma, Cost., menziona esplicitamente la Chiesa cattolica, la confessione religiosa di maggioranza in Italia, la cui organizzazione e i cui statuti sono ben noti all’ordinamento dello Stato. Il successivo art. 8, Cost., considera le confessioni religiose, nel 1 comma, e le confessioni di minoranza, nel 2 e 3 comma.

Nessuna norma dà, pero, la definizione di “confessione religiosa”.

Come l’art. 7 della Costituzione, riferendosi alla Chiesa Cattolica, non dà la nozione di questa, presupponendo la nozione che di essa danno l’ordinamento canonico e l’esperienza sociale, cosi l’art.

8 non offre la nozione di “confessione religiosa” ed anch’esso presuppone lo schema conoscitivo elaborato da tale esperienza.2

Questo atteggiamento del legislatore costituente non è nuovo, poiché in nessuna legge anteriore alla Costituzione è dato rintracciare una formula sintetica che valga a definire la nozione de qua3. Si tratta, infatti, di un’espressione di nuovo conio, estranea al legislatore italiano, che fino ad allora aveva adoperato il termine “culti”, comprensivo della Chiesa cattolica, ancorché – per il rispetto dovuto

1 È doveroso rimanere avvertiti che l’espressione de qua, sebbene ormai invalsa, sconta una buona dose di genericità e di ambiguità, intendendosi per "nuovi" anche taluni movimenti di recente introduzione nel nostro Paese, ma di antica e risalente origine in altri contesti, come l’Islam o gli Hare Krishna, ai quali sarebbe certo più confacente riferirsi con la locuzione di "minoranze religiose". N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art.

8 della Costituzione, Bari, Cacucci Editore, 1990, p. 24, in nota. Nello stesso senso: S. FERRARI, Comportamenti "eterodossi" e libertà religiosa. I movimenti religiosi marginali nell’esperienza giuridica più recente, in Il Foro Italiano, 1991, I, p. 271.

2 Con riferimento all’ordinamento qual era anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, A. C. JEMOLO, Corso di diritto ecclesiastico, 1944 -1945, Roma, 1945, p. 202, riteneva che il legislatore rinviasse al “concetto sociale” di confessione religiosa.

3 F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, Bologna, Zanichelli, 2003, p. 68.

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alla sola religione dello Stato, che riteneva altresì di essere in assoluto l’unica vera religione - fosse con questo termine (nello statuto Albertino) o con quello di “chiesa” (nella legge delle Guarentigie) ordinariamente denominato il culto cattolico4.

Né definire la nozione di “confessione” è agevole, poiché i vari gruppi sociali, che sono qualificati intuitivamente come “confessioni religiose” o che aspirano a questa qualifica, sono spesso molto diversi l’uno dall’altro5, sicché risulta difficile astrarre un denominatore comune, che consenta di inquadrare una realtà dai molteplici aspetti in un’unica categoria6.

Un dato implicito della norma costituzionale è che una confessione religiosa è un “gruppo sociale con fine religioso”, posto che le norme degli art. 7 e 8 Cost. non avrebbero senso se riferite ad una “confessione di fede religiosa” che equivalesse alla “professione individuale di fede religiosa”. V’è, tra queste due ipotesi, la stessa differenza esistente tra la norma costituzionale che garantisce le

“opinioni politiche” individuali e quella che riguarda i partiti politici.

Il fatto di poter dire che l’espressione di “confessione religiosa”

equivalga, con riferimento all’art. 2 Cost., a quella di “gruppo sociale con fine religioso”, non consente un reale passo avanti nell’interpretazione della norma, sia per la genericità dell’espressione

“gruppo”, essendo tale ogni aggregato di più persone, sia perché sorgono nuovi problemi circa le ulteriori caratteristiche del gruppo,

4 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione, cit., p. 32; così anche A. VITALE, Corso di diritto ecclesiastico. Ordinamento giuridico e interessi religiosi, Milano, Giuffrè, 2005, p. 204.

5 In tal senso: T. MAURO, Considerazione sulla posizione dei ministri di culti acattolici nel diritto vigente, in Scritti in onore di V. Del Giudice, Milano, 1953, vol. 2, pp. 112 ss.

6 D. BARILLARO, Considerazioni preliminari sulle confessioni religiose diverse dalla cattolica, Milano, 1968, p. 79.

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per essere una “confessione”, e circa il significato da attribuire ai termini “religioso” e “religione”7.

Qualcuno8, inoltre, ha creduto di cogliere un collegamento tra la norma dell’art. 8, 2 comma, e quella dell’art. 18, 1 comma, Cost.9; riguardante la libertà d’associazione, della quale sarebbe una diramazione o che già conterrebbe, implicitamente, il riconoscimento esplicato dall’art. 8, 2 comma10, Cost. E’ indubbio che l’art. 18 garantisca anche l’associazione stabile con fine di religione e di culto11, pero, i due fenomeni, se esteriormente presentano delle affinità, quali la molteplicità degli aderenti, l’esistenza di una regola comune e di un’organizzazione, sono diversi dal punto di vista della struttura interna, diremmo della qualità.

La tesi, che non vi sia un sicuro criterio per distinguere le associazioni religiose dalle confessioni, non tiene conto del fatto che le associazioni con fini leciti, quali che siano, sono regolate dagli accordi degli associati, secondo quanto prevedono gli art. 36 e seg.

cod. civile, laddove una confessione religiosa resta fuori da tale schema.

7 F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., p. 69.

8 F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., pp. 72 ss.; cfr. C. CARDIA, Stato e confessioni religiose. Il regime pattizio, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 128 in cui: “le confessioni religiose, non soltanto sono qualificabili come formazioni sociali, in quanto geneticamente finalizzate ad alimentare e sviluppare la dimensione religiosa dell’individuo, ma lo sono a titolo speciale: in quanto perseguono tale fine rimanendo ontologicamente distinte ed autonome rispetto allo Stato, al punto che la disciplina costituzionale ha recepito e garantito proprio questi loro caratteri di autonomia e di indipendenza”.

9 “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.

10 In tal senso: V. DEL GIUDICE, Manuale di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffrè, 1964; A.

RAVA’, Contributo allo studio dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa nella Costituzione italiana, Milano, 1959, pp. 79 ss.

11 C. ESPOSITO, Libertà e potestà delle confessioni religiose, in Giurisprudenza Costituzionale., 1958, p. 900; cfr., L. BARBIERI, Sul concetto di confessione religiosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1991, pp. 44 ss., in cui “il fine delle associazioni religiose si esaurisce nel raggiungimento di attività complementari perseguibili nell’ambito dell’ordinamento creato dalla stessa confessione religiosa, mentre il fine della confessione è quello di promuovere e proteggere il rapporto tra Dio e l’uomo o con ogni altra credenza religiosa trascendente”.

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Non si è cristiani, ebrei, musulmani, buddisti o altro in forza di un contratto soggetto alle leggi dello Stato, ma per un impulso che non ha niente di negoziale.

C’è differenza anche riguardo agli statuti delle confessioni e delle associazioni. Questi ultimi non solo devono conformarsi agli art.

del codice civile ma, tutte le volte in cui una legge o un regolamento ne impongono la modifica, la deroga o la sospensione, gli associati sono tenuti ad adeguare i loro rapporti alle nuove previsioni, se vogliono sopravvivere.

Gli statuti delle confessioni religiose, invece, essendo garantiti dall’art. 8, 2 comma, Cost., non possono essere modificati, sostituiti, derogati, sospesi dalla legge ordinaria o da altra inferiore, fonte normativa.

Ma quali criteri bisogna utilizzare per differenziare un’associazione di culto da una confessione religiosa?

Una prima questione è data dalla quantità numerica che deve avere un gruppo, per potere aspirare alla qualifica, cioè l’adesione ed il concorso stabile di un certo numero di aderenti.

Secondo un antico ed autorevole insegnamento, non ogni

“congrega di tre amici”, può pretendere di essere considerata una confessione religiosa. Pertanto, il requisito su cui può far leva l’interprete deve essere necessariamente un altro.

Un’altra questione è data dal carattere istituzionale che un gruppo deve avere per essere qualificabile come confessione. Tale opinione esige che il gruppo abbia un’organizzazione ed una normazione propria, ossia, che si tratti di un ordinamento giuridico.

Ma l’art. 8, 2 comma, Cost., prevedendo che le confessioni religiose diverse dalla cattolica possano organizzarsi secondo propri statuti, riconosce a gruppi sociali esistenti e già qualificabili come

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confessioni religiose, il diritto di darsi un’organizzazione e, quindi, implicitamente ammette che possano esserci confessioni organizzate e non organizzate, ma tutte egualmente qualificabili come confessioni religiose. Ciò, d’altra parte, è conforme al dato dell’esperienza, che vede accanto a confessioni organizzate e con statuti, l’esistenza di gruppi con fine religioso, che tendono ad “essere semplici comunità spirituali tra chi nutre la medesima fede”.12

D’altronde, come si può ben vedere, la Costituzione prevede l’esistenza di tre diversi tipi di confessioni religiose: la Chiesa cattolica (art. 7 Cost.), le confessioni di minoranza organizzate, accostate alla prima dall’art. 8, 2 comma, e le confessioni di minoranza non organizzate 13.

Del pari, il requisito della conformità del fine religioso alla tradizione italiana sembra estraneo alla prescrizione normativa, posto che la Costituzione mostra di riconoscere l’anzidetta libertà organizzativa a tutte le confessioni di minoranza e non solo a quelle entrate nella tradizione italiana.

Il requisito della peculiarità del fine specifico, poi, non riesce a chiarire la nozione di “confessione religiosa”, giacché anche le associazioni hanno un fine specifico, onde andrebbe smarrita la distinzione pur esistente, tra “confessioni” e “associazioni religiose”, con evidente danno per una retta interpretazione della Carta.

Gruppo con fine di religione, comunità, confessione religiosa, sono espressioni che stanno ad indicare una molteplicità di persone raccolte in un organismo sociale; il fatto che tale organismo abbia una meta comune, indica che esso è mosso da un interesse che è proprio dei partecipanti, ma che, nello stesso tempo, comprende e supera gli

12 A. C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico,1944-1945, cit., p. 98.

13 P. GISMONDI, La posizione della Chiesa cattolica e delle altre confessioni nel diritto costituzionale ai fini della tutela penale, in Giurisprudenza Costituzionale., 1957, p. 1213.

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interessi individuali. Fin qui non c’è nessuna differenza tra un’associazione con fine di culto o di religione e una confessione religiosa, perché anche un’associazione religiosa persegue un fine che trascende gli interessi personali dei singoli associati.

La differenza risulta dal fatto che la confessione religiosa ha una propria ed originale concezione totale del mondo, che investe, oltre ai rapporti tra uomo e Dio, pure i rapporti tra uomo e uomo, dettando regole che disciplinano non solo la vita sociale di un intero gruppo, non solo il rapporto tra il gruppo e le altre comunità, ma anche il comportamento del singolo appartenente al gruppo, allorché si muove all’interno di altre comunità sociali.

Le associazioni con fine di religione o di culto, invece, non hanno una propria originale concezione del mondo, e quando tendono ad attuarne una nel modo migliore, si tratta di organismi proliferati da una comunità più vasta, dalla quale traggono i principi fondamentali e alla quale sono legati.

Perciò, l’essenza strutturale di una “confessione religiosa” è quella “di avere l’anzidetta propria originale concezione del mondo”14.

Per contro15 c’è chi pensa che non sussista una diversità strutturale e di carattere “qualitativo” tra confessioni ed associazioni di culto16, in quanto non si comprende quale criterio valga a conferire significato giuridico all’affermata distinzione. Quando invero si richiede, per ritenere esistente una confessione religiosa, che una comunità si ponga quale “una realtà sociale istituzionalmente destinata

14 F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., p. 75-76.

15 S. LARICCIA, Diritto ecclesiastico, 3 ed., Padova, Cedam, 1986, p. 105.

16 In senso analogo a quello sostenuto nel testo, A. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico , 2 tomi, Padova, Cedam, p. 1176; Contra: S. LANDOLFI, L’intesa tra stato e culto acattolico.

Contributo alla teoria delle “fonti” del diritto ecclesiastico italiano, Napoli, Jovene, 1962, p. 132;

C. MIRABELLI, L’appartenenza confessionale, Padova, Cedam, 1975, p. 150; G. CASUSCELLI, Concordati, intese e pluralismo confessionale ,Giuffrè, 1974, p. 82; M. TEDESCHI, Stato e confessioni acattoliche. Contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione, in Il Tommaso Natale, Studi in memoria di G. Bellavista, 1977, p. 425.

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alla realizzazione del fine religioso”17, o “si affermi quale gruppo con finalità religiosa nell’opinione pubblica formatasi nella società italiana”18, o si caratterizzi quale gruppo sociale con “una propria originale concezione del mondo”19, non sembra si indichi alcun criterio giuridicamente apprezzabile per precisare in quali casi effettivamente sussista una confessione religiosa dotata dei caratteri per porsi in rapporto con i poteri dello stato.

L’esistenza di un certo numero di fedeli, la ricorrenza di un certo grado di stabilità e d’organizzazione, la concezione della vicenda umana e naturale del mondo costituiscono requisiti che non attengono ad una differenziazione di carattere qualitativo, bensì rappresentano estremi d’indole sociologica, storica, politica e filosofica, cosicché non pare possibile qualificare le confessioni religiose con una formula giuridica che valga a distinguerle dalle altre formazioni sociali con finalità religiosa.

La previsione costituzionale di una formula tendente ad indicare, quali, tra le formazioni sociali a carattere religioso, dovessero qualificarsi confessioni religiose, svuoterebbe di contenuto il pieno riconoscimento dell’eguale libertà di fronte alla legge (art 8, 1 Cost.)20.

Dal punto di vista giuridico non appare rilevante neanche la differenza posta in rilievo tra confessioni giuridicamente organizzate e confessioni prive d’organizzazione giuridica, e ciò per due ragioni: il costituente, innanzi tutto, non ha limitato il riconoscimento della rilevanza giuridica nei confronti delle sole confessioni religiose

17 G. ESPOSITO, Libertà e potestà delle confessioni religiose, in Giurisprudenza Costituzionale., 1958, p. 900.

18 D. BARILLARO, Considerazioni sulle confessioni diverse dalla cattolica, Milano, 1968, p. 121.

19 F. FINOCCHIARO, Art. 8, in Commentario della Costituzione, a cura di C. Branca e C. Scaloja, Principi fondamentali. Art. 1-12, Bologna-Roma, Zanichelli, 1975, p. 388.

20A. RAVA’, Contributo allo studio dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa nella Costituzione italiana ,cit., p. 107.

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giuridicamente organizzate, ma ha ritenuto opportuno tutelare anche le confessioni che non presentino tale organizzazione.

Analoghe considerazioni occorre fare a proposito del numero dei fedeli aderenti ad una determinata comunità religiosa: anche a tal proposito è necessario, infatti, rilevare che il numero dei seguaci di una comunità religiosa costituisce un elemento di una certa importanza per poter considerare un’associazione di culto dotata dei caratteri necessari per ipotizzare una relazione nei confronti dello stato, ma la rilevanza di tal elemento sembra sia di carattere politico e sociologico e non possa essere assunta quale idoneo criterio di differenziazione giuridica.

Sembra quindi doversi concludere, che non esiste un unico criterio che valga a far distinguere le confessioni religiose dalle associazioni religiose, e che queste due “associazioni tipiche” debbano in realtà rientrare nella generale categoria delle formazioni sociali con finalità religiosa21.

21 Cfr. C. MIRABELLI, L’appartenenza confessionale. Contributo allo studio delle persone fisiche nel diritto ecclesiastico italiano, Padova, 1975, pp. 140-141. Con riferimento alla contrapposizione tra confessioni religiose e associazioni religiose, Mirabelli parla di “uno pseudoproblema perché tutte muovono su piani diversi e diverso è l’interesse tutelato dalle disposizioni costituzionali che ad esse fanno riferimento, pur se comune è il bene protetto”.

21 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., p 82. Nello stesso senso anche: R. BOTTA, Sentimento religioso e costituzione repubblicana. Frammento per un progetto di manuale, Torino, Giappichelli, 1990, p. 89, limitatamente ad alcuni profili: C. CARDIA, Stato e Confessioni religiose. Il regime pattizio, cit., p.128. Le confessioni religiose, non soltanto sono qualificabili come formazioni sociali, in quanto geneticamente finalizzate ad alimentare e sviluppare la dimensione religiosa, ma lo sono a titolo speciale, in quanto perseguono tale fine rimanendo ontologicamente distinte ed autonome rispetto allo Stato, al punto che la disciplina costituzionale ha recepito e garantito proprio questi loro caratteri di autonomia e di indipendenza.

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2 ELABORAZIONI DOTTRINALI.

2.1 LA TESI DELL’AUTOREFERENZIALITA’.

Che cosa sia una confessione religiosa è una domanda che molti, da molto tempo e in molti luoghi si sono posti: per questo motivo sono stati elaborati alcuni criteri per cercare di identificare il concetto di confessione religiosa, il primo dei quali è quello fondato sul criterio dell’autoreferenzialità.

“Sotto il profilo ideale sono confessioni religiose quelle che come tali si autoreferenziano e si autolegittimano nella prassi sociale:

lo Stato non dovrebbe che prendere atto della loro esistenza.

Non rileva cioè la convinzione vigente nella società, che si tratti di una confessione ma è necessario e sufficiente che gli stessi soci considerino la loro associazione o almeno vogliano vederla considerata, anche solo a determinati fini o per conseguire dei vantaggi legislativamente previsti, come confessione”22.

Il criterio dell’autoreferenzialità può, quindi, essere interpretato in due modi. La prima, più radicale, implica che sia attribuito un rilievo assorbente di qualsiasi altra considerazione alla semplice dichiarazione proveniente dai membri del gruppo che aspira ad essere considerato confessione religiosa: ad essa gli organi pubblici dovrebbero attenersi anche quando fosse palesemente contrastante con la realtà23.

Questo primo criterio è stato utilizzato per il riconoscimento delle Comunità Ebraiche che hanno potuto stabilire un’intesa solo in quanto queste hanno deciso di autoqualificarsi all’uopo, come

22 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., p. 72.

23 S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa (come sopravvivere senza conoscerla), in Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, a cura di V. PARLATO e G. B.

VARNIER, Torino, 1995, pp. 24-25.

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“confessione”, nonostante la concezione aconfessionale, che l’ebraismo ha di sé stesso. E cosi è avvenuto con le “Assemblee di Dio in Italia” e con le “Chiese avventiste del settimo giorno”, ancorché in maniera meno appariscente visto che quei gruppi si riconoscono ordinariamente come confessioni24.

La seconda possibilità interpretativa, non esclude, invece, ogni potere di valutazione dell’autorità statale ma lo circoscrive al solo elemento soggettivo, ovvero all’autocoscienza dei consociati di costituire una confessione religiosa: la ricorrenza di quest’elemento soggettivo sarebbe sufficiente per attribuire, sotto il profilo dei requisiti di natura ideale, la qualifica di confessione religiosa25.

Conferma della validità di tale criterio si ricava dal parere del Consiglio di Stato 29 novembre 1989, n. 2158, favorevole al riconoscimento della personalità giuridica dell’Unione Buddista Italiana, che non ha problemi nel riconoscere la sua natura confessionale, benché siano difficilmente distinguibili gli aspetti spirituali da quelli psicologici nelle sessioni di meditazione, che costituiscono (o forse meglio sostituiscono) il culto.

Va, pero, rilevato che, anche nel contesto di questa seconda linea interpretativa, si realizza una deviazione dai principi generali applicabili in materia di classificazione delle persone giuridiche, dove l’attività di valutazione degli organi statali non è limitata all’elemento soggettivo ma si estende ad altri profili e in particolare alla natura dei fini statutariamente previsti e al tipo d’attività concretamente svolta.

È necessario quindi esaminare se la riduzione al solo elemento soggettivo dei criteri solitamente utilizzati per classificare le persone

24 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 83-84.

25 S. FERRARI, La nozione giuridica, cit., p. 25.

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giuridiche trovi giustificazione nella natura particolare della persona giuridica presa in considerazione.

Sotto un primo profilo si potrebbe far valere l’incompetenza degli organi pubblici nell’apprezzare un fenomeno di natura essenzialmente spirituale –e quindi estraneo all’ordine temporale proprio dello Stato – come quello religioso. Ma contro questa tesi si potrebbe obiettare che anche l’arte, richiamata dall’art. 33 della Costituzione, è fenomeno dello spirito.

Sotto un diverso profilo si è sostenuto che il rilievo esclusivo attribuito all’elemento soggettivo nella qualificazione della confessione religiosa è conseguenza del carattere laico dello stato26, a cui sarebbe precluso di definire “cosa è e cosa non è religione”27. Ma a

26 Cfr., G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, Torino, Giappichelli, 2006, p. 38. La laicità dello Stato è affermata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 203 del 12 aprile 1989 che afferma che i valori desumibili dagli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. “concorrono a strutturare il principio supremo di laicità dello Stato, che è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta Costituzionale della Repubblica”. Pertanto lo Stato, a cui spetta il compito di promuovere l’effettivo godimento dell’uguaglianza e della libertà degli individui (art. 3, 2 comma, Cost.), può legittimamente predisporre gli strumenti perché la libertà religiosa individuale e collettiva abbia concreta tutela, a condizione però che simili interventi non diano luogo a discipline privilegiarie a favore di questa o di quella religione. Infatti allo Stato è attribuito “il compito di garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti” (Corte costituzionale n. 334 del 1996).

Dalla laicità, per la Corte costituzionale, discendono alcuni riflessi, o corollari, tra cui:

-la “distinzione degli ordini” tra lo Stato e le confessioni religiose, tra la sfera temporale e la sfera spirituale, che “caratterizza nell’essenziale” il principio il principio supremo di laicità o non aconfessionalità dello Stato (sentenza n. 334 del 1996); de esso deriva, a propria volta, il divieto di ingerenza statuale nell’autonomia delle confessioni religiose (sentenza n. 259 del 1990).

-il “pluralismo confessionale e culturale”, entro il quale devono convivere in

“uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse”, che implica la “pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza (sentenza n. 440 del 1995) e il pari diritto dei non credenti (sentenza n. 117 del 1979).

-il divieto di ogni tipi di discriminazione tra culti che si basi soltanto, secondo un criterio cd. quantitativo, sul “maggiore o minore numero degli appartenenti alle varie confessioni religiose” (sentenza n. 440 del 1995) o, secondo un criterio cd. Sociologico, sulla “,maggiore ampiezza e intensità” delle reazioni sociali che possono seguire alla violazione dei diritti di una o di un’altra di esse (sentenza n. 329 del 1997).

-il dovere di “equidistanza e di imparzialità”, che sancisce l’illegittimità di discipline differenziate in base all’elemento religione (sentenza n. 508 del 2000) e che risulta diretta conseguenza dei principi di uguaglianza senza distinzione di religione e di uguale libertà di tutti i culti )sentenza n. 168 del 2005, fatta salva la specificità della disciplina bilaterale convenuta con le confessioni religiose (sentenza n. 346 del 2002).

27 F. ONIDA, Ultimi sviluppi nell’interpretazione del principio di libertà religiosa nell’ordinamento statunitense, in Il Diritto Ecclesiastico, 1983, p. 351. Nello stesso senso anche N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 69 ss.

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quest’affermazione si può opporre che il principio di laicità, cosi come precisato nella sentenza 203/89 della Corte Costituzionale, si limita, semplicemente, a precludere allo Stato ogni atteggiamento di

“estraneità, ostilità, rispetto alla religione o ad un particolare credo, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.

Nell’ambito della proibizione ricade, sia la trasposizione nel diritto dello Stato della nozione di religione elaborata da una specifica confessione, sia ogni valutazione qualitativa di una o di tutte le religioni: ma non la facoltà degli organi pubblici di definire autonomamente cos’è la religione, purché tale qualificazione sia condotta nel rispetto dei principi di imparzialità e neutralità.

Se mai l’incapacità di svolgere una simile attività definitoria potrebbe discendere, non dal principio di laicità ma dal principio di incompetenza in materia religiosa che impedirebbe allo Stato di assumere una nozione di religione per la cui elaborazione non appare tecnicamente attrezzato. Ma l’incompetenza degli organi statali, se vale ad escludere una definizione per via legislativa di religione (che sarebbe tuttavia opportuna), non elimina il potere di valutare se finalità ed attività qualificate come religiose da un gruppo di soggetti corrispondano a finalità e attività a cui l’ordinamento giuridico ha attribuito un differente nomen juris, inquadrandole in un diverso schema giuridico.

Da ciò discende la critica alla tesi dell’autoreferenzialità.

È esatto affermare che lo Stato non ha alcuna competenza per definire in linea generale cosa è la religione, ma questo non significa che esso non sia in grado di darne una nozione puramente convenzionale al solo fine di ricollegare ad essa concrete conseguenze giuridiche in sede, per esempio, di tutela penale del fenomeno

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religioso o di riconoscimento della personalità giuridica alle confessioni religiose.

Può ben essere che talune religioni e confessioni religiose non siano conformi a tale nozione convenzionale e restino pertanto escluse dall’applicazione delle norme che da esse sono dipendenti: ma ciò porrà il problema dell’adeguatezza della nozione con quello, diverso, dell’incompetenza dello Stato ad elaborarla28.

L’unico elemento a favore del criterio soggettivo d’autoreferenzialità sta nel fatto che, questo, sarebbe l’unico adeguato a definire le nuove esperienze che si diffondono nel campo religioso europeo-occidentale e che, in base a criteri obiettivi, finirebbero per essere espulse con un’operazione di puro astrattismo giuridico.

Con lo stesso criterio vanno considerati, in generale, i nuovi movimenti religiosi, che non avrebbero nessuna possibilità di godere del trattamento riservato alle confessioni sulla base di criteri obiettivi come la tradizione, la pubblica opinione, l’originalità, ecc…,di cui parlerò più avanti, che giocano tutti contro di essi.

Tale criterio consentirebbe il riconoscimento di confessione religiosa anche ai cd. gruppi del dissenso29: gruppi di base che si

28 Cfr., S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., pp. 26-27. Va, inoltre, tenuto presente che in uno stesso sistema giuridico possono coesistere differenti paradigmi di religione e confessione religiosa, con validità circoscritta a specifici settori dell’ ordinamento. La nozione di religione ricavabile dalle norme contenute nel codice penale non è necessariamente la stessa che si desume dalle disposizioni di diritto tributario. Nell’economia del presente intervento si è data la prevalenza al problema del riconoscimento della personalità giuridica delle confessioni religiose e si farà quindi riferimento, per costruire il paradigma di religione e di confessione religiosa, alle norme maggiormente rilevanti sotto questo profilo.

29 Cfr. L. ZANNOTTI, La sana democrazia: verità della Chiesa e principi dello Stato, Torino, Giappichelli, 2005, pp. 208 ss. La questione dei diritti e delle libertà, le esigenze di riforma dell’istituzione ecclesiastica, il problema della democrazia, stanno sullo sfondo della vita della Chiesa negli ultimi decenni e a ben guardare rappresentano il vero punto di crisi nel suo rapporto con il mondo moderno. Non c’è realtà critica nella Chiesa o movimento di “dissenso” che non abbiano posto la necessità di modificare il suo ordine gerarchico e autoritario. E’ difficile circoscrivere oggi quest’area, che non risulta organizzata e che tuttavia appare in modo continuativo attraverso un episodio o un altro nella cronache del cattolicesimo mondiale, che si presenta spesso come un fenomeno collettivo, inedito e senza precedenti, e che dimostra che non ci sono realtà totalmente indifferenti alle spinte democratiche. È negli anni sessanta che cominciano a spuntare le prime richieste di cambiamento nei confronti della Chiesa. La

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contrappongono alle tradizionali confessioni e caratterizzati da un modello di valori religiosi soggettivamente assortito, e solo parzialmente coincidente con quello proposto come ufficiale dalla Chiesa cattolica e, in generale, dalle istituzioni specializzate nella strutturazione e nella mediazione dei bisogni religiosi.

C’è, comunque, differenza, a livello giuridico, tra il fenomeno del “dissenso religioso” e quello dei “nuovi movimenti religiosi”.

Questi, si autorappresentano come confessioni religiose o, comunque, organizzazioni del tutto autonome dalle confessioni tradizionali in sostituzione, o almeno in giustapposizione, delle quali chiedono di essere riconosciute dallo Stato.

Le comunità dissenzienti, invece, tengono vivo il conflitto, senza risolverlo in una separazione ma presupponendo, e dichiarando,

contestazione studentesca che si stava diffondendo a livello mondiale, rappresenta un elemento trainante per quella parte del mondo cattolico che intendeva prendere sul serio il Concilio, e che considerava questo avvenimento come un punto di partenza, e non d’arrivo, per un’opera di rinnovamento religioso. Nasce, così, un vasto movimento di dissenso nella Chiesa, di cui le comunità di base rappresentano le componenti più significative. Già nel 1971, nell’Octuagesima Adveniens, Paolo VI, consapevole dei limiti del capitalismo tecnocratico, della democrazia autoritaria e del socialismo burocratico, ammette le necessità di inventare nuove forme di partecipazione politica. Dello stesso periodo è il nuovo catechismo olandese che mette in discussione punti fondamentali della dottrina tradizionale, l’inizio della crisi dell’unità politica dei cattolici nel nostro paese, la crescita della loro autonomia con i referendum sul divorzio e sull’aborto. L’organizzazione ecclesiastica reagisce ancora attraverso misure repressive. Con Giovanni Paolo II questo atteggiamento è accompagnato dalla proposta di un’immagine di Chiesa più quadrata e insieme più semplice e visibile, che torna a far prevalere con determinazione il principio di autorità, sposando la strategia dell’isolamento di queste esperienze e del loro graduale assorbimento. Negli anni più recenti sono numerosi gli esempi significativi di dissenso e le richieste di riforma della Chiesa. Tra questi è appena il caso di rammentare la presentazione di una proposta di Costituzione per la Chiesa cattolica presentata alla quarta conferenza europea per i diritti e le libertà nella Chiesa tenuta a Bruxelles nel gennaio del 1994. Più o meno nello stesso periodo e con notevole risalto sulla stampa internazionale è la destituzione dalla sia diocesi del vescovo francese monsignor Gaillot, per aver reclamato una Chiesa “dove si possa dialogare senza condannarsi reciprocamente”, sostenuto il sacerdozio femminile ed essersi espresso contro la proibizione della comunione ai divorziati. Sempre di questi anni è il movimento internazionale

“Noi siamo Chiesa” che dall’Austria si diffonde in Germania e poi nell’intera Europa, raccogliendo attorno a sé l’adesione di persone e gruppi determinati ad esercitare il diritto-dovere di partecipazione nella Chiesa, a chiedere l’emancipazione della donna nella via ecclesiale, la libera scelta per il sacerdozio celibatario, il rispetto delle decisioni della coscienza individuale nell’ambito sessuale. La risposta della gerarchia ecclesiastica non ha concesso alcuno spazio ai cambiamenti. La Chiesa non è una democrazia, ha confermato Giovanni Paolo II, ed ha espresso profondo rammarico per i concetti fatti propri da questi movimenti .

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l’unità con la “chiesa madre”: un modo diverso, insomma, di essere, o di vivere la stessa chiesa, piuttosto che un’altra30.

Stesso discorso può essere fatto riguardo alle “confessioni di fatto”31. Questo predicato è stato utilizzato per indicare che tali aggregazioni svolgono una funzione confessionale, perché della stessa natura di quella svolta dalle confessioni istituzionali, ma la svolgono di fatto perché non riconosciute come persona giuridica (art. 36 cod.

civ.). Tale mancanza di personalità giuridica non è accidentale ma voluta da questi gruppi, allo scopo di sottrarsi a forme di controllo penetrante da parte delle istituzioni. Essi rimangono fedeli ad una interpretazione mistica della propria esperienza religiosa e del conseguente rifiuto della logica istituzionale, che porta ad offrirsi come mediatori dei bisogni religiosi e come specialisti del sacro.

Tali gruppi sono garantiti dalle norme costituzionali sulla libertà d’associazione e da quelle civili sulle associazioni riconosciute, grazie alle quali acquistano, pur in mancanza di una formale attribuzione della personalità, una “soggettività giuridica”32.

30 Cfr., L. ZANNOTTI, Stato sociale, edilizia di culto e pluralismo religioso. Contributo allo studio della problematica del dissenso religioso, Milano, Giuffrè, 1990, p. 9. Un elemento caratteristico del movimento delle comunità di base è la determinazione a non porsi in posizione alternativa nei confronti delle strutture ecclesiali esistenti ed a proseguire nel tentativo di realizzare il rinnovamento della Chiesa dall’interno, pure in presenza di provvedimenti di tipo disciplinare. È ripetuta, quasi puntigliosamente, la volontà delle comunità di base di restare dentro la realtà delle varie chiese locali e di non farsi in alcun modo istituzione separata. Per questo l’organizzazione del movimento è ridotta all’indispensabile ed è solo funzionale al collegamento ed alla reciproca comunicazione delle esperienze e delle riflessioni. Non un’altra confessione, quindi, ma piuttosto un modo diverso di essere Chiesa.

31 Cfr., C. CARDIA, Stato e confessioni religiose. Il regime pattizio, Bologna, Il Mulino, 1995, p.

396. L’A. afferma che alle “confessioni di fatto” non si è dato il significato, che forse sarebbe stato più corretto, di “confessioni che agiscono al di fuori di riconoscimenti giuridici formali”

(affermazione di A. C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffrè, 1979, p. 98), bensì l’altro di nuove comunità confessanti, che pur contestando polemicamente la struttura di chiesa originaria, dichiarano nondimeno di continuare a farne parte e, comunque, rinunciano ad istituzionalizzarsi, specializzandosi nella strutturazione e nella mediazione dei bisogni religiosi individuali: rimangono cioè, “confessioni di fatto”, spontanee, il cui fondamento è dato dallo schema giuridico del contratto, al quale il consenso può venir meno in ogni momento e trasformarsi in dissenso verso la stessa confessione di fatto. Così si esprime anche N.

COLAIANNI, La legislazione ecclesiastica, p. 307.

32 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 91 ss.

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2.2 LA TESI DEL RICONOSCIMENTO SOCIALE

Alla medesima radice che ha alimentato la teoria dell’autorefenziazialità, va ricondotta anche la tesi del previo riconoscimento sociale della religione, secondo cui la definizione di religione dovrebbe essere operata “in relazione alla civiltà ed alla società in cui viviamo”33.

Anche in questo caso è bene intendersi sul significato delle parole. Se con l’espressione ora citata si intende affermare la sostanziale storicità della nozione di religione oppure porre un principio metodologico riassumibile nella proposizione che la nozione di religione propria dell’ordinamento giuridico italiano deve essere ricavata dall’osservazione delle esperienze religiose effettivamente esistenti nel nostro paese, nulla quaestio.

Se, invece, s’intende affermare che, per il giurista, è religione ciò che l’opinione pubblica ritiene tale, si formula una proposizione inaccettabile cui è sottesa una concezione ristretta del ruolo del giurista confinato a ratificare con interventi a posteriori processi sociali già integralmente e compiutamente svoltisi al di fuori del mondo del diritto34.

Maggiormente inaccoglibile è la riduzione del concetto di

“opinione pubblica alla società italiana”, sostenuta con i limiti obiettivi della ricerca e della valutazione di concezioni sociali che si sviluppano in civiltà cosi profondamente diverse dalla nostra e soprattutto con il principio costituzionale del non contrasto degli statuti delle confessioni con l’ordinamento giuridico italiano inteso

33 D. BARILLARO, Considerazioni preliminari sulle confessioni religiose diverse dalla cattolica, cit., p. 125 e, ancor più nettamente: C. MIRABELLI, L’appartenenza confessionale. Contributo allo studio delle persone fisiche nel diritto ecclesiastico italiano, cit., p. 140, secondo cui

“sarebbero religiose anche sotto il profilo giuridico quelle attività e quelle organizzazioni, che si affermano come tali nella coscienza sociale”.

34 S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., pp. 28-29.

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come espressione della nostra civiltà. Qui opera, infatti, l’ulteriore restringimento della tradizione nel criterio dell’opinione pubblica, escludendo, per esempio, che “un gruppo di musulmani riunitosi in Italia per finalità religiose”35 dia luogo ad una confessione, come invece potrebbe ritenersi alla stregua della comune opinione.

Non diversamente da questa, anche la tradizione non ha alcuna base normativa ed è peraltro inidonea a fungere da elemento interpretativo giacché il problema della nozione delle confessioni religiose si pone non per le religioni tradizionali, ormai comunemente considerate come tali, ma per quelle non tradizionali36.

Questo è il problema aperto e risponde ad un disegno di conservazione di una società, che si vorrebbe sempre uguale a se stessa: disconoscere rilevanza alla novità per il fatto stesso che non rientra nella tradizione.

2.3 LA TESI DEL RIFERIMENTO ALL’ORDINAMENTO GIURIDICO

Sia la tesi dell’autoreferenzialità, sia quella del riconoscimento sociale ricercano l’elemento caratterizzante la qualificazione di confessione religiosa in un campo esterno al mondo del diritto poiché, entrambe, muovono dal presupposto implicito che le norme non possano offrire elementi sufficienti per costruire una indicativa nozione di religione.

La sentenza n. 467 del 19 novembre 1992 della Corte Costituzionale, di cui parlerò più avanti, ipotizzò l’esistenza di una terza via, affermando che il significato della locuzione associazione

35 P. GISMONDI, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1975, p. 98.

36 P. GISMONDI, voce Culti acattolici, in Enciclopedia del diritto, volume II, 1962, p. 445.

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religiosa va ricavato dall’insieme delle norme dell’ordinamento giuridico italiano.

Prima di affrontare quest’indagine ne va pero precisato l’oggetto. Se questo è la definizione di religione, la ricerca è destinata all’insuccesso. Vani sono stati, infatti, i tentativi da parte della dottrina di dare una definizione di religione.

Questa incapacità definitoria non è peraltro un fatto raro nel mondo del diritto e non solo. Non esiste, per esempio, una definizione giuridica d’arte o di cultura, ma ciò non impedisce che vi siano leggi che tutelano le opere d’arte o promuovono gli istituti di cultura.

Per questo motivo sono stati individuati altri strumenti di ricerca, uno dei quali è indicato nel concetto di paradigma37.

Se seguissimo tale tesi saremmo obbligati a ragionare non in termini d’appartenenza o esclusione, bensì di vicinanza o lontananza dal modello di religione risultante dall’ordinamento giuridico italiano:

anziché essere separate da una netta linea di frattura, passibile di essere individuata con sicurezza, le aree del religioso e del non, sono unite da un’ampia zona grigia in cui si collocano realtà (si pensi a Scientology) che, senza violare i principi della logica giuridica, possono essere definite religiose o non religiose, a seconda delle sfumature interpretative con cui si assume questo termine.

Per quanto questa metodologia di ricerca possa apparire imprecisa alle menti analitiche, essa è imposta dal rispetto della realtà che s’intende esaminare.

37 Cfr., R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 71. Probabilmente più appagante potrebbe essere la proposta che suggerisce di sostituire alla “definizione”, il “paradigma” di confessione religiosa. L’operazione consentirebbe di individuare una nozione storica e non astratta di confessione, legata anche al profilo della territorialità specifica all’interno della quale la confessione si muove ed opera, che potrebbe essere elaborata attraverso l’osservazione del quadro normativo esistente in un determinato paese e in un determinato momento storico, dal quale ricavare gli elementi comuni che integrerebbero il ricercato paradigma e che, per quanto riguarda l’Italia, dovrebbero oggi essere: la capacità progettuale dell’esistenza umana, l’identità assiologia, la plurisoggettività, la stabilità e l’organizzazione.

(29)

In altre parole, ricavando dall’osservazione delle istituzioni gia in possesso della qualifica di confessione religiosa il paradigma a cui dovrebbero ispirarsi tutte le formazioni sociali che aspirano alla medesima qualifica, si penalizzerebbero i gruppi sociali che deviano eccessivamente dal modello assunto a canone fondamentale: per questa via gli organi pubblici verrebbero meno al compito di garantire pari opportunità di promozione all’individuo ed alle formazioni sociali, in un assetto pluralista che ne garantisca specificità e autonomia, e finirebbero invece, per favorire l’imporsi di un modello unico di religiosità.

Questa obiezione peraltro non può essere accolta nei termini generali ed assoluti in cui è formulata senza negare la sostanziale storicità dei concetti giuridici e, in particolare, di quelli che il giurista ricava da realtà sociali preesistenti ad ogni sua valutazione: la definizione giuridica di confessione, infatti, non può essere costruita in astratto, prendendo in considerazione tutte le religioni esistite ed esistenti nel mondo, ma deve necessariamente essere operata in concreto, con riferimento alle manifestazioni che il fenomeno religioso ha avuto nel nostro paese38.

38 Cfr., S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., p. 29- 30. l’A. propone come alternativa la creazione di un “paradigma” di religione ricavabile dall’ordinamento giuridico italiano. Tenendo conto delle formazioni sociali sicuramente individuabili come gruppi con fine di religione, perché definite confessioni religiose dall’ordinamento stesso, ex art. 8 Cost., ed ai sensi della legge sui culti ammessi , ritiene, specialmente in ordine a quei gruppi che non hanno ancora raggiunto un’intesa con lo Stato, ma che hanno beneficiato della legge prima citata (l. n. 1159/29) che il paradigma di religione rilevante per l’ordinamento italiano si sia ampliato e ne individua alcuni caratteri comuni che sconfessano i tradizionali: a) orientazione della vita umana verso una realtà trascendente b) capace di dare una risposta organica alle domande fondamentali relative all’esistenza dell’uomo e delle cose, c) atta a fornire un codice morale d) e a generare un coinvolgimento esistenziale del fedele che si manifesta tra l’altro nel culto. Distingue la religione da altri movimenti (ad es. filosofici o psicologici) il voler rispondere alle domande che l’uomo si pone da sempre ricorrendo ad elementi che superano il profilo puramente naturale e razionale della realtà per pervenire all’esistenza di una Realtà Ultima, un Assoluto o una Forza Vitale, che va oltre l’esperienza sensibile.

(30)

2.4 LA CONCEZIONE TELEOLOGICA.

Poniamo ora l’attenzione sullo scopo religioso e i suoi caratteri, cercando in questi elementi ideali eventuali caratteri tipici delle confessioni religiose che valgano ad isolarle dalle altre fattispecie sociali.

Il fine specifico che tali gruppi devono perseguire risulta chiaro dal dato normativo (al termine “confessione” segue il predicato

“religiosa”)39. Lo scopo assume sovente la funzione di elemento discriminante nell’ambito del generale fenomeno associativo.

Si è detto, così, che si ha “confessione là dove scopo finale della collettività è favorire il contatto tra l’individuo e potenze trascendentali”40 e si è andati poi alla ricerca di caratteri maggiormente specificanti.

Un primo elemento è stato individuato nella a) generalità dello scopo religioso della confessione rispetto a quelli particolari di

“promuovere la perfezione della vita religiosa, di incrementare il culto, di compiere atti di pietà e di carità, ecc…”, perseguiti da

“associazioni ad esse complementari, facilitando il conseguimento”

delle finalità della confessione41.

L’utilità di questo criterio sembra tuttavia apprezzabile piuttosto dal punto di vista di una confessione che da quello dello Stato, cui non pare confacente e contrario al principio di laicità, una competenza propria nelle qualificazioni religiose, al punto di distinguere ciò che è scopo generale da ciò che è scopo particolare.

39A. RAVA’, Contributo allo studio dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa nella Costituzione italiana , cit., p. 108.

40 A. RAVA’, op. ult., cit., p. 89.

41A. RAVA’, op. ult., cit., p. 45.

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Alla generalità di queste finalità si affianca il carattere b) dell’originalità dello scopo, alla cui stregua s’identifica l’essenza strutturale di una confessione religiosa in una “propria ed originale concezione del mondo, basata sull’esistenza di un essere trascendente, in rapporto con gli uomini”42. Si coglie cosi l’esigenza della distinzione di ogni confessione dalle altre, ma la si riferisce ad un contenuto estremamente pregnante e la si colloca ad un livello verosimilmente irraggiungibile dalla maggior parte delle formazioni sociali a finalità religiosa, sia tradizionali che nuove43.

Questo criterio è stato utilizzato, per esempio, dall’ordinamento tedesco per negare la concessione del riconoscimento di confessione alla Concordia Gemeinde, che pur operante da oltre 70 anni, con un numero congruo di fedeli, non “professava una fede religiosa determinata e distinta dalle altre” e non si distingueva, pertanto, dalla Landeskirche evangelico-luterana alla quale in precedenza apparteneva44. E lo stesso succede con i “nuovi movimenti religiosi”.

Per cui dell’elemento dell’originalità si può dire quello che si è detto degli altri caratteri ritenuti qualificanti dello scopo religioso:

esso manca di una base normativa e si autogiustifica solo con una scelta ideologica e con l’esigenza propria della scienza giuridica di classificare e selezionare la realtà sociale.

Dall’art. 8 Cost. sono desumibili, in modo indiretto, altri caratteri qualificanti lo scopo religioso, in quanto il limite del non

42 F. FINOCCHIARO, Art. 8, cit., p. 140, così come in Diritto ecclesiastico, 2003, p. 76.

43 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 45-46.

44 Cfr., C. MIRABELLI, Chiese e confessioni religiose nell’ordinamento costituzionale della Repubblica federale tedesca. Spunti comparativistici, in AA. VV., Individuo, gruppi, confessioni religiose nello Stato democratico, Milano, 1973, pp. 515 ss. L’A. riporta il caso della Concordia Gemeinde, che nel 1954 chiese il riconoscimento pubblicistico e se lo vide negare dal Landesverwaltungsgericht di Hannover, sulla base dell’assunto secondo cui nel caso in esame mancava il requisito della peculiarità della credenza religiosa, la Concordia Gemeinde non distinguendosi sostanzialmente dalla LandesKirche evangelico-luterana, alla quale in precedenza era appartenuta.

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contrasto con l’ordinamento giuridico, sancito dal 2 comma di quest’ultimo, escluderebbe taluni culti valutandoli sotto il profilo del metodo adottato. Si ritiene, pertanto, che le confessioni religiose debbano essere improntate a caratteri di “serietà” e “ragionevolezza”.

Sembra evidente la dose di arbitrio soggettivo connaturato a tali criteri. Il loro utilizzo porta a valutare con due pesi e due misure le attività religiose svolte all’interno delle confessioni tradizionali e dei movimenti di recente formazione.

Prendiamo, per esempio, una serie di pratiche religiosamente finalizzate (come l’astinenza dai rapporti sessuali, la riduzione delle ore di riposo, i regimi alimentari specifici, le tecniche sanzionatorie o di controllo psicologico, ecc..): potranno essere considerate serie o ragionevoli a seconda che vengano svolte nelle confessioni tradizionali ovvero nei nuovi movimenti religiosi. In questo secondo caso si assiste ad una loro trasformazione in severi atti d’accusa, che portano ad escludere questi movimenti dal novero delle confessioni religiose.

Ma questa “mancanza di misura” può essere apprezzata solo agli effetti penali, ove si provi la lesione di beni tutelati a quel livello, non al fine della qualificazione dei movimenti come confessioni.

In ultima analisi, per sfuggire all’assoluto soggettivismo, questi caratteri finiscono per essere tradotti nella tradizione e nell’opinione comune, cioè a valori politico-sociali, che a differenza della sincerità, trascendono il diritto positivo e si uniformano agli interessi della maggioranza, rappresentati nella specie dalle confessioni dominanti45.

45 N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 51-52.

(33)

3 LA POSIZIONE DELLA GIURISPRUDENZA.

3.1 LA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE.

L’ anno 1984 segna il punto di svolta del diritto ecclesiastico italiano allora vigente e del sistema dei rapporti che lo Stato intende intrattenere oltre che con la Chiesa cattolica, con tutte le altre organizzazioni religiose46.

In questo periodo si avverte il passaggio dalla concezione garantista dei diritti di libertà, individuali e collettivi, ad una concezione interventista dello Stato, tramite l’impegno costituzionale della Repubblica a rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.

Riferito al diritto di libertà religiosa, l’impegno dello Stato laico sociale determina cambiamenti importanti nel rapporto tra religione e società: è riaffermata la dimensione privatistica delle opzioni religiose, ma queste acquistano sovente rilevanza sociale e normativa;

lo Stato, inoltre, interviene a più riprese per garantire la libertà di scelta dei cittadini ma anche per favorire la soddisfazione dei bisogni religiosi di ciascuno.

In questa direzione sembra andare la sentenza n. 203 del 12 aprile 1989 della Corte Costituzionale per la quale “i valori della libertà religiosa e del pluralismo religioso concorrono con gli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato”; infatti il principio di laicità implica “non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato

46 L. BARBIERI, Sul principio di ragionevolezza e libertà delle confessioni religiose, in Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, Torino, 1995, p. 74.

(34)

per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”47.

In questo travagliato processo di maturazione dei principi costituzionali, l’oggetto di studio della disciplina ecclesiastica si sposta da una posizione “verticistica”48 di sistemi di rapporti tra entità sovrane ad una concezione personalistica, che impone una esigenza di negoziazione legislativa per i singoli aderenti ai gruppi religiosi. Da ciò la riscoperta delle formazioni sociali come cellula embrionale delle confessioni religiose e del nesso inscindibile tra l’art. 2 e l’art. 8 della Costituzione49; con ciò riscoprendosi anche la socialità del fattore religioso e, pertanto, l’imprescindibile rapporto tra studio del diritto e funzione sociale.

Ed è forse per questi motivi che la giurisprudenza costituzionale non è restata insensibile di fronte a siffatte problematiche.

Così, a distanza di pochi mesi, la Corte costituzionale è stata chiamata, per ben due volte, a dirimere questioni di legittimità costituzionale, la cui soluzione postula la definizione del concetto di confessione religiosa nel nostro ordinamento giuridico.

Delle due sentenze, quella che maggiormente interessa è la seconda, perché il problema è affrontato direttamente ed in maniera molto articolata; tuttavia nel primo pronunciato si rinvengono interessanti prodromi, che permettono una più penetrante lettura ermeneutica dei passaggi logici della seconda. Sembra, però, necessario premettere, che nelle due sentenze che andremo ad

47 C. CARDIA Stato e confessioni religiose. Il regime pattizio, cit., p. 135.

48 S. FERRARI, Il fattore metodologico nella costruzione del sistema del diritto ecclesiastico, in AA. VV., Dottrine generali del diritto e diritto ecclesiastico, Napoli, Istituto di Studi Filosofici, 1988, pp. 209 ss.

49 P. FLORIS, Autonomia confessionale. Principi-limite fondamentali e ordine pubblico, Napoli, Jovene, 1992, pp. 89 ss.

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