TARDO OTTOCENTO
1. Una denuncia anonima: storia di un pettegolezzo di paese
Questo Comune dal 1861 a tutt’oggi è stato sempre retto dagli stessi uomini, animati dall’unico sentimento dell’interesse. I caporioni sono quelli qui appresso a nominarsi, gli altri che figurano nell’amministrazione del Comune, o delle deserte Opere Pie, che non saran nominati o sono dei gregari o delle nullità. I capifila si sono infondati nella amministrazione, han fatto una casta, guai a chi volesse suonarli1.
Così si legge in una lunghissima lettera anonima di fine Ottocento, una sorta
di pamphlet, fatta circolare nell’ambiente delle classi dirigenti di Pagani1 2. Non è
azzardato supporre che all’epoca la missiva avesse riscosso molto interesse suscitando non poco scalpore. La sua presenza negli atti ufficiali di Prefettura induce a far pensare che ad essa sia stata dedicata un’adeguata attenzione da parte di chi era preposto alla conservazione dell’ordine pubblico. Sicuramente, al di là delle intenzioni che avevano spinto l’autore a mettere su carta le proprie rimostranze, essa rappresenta una testimonianza significativa dei modi, leciti e non, attraverso cui poteva svolgersi la vita pubblica in un centro medio del Mezzogiorno d’Italia, come Pagani. Trovarsi tra le mani un documento così particolare e interessante richiede una serie di prudenze per non incorrere nell’ovvio. Proviamo a identificare le persone chiamate in causa. Lo scrivano
1 Archivio di Stato di Salerno (d’ora in poi ASS), Addebiti generali, in Amministrazione comunale. Pagani. Sindaco (1905-1925), in Gabinetto di Prefettura, fascio n. 268, fascicolo 26, sottofascicolo 19.
2 Pagani, all’epoca, contava poco più di 12000 abitanti, era amministrata, come si vedrà anche più avanti, da un ristretto gruppo di potere. Il sindaco della città era Michele Criscuoli, un medico, che non esercitava la sua professione, essendo discendente di una famiglia benestante. L ’amministrazione da lui capeggiata, nel 1890, era interessata dallo scioglimento del consiglio comunale per dissesto finanziario. Sebbene l’agricoltura rappresentasse un settore con parecchi addetti, non era l’unica attività economica. In fase di sviluppo era anche il commercio legato all’esportazione regionale dei prodotti ortofrutticoli. Pagani aveva già le caratteristiche di un grosso paese con una classe dirigente, i cui esponenti erano gli stessi componenti delle famiglie benestanti che, negli anni, avevano sempre occupato un posto di rilievo nella vita amministrativa.
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lanciava strali d’accusa nei confronti di Michele Criscuoli, sindaco della città dal 1880 al 1890 e dell’intera compagine amministrativa.
Perché scriveva il nostro testimone anonimo? Chi voleva colpire? Erano reali le sue osservazioni? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che sorgono nell’analizzare un documento del genere. Ma prima di ulteriori considerazioni, è opportuno entrare nell’atmosfera cittadina post-unitaria. Michele Criscuoli era stato eletto sindaco nel 1880, ma non poteva considerarsi un neofita della politica. Benestante, medico, prima della carica più prestigiosa, aveva rivestito quella di consigliere comunale dal 1862; dal 1868 al 1871 era stato vice conciliatore e amministratore dell’ospedale “Andrea Tortora”. La sua parabola politica era quindi molto ampia. La sua attività pubblica non si era fermata neanche nel 1890 quando, cessata l’esperienza di sindaco, si era ritrovato come assessore anziano nell’amministrazione capeggiata da Vincenzo Tramontano, leader del partito di opposizione. È chiaro quindi che una persona così famosa e potente avesse gli occhi di tutti puntati su di sé e su quanti lo circondavano.
Nonostante questi elementi, che permettono di conoscere ulteriormente il primo destinatario di questa denuncia, rimangono oscuri i motivi che avevano spinto un cittadino o più di uno a “parlare”, a cercare di “sensibilizzare” chi di competenza, evidenziando parentele e patti sotterranei tra i diversi protagonisti della cosa pubblica. Infatti, la lettera, senza data, formata da diciotto pagine, scritta su fogli protocollo a righe, si articolava in tre parti3.
Ad una prima lettura, essa non presentava elementi che potevano contribuire a identificare l’autore e il momento preciso in cui era stata scritta. Dall’inizio alla fine, infatti, non si riscontravano annotazioni di anni, firme o sigle che potevano aiutare a svelare l’identità dell’informatore anonimo. Come già evidenziato, la missiva incominciava con il riferimento alle elezioni amministrative che non avevano portato nessuna novità nel panorama politico cittadino, rimasto sostanzialmente identico a quello del 1861. Dalla pagina successiva, il mittente entrava nel vivo dell’argomento e cominciava a fare nomi e cognomi dei politici locali. Ad ogni nominativo segnalato seguiva l’indicazione del ruolo rivestito, all’epoca dei fatti, nell’amministrazione comunale, delle diverse cariche ricoperte nel corso degli anni, nonché delle eventuali parentele con tutti gli altri amministratori elencati. Erano tredici le persone su cui l’autore anonimo si sentiva chiamato a dover dire qualcosa.
3 Nella prima parte (da pag. 1 a pag. 5), era descritta brevemente la situazione dell’amministrazione comunale paganese con le prime accuse lanciate in maniera generale. La seconda parte (da pag. 6 all’inizio di pag. 16) si apriva con il paragrafo Fatti personali, in cui l’attenzione era rivolta alla vita pubblica e privata di sindaco, consiglieri comunali, componenti di enti pubblici. La terza e ultima parte (da pag. 16 a pag. 18) era dedicata agli Addebiti generali, un elenco in nove punti in cui erano esposti i malfatti comuni dei tredici amministratori accusati.
Affreschi oligarchici: lettere anonime, ricorsi e inchieste prefettizie nella vita socio amministrativa di Pagani nel tardo Ottocento
In realtà, le persone a cui si riferiva erano quelle a cui competeva la maggior parte delle scelte amministrative e che, a un’attenta analisi, rappresentavano una sola potente famiglia locale che aveva trasferito le sue influenze dalle mura domestiche alla “casa pubblica”. Per capire le strategie e gli equilibri che potevano determinare le scelte amministrative nella Pagani dell’Ottocento, bisogna fare nomi e cognomi.
Nella maggioranza di governo capeggiata da Michele Criscuoli, le trame familiari contavano più delle appartenenze politiche. Tra gli accusati, c’erano i fratelli Alfonso e Michele Tramontano, l’uno consigliere ed assessore comunale dal 1861; componente della Congrega di Carità dal 1862; conciliatore; amministratore dell’ospedale Tortora e del Conservatorio del Carminello ad Arco; l’altro tesoriere della Congrega di Carità dal 1863 fino al 1880; tesoriere dell’Ospedale Tortora e del Conservatorio del Carminello ad Arco; collettore dell’Esattoria delle Imposte; entrambi nipoti ed eredi fiduciari di Andrea Tortora, famoso all’epoca per aver donato i suoi terreni per la costruzione dell’ospedale cittadino. I fratelli Tramontano in municipio si sentivano davvero a casa. Con loro c’erano i cugini: Vincenzo Tramontano che, negli anni, aveva ricoperto le cariche di consigliere, assessore comunale, componente e presidente della Congrega di Carità, amministratore del Conservatorio del Carminello ad Arco; Lodovico De Vivo, consigliere comunale; componente della Congrega di Carità fino al 1871; amministratore dell’ospedale Tortora; esattore delle Imposte e tesoriere del Comune dal 1872; Andrea Tortora jr, consigliere comunale, progettista e collaudatore delle opere comunali e delle opere pie. Cesare Tramontano era un altro parente, socio del sindaco Michele Criscuoli per la riscossione delle imposte nel Mandamento di Samo, per gli appalti dei dazi e delle opere pubbliche che, a sua volta, era lo zio di Giacinto Desiderio, consigliere ed assessore comunale e componente della Congrega di Carità. Quest’ultimo era il cugino di Ferdinando e Orazio Tortora, il primo consigliere comunale, esattore di fondiaria e tesoriere del Comune per tutto il 1871, priore a tempo indeterminato della Confraternita della Madonna delle Galline; il secondo consigliere comunale, componente della Congrega di Carità e tesoriere della Confraternita della Madonna delle Galline. Domenico Damiani era il patrigno della moglie di Michele Tramontano e aveva rivestito le cariche di assessore comunale, componente della Congrega di Carità, vice conciliatore. Altri destinatari delle accuse erano inoltre Giovannangelo Califano, sindaco fino al 1878 che aveva rivestito successivamente le cariche di consigliere e assessore comunale e di componente della Congrega di Carità; Carmine Marrazzo, notaio, consigliere comunale, vice conciliatore, vice Pretore e Mandamentale che, al di là delle loro responsabilità nella vita pubblica cittadina, erano gli unici a non avere parentele con gli altri colleghi.
Da queste notizie, è scontato concludere che, nelle amministrazioni pubbliche del periodo post-unitario, la gestione del potere era esclusivamente legata a vincoli famigliari. Tuttavia, il caso di Pagani, sebbene si inserisca all’interno di una
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situazione tipica dell’Agro, mantiene una sua originalità. I legami tra gli amministratori non erano il frutto di strategie matrimoniali, ma di parentele dirette che intercorrevano tra consiglieri, assessori e amministratori vari.
Introdotto il lettore nell’ambiente politico del tempo in cui era maturata la lettera anonima, a questo punto, ritengo utile riflettere, per grandi linee, su una questione metodologica, che riguarda da vicino la particolare testimonianza capitata tra le mie mani, soffermandomi su una serie di interrogativi legati ad essa ed al suo utilizzo nella ricerca storica. Si può fare storia con una lettera anonima? Si può ricostruire uno scenario con una singola fonte? Al di là del contenuto che può essere vero o falso, ogni documento è una testimonianza, racconta qualcosa della società in cui è stato prodotto, dà delle indicazioni, fornisce informazioni, aiuta a delineare un quadro interpretativo. Anche se, in realtà, ogni documento è vero e falso nello stesso tempo, esso va analizzato, studiato, compreso per far in modo che ampli la rete di conoscenza non solo del lettore e degli addetti ai lavori. Così, a poco a poco, si può immaginare l’ambiente in cui esso è maturato, il profilo morale della persona che lo ha scritto, il messaggio intenzionale in esso contenuto, gli indizi apparentemente nascosti che lo scrittore lanciava al lettore magari per farsi riconoscere. E qui che entra in gioco il ruolo dello storico che, nel momento in cui rivolge la sua attenzione a un particolare tipo di documento, ha già operato la sua scelta e l’ha storicizzato, a scapito di altre tracce che per lui sono considerate prive di importanza4. Lo storico è innanzitutto un mediatore che trasferisce le informazioni dalla fonte al lettore e, nello stesso tempo, con il suo studio, contribuisce all’acquisizione di nuove conoscenze, frutto del feeling con l’argomento prescelto che, di solito, combacia con il proprio progetto storiografico.
Il documento scritto, infatti, rappresenta l’essenza stessa dell’espressione della propria individualità culturale irriducibile: in quanto legata al pensiero, sia qualitativamente che intensamente, e non alla dimensione provvisoria dell’effimero, dell’immediato, che si esprime con l’oralità. La scrittura è cultura come espressione dell’uomo, nei limiti in cui è possibile esprimerlo5.
A questo punto, il primo dubbio è stato fugato. Ogni documento serve per fare storia. Adesso, si deve rispondere alla seconda parte del quesito: si può fare storia con un singolo documento? La risposta è affermativa perché, attraverso un’analisi di microstoria, anche una semplice lettera anonima contribuisce ad allargare il quadro interpretativo. La riduzione del campo di analisi storica permette di •studiare in modo dettagliato il materiale documentario e di collocare esattamente i
4 J. LE GOFF, Documento/Monumento, in Enciclopedia Einaudi, voi. V, Einaudi, Torino 1978, p. 44. G. D ’AUTILIA, L ’indizio e la prova, La Nuova Italia, Torino 2001, p. 10; G. De Luna, La passione e la ragione, cit., p. 58.
5 M.R. PELIZZARI, La penna e la zappa. Alfabetizzazione, cultura e generi di vita nel Mezzogiorno moderno, La veglia editore, Salerno 2000, p. 13.
Affreschi oligarchici: lettere anonime, ricorsi e inchieste prefettizie nella vita socio amministrativa di Pagani nel tardo Ottocento
fatti studiati nel sistema sociale del quale fanno parte. L’obiettivo è quindi quello di rilevare fattori non percepibili a un’osservazione che non sia estremamente ravvicinata e concentrata. Parlare di microstoria non vuol dire fare una storia piccola. Al contrario, la fonte storica diventa una particella da guardare al microscopio, per analizzarla in tutte le sue componenti, anche quelle più nascoste, che possono sfuggire a un’analisi generale. La lettera anonima diventa allora una spia, una traccia, un indizio, un documento più interessante degli altri perché richiama alla mente una serie di dubbi e indica tracce da seguire che, per la loro comprensione, spingono alla formulazione di un paradigma indiziario6.
Sarà ora interessante ricostruire lo scenario in cui è stato prodotto il documento e il profilo intellettuale di chi lo ha scritto. Innanzitutto, perché l’autore cercava di tutelarsi rimanendo anonimo? Sicuramente, chi decideva di scrivere e tenere nascosta la propria identità era spinto, al di là della consistenza delle accuse che lanciava, dal bisogno di evidenziare una situazione grave; se da un lato, l’autore rivelava il suo senso di impotenza, perché non era così disinteressato o libero da assumersi pienamente la responsabilità delle sue affermazioni; dall’altro, spingeva il lettore a interrogarsi seriamente sul contenuto della missiva. In questo caso, l’autore non sapeva solo leggere e scrivere, ma possedeva un’istruzione che gli permetteva di elaborare concetti raffinati; infatti, egli utilizzava con facilità proposizioni complesse supportate da una punteggiatura adeguata. A conferma di quest’idea va sottolineato che, fino agli inizi del Novecento, la piena padronanza della scrittura faceva parte, come è noto, dell’universo dei ceti superiori7.
In merito, poi, all’interesse che anche una lettera non firmata possa avere nell’indagine storica, va rilevato che l’utilizzo di documenti anonimi in storia non è cosa nuova. Al contrario, uno studio sistematico sulle informazioni contenute in quelle particolari tipologie di documento, inventariate come “scritture anonime”, era realizzato, qualche decennio fa, dallo storico inglese Edward P. Thompson, nel volume Società patrizia, cultura plebea, pubblicato nell’edizione italiana da Einaudi nel 1981. Oggetto della sua attenzione erano le lettere anonime degli inglesi, pubblicate sulla “London Gazette” nel periodo compreso tra XVIII e XIX secolo. Volendo generalizzare, si possono classificare due tipi di documenti anonimi: le lettere anonime indirizzate a persone influenti, cioè gente ricca, uomini di potere, datori di lavoro, e quelle inviate a persone che si trovavano nelle stesse
6 C. GINZBURG, Miti. Emblemi. Spie, Einaudi, Torino.
7 M.R. PELIZZARI, La penna e la zappa, cit., pp. 109-110; sul particolare caso di Pagani, invece, cfr. A. GARGANO, L'alfabeto a Pagani: un secolo di alfabetizzazione attraverso i registri matrimoniali (1809-909), in “Rassegna storica salernitana”, n. 41, giugno 2004, pp. 99-129; si veda anche Idem, Sposi e scolari. Livelli di alfabetizzazione e scelte matrimoniali a Pagani, tra Ottocento e Novecento, in “SinTesi”, n. 5, gennaio 2006, pp.
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condizioni di colui che scriveva al fine di dare vita a un’azione collettiva: queste ultime erano per lo più indirizzate ai compagni di lavoro e al popolo. Nonostante le differenze tra le due tipologie, quando f informatore anonimo scriveva utilizzava, in entrambi i casi, il pronome personale “noi”. Si era di fronte a un vero e proprio stile di scrittura perché l’uso del soggetto plurale serviva a evidenziare che la protesta, la rimostranza, la denuncia riguardava non il singolo individuo, ma la collettività8.
Il caso del nostro anonimo scrittore di Pagani è diverso, in quanto egli non
usava mai il pronome personale “noi” e, nella redazione del documento, utilizzava la forma impersonale, come si può notare già nell’incipit, laddove il discorso iniziava con la descrizione dello scenario cittadino. La lettera non aveva un destinatario. Una scelta del genere era legata all’intenzione di evidenziare una situazione comune il cui perpetuarsi poteva avere ricadute sulla vita pubblica cittadina; inoltre, l’assenza del destinatario era anche una strategia per avere un’attenzione più ampia da parte di tutti coloro che erano sensibili alle lamentele
evidenziate; o ancora non è da escludere che i veri destinatari potessero essere le
forze di polizia perché lo scrivente aveva la speranza di un’inchiesta che evidenziasse il malaffare amministrativo nella città di Pagani. La lettera anonima, conservata nel fondo del Gabinetto di Prefettura dell’Archivio di Stato di Salerno, era sprovvista dunque di data topica e fisica, di firma e di destinatario.
Una volta accertata la sua particolarità, si è proceduto a uno studio capillare
per individuare indizi anche minimi che permettessero di delineare il profilo
mentale e culturale dello scrittore anonimo. Inizialmente, è sembrato opportuno
stabilire la data in cui la missiva era stata prodotta; in un primo momento la si era datata orientativamente tra il 1880 e il 1890, il decennio del sindacato di Michele Criscuoli, ma il periodo era troppo ampio. L’unica data a cui l’informatore faceva riferimento era il 1861, a suo parere, anno dell’avvio del malaffare politico in città. Da quell’anno e fino al 1878, il sindaco di Pagani era stato Giovannangelo Califano, una persona già anziana ancora consigliere comunale nella giunta Criscuoli9, a cui l’anonimo informatore riservava comunque parole molto dure:
a) Uomo a 75 anni, smodatamente ambizioso per tenere in vita la carica di Sindaco. Mancante di attitudine e di capacità.
8 E.P. THOMPSON, Società patrizia, cultura plebea, trad. it., Einaudi, Torino 1981, p. 201.
9 Michele Criscuoli aveva rivestito la carica di consigliere comunale dal 1862; dal 1868 al 1871, insieme a Cesare Tramontano, aveva riscosso le imposte nel Mandamento di Sarno. Inoltre, era stato vice conciliatore, amministratore dell’ospedale “Andrea Tortora”. Era accusato di svolgere la professione di medico senza abilitazione; di essere interessato negli appalti dei lavori pubblici a Pagani; insieme a Cesare e Michele Tramontano, era considerato il responsabile dell’impianto dello stabilimento Wonwiller nel Comune di Nocera Inferiore, per aver ricevuto un compenso in denaro.
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b) Cointeressato negli appalti10 11.
Quindi, la lettera era posteriore al 1878. Ma di quanto? L’indizio definitivo per la datazione del documento è stato riscontrato nel paragrafo della lettera dedicata a Giovannangelo Califano, dove era stata indicata la sua età, 75 anni. Per sciogliere il quesito, si è proceduto all’incrocio con un altro dato che ha permesso di definire l’anno in cui il testo era stato scritto. Prendendo in considerazione l’indizio fornito, si è riscontrato che Giovannangelo Califano11, alle elezioni del 1869, aveva 63 anni, mentre all’epoca della lettera aveva 75 anni. La lettera era stata scritta dodici anni dopo, quindi nel 1881. Datato il documento, si è considerato opportuno ricercare nuove tracce che permettessero di arricchire ulteriormente il quadro interpretativo. In realtà, sebbene l’autore fosse ignoto, egli stesso aveva fornito indizi per aiutare il lettore nella sua identificazione. Quali erano le sue intenzioni? Perché era così disgustato dalla classe dirigente del tempo?
Dalle parole e dalle espressioni utilizzate, si può affermare che il denunciante scriveva per evidenziare una situazione - a suo dire - insostenibile. Il tono era, infatti, molto preoccupato. A spingerlo a scrivere, erano state le elezioni amministrative del 1880, in cui si era affermato il partito di Michele Criscuoli, che si poneva nel solco della continuità con il governo cittadino precedente, retto da Califano. Entrambi erano considerati personaggi senza scrupoli che, per la realizzazione della propria rete di potere, non esitavano a varcare, se necessario, il sottile confine tra lecito e illecito. Una caratteristica che ritroviamo come una costante fino al Novecento inoltrato. Ogni amministrazione cittadina era sempre accusata di camorra, di corruzione, di opportunismo personale:
La camorra, la baldoria, la minaccia, la chiesa, l’osteria, il bigottismo, il favore, il premio, la pena e quanto altro sia immaginabile, tutto come mezzo lecito si adopera, perché ne giustifica il fine12.
Nella lettera anonima erano analizzati i diversi aspetti e le altrettante scelte compiute da Criscuoli e dai suoi uomini.
Al di là della serietà delle accuse lanciate, di solito, la lettera anonima era sì un pettegolezzo, ma era anche un mezzo d’informazione, per dire - grazie all’anonimato - ciò che tutti sapevano, pensavano, e che i fatti non avevano ancora dimostrato. In realtà, da quanto espresso nelle diciotto pagine della lettera, al di là del tono malinconico e sfiduciato che la percorre, si può addirittura ipotizzare che l’autore avesse scelto l’anonimato per tutelarsi, per evitare eventuali ritorsioni da un partito che, ai suoi occhi, appariva capace anche di azioni delittuose. Nello
10 ASS, Addebiti generali, cit., p. 9.
11 Giovannangelo Califano era stato sindaco del Comune di Pagani dal 1861 al 1878. Nel periodo successivo, era stato più volte assessore e consigliere comunale; mentre dal 1863 era stato membro della Congrega di Carità, in quanto componente o presidente.