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Dalla Denuncia di inizio attività alla Segnalazione di inizio attività

forma semplificata e la conferenza in forma simultanea

3.2 La Segnalazione Certificata di inizio attività

3.3.1 Dalla Denuncia di inizio attività alla Segnalazione di inizio attività

La denuncia di inizio attività prevedeva che il privato non potesse iniziare immediatamente l’attività. Presentata la dichiarazione infatti, il privato doveva attendere trenta giorni, e solo decorso questo termine, dandone comunicazione alla Pubblica Amministrazione, poteva iniziarne l’esercizio. La Pubblica Amministrazione dal ricevimento della comunicazione del privato aveva a sua volta trenta giorni per poter effettuare un accertamento d’ufficio, e se dava un risultato negativo, allora per tutelare l’interesse pubblico veniva vietato il proseguimento dell’attività e si prevedeva la rimozione dei suoi effetti. Veniva quindi riconosciuta al privato la possibilità di avviare un’attività sulla base di una dichiarazione senza dover ottenere alcuna autorizzazione con riguardo a quelle attività il cui esercizio era subordinato ad autorizzazione, licenza o atti di consenso comunque denominati.

Il principio autoritativo viene di conseguenza sostituito con il principio di autoresponsabilità dell’amministrato, il quale deve valutare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per poter avviare l’attività esponendosi ad un eventuale divieto se le sue valutazioni risultano errate. Mediante questo nuovo principio l’azione amministrativa diventa più rapida e di conseguenza i rapporti tra Pubblica amministrazione e cittadino ne trovano miglioramento poiché sono eliminati degli ostali burocratici per lo svolgimento di una attività economica privata.

Nel 2005, mediante l’articolo 3, comma 1 del decreto legge n. 35/2005, il legislatore effettua il primo intervento significativo su questo istituto sostituendo il termine Denuncia con Dichiarazione e ampliandone l’ambito di applicazione. La Dichiarazione di inizio attività infatti, viene prevista oltre che per tutte quelle attività soggette ad autorizzazioni, licenze e permessi o nulla osta comunque denominati, anche alle attività subordinate a concessione traslative e per l’iscrizione in albi e registri per l’esercizio di attività economiche. Sono invece esclusi gli atti imposti da norme comunitarie e quelli rilasciati da “amministrazioni

preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente”.

Secondo l’articolo 19, così come modificato dal decreto legge 35/2005 per le attività particolarmente complesse, come ad esempio quelle a contenuto tecnico-scientifico, viene prevista una estensione del termine per iniziare l’attività, successivo alla dichiarazione, che normalmente era di trenta giorni, a una durata fino a trecentosessantacinque giorni. Nell’ottica di una maggiore semplificazione viene inoltre stabilito un termine di trenta giorni per l’acquisizione di pareri di organi tecnici al fine di predisporre la dichiarazione e permettere al privato di rimuovere quegli elementi che non permettevano di ottenere la conformità della sua attività alla legge in quanto contrari.59

Il legislatore nel 2009 mediante la legge n. 69/2009 modifica in modo rilevante la D.I.A poiché introduce la possibilità di iniziare l’attività nel momento in cui viene presentata la dichiarazione, non è quindi più necessario attendere il decorrere del termine di trenta giorni. In questo modo vengono velocizzati i tempi del procedimento e viene responsabilizzato maggiormente il privato. La pubblica amministrazione può comunque nel termine dei trenta giorni successivi alla dichiarazione esercitare il suo potere inibitorio o in alternativa, decorso il termine, agire in autotutela.

L’istituto della D.I.A viene sostituito mediante il decreto legge n. 122/2010 che modifica l’articolo 19 della legge n. 241/1990 e introduce la Segnalazione Certificata di inizio attività (S.C.I.A). Questo nuovo istituto è profondamente diverso dalla D.I.A, poiché il privato può iniziare immediatamente l’attività sin dal momento in cui presenta la segnalazione insieme ai documenti necessari a verificare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti, senza quindi dover attendere che decorra il termine di trenta giorni che era previsto in precedenza. La pubblica amministrazione invece dal momento in cui riceve la segnalazione di inizio attività ha sessanta giorni per adottare provvedimenti motivati di divieto, mentre in precedenza aveva trenta giorni come invece oggi continua ad essere previsto riguardo

59 M. Andreis, R.M. Pellegrini, M. Carlin, G. Bottino, Silenzio-Assenso, Semplificazione competitiva e D.I.A, Giuffrè Editore,2005, cit. pag. 196-197.

alla materia edilizia. Con questo nuovo istituto l’acquisizione di pareri e verifiche è sostituita da autocertificazioni che le amministrazioni competenti controlleranno successivamente. Contrariamente a quanto era previsto riguardo alla D.I.A, decorso il termine per l’adozione di provvedimenti inibitori di sessanta giorni, la pubblica amministrazione non può più intervenire in autotutela in presenza di un interesse pubblico attuale e concreto ma è necessario un pericolo immediato per l’interesse pubblico come ad esempio i rischi per il patrimonio artistico e culturale, per la salute, per la sicurezza nazionale, per la difesa pubblica. Viene quindi circoscritta l’applicabilità dell’autotutela. La S.C.I.A è un istituto di matrice comunitaria che ha lo scopo di agevolare e stimolare l’inizio di nuove attività economiche. E’ introdotta per dare attuazione alla direttiva comunitaria 2006/123/CE la quale aveva come scopo quello di ampliare il margine di libertà di iniziativa economica, dove diventa prioritario alleggerire e accelerare i procedimenti che condizionano l’ingresso nel mercato dell’impresa per l’esercizio di attività private60.

L’intento era quello di equiparare l’amministrazione ad un componente del mercato.

3.3.2 La natura giuridica della D.i.a/S.c.i.a: natura privatistica e natura

pubblicistica.

La dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo interrogate sulla natura giuridica della D.I.A poi diventata S.C.I.A e delle differenze che questo istituto aveva rispetto a quello del silenzio assenso. In questo contesto sono emerse due diverse tesi:

La prima è la tesi di tipo privatistisco e vede la D.I.A/S.C.I.A come uno strumento che liberalizza attività private per le quali non viene riconosciuto il loro esercizio, se non vi è un controllo dei requisiti da parte della Pubblica Amministrazione a seguito della richiesta del privato. Questo istituto è quindi molto diverso da quello del silenzio assenso poiché quest’ultimo presuppone un’inerzia della Pubblica Amministrazione a cui viene attribuito dalla legge valore di provvedimento tacito di assenso che svolge quindi una funzione di semplificazione del procedimento. Questa tesi, oggi maggioritaria soprattutto alla luce della parziale modifica dell'istituto effettuata della legge n. 124/2015, aveva inoltre come

60 F. Liguori, Le incertezze degli Strumenti di Semplificazione: lo strano caso della Dia e della Scia in Dir.Proc.Amm., 2015.

elemento a sostegno, la formulazione letterale dell’articolo 19 che prevede che la D.I.A sostituisca ogni autorizzazione (atto di natura provvedimentale) con una dichiarazione del privato.

La seconda tesi è invece di tipo pubblicistico e vede la D.I.A/S.C.I.A assimilabile ad un provvedimento tacito della pubblica amministrazione. Esso quindi sarebbe uno strumento di semplificazione procedimentale, e non di liberalizzazione; aderendo a tale teoria diventano più sfumati i confini dell’istituto rispetto al silenzio assenso61. Viene quindi

riconosciuta una tutela di tipo impugnatorio per il terzo controinteressato che potrà proporre ricorso giurisdizionale entro sessanta giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento o dall’avvenuta conoscenza del provvedimento implicito della Pubblica amministrazione, chiedendone l’annullamento. L’oggetto del ricorso in questo caso è l’assenza dell’intervento e non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori62.

A sostegno di questa tesi l’argomentazione più rilevante che è stata posta è contenuta nell’articolo 19 delle legge n. 241/1990 che prevedendo la possibilità di agire in autotutela per espresso richiamo agli articoli 21 quinques e 21 nonies e quindi emanando un provvedimento amministrativo di secondo grado presupporrebbe, la previa emissione di un provvedimento di primo grado su cui incidere.

Sul punto si è espresso anche il Consiglio di Stato che con sentenza n. 1550 del 2007 ha affermato che “la D.I.A. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale; la liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo, nel caso della D.I.A., con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale”.

A seconda di quale delle due interpretazioni della D.I.A/S.C.I.A viene sposata vi sono degli effetti diversi riguardo alla tutela giurisdizionale del terzo, il quale non è titolare di un provvedimento ma è leso dallo svolgimento di una attività svolta da un altro soggetto.

61 G. Morbidelli, In tema di D.I.A. e di D.I.A. nuova, <www.giustamm.it.>

Se consideriamo come valida la natura giuridica privatistica della D.I.A/S.C.I.A, questa non è impugnabile in sede di giustizia amministrativa in quanto atto privato. La pubblica amministrazione secondo questa interpretazione deve tutelare il terzo esercitando i poteri sanzionatori e di vigilanza che gli sono riconosciuti. Al terzo non è riconosciuta la possibilità di impugnare il divieto di inizio o di prosecuzione di una attività, in quanto questo potere si esaurisce nel termine di sessanta giorni, e l’esercizio dell’autotutela in caso di inerzia comprometterebbe la sua tutela. Questo perché il terzo dovrebbe invocare il potere di autotutela che è basato sulla discrezionalità amministrativa poiché è necessaria la comparazione di diversi interessi. In questo modo un eventuale giudizio avverso il silenzio rifiuto da parte del giudice amministrativo non renderebbe possibile un provvedimento che dichiara l’obbligo di provvedere senza determinarne il contenuto e in questo modo la tutela del terzo diventerebbe ancora più complessa63.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 717/2009 riconosce il diritto alla tutela degli interessi legittimi a prescindere dall’annullamento dell’atto. Il soggetto terzo quindi se si sente danneggiato dalla D.I.A/S.C.I.A ha diritto alla stessa tutela che avrebbe avuto di fronte ad un provvedimento autorizzatorio rilasciato dalla Pubblica Amministrazione quindi può richiedere al giudice amministrativo, nel termine di sessanta giorni, una azione di accertamento sull’insussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio dell’attività. Se il giudice amministrativo emette una sentenza con la quale accerta la mancanza di presupposti stabiliti dalla legge, allora l’amministrazione ha l’obbligo di rimuovere gli effetti prodotti dal privato.

Nel caso in cui venga considerata la tesi di tipo pubblicistico riguardante la natura giuridica della D.I.A/S.C.I.A il terzo che si sente leso dall’attività svolta dal privato può proporre un ricorso di fronte al giudice amministrativo in cui chiede l’annullamento secondo le regole generali del giudizio di impugnazione degli atti.

La tesi privatistica viene confermata e consolidata dalla ordinanza n. 14/2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la quale non si limita a sposare questo orientamento giurisprudenziale ma si esprime riguardo agli strumenti di tutela dei terzi. Secondo il Consiglio di Stato, se il terzo è leso, ed il termine di sessanta giorni entro il quale

la pubblica amministrazione può agire è scaduto, allora il rimedio da esercitare è l’impugnazione ai sensi dell’articolo 29 del Codice del processo amministrativo riguardante l’omissione da parte della Pubblica Amministrazione dell’esercizio del potere inibitorio che determina la conclusione del procedimento amministrativo, precludendo il successivo esercizio del potere inibitorio. L'inerzia della Pubblica Amministrazione viene quindi considerata nell’ordinanza dell’Adunanza plenaria come un’integrazione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un atto espresso di diniego dell'adozione del provvedimento inibitorio64.

Questa sentenza è stata fortemente criticata in quanto delinea un’ipotesi di silenzio rigetto in assenza di un’istanza del terzo controinteressato, ed in mancanza di una legge che preveda il meccanismo tacito di rigetto65.

Vi sono infatti dubbi su quale sia la sorte del privato che intende agire nell’attesa che questa omissione della Pubblica amministrazione venga integrata. Riguardo questo dubbio la sentenza del Consiglio di Stato offre come soluzione l’azione di accertamento con la quale si verifica l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività in oggetto. Per coordinare l’azione di accertamento con il divieto per il giudice di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati, l’adunanza plenaria richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale che distingue tra presupposti processuali, che devono esistere al momento della proposizione della domanda, e condizioni dell’azione che devono esistere al momento della decisione, e sostiene che: “la scadenza del termine di conclusione del procedimento

è un fatto costitutivo integrante una condizione dell’azione chedeve esistere al momento

della decisione. Ne deriva che l’assenza del definitivo esercizio di un potere in divenire,

afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude l’esperimento dell’azione giudiziaria anche se impedisce l’adozione di una sentenza di

merito ai sensi dell’articolo 34, comma 2.Al contrario, in ossequio ai principi di effettività

e di pienezza della tutela giurisdizionale, il giudice amministrativo può adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie, ai sensi dell’articolo 55 del codice del processo amministrativo, al fine di impedire che, nelle more della definizione del procedimento amministrativo di controllo e della conseguente maturazione della

64 M. Santise Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo: aggiornamento 2015, Torino, Giappichelli, 2015, cit pag. 89

condizione dell’azione, l’esercizio dell’attività denunciata possa infliggere al terzo un

pregiudizio grave e irreparabile”66.

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato prevede inoltre che se come esito del giudizio la Pubblica amministrazione adotta un provvedimento di divieto, il processo si conclude con un pronuncia della cessazione della materia del contendere; se invece non è vi è come esito del giudizio l’adozione di questo provvedimento, allora il giudice potrà pronunciarsi sul merito del ricorso senza che il terzo sia obbligato a proporre motivi aggiuntivi ai sensi dell’articolo 43 Codice del processo amministrativo67.

Il Decreto legge 138/2011 introduce il comma 6 ter all’articolo 19 della legge 241/1990 con il quale riconosce la natura di atto privato della D.I.A/S.C.I.A con la seguente disposizione: “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”. Questo intervento legislativo recepisce l’orientamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di stato che aveva chiarito che la D.I.A/S.C.I.A è un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere una attività direttamente ammessa della legge. Nonostante sia stato chiarito definitivamente la natura non provvedimentale di questo istituto, continuava ad essere ammessa, senza essere coordinata, l’esercizio dell’autotutela decisoria da parte dell’amministrazione che era poi il cardine su cui si basava la l’interpretazione pubblicistica della D.I.A/S.C.I.A poiché per l’esercizio di questo potere è necessario che esista un oggetto di natura provvedimentale. Su questa problematica interviene poi anche se in maniera non risolutiva la legge 124/2015 detta “Legge Madia”.