SOMMARIO: 1–BREVE EXCURSUS STORICO 2-L’INTERPRETAZIONE DELL’ART. 7, 1 COMMA, DELLA COSTITUZIONE 3-L’ARTICOLO 7, 2 COMMA, DELLA COSTITUZIONE E I PATTI LATERANENSI. 3.1-L’INTERPRETAZIONE DELLA DOTTRINA a) LA
“COSTITUZIONALIZZAZIONE” DEI PATTI LATERANENSI b)LA
“COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL PRINCIPIO PATTIZIO c)IL PRINCIPIO DELLO “STARE PACTIS” 3.2-L’INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA.
1 BREVE EXCURSUS STORICO.
Il rapporto tra le confessioni e lo Stato in Italia ha attraversato varie fasi: si è passato dal periodo liberale in cui la religione era concepita come un problema individuale d’esclusiva competenza dei cittadini e la protezione dell’individuo aveva sempre la prevalenza rispetto alla tutela del gruppo nel quale il singolo era inserito, al periodo fascista85 caratterizzato dall’assorbimento nello Stato d’ogni aspetto della vita sociale e dalla limitazione d’ogni espressione di libertà.
Lo Stato fascista si ritiene l’unico detentore del diritto e l’esclusivo rappresentante della vita sociale e non ammette che
85 Cfr. S. LARICCIA,.Coscienza e libertà. Profili costituzionali del diritto ecclesiastico italiano, cit., pp. 135 ss.
accanto a lui esistano dei corpi sociali orientati verso il conseguimento di autonome finalità.
Si può comprendere, quindi, in quale misura questa tendenza del regime fascista abbia influito sulla disciplina del fenomeno religioso in Italia.
“La religione - rilevava il Guardasigilli Rocco nella Relazione al Codice penale del 1930 - ha un contenuto che trascende i limiti del patrimonio morale individuale, per assurgere ad un interesse generale;
è insomma non tanto un fenomeno attinente alla coscienza individuale, quanto un fenomeno sociale della più alta importanza, anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato. Non è esatto che, essendo la religione un bene immateriale, morale, appartenente all’individuo, sfugga all’attenzione dello Stato, il quale, tutt’al più, può tutelarla indirettamente, nel senso di garantire all’individuo la libera professione religiosa e la libera pratica del culto, entro i limiti del diritto. L’intervento dello Stato nella diretta tutela della religione è, invece, giustificato appieno dal carattere che la religione indubbiamente possiede, d’interesse generale, pertinente, oltre che all’individuo, alla società”.
La stipulazione dei Patti Lateranensi fu considerata, quindi, dal regime fascista come un notevole successo e contribuì in larga misura al consolidamento del regime stesso sia in Italia sia all’estero: per effetto della Conciliazione con la Santa Sede, “la macchina della propaganda internazionale del clero cattolico fu messa al servizio di Mussolini”86; anche se tale giudizio può forse apparire eccessivo, non vi è dubbio che gli accordi del 1929 venivano a perfezionare la dittatura mussoliniana in Italia e a conferirle agli occhi del popolo la benedizione papale.
86 Cfr., G. SALVEMINI, Stato e Chiesa, a cura di E. CONTI, Milano, Feltrinelli, 1969, p. 394.
La volontà dello Stato di addivenire ad un concetto con la Chiesa era certo fondata sulla premessa che lo Stato non potesse disinteressarsi di problemi connessi con gli interessi della maggioranza del popolo italiano; con la stipulazione degli accordi del Laterano, tuttavia, il governo fascista, che intendeva concludere il lungo periodo di lotta con la Chiesa e risolvere in maniera definitiva la
“questione romana”, affrontò il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa da un punto di vista solo politico e non certo sotto il profilo della soddisfazione delle esigenze religiose dei cittadini, e con una profonda politica d’intolleranza nei confronti dei culti non cattolici.
Temeva che tali culti sostenessero la propaganda antifascista.
Già nell’immediato dopoguerra il delicato problema dei rapporti tra Stato e Chiesa veniva posto all’attenzione della pubblica opinione.
Nell’ambito dei partiti, soprattutto il gruppo politico costituente il Partito d’Azione sosteneva con coerenza e decisione una politica innovatrice in tema di rapporti tra Stato e Chiesa. Diversa la sensibilità dimostrata dai partiti non cattolici che pensavano, invece, che fosse necessario risolvere altri problemi più urgenti rispetto a quelli riguardanti le relazioni con la Chiesa cattolica. Con il passare del tempo, l’orientamento favorevole alla attuazione della laicizzazione dello Stato e la polemica sulla questione concordataria, si andarono attenuando, in una situazione di completo disinteresse da parte dell’opinione pubblica, per lasciare il posto all’idea che vedeva l’inserimento dei Patti Lateranensi all’interno della Carta Costituzionale.
Si voleva raggiungere una “ pace religiosa” - dopo un periodo che aveva visto scontrarsi italiani contro italiani - che contribuisse a
ricostruire l’unità del paese e che aiutasse l’Italia, davvero, a trovare il clima della sua restaurazione87.
L’opinione favorevole ad individuare nel Concordato del 1929 la garanzia del mantenimento della “pace religiosa” in Italia, sostenuta dai deputati democristiani con tale intransigenza da giustificare
“l’impressione che la Democrazia dovesse adempiere una consegna ricevuta dall’alto”88, prevalse, all’Assemblea costituente, sulla tesi, sostenuta tra gli altri dal Calamandrei, secondo cui la pace religiosa doveva essere garantita in Italia non dai Patti del 1929 ma dai diritti di libera espressione dello Stato laico.
La conseguenza fu che, dopo un ampio ed approfondito dibattito, la Votazione all’Assemblea costituente (composta da 555 membri) in merito al vigente art. 7 della Costituzione (“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedura di revisione costituzionale”) ebbe il seguente esito:
“Presenti e votanti 499, maggioranza 250, hanno risposto si 149, hanno risposto no 101; l’articolo 7 si intende approvato”. Espressero il loro voto favorevole circa il richiamo dei Patti nella Costituzione 203 democristiani, 95 comunisti, 22 qualunquisti, 11 liberali, 5 democratici del lavoro, 1 repubblicano, 10 di altri gruppi o indipendenti; votarono contro 103 socialisti,22 repubblicani, 7 azionisti, 6 democratici del lavoro, 5 liberali e 6 di altri gruppi o indipendenti.
La Costituzione italiana è stata, quindi, la sintesi di un compromesso tra forze politiche concorrenti tra loro: in essa si
87 R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 56.
88 A. C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffrè, 1979, p. 65.
rivelano evidenti la concezione di una società civile ispirata al pluralismo di gruppi di derivazione cristiano-sociale e l’intento del Costituente di far convivere, collegandoli tra loro, i diritti di libertà delle carte ottocentesche soffocati dal regime fascista e i diritti sociali di cui erano portatori i movimenti socialisti.
Questo spiega i contrasti emersi in occasione del dibattito all’Assemblea costituente in merito al problema religioso, ma fa comprendere le ragioni per le quali, una volta entrato in vigore il testo costituzionale, si ebbero fortissime resistenze, da parte di quasi tutti gli organi dello Stato, per un’adeguata realizzazione delle garanzie di libertà e d’eguaglianza solennemente riconosciute del Costituente in materia religiosa.
Nella Costituzione è contemplato un armonico sistema di protezione e d’eguaglianza in materia religiosa mediante un complesso di norme che dimostrano come il Costituente non abbia trascurato l’importanza della tutela degli interessi individuali, ma abbia anche valutato nella giusta misura la rilevanza degli interessi dei gruppi sociali, la cui protezione tende a garantire una più ampia ed intensa tutela degli interessi individuali dei singoli fedeli.
I principi costituzionali più importanti sono:
1) riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo in materia religiosa (art. 2 cost.). Esso è espressione del cd.
principio personalista che sancisce che l’individuo, la persona umana, è il centro dell’organizzazione sociale e politica, titolare di diritti anteriori allo Stato stesso. La persona umana è oggetto di considerazione da parte dell’ordinamento in tutte le manifestazioni del suo comportamento, quindi anche nella partecipazione alle numerose organizzazioni collettive che essa crea, nelle quali l’individuo s’identifica e per mezzo delle quali
soddisfa i suoi specifici bisogni, e che lo Stato ha il compito di tutelare89
2) pari dignità sociale ed eguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di religione (art. 3 Cost.). Esso è corollario del principio personalista e completa il carattere fondamentale della Carta che antepone l’uomo alle istituzioni90. 3) separazione tra l’ordine civile e l’ordine religioso (art. 7, 1
comma, Cost.);
4) disciplina dei rapporti tra stato e Chiesa cattolica nella Costituzione (art. 7, 2 comma, Cost.);
5) libertà individuale e collettiva in materia religiosa (art. 8, 1 comma, 18, 19, 20, 21, Cost.);
6) disciplina costituzionale dei culti diversi da quello cattolico (art.
8, 2 e 3 comma Cost.);
7) problemi relativi alla libertà delle scuole confessionali e nelle scuole confessionali91.
Tali norme, ad eccezione dell’art. 7 Cost. sono tutte espressione di un’unica esigenza, profondamente avvertita dalle forze politiche che elaborarono la Costituzione del 1948: l’esigenza di tener conto della fallimentare esperienza del passato nel campo religioso e di affrontare il problema fondamentale d’ogni società umana; quello, vale a dire, di conciliare l’interesse individuale con quello del gruppo.
Problema di difficile soluzione ma di fondamentale importanza nelle società pluralistiche, tendenti ad ottenere un equilibrio tra le varie istituzioni sociali e a raggiungere una pacifica convivenza delle
89 G. MACRI’, M. PARISI, V. TOZZI, Diritto ecclesiastico europeo, Editori Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 17.
90 G. MACRI’, M. PARISI, V. TOZZI, op. ult. cit., p. 19.
91 S. LARICCIA, Coscienza e libertà, cit., p. 58.
organizzazioni sociali nei confini della vita ordinata e libera della comunità92.
2 L’INTERPRETAZIONE DELL’ART. 7, 1 COMMA, COSTITUZIONE.
L’art. 7, 1 comma, Cost. dichiara: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.
L’art. 7, 1 comma, confermando il principio d’autonomia contenuto nell’art. 1, 1 comma, del Concordato, per il quale “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”, attribuisce alla Chiesa cattolica la cura degli interessi religiosi dei cattolici e prevede la non ingerenza delle autorità dello Stato nell’ordine proprio della Chiesa. Questo assicura alla Chiesa il libero esercizio del potere spirituale , il libero e pubblico esercizio del culto e della sua giurisdizione.
Il limite posto alla sovranità statale costituisce un’autolimitazione dello Stato, e per sé vale non solo nei confronti della Chiesa Cattolica ma anche delle altre confessioni diverse dalle medesime: l’autolimitazione dello Stato in materia confessionale non è altro, infatti, che “un’applicazione del principio di incompetenza dello Stato a valutare il fenomeno religioso”93.
92 S. LARICCIA, Diritto ecclesiastico. Principi costituzionali, cit., p. 25.
93 Cfr. V. ONIDA, Giurisdizione dello Stato e rapporto con la Chiesa, Milano, Giuffrè, 1964, p.
124. “Per tutto quanto ha riferimento al fine religioso lo Stato manca di sovranità “: tale è il significato del primo comma dell’art. 7 della Costituzione. In questo senso il principio generale che la dottrina canonica afferma ponendo la disciplina delle societates iuridice perfectae, ha trovato accoglimento nella norma della Costituzione; e rispetto al principio posto, l’accoglimento della tesi pluralistica della dottrina istituzionale assume una importanza, sia pure necessaria, di mero presupposto logico. La dichiarazione che “lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine; indipendenti e sovrani” costituisce l’esplicita negazione della concezione esclusivista della sovranità nonché della competenza illimitata dello Stato, con l’affermazione che un determinato fine, quello religioso, è sottratto alla competenza dello Stato e cade invece sotto quella di un diverso ordinamento, in quell’ambito riconosciuto parimenti originario. La norma pone in definitiva un limite nuovo, prima d’ora impensabile, alla sovranità dello Stato: cosicché, mentre
In realtà sin dall’entrata in vigore della costituzione, l’interpretazione dell’art. 7, 1 comma, ha sollevato notevoli difficoltà.
C’è chi anche, lo ha definito “un omaggio politico” alla Chiesa cattolica, se non addirittura “una semplice constatazione priva di qualsiasi significato e valore concettuale e pratico”94.
E’ stato talora considerato come una norma priva di significato giuridico, in quanto si è considerato che il riconoscimento da parte dello Stato italiano, dell’indipendenza e sovranità della Chiesa nel proprio ordine, all’atto pratico non costituirebbe altro che “una dichiarazione astratta di principio, priva di un vero contenuto concreto e di risultati effettivi per quanto attiene la determinazione pratica della Chiesa cattolica nello svolgimento di una sua attività giuridica all’interno dell’ordinamento italiano”95. Secondo tale opinione, infatti, il 1 comma dell’art. 7, Cost. per il legislatore costituzionale non costituiva altro che il presupposto per la determinazione di convenzioni di diritto esterno che assumono, rispetto allo Stato italiano, i Patti Lateranensi del 1929; nel senso che lo Stato, quando entra in rapporto con la Chiesa, riconosce di entrare in rapporti con un ordinamento indipendente e sovrano, riconosce, in sostanza, che esso non può porsi con tale istituzione che in una relazione di diritto esterno96.
rispetto agli altri Stati, la estensione della sovranità trova confini territoriali e personali, nei confronti, invece, della Chiesa, incontra il confine del fine di culto su cui direttamente si estende la sovranità di quest’ultima. Così anche P. GISMONDI, L’interesse religioso nella Costituzione , in Giurisprudenza Costituzionale, 1958, 1221; P. A. D’ AVACK, Corso di diritto canonico, Milano, Giuffrè, 1956, p. 5-6.
94 A. AMORTH, La Costituzione italiana, Milano, Giuffrè, 1953, p. 48.
95 P. A. D’AVACK, Trattato di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffrè, 1978, p. 70.
96 P. A. D’AVACK, I rapporti tra Stato e Chiesa nella Costituzione repubblicana italiana, in Commentario sistematico, Edizione Barbera, Firenze, 1949, volume I, pp. 111 ss., ripubblicato in Il Diritto Ecclesiastico, 1950, pp. 3 ss. Il riconoscimento dell’indipendenza e sovranità nel proprio ordine, della Chiesa, costituisce così, “il presupposto imprescindibile per la determinazione del valore che assumono i Patti lateranensi…di convenzioni di ordine esterno”. In senso conforme MAGNI, Teoria del diritto ecclesiastico, Padova, 1952, p. 52.
Questo significa che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa non possono essere improntati ad una subordinazione del potere ecclesiastico al potere civile e viceversa. La suprema autorità dello Stato italiano non potrebbe, quindi, costituirsi anche “capo supremo della Chiesa” (sistema cesaropapista); né potrebbe più limitatamente esercitare jura maiestatica circa sacra, quel complesso di poteri pubblicistici, cioè, diretti a proteggere tanto la Chiesa dallo Stato quanto lo Stato dalla Chiesa, e considerati prerogativa del monarca, nelle monarchie assolute dell’ancien regime (sistema giurisdizionalista)97.
Altri invece hanno precisato che, dovendo soprattutto tenersi presente il collegamento tra le due parti dell’art. 7, e cioè tra il primo e secondo comma, per chiarire il significato attribuito all’espressione
“ordine” dello Stato e della Chiesa, occorre riferirsi al contenuto dei Patti Lateranensi, in quanto questi ultimi forniscono la “misura costituzionale” di ciò che lo Stato italiano ha riconosciuto essere ordine della Chiesa98.
Tuttavia, non soltanto le norme derivanti dai Patti lateranensi costituiscono “uno strumento poco idoneo per l’interpretazione di una formula che ha profondamente alterato la struttura giuridica dello Stato, travolgendo istituti esplicitamente richiamati dai Patti Lateranensi”; ma inoltre tale opinione potrebbe ritenersi esatta solo ove si ritenesse che il contenuto di tali Patti sia stato
“costituzionalizzato”, giacché le norme di derivazione pattizia possono fornire una “misura costituzionale” solo in quanto siano state considerate sullo stesso piano delle norme costituzionali: come invece vedremo nel prossimo paragrafo vi sono varie ragioni per ritenere
97 R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 51.
98 Cfr., M. PETRONCELLI, Manuale di diritto ecclesiastico, Napoli, Jovene, 1965, p. 64; P.
GISMONDI, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1975, p. 64.
inesatto l’orientamento interpretativo che vede la
“costituzionalizzazione” degli accordi lateranensi nell’art 7, 2 comma, Cost.
“L’analisi dei principi contenuti nell’art. 7 Cost. induce a condividere l’opinione secondo la quale il riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza della Chiesa nell’ordine che le è proprio non comporta un arretramento delle frontiere della sovranità dello Stato, e il costituente, adoperando l’espressione “ordine”99, in luogo di
“ordinamento”100, è partito dal presupposto che la sovranità dello Stato e l’indipendenza della Chiesa soggiacciono a dei limiti 101: l’esistenza di tali limiti ricorre, del resto, ogni volta che si prende in considerazione un sistema di relazioni tra più istituzioni, ciascuna dotata di un’autorità e di una libertà che non possono non limitarsi nel rispettivo ambito”102.
Ma il suo significato più profondo, più coerente con lo spirito della Costituzione, sembra essere la distinzione della Chiesa dallo Stato, il riconoscimento, cioè, della identità della Chiesa, la tutela della cui integrità è espressa dall’asseverazione dell’incompetenza
99Cfr., G. CATALANO, Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella costituzione repubblicana, Milano, Giuffrè, 1974, 2 ed., p. Si è infatti affermato che la locuzione “ordine” è stata adoperata di proposito per evitare di discorrere di “ordinamento giuridico” e che pertanto il primo comma dell’art. 7 non può essere inteso come una dichiarazione di carattere dogmatico, ma come una norma con un contenuto precettivo tale da giustificare la conclusione che è stato creato
“un limite prima d’ora impensabile alla sovranità dello Stato”, con un rovesciamento dei criteri fondamentali dell’ordinamento precedente e con la conseguenza precipua che per tutto quanto ha riferimento al fine religioso lo Stato manca di sovranità.
100 È da notare che la locuzione “ordinamento giuridico” (impiegata nella originaria proposta) venne abbandonata proprio per i gravi contrasti che determinò in seno alla 1 Sottocommissione. La precisazione, effettuata da parte di autorevoli esponenti della tesi governativa, secondo cui il riconoscimento della originarietà dell’ ordinamento canonico non avrebbe importato attribuzione di effetti giuridici in seno all’ordinamento statale a norme della Chiesa, non fu sufficiente. Si pervenne così (con l’attivo intervento dell’on. Togliatti) all’adozione della formula che oggi leggiamo nell’art. 7 della costituzione nel quale il riconoscimento dell’indipendenza e sovranità della Chiesa è riferito al concetto di “ordine”. G. CATALANO, Sovranità, cit, , p. 13 in nota.
101 Cfr., G. CATALANO, Sovranità, cit, p. 15. compito dell’interprete è, dunque, quello di tentare una individuazione di tali limiti, al quale riguardo è forse eccessivo lo scetticismo di taluni giuristi che considerano inutile e sterile una ricerca in tal senso, limitandosi a osservare che nell’impossibilità di una delimitazione delle due sfere di competenza; conclusione esatta, ma non sufficiente ad escludere tentativi di una concreta delimitazione.
102 S. LARICCIA,Lezioni di diritto ecclesiastico. I principi costituzionali, cit., pp. 73 ss.
dello Stato a porre in essere attività capaci di stravolgere o comunque di modificare quella identità.
L’art. 7, 1 comma, appare così una proiezione dell’art. 2 della Costituzione, una specificazione del generale principio di tutela dell’identità dei gruppi - e tra questi dei gruppi confessionali- che operano nella società, i quali lo Stato distingue da sé, e con i quali si pone nel più ampio quadro della “politica del consenso” cui è ispirata la propria legislazione, in un confronto dialettico idoneo ad assicurare una disciplina più adeguata ai valori e ai bisogni di cui i gruppi sono portatori.
Un significato, questo, che amplia il contenuto del 1 comma dell’art. 7 Cost. e tende a dare per acquisito il carattere originario dell’ordinamento canonico e, dall’altro, a giustificare, proprio in ragione di siffatta originarietà, l’utilizzo di determinati strumenti – i Patti Lateranensi, appunto – per la regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa103.
Alla luce di quanto finora detto appare possibile precisare:
1) che la sovranità e indipendenza della Chiesa è riconoscibile e riconosciuta solo laddove non si manifesta la sovranità dello Stato, ossia relativamente a rapporti e comportamenti, che per la loro intrinseca natura, puramente spirituale o religiosa, non presentano alcun interesse per uno Stato moderno e appartengono, di conseguenza, alla sfera del giuridicamente irrilevante;
2) che l’implicito riconoscimento della potestà originaria e indipendente della Chiesa non intacca il principio fondamentale secondo cui l’efficacia di norme canoniche (o di provvedimenti ecclesiastici) non è mai diretta o immediata nello Stato, essendo
103 R. BOTTA, Tutela del sentimento religioso ed appartenenza confessionale, cit., p. 62-63.
sempre necessario che si possa risalire ad una statuizione degli organi statali che ne sancisca l’efficacia nell’ordine normativo dello Stato;
3) che il riconoscimento, contenuto nel primo comma dell’art. 7, impedisce soltanto un’attività normativa diretta ad intaccare o alterare la struttura gerarchico-istituzionale della Chiesa, o a sindacare dottrina e disciplina;
4) che il riconoscimento della sovranità e indipendenza della Chiesa costituisce implicito riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento canonico con il conseguente corollario che con la Chiesa, e per essa col suo supremo organo ossia con la Santa Sede, possono venire allacciati rapporti su un piede di parità e con convenzioni di diritto esterno.104
3 L’ARTICOLO 7, 2 COMMA E I PATTI LATERANENSI.
3.1 L’INTERPRETAZIONE DELLA DOTTRINA.
Per l’art. 7, 2 comma, Cost.: “I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.
All’approvazione della celebre formula si pervenne, in sede di costituente, dopo approfondito dibattito che riguardò esplicitamente il valore giuridico della norma, nonché le conseguenze che ne sarebbero
104 G. CATALANO, Sovranità dello Stato, cit., pp. 19-20.
derivate in ordine alla collocazione delle norme pattizie nella gerarchia delle fonti105.
Va ricordato, preliminarmente, che accanto a chi riteneva errato,
Va ricordato, preliminarmente, che accanto a chi riteneva errato,