• Non ci sono risultati.

La qualità9della materia prima agricola si differenzia in base alla provenienza

geografica, dipende infatti dalle condizioni pedologiche e climatiche del luogo di produzione. Le denominazioni d’origine trovano perciò fondamento nella disomogeneità spaziale delle produzioni agricole (Pilati, 2004).

La denominazione d’origine, intesa come marchio di differenziazione del prodotto fondato sulla provenienza geografica, è stata introdotta in Italia nel 1957 nella classificazione dei formaggi, successivamente, nel 1963, venne estesa ai vini con la legge 930. Il criterio della zonazione vinicola, già sperimentato con buoni risultati in Francia, trovò applicazione in Italia con la legge n. 164 del 10 febbraio 1992 (vedi allegato) che ha istituito l’attuale disciplina delle denominazioni d’origine dei vini. Essa suddivide i vini in due grandi categorie:

- a denominazione d’origine; - da tavola.

                                                                                                               

9 La qualità è un concetto complesso ed evolutivo che copre un ampio spettro di significati. Essa è qui intesa in

senso oggettivo, identificabile in cinque principali sottoinsiemi di attributi qualitativi: nutrizionali, igienico- sanitari, organolettici, d’uso, psico-sociali (Pilati, 2004).  

36,0%& 30,2%& 15,9%& 11,5%& 6,4%& 0,0%& 10,0%& 20,0%& 30,0%& 40,0%& 50,0%& 60,0%&

HoReCa& GDO& Grossis8& Vendita&

dire=a& Altri&canali&

2006& 2012&

Questa distinzione formale è ritenuta emblematica del pregio del prodotto (Fonte: Pilati, 2004). L’attuale gerarchia qualitativa dei vini italiani è rappresentabile attraverso l’immagine di una piramide suddivisa in 5 livelli. Alla base vi sono i vini da tavola, ritenuti di minor pregio qualitativo e per i quali i produttori non sono tenuti a rispettare uno specifico disciplinare. Tuttavia, la dicitura “vini da tavola” non è portavoce di una bassa qualità, poiché frequentemente si trovano vini di questo tipo di ottima qualità. Questi vini vengono identificati dal colore (bianco, rosso, rosé), dal nome dell’azienda o dal marchio e in particolari condizioni, dal vigneto e dall’annata. Salendo la piramide, si trovano i vini a Indicazione Geografica Tipica – IGT, i vini a denominazione d’origine Controllata – DOC; al vertice vi sono i vini più pregiati a denominazione di Origine Controllata e Garantita – DOCG. Possono fregiarsi della denominazione DOC o DOCG i vini prodotti con uve provenienti da zone omogenee, preventivamente delimitate e riconosciute con apposito decreto. La denominazione d’origine è costituita da due elementi: il nome della regione determinata e la menzione tradizionale DOCG o DOC. La produzione di questi vini deve rientrare nei confini della zona mappata e deve rispettare dei disciplinari di produzione che stabiliscono il nome del vino, la tecnica colturale da utilizzare nella produzione viticola, le rese massime consentite nella produzione e trasformazione (quantità di uva producibile per ettaro e quantità di vino per Kg d’uva), la zona di vinificazione e il rispetto di prefissati standard organolettici, come la gradazione delle uve e del vino. I produttori appartenenti alla zona d’origine sono tenuti a registrare i propri vigneti e specificare le varietà d’uva coltivate. Un organismo istituzionale è delegato a svolgere l’azione di controllo per garantire il rispetto dei disciplinari. La vinificazione e l’invecchiamento dei vini DOCG e DOC devono avvenire all’interno della zona d’origine. E’ invece facoltativo l’imbottigliamento in tale zona, anche se taluni disciplinari lo prevedono.

I vini DOC, prima di essere commercializzati, sono sottoposti ad analisi chimiche, fisiche ed organolettiche da parte di una commissione di degustazione istituita presso le camere di commercio, in modo da accertare il rispetto dei requisiti minimi. Nei vini che rientrano in questa categoria possiamo trovare anche l’indicazione di una sottozona, con regole di produzione più rigide e riguardanti aree più ristrette, fino ad arrivare a circoscrizioni territoriali come comuni, frazioni, o il nome della “vigna” stessa. Sono altresì previste menzioni tipiche, tra le quali “Riserva” per i vini di grande qualità invecchiati almeno due anni; “Superiore” per i vini con una gradazione alcolica e

caratteristiche di finezza superiori rispetto ai vini della stessa denominazione di origine; “Classico” per i vini provenienti dalla zona più “antica” e “storica”.

Al vertice della piramide si trovano i vini a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita – DOCG. Questi sono vini pregiati che hanno ricevuto la denominazione DOC da almeno 5 anni. Per questa menzione vi sono norme più rigide e ristrettive rispetto alla denominazione di origine controllata, ad esempio: la resa di uva per ettaro è sensibilmente inferiore, la gradazione minima delle uve e del vino è più elevata, l’affinamento o l’invecchiamento del vino è obbligatorio, le analisi chimiche ed organolettiche vanno effettuate su ogni partita prima di essere inserite nel mercato e il recipiente commercializzabile non può superare i 5 litri. Tuttavia, per contrastare le contraffazioni, il Consorzio di Tutela del Prosecco DOC, ha previsto che tale prodotto possa essere somministrato al consumo solamente in bottiglia, dunque anche il singolo calice non può essere servito alla spina poiché tutto il Prosecco destinato agli esercizi al dettaglio viene imbottigliato.

Anche i vini ad Indicazione Geografica Tipica – IGT, devono essere prodotti all’interno di zone delimitate e riconosciute. La loro produzione è regolamentata da un disciplinare che fissa le rese massime consentite nei vigneti specificati, il tipo di uve ammesso e precisa quali possono essere indicate in etichetta. I vini IGT sono caratterizzati da un’indicazione geografica (nome), accompagnata dall’eventuale ma non obbligatoria menzione del vitigno, tipologia enologica, annata di raccolta, ecc. I vini devono essere ottenuti, per almeno l’85%, da uve raccolte nella zona geografica di cui portano il nome. Le zone di produzione IGT sono di norma più ampie rispetto a quelle della DOC e DOCG e la disciplina di produzione è meno restrittiva dal lato delle rese produttive. Ciò non significa che la qualità del prodotto sia necessariamente inferiore, anzi, molto spesso i vini da tavola, come i vini ad Indicazione Geografica Tipica – IGT, hanno una qualità paragonabile ad altri vini europei Dop ed extra- europei.

Le sigle DOCG, DOC e IGT possono essere usate in etichetta da sole o accompagnate dalle nuove sigle europee Dop o Igp. Infatti, a livello europeo, è stata avviata una profonda riforma del settore vitivinicolo che ha riguardato diversi aspetti fra i quali la qualificazione e la tutela dei vini: la Commissione Europea ha deciso di uniformare la propria politica di tutela e valorizzazione dei prodotti agricoli, basandola sui concetti di Dop (Denominazione d’origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta). In pratica, le vecchie menzioni comunitarie di V.Q.P.R.D. - “Vino di Qualità

Prodotto in una Regione Determinata” oppure V.S.P.R.D, V.F.P.R.D, V.L.P.R.D e VSAQPRD rispettivamente per i vini spumanti, frizzanti, liquorosi e spumanti aromatici (regolamentati dal reg. CEE n. 823/87), sono state superate dalla nuova normativa europea (Reg. Ce 479/2008) recepita in Italia con il Decreto Legislativo 61 dell'8 aprile 2010 (in vigore dall'11 maggio 2010). I vini V.Q.P.R.D sono stati assorbiti nella categoria di vini Dop e la tipologia di vino (frizzante, spumante, spumante aromatico, liquoroso) è identificata in maniera standard: sarà la designazione generale, relativa alle denominazioni, a indicare se si tratta di vino Dop, Igp o "generico". Per il settore vitivinicolo italiano, ciò significa che le “vecchie” DOC e DOCG diventano delle menzioni specifiche tradizionali italiane per designare i vini a Dop.10

Con questa riforma, l’Unione Europea vuole assicurare alle Dop ed Igp una migliore competitività e una maggior protezione nei mercati internazionali. Attualmente sono 1354 i vini a DOP e 574 quelli a IGP censiti a livello comunitario (e-bacchus, 28/01/2014).

Nella riforma vi sono elementi di criticità quali la possibilità di indicare nei vini da tavola, in particolari condizioni, il vitigno e l’annata comportando una maggiore competizione con i vini IGT; la riduzione della percezione delle differenze tra DOC e DOCG ricadendo entrambe all’interno della Dop. Inoltre bisogna ricordare che, in termini di marketing, cambiare un marchio noto al consumatore rappresenta sempre un costo. Tuttavia non cambiare potrebbe rappresentare nel lungo periodo una soluzione peggiore, in quanto potrebbe aumentare la confusione del consumatore e ridurre la sua capacità di identificare prodotti con diverse denominazioni (che peraltro già oggi è molto bassa). Inoltre nella riforma vi sono anche potenzialità, quali il raggiungimento di una maggiore uniformità normativa a livello comunitario, una comunicazione più omogenea verso i mercati internazionali e l’allargamento della dimensione qualitativa ad un maggior numero di prodotti. In tal senso la riforma ha favorito la competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali: in primo luogo, perché il miglioramento normativo favorisce le produzioni di maggiore qualità; in secondo luogo, perché la percezione dell’intero sistema produttivo comunitario è migliorata.

L’idea di approccio “a piramide” delle menzioni italiane IGT, DOC, DOCG, non si è concretizzato pienamente. Infatti, vi sono regioni come ad esempio il Piemonte, in cui non esistono vini a IGT ma solo quelli DOC e DOCG comunque protetti dalla denominazione “DOC Piemonte” che ha carattere regionale ed è generale e                                                                                                                

10 Il Decreto legislativo n. 61/2010, all’art. 3 comma 4, stabilisce che le menzioni specifiche tradizionali italiane,

anche con le relative sigle DOC, DOCG e IGT, possono essere indicate in etichettatura da sole o congiuntamente alla corrispondente espressione europea DOP e IGP.

onnicomprensiva. Oppure vini come il Chianti per i quali la denominazione principale del territorio è la DOCG perciò essa non rappresenta una specificazione più restrittiva di un’ampia area DOC. A livello nazionale quindi non prevale una differenziazione verticale basata sulle tipologie di denominazione alle quali il consumatore peraltro non riconosce una grande importanza, ma prevale una forte differenziazione orizzontale legata alla riconoscibilità e alla notorietà dei diversi vini e territori, che si riflette in un forte differenziale di prezzo che mediamente i prodotti riescono a spuntare sul mercato. Queste considerazioni come si vedrà in seguito non sono valide per la denominazione Prosecco: la DOC comprende un’area allargata di pianura, mentre la DOCG comprende due sottozone collinari molto ristrette. I diversi territori attribuiscono al Prosecco DOC e DOCG una differente qualità percepibile nel prodotto e riconosciuta dal consumatore, che si traduce in un diverso posizionamento di prezzo delle due denominazioni. La denominazione Prosecco rispecchia dunque l’intenzione del legislatore avendo creato un’effettiva piramide della qualità.