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La semplificazione del procedimento amministrativo

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Academic year: 2021

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Corso di laurea magistrale in Consulenza professionale alle

aziende

Tesi di Laurea

La semplificazione del procedimento amministrativo

Relatore

Candidato

Luisa Azzena

Matteo Albiani

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INDICE

INTRODUZIONE 1

1 LA SEMPLIFICAZIONE 3

1.1 L’esigenza di semplificare 3

1.2 La semplificazione normativa 6

1.2.1 La legge annuale di semplificazione: la delegificazione e l’introduzione dei

testi unici misti 6

1.2.2 L’Analisi di impatto della regolazione (A.I.R.) e la Verifica di impatto

della regolamentazione (V.I.R.) 7

1.2.3 Il Taglia-leggi 8

1.2.4 La deregolamentazione 10

1.3 La semplificazione amministrativa 10

1.4 Le soluzioni proposte dalla Commissione Parlamentare 13

2 EVOLUZIONE STORICA DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 16 2.1 La situazione antecedente alla entrata in vigore della legge sul procedimento

amministrativo n. 241/1990 16

2.2 I principi fondanti dell’azione amministrativa 19

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2.4 Legge Bassanini n. 59/1997: “Federalismo a Costituzione invariata” e Riforma

del titolo V della Costituzione 31

2.5 La Legge n. 15/2005: “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990,

n. 241/1990, concernenti norme generali sull'azione amministrativa" 34 2.5.1 Gli ulteriori principi generali dell’azione amministrativa introdotti dalla

Legge n. 15/2005 35

2.5.2 Diritto di accesso 36

2.5.3 Procedimento amministrativo e sua conclusione 38

2.5.4 Introduzione del capo IV bis 39

2.6 Legge 69/2009: "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile" 43

3 GLI ISTITUTI DELLA SEMPLIFICAZIONE PROCEDIMENTALE 45

3.1 Il silenzio della Pubblica Amministrazione 46

3.1.1 I termini procedimentali e l’evoluzione del valore del silenzio della Pubblica

Amministrazione. 46

3.1.2 Il silenzio assenso come principio di carattere generale 48

3.1.3 Il silenzio devolutivo e silenzio facoltativo 50

3.1.4 Articolo 17 bis: Il silenzio assenso tra amministrazioni e tra amministrazioni

e gestori di servizi pubblici. 51

3.2 La Conferenza dei servizi 55

3.2.1 La Conferenza dei servizi istruttoria 59

(5)

3.2.3 Modalità di svolgimento della Conferenza decisoria: la Conferenza in forma semplificata e la conferenza in forma simultanea 61

3.2.4 La Conferenza dei servizi preliminare 65

3.2.5 Criticità e risultati della nuova Conferenza dei servizi 65

3.3 La Segnalazione Certificata di inizio attività 70

3.3.1 Dalla Denuncia di inizio attività alla Segnalazione di inizio attività 70

3.3.2 La natura giuridica della D.i.a/S.c.i.a: natura privatistica e natura pubblicistica 72

3.3.3 La S.C.I.A alla luce della riforma Madia 76

3.4 Gli accordi amministrativi 79

3.4.1Gli accordi integrativi e sostitutivi 79

3.4.2 Gli accordi tra pubbliche amministrazioni 81

3.5 Altri interventi di semplificazione 83

3.5.1 L’uso della telematica: Il Codice dell’amministrazione digitale 83

3.5.2 Gli sportelli unici 84

CONCLUSIONI 86

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INTRODUZIONE

Nel presente elaborato viene trattato il tema della semplificazione del procedimento amministrativo, da sempre caratterizzato da una significativa complessità e farraginosità, e per questo motivo spesso oggetto di discussione nei dibattiti politico istituzionali, in quanto una sua più adeguata disciplina e attuazione permetterebbe procedimenti più rapidi e snelli, e minori oneri e costi per il privato cittadino.

All’interno del primo capitolo viene in primo luogo definito il concetto di semplificazione con riguardo alle Pubbliche Amministrazioni e vengono indicate quali sono le ragioni per le quali vi è un’esigenza di semplificare. A questo fine viene fatto riferimento in particolare a tre grandi tematiche rilevabili dal documento conclusivo della Commissione Parlamentare per la semplificazione del 2014. E’ stato inoltre necessario, ai fini di una maggiore comprensione della semplificazione amministrativa, procedere nel medesimo capitolo all’analisi della semplificazione normativa focalizzandosi sui principali strumenti che sono stati utilizzati a questo fine nel corso degli anni. Gli strumenti trattati nell’ottica di una riduzione dell’inflazione legislativa sono la delegificazione, la deregolamentazione, e strumenti di misurazione come l’Analisi di impatto della regolazione (A.I.R) e la Verifica di impatto della regolamentazione (V.I.R), ma soprattutto lo strumento del Taglia-Leggi che è stato riproposto a più riprese nel corso degli anni.

Nel secondo capitolo viene invece illustrata l’evoluzione che ha subìto il procedimento amministrativo nel corso degli anni, partendo dalla situazione antecedente alla legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990 ed evidenziando in termini generali il contenuto della Legge n. 15/1968 rimasta inapplicata; e del rapporto Giannini contenente le maggiori criticità insite nel procedimento amministrativo. All’interno di questo capitolo vengono successivamente elencati i principi fondanti dell’azione amministrativa e le principali novità introdotte con la Legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990, passando poi all’enunciazione delle modifiche introdotte con la Legge Bassanini e con la successiva riforma del Titolo V della Costituzione. Vengono altresì enunciati i principali cambiamenti apportati alla disciplina del

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procedimento amministrativo con la Legge n. 15/2005 in tema di ulteriori principi generali dell’azione amministrativa, diritto di accesso, disciplina del procedimento amministrativo e sua conclusione, introduzione del capo IV bis. Infine il capitolo si conclude facendo riferimento alla successiva Legge n. 69/2009 che valorizza il fattore tempo nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini.

L’ultimo capitolo è invece dedicato agli istituti attuativi della semplificazione del procedimento amministrativo e analizza la loro disciplina facendo alcuni accenni all’evoluzione di ciascun istituto, soffermandosi in particolar modo sulle novità introdotte con la Riforma Madia, Legge n. 124/2015. Gli istituti della semplificazione analizzati sono: il silenzio assenso, la conferenza dei servizi, la Segnalazione certificata di inizio attività e gli Accordi amministrativi. Vengono spiegate le novità introdotte in tema di silenzio tra pubbliche amministrazioni e gestori di servizi pubblici, le modalità di applicazione della S.C.I.A alla luce della Riforma Madia e i dubbi interpretativi che sono stati sollevati sulla sua natura evidenziando le pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Viene inoltre analizzata la nuova Conferenza servizi soffermandosi in particolare sulla sua nuova forma semplificata e sui primi risultati ottenuti da questo nuovo istituto nel corso del 2017 in questa sua modalità asincrona. Questo elaborato si propone, in definitiva, di evidenziare quali sono gli istituti della semplificazione vigenti e quali sono le problematiche che rendono tutt’oggi insufficiente l’intervento del legislatore per una maggiore semplificazione e di conseguenza per una maggiore competitività dal sistema paese.

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CAPITOLO 1

LA SEMPLIFICAZIONE

“La parola semplificazione fa pensare ad un impoverimento o ad una sottrazione di complessità; al contrario, semplificare è un'operazione colta, raffinata, volta a

sottrarre complicazione e ad aggiungere senso”1.

“La semplificazione è la procedura e il risultato del rendere semplice una cosa, un processo o un sistema attraverso un’operazione ultimativa il cui risultato non richiede operazioni ulteriori. Si devono quindi distinguere azioni di semplificazione riuscite e azioni non riuscite. Quelle non riuscite producono solo aggiunte, cioè sono necessariamente complicazioni. La semplificazione riuscita invece produce cose

semplificate, cioè più semplici di prima”2.

1.1 L’esigenza di semplificare

Nell’ambito delle amministrazioni pubbliche il concetto di semplificazione ha rappresentato negli ultimi decenni uno dei temi centrali del dibattito politico italiano e una delle priorità da affrontare nell’agenda di ogni governo che si è succeduto.

Con il termine semplificazione si fa riferimento ad una serie di interventi che hanno l’obiettivo di migliorare e rendere più efficiente l’attività della pubblica amministrazione. Semplificare, significa snellire l’attività amministrativa e ridurre gli adempimenti incombenti sui cittadini; significa quindi avere una Pubblica Amministrazione meno costosa per la collettività, che abbia processi snelli che favoriscano l’uso di strumenti giuridico-amministrativo innovativi3. Ogni paese attraverso la semplificazione persegue sia

un risparmio della spesa pubblica, attuato mediante una diversa attribuzione delle funzioni

1 A. Lucarelli, Semplificare il linguaggio burocratico meccanismi & tecniche, 2001, <www.maldura.unipd.it/buro/manuali/manuale_emilia.pdf>

2 J. Luther, P. M. Vipiana Perpetua, Contributi in tema di semplificazione normativa e amministrativa, POLIS Working Papers n.208, 2013, cit. pag. 1 e 2

3 F. Dal Passo, La semplificazione amministrativa, 2014, cit. pag. 1

<www.lettere.uniroma1.it/sites/default/files/868/16.%20LA%20SEMPLIFICAZIONE%20AMMINISTRATIVA %20-%20F.%20Dal%20Passo.pdf>

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pubbliche e una loro riorganizzazione o ristrutturazione; ma anche una maggiore apertura e competitività sul mercato globale.

Infatti un paese la cui pubblica amministrazione risulti più snella e più semplice, permette al privato cittadino di creare maggiore ricchezza, perché riesce ad ottenere quelle autorizzazioni o concessioni che gli sono necessarie allo svolgimento dell’attività d’impresa, in modo più rapido, con minori costi e maggiori benefici.

Tuttavia nonostante sia ormai dagli anni ‘90 che la semplificazione viene perseguita per ridurre il rischio amministrativo e aumentare la trasparenza dell’azione amministrativa, è ancora oggi un obiettivo complesso da raggiungere, poiché spesso comporta l’introduzione di nuovi oneri amministrativi a carico dei cittadini e di nuove norme4. La situazione del

nostro paese viene illustrata in modo chiaro nel documento conclusivo dalla Commissione parlamentare per la semplificazione del 2014, la quale evidenzia che nonostante il periodo di forte crisi economica e sociale appena trascorso, non sono state poste in essere sufficienti misure di semplificazione, che avrebbero permesso un risparmio ai cittadini e alle imprese. Il paese, secondo quanto si evince nel documento conclusivo della commissione risulta: “auto-avviluppato in una miriade di lacci e lacciuoli rappresentati da leggi nazionali e regionali, normative europee recepite sempre parzialmente e sempre in ritardo dal

Parlamento e provvedimenti amministrativi di varia natura, origine e portata”5.

I problemi che ostacolano la politica di semplificazione sono riassumibili in tre temi: In primo luogo la qualità del legiferare dell’ordinamento italiano, che è caratterizzato da un numero eccessivo e in alcuni casi spropositato di norme, che spesso sono instabili e soggette a continue modifiche. Questa problematica è dovuta sia ad un recepimento troppo restrittivo e dettagliato della disciplina europea in quella nazionale, sia ad un eccessivo utilizzo di atti aventi forza di legge per disciplinare materie che dovrebbero essere regolate con leggi ordinarie, senza fare ricorso alle decretazione d’urgenza. Quest’ultimo aspetto rende la disciplina italiana suddivisa in un sistema di fonti poco coordinato e che fa continui rinvii a fonti di rango inferiore, rendendo in alcuni casi anche difficile la sola comprensione delle

4 S. Amorosino, La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento, in Foro amm.

5 Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa, cit. pag. 34

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norme. Infine le disposizioni contenute in queste norme di legge restano inapplicate a causa della tardiva emanazione di regolamenti attuativi.

In secondo luogo costituiscono un ostacolo alla semplificazione, i rapporti tra politica, amministrazione, e privati. Infatti l’utilizzo del sistema di spoils system, cioè l'affidamento di cariche pubbliche a persone indicate dai partiti usciti vittoriosi alle elezioni, ha comportato nel corso degli anni una perdita di autorevolezza e competenza della pubblica amministrazione, facendo soccombere il merito dinanzi al rapporto fiduciario tra politica e amministrazione. Questo rapporto fa venire meno la terzietà nel processo decisionale, con la produzione di norme che non sono fatte con l’intento di rendere stabile tale modifica nel tempo, ma solo per dare risposta di fedeltà alla politica e “per lasciare una impronta del

proprio passaggio nell’amministrazione”6. Un ulteriore tema riguardante il rapporto tra

politica, amministrazione e privati riguarda la deresponsabilizzazione dei funzionari amministrativi. Infatti poiché la semplificazione per lo più di tipo amministrativa porta alla eliminazione di alcune fasi del procedimento con maggiore potere decisionale su un unico soggetto, allora i dirigenti pubblici limitano le loro responsabilità mediante una ripetizione delle fasi deliberative della decisione e in questo modo rendono vano l’intento semplificativo del legislatore.

Ultimo tema sollevato nel documento conclusivo della commissione parlamentare per la semplificazione del 2014 è la frantumazione territoriale dovuta alla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, con il quale “l’intrecciarsi dei diversi livelli di governo ha duplicato o triplicato le responsabilità su una stessa materia finendo per generare costi impropri, incertezza, inefficienza e poteri di veto” e facendo perdere uniformità territoriale tra procedure amministrative, poiché gli utenti per richiedere e ottenere autorizzazioni amministrative si imbattono nella potestà regolamentare degli enti locali che, a causa del titolo V, può essere differente tra un ente locale ed un altro7.

Per porre rimedio a queste problematiche il legislatore è intervenuto nel corso degli anni mediante due tipologie di semplificazione: la semplificazione normativa e la

6 Idibem pag.44

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semplificazione amministrativa, a sua volta distinta in semplificazione organizzativa e semplificazione procedimentale.

1.2 La semplificazione normativa

“La semplificazione normativa è una tecnica legislativa che mira a porre rimedio non solo all’elemento quantitativo dell’eccessivo ammontare della normativa esistente, ma contestualmente anche a quello qualitativo della tendenza alla contraddittorietà delle regole, oltre che alla difficoltà di individuazione delle stesse in modo esaustivo, quale che

sia il settore disciplinare indagato”8.

Si pone come obiettivo, sia il miglioramento della qualità della regolazione che il garantire la certezza del diritto mediante regole comprensibili, e il contenimento dell’ipertrofia normativa cioè il proliferare continuo di norme. Come evidenziato nel documento conclusivo della commissione parlamentare per la semplificazione, l’eccessivo stock normativo e la cattiva qualità delle norme, sono i principali problemi del nostro ordinamento, che inficiano anche sull’ottenimento di risultati significativi sul piano della semplificazione amministrativa, perché per snellire gli oneri burocratici che gravano sui cittadini è necessario che anche la disciplina normativa sia snella e che definisca con chiarezza il riparto delle funzioni e dei compiti della Pubblica Amministrazione, senza moltiplicarli a dismisura e senza pregiudicarne l’efficienza.

1.2.1 La legge annuale di semplificazione: la delegificazione e l’introduzione dei

testi unici misti

Nel nostro paese la semplificazione normativa ha avuto inizio con la riforma Bassanini, Legge n. 59/1997, che all’articolo 20 ha introdotto la legge annuale di semplificazione, la quale individuava nella delegificazione uno strumento in grado di semplificare i procedimenti amministrativi da utilizzare in modo sistematico e da accompagnare ad un riordino normativo.

La delegificazione consiste nel potere del legislatore di affidare una determinata materia che è già disciplinata dalla legge, e che non è coperta da una riserva di legge assoluta, alla

8 G. Sorrenti, L’incerto sovrapporsi di “smaltimento” e “riassetto” nell’ultima stagione della semplificazione normativa, in Nuove aut., n. 3-4, 2008, pag. 363

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competenza normativa del potere esecutivo. La norma di legge che regola tale materia viene abrogata e sostituita da una norma di rango secondario, i regolamenti governativi.

Nonostante questa legge di semplificazione fosse stata introdotta nelle intenzioni del legislatore con cadenza annuale, il parlamento italiano nel corso degli anni ne ha approvate solo quattro, senza quindi rispettare la funzione semplificativa che il legislatore aveva attribuito a questo strumento.

Nell’ambito del riordino normativo la Legge n. 59/1997 ha utilizzato i testi unici misti che sono stati successivamente meglio ridefiniti dalla Legge n. 50/1999 e dalla Legge n. 340/2000. Avevano la funzione di riunire fonti legislative e regolamentari riguardanti la medesima materia ma pur avendo raggiunto un elevato grado di semplificazione della singole materie regolate, erano sprovvisti di funzione di innovazione. Per questa ragione il legislatore con la Legge n. 229/2003, legge di semplificazione 2001, abroga l’art. 7 della legge n. 50/1999 e li sostituisce con i codici di settore. I codici di settore in primo luogo riformano i contenuti della disciplina legislativa di una determinata materia e permettono la creazione di una raccolta organica, a livello solo primario, di tutte le norme ad essa relative, distinguendoli dai precedenti testi unici; in secondo luogo sono caratterizzati dagli ordinari decreti legislativi di riforma di una materia ai sensi dell’articolo 76 della Costituzione che permette di delegare al Governo la funzione legislativa solo se ne sono determinati i principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

1.2.2 L’Analisi di impatto della regolazione (A.I.R) e la Verifica di impatto della

regolamentazione (V.I.R)

Altri due ulteriori e fondamentali strumenti di semplificazione normativa sono l’Analisi di impatto della regolazione (A.I.R) e la Verifica di impatto della regolamentazione (V.I.R). L’analisi di impatto della regolazione viene introdotta dall’articolo 5 della Legge n. 50/1999 ed è uno strumento diffusosi negli anni ’70 nel mondo anglosassone, che fa una valutazione preventiva dei provvedimenti regolamentativi che possono incidere in modo significativo sui cittadini e sulle imprese. L’A.I.R evidenzia i vantaggi e gli svantaggi dei provvedimenti in esame permettendo alla parte politica di valutare se questi sono veramente necessari e se rappresentano la scelta migliore per la collettività sulla base dell’analisi costi e benefici. E’ quindi uno strumento di supporto per quei soggetti che devono effettuare interventi

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normativi, permettendogli di conoscerne in maniera maggiormente approfondita le conseguenze ed evitando un eccesso di regolazione. I principali vantaggi che il legislatore ottiene dall’utilizzo dell’AIR sono i seguenti:

 Conoscenza approfondita degli effetti sia positivi che negativi delle decisioni con conseguente aumento della responsabilità per gli effetti della decisione.

 Maggiore integrazione tra i diversi obiettivi di politiche governative grazie alla conoscenza preventiva degli effetti.

 Incremento della trasparenza, della consultazione e della partecipazione nel processo legislativo.

La Verifica di impatto della regolamentazione (V.I.R) è stata introdotta con l’articolo 14 della Legge n. 246/2005 e contrariamente all’A.I.R effettua una valutazione a posteriori degli effetti prodotti da un atto normativo. Questo strumento per la sua applicazione richiede che vi sia stata l’applicazione preventiva dell’A.I.R sugli atti normativi in esame e che sia trascorso almeno un biennio dalla entrata in vigore di questo atto.

1.2.3 Il Taglia-leggi

La Legge n. 246/2005, legge di semplificazione per il 2005, introduce uno strumento cardine della semplificazione normativa che è il meccanismo del Taglia-leggi. Questo strumento aveva come obiettivo quello di compiere una “una titanica opera di bonifica di

tutta la legislazione anteriore al 1970” 9 realizzando il cosiddetto effetto di ghigliottina

normativa che andava a colpire la legislazione più datata abrogandola e applicandone una presunzione di cessata vigenza.

Questo meccanismo prevedeva che il Governo, attraverso i singoli ministeri, entro due anni dalla entrata in vigore della Legge n. 246/2005, effettuasse una ricognizione di tutte le normative in vigore, e con riguardo a quelle anteriori al 1970, indicasse in una relazione, poi trasmessa al Parlamento, quali fossero le disposizione da salvare sulla base della loro perdurante necessarietà. Tutte le disposizione non indicate nella relazione e quindi non menzionate nei successivi decreti venivano abrogate. Sul legislatore delegato gravava quindi “uno specifico onere della prova della perdurante utilità delle leggi statali più

9 G. Sorrenti, L’incerto sovrapporsi di “smaltimento” e “riassetto” nell’ultima stagione della semplificazione normativa, in Nuove aut., n. 3-4, 2008, cit. pag. 381

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datate”10. Infine era previsto un riordino e una razionalizzazione dell’intero panorama legislativo da concludersi nell’arco di due anni mediante la creazione di testi normativi coordinati, snelli e facilmente consultabili al fine di armonizzare le disposizioni mantenute in vigore con quelle pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970.

Lo strumento del Taglia-leggi è stato successivamente riproposto nel 2008 con i Decreti Legge 112/2008 e 200/2008 con i quali è stata disposta l’abrogazione di un numero amplissimo ed eterogeneo di leggi ed atti aventi forza di legge, che in questo caso erano sia anteriori che posteriori al 1970 e riguardavano anche materie che non erano rientrate nel taglia leggi introdotto nella Legge di semplificazione del 2005. A differenza di quest’ultimo, lo strumento del taglia leggi del 2008 era fondato su una abrogazione espressa di tutte quelle leggi e atti aventi forza di legge indicati nell’atto legislativo del decreto. Le leggi contenute in questo atto erano abrogate decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, per quando riguarda il Decreto Legge 112/2008, e dal 16 dicembre 2009 per quanto riguarda il Decreto Legge 200/2008. Quindi lo strumento del Taglia-leggi contenuto nei due decreti legge del 2008 si basava su un’abrogazione espressa contrariamente a quello della legge di semplificazione del 2005 che invece utilizzava un’abrogazione implicita e generalizzata.

Infine il legislatore anche nel 2016 con il Decreto Legislativo n. 10 ha dato attuazione alla Legge 124/2015 riproponendo lo strumento del Taglia-leggi nella stessa forma del 2008, disponendo però la modifica e l’abrogazione di disposizioni legislative entrate in vigore tra il 1° gennaio 2012 e il 28 agosto 2015, data di entrata in vigore della Legge Madia. Questo decreto legge in realtà, ha risposto ad una esigenza diversa da quella dei due decreti del 2008. I secondi guardavano al dato numerico dell’ammontare della legislazione vigente; il primo invece è indirizzato a contrastare il costante aumento delle disposizioni di legge che richiedono l’adozione di decreti o regolamenti attuativi, la cui attuazione a quelle disposizioni avviene con un ritardo cronico11. La legge n. 124/2015 quindi, pur non essendo

10 M. Lunardelli, Decreti-Legge e semplificazione normativa. Una rivalutazione della riduzione dello stock normativo mediante Decreto-Legge, alla luce di un recente Decreto Legislativo, 2016, cit. pag. 11

<www.osservatoriosullefonti.it> 11 Ibidem, cit. pag. 42

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una legge di semplificazione ha comunque cercato di perseguire l’obiettivo della semplificazione normativa.

1.2.4 La deregolamentazione

L’ultimo strumento di cui si è avvalso il legislatore con l’intento di semplificare lo stock normativo è la deregolamentazione cioè “il ritiro da parte dello Stato e delle Amministrazioni pubbliche dai settori nei quali la regolazione pubblica non è necessaria o

comunque può essere rimessa alla volontà degli interessati”12. Questa scelta del legislatore

mirava ad ottenere attraverso un minor numero di regole e minori ostacoli burocratici, un maggior livello di concorrenza e una maggiore efficienza e produttività per le imprese e prezzi più bassi per i cittadini. Aveva inoltre la finalità di incentivare gli investimenti e di stimolare l’attività economica del Paese privilegiando la qualità della regolamentazione sulla quantità. La deregolamentazione ha riguardato settori di pubblica utilità come i trasporti e i servizi di utenza.

1.3 La semplificazione amministrativa

“La semplificazione amministrativa consiste nell’insieme degli strumenti volti ad eliminare ingiustificati oneri burocratici ed impedimenti all’attività, a snellire e rendere più agevoli, ove necessari, gli adempimenti amministrativi di persone ed imprese, a migliorare

l’efficienza e la celerità dell’amministrazione”13.

Viene distinta in semplificazione organizzativa, che mira alla riduzione dei soggetti pubblici con cui il privato deve interagire, e in semplificazione procedimentale, che mira a semplificare l’attività di questi soggetti pubblici.

La semplificazione organizzativa nel corso degli anni è stata perseguita mediante una riorganizzazione dei ministeri e una diminuzione degli apparati ministeriali, razionalizzando le competenze tra gli stessi, riallocando alcune funzioni e limitando il

12 B.G. Mattarella, La Trappola delle Leggi, 2011, cit. pag. 94-96

13 N. Longobardi, Attività economiche e semplificazione amministrativa. La «Direttiva Bolkestein» modello di semplificazione, 2009, cit. pag. 2, <www.amministrazioneincammino.luiss.it>

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numero delle strutture di supporto a quelle strettamente indispensabili al funzionamento degli organismi.

La semplificazione procedimentale è stata invece attuata basando il processo decisionale su una preventiva definizione degli obiettivi, dei destinatari e degli strumenti amministrativi e procedimentali a disposizione, che sono stati soppressi, alleggeriti in alcune fasi di essi o ridotti nei termini. In questo modo è stato perseguito un abbassamento degli oneri amministrativi e burocratici per imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche, che in Italia sono particolarmente elevati. La semplificazione procedimentale è stata accompagnata, come già evidenziato, dalla liberalizzazione di alcune attività dal potere delle amministrazioni pubbliche. E’ infatti possibile affermare che alcuni degli istituti introdotti rispondono sia all’esigenza di semplificazione che a quella di liberalizzazione. Una spinta verso la semplificazione amministrativa è data dall’ordinamento comunitario il quale persegue l’obiettivo di assicurare il primato del diritto di iniziativa economica sul potere amministrativo. La scelta a favore del mercato, rafforzata e resa vincolante dai Trattati Europei, implica la rinuncia al modello della direzione amministrativa dell’economia. Compito essenziale dei poteri pubblici diviene quello di assicurare il corretto funzionamento dei mercati. Si rende necessaria “una fissazione di valore che sia comune al

mercato e allo stato”14.

Le continue modifiche, riscritture e aggiornamenti che il legislatore ha apportato agli istituti relativi alla semplificazione procedimentale evidenziano tuttavia che questi non è stato capace di trovare soluzioni adeguate, anche a causa di una mancata analisi preliminare dei risultati della disciplina precedente e della normativa che andrà ad introdurre. Questa situazione genera confusione nelle amministrazioni pubbliche che si trovano a dover dare attuazione a queste previsioni normative, le quali gli sono calate dall’alto senza che queste siano state coinvolte nella predisposizione delle modifiche necessarie.

I numerosi centri di interesse pubblico e privato esistenti comportano tuttavia un livello minimo di complessità (normativa, organizzativa e amministrativa) sotto la quale non è possibile scendere15. Per questa ragione la prospettiva corretta per contrastare questa

complessità del nostro ordinamento è quella di governarla perseguendo un’amministrazione

14 A. Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze 1997, pag. 81 15 G. Arena, L’implementazione della semplificazione amministrativa, 2012, <www.giustamm.it>

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di risultato, cioè una pubblica amministrazione efficiente e tempestiva nel rapporto con il cittadino e che garantisca la qualità delle prestazioni, l’imparzialità e la trasparenza. La qualità e la velocità dell’azione amministrativa costituisce infatti un fattore decisivo per il raggiungimento del risultato; per questa ragione le varie modifiche apportate nel corso degli anni ai diversi istituti della semplificazione procedimentale hanno attribuito sempre maggiore importanza alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa al fine di rafforzare la tutela nei confronti di quei cittadini che sono danneggiati dall’inerzia della pubblica amministrazione. Il legislatore ha cercato quindi di favorire il raggiungimento del risultato indipendentemente dalle resistenze o difficoltà che nel corso del procedimento possano configurarsi per il comportamento dell’amministrazione, che non si esprime entro il termine fissato dalla legge in ordine ad un’istanza presentata dal privato16.

Migliorare la qualità della regolazione, intesa non solo come qualità formale dei testi chiari, accessibili e comprensibili, ma anche come qualità sostanziale delle regole cioè regole che garantiscano un livello qualitativo adeguato nel rapporto tra Pubblica Amministrazione, cittadini e imprese, è quindi l’obiettivo finale di entrambe le tipologie di semplificazione e dei loro strumenti. Tuttavia effettuando un’analisi di entrambe le tipologie di semplificazione previste dall’ordinamento italiano è possibile individuare una incompatibilità logica e funzionale tra semplificazione normativa e semplificazione amministrativa17.

Infatti se la semplificazione amministrativa è attuata mediante norme primarie che hanno la funzione di semplificare i procedimenti aumentando però la disciplina vigente; al contrario la semplificazione normativa è attuata con la riduzione delle fonti primarie mediante delegificazione e Taglia-leggi. La semplificazione amministrativa conduce dunque ad aumentare le regole, anziché ridurle, e ad incrementare la quantità di fonti primarie, anziché diminuirle a favore di quelle secondarie18. Questa contraddizione rende quindi

strutturalmente incompatibili le due tipologie di semplificazione a prescindere dalla loro idoneità a raggiungere l’obiettivo.

16 E. Casetta, La difficoltà di semplificare, 1998, cit. pag. 341

17 J. Luther, P. M. Vipiana Perpetua, Contributi in tema di semplificazione normativa e amministrativa, POLIS Working Papers n.208, 2013, cit. pag. 15

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Dall’analisi di tutte queste problematica è possibile affermare che l’Italia rispetto alla media europea non ha perseguito a sufficienza l’obiettivo di migliorare la qualità della regolazione, sia a causa di questa contraddizione tra semplificazione normativa e amministrativa che a causa di una mancata protezione dei risultati ottenuti in precedenza. Sulla semplificazione sono state spese molte più parole rispetto ai fatti concretamente realizzati; vi sono state quindi troppe norme sulla semplificazione ma poca semplificazione delle norme vigenti.

1.4 Le soluzioni proposte dalla Commissione Parlamentare

La Commissione parlamentare per la semplificazione del 2014 aveva individuato alcuni rimedi necessari per risolvere i problemi che impediscono una piena efficacia delle politiche di semplificazione. Tra i rimedi che ancora il legislatore non è riuscito a rendere effettivi si evidenziano la necessità di prevedere sempre più norme auto-applicative, di continuare un percorso di digitalizzazione e dematerializzazione dei flussi informativi e documentali e di rendere più operativi l’A.I.R e il V.I.R. Veniva inoltre evidenziata la necessità abbandonare le norme manifesto e la legislazione per annunci; di varare un programma di liberalizzazioni e di introdurre una logica di sistema “sulle macro-questioni attinenti agli snodi istituzionali con particolare riguardo alle complicazioni derivanti dall’assetto territoriale e ai rapporti tra politica e amministrazione, al numero eccessivo dei soggetti dotati di potestà legislativa,

alle tecniche legislative adottate, spesso, in modo caotico e improvvisato19”.

Nel documento della commissione parlamentare per la semplificazione del 2014 viene rilevata inoltre la necessità di effettuare un salto culturale nel modo di concepire la politica di semplificazione che oggi si presenta ancora troppo settorializzata e poco integrata alla riforma della pubblica amministrazione. A questo proposito le potenzialità della tecnologia per l’effettuazione della semplificazione non devono far venire meno una riqualificazione del personale sia dal punto di vista umanistico che dal punto di vista delle competenze. L’utilizzo della tecnologia infatti, richiede da parte del personale un livello di competenze almeno sufficiente a poter sfruttare le potenzialità di questo strumento, che se mal utilizzato

19 Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa, cit. pag. 35.

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può addirittura aggiungere complicazione anziché snellire e può comportare un’aumento smisurato del livello di informazioni senza filtrare la qualità delle stesse20.

La commissione parlamentare ha infine esplicitato la necessità di procedere con programmi di codificazione settoriale mediante la predisposizione di testi unici compilativi che siano in grado di superare la tradizionale contrapposizione tra semplificazione amministrativa e normativa.

L’utilizzo di testi unici compilativi permette al Governo di ordinare e rendere sistemiche le diverse disposizioni normative che hanno ad oggetto la stessa materia senza effettuare, almeno in un primo momento, modifiche sostanziali. Tuttavia per procedere con questo tipo di codificazione è necessario per il legislatore avere un forte sostegno politico, in quanto la codificazione produrrà i suoi benefici nel tempo e quindi non potrà essere utilizzata come fattore di consenso ai fini delle successive elezioni politiche nelle quali vi è il rischio per i partiti di governo di pagarne un prezzo in termine di consensi.

Per poter realizzare i testi unici compilativi, è necessaria un’importante ricognizione e verifica normativa che permetta di individuare sia quelle norme che costituiscono un intralcio per la semplificazione e lo snellimento procedurale, sia i maggiori problemi legati all’esercizio dell’azione dei pubblici poteri21. Viene effettuata mediante l’utilizzo della

misurazione degli oneri accessori che è stata introdotta in modo sistemico nel 2007, ed è una tecnica particolarmente complessa e di lunga durata che richiede l’intervento di vari soggetti con competenze diverse di tipo specialistico e la costituzione di banche dati. Questa tecnica a causa delle sua complessità deve essere utilizzata sono nelle aree di regolazione più onerose.

Fino ad oggi, dunque, il tema della qualità della regolazione e della semplificazione è stato utilizzato dai governi in modo strumentale e con finalità di mediatiche indirizzate all’acquisizione del consenso. Sarebbe invece necessario un rilancio del ruolo e del coinvolgimento del Parlamento nella programmazione e nell’attuazione delle politiche di semplificazione, permettendo ad esso come avviene nella maggior parte degli altri paesi di svolgere una funzione di supervisore e di pungolo al sistema decisionale. A questo fine è

20 A. Lucarelli, Semplificare il linguaggio burocratico meccanismi & tecniche, 2001 <www.maldura.unipd.it/buro/manuali/manuale_emilia.pdf>

(20)

necessaria una condivisione tra Governo e Parlamento delle politiche di semplificazione sino dallo loro progettazione.

(21)

CAPITOLO 2

EVOLUZIONE STORICA DEL PROCEDIMENTO

AMMINISTRATIVO.

2.1 La situazione antecedente alla entrata in vigore della legge sul

procedimento amministrativo n. 241/1990.

Fino alla entrata in vigore della Legge n. 241/1990 il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione era reso difficile dalla lentezza decisionale di quest’ultima. La Pubblica Amministrazione teneva una posizione di supremazia e dominio nei confronti del cittadino, che trovava la sua più chiara espressione nella negazione della tutela risarcitoria in caso di violazione di interessi legittimi. La risarcibilità della lesione all'interesse legittimo infatti, è stata ammessa dalla giurisprudenza definitivamente con la sentenza n. 500 del 22 luglio 1999, emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ed è stata poi confermata e ampliata dalla successiva legge 205/2000.

Nel 1979 il Ministro per la Funzione Pubblica, Massimo Severo Giannini inviò alla Camere un documento intitolato “Rapporto sui principali problemi della Amministrazione e dello Stato” meglio conosciuto come “Rapporto Giannini”. In questo documento il Ministro lamentava che le leggi non garantivano un sufficiente grado di informazione e di trasparenza con riguardo ai procedimenti amministrativi e che questo comportava un elevato grado di sfiducia dei cittadini e delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.

Secondo il Ministro i cittadini avrebbero potuto riacquistare la fiducia nella Pubblica Amministrazione solo a seguito di una radicale riforma della stessa. Nel rapporto era infatti evidenziata la necessità di attuare riforme che intervenissero in maniera netta sui modelli organizzativi, sulle strutture e gli apparati burocratici e sui procedimenti amministrativi. In particolare veniva evidenziata la necessità di introdurre nella Pubblica Amministrazione modelli di gestione di tipo privato, indicatori di produttività, unificazione delle metodologie di misurazione, uffici di organizzazione, procedure contrattuali più snelle ed efficienti ed un ampio processo di semplificazione dei procedimenti amministrativi. E’ da questo documento che a partire dagli anni novanta inizia il cammino di riforma amministrativa nel nostro paese, e si iniziano ad avere i primi risultati concreti sul fronte delle riforme.

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E’ necessario tuttavia evidenziare che già nel 1968, mediante la legge n. 15/1968 si iniziava a costituire una serie di norme che iniziavano a facilitare il rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione mediante la semplificazione delle procedure amministrative. Tale complesso di norme prevedeva diverse tipologie di dichiarazioni che i cittadini potevano presentare alla pubblica amministrazione in sostituzione delle ordinarie certificazioni. Veniva infatti introdotta l’autocertificazione che era subordinata all’autentica della firma, e si prevedeva principalmente all’art.10 che: “gli uffici pubblici non avrebbero potuto richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati e qualità personali che risultassero attestati in documenti già in loro possesso o che, comunque fossero tenuti a certificare”. Si evitava inoltre al cittadino di presentare numerosi certificati alla Pubblica Amministrazione e si dava la possibilità “di effettuare dichiarazioni temporaneamente sostitutive, relativamente a fatti, stati, qualità personali, ponendo al cittadino l’onere di presentare la documentazione oggetto della dichiarazione solamente nel caso di emanazione del provvedimento a favore dello stesso dichiarante”. Questo complesso di norme risultò essere troppo moderno e innovativo per l’epoca, tanto che per molto tempo non venne applicato perché il settore pubblico ancora non era pronto ad un rapporto di fiducia con i cittadini, fondato sulla collaborazione che veniva instaurata con l’introduzione dell’autocertificazione.

Il percorso verso una pubblica amministrazione più snella e collaborativa con il cittadino subì quindi un forte rallentamento almeno fino al 1988, anno nel quale venne data applicazione ad una circolare del Ministro della Finanza Pubblica che richiamava le pubbliche amministrazioni ad una corretta applicazione della legge in modo di consentire ai cittadini l’esercizio di diritti soggettivi riconosciutigli dalla legge in materia di autocertificazione e semplificazione amministrativa. La circolare ribadiva l’obbligo per tutti gli uffici della Pubblica Amministrazione a dover accettare la autocertificazioni e l’onere di accertare d’ufficio, fatto, stati e qualità personali che risultassero già in suo possesso, richiedendo d’ufficio certificati di assenza di precedenti penali e di carichi pendenti22.

Fino all’entrata in vigore della legge n. 241/1990, il nostro ordinamento giuridico era privo di una disciplina generale che dettasse regole applicabili a tutti i procedimenti amministrativi.

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Vi erano invece leggi di settore che regolamentavano specifici procedimenti. Tra gli esempi più rilevanti:

 Legge 2359/1865. Era una legge in materia di procedimenti espropriativi per pubblica utilità; fissava un criterio di quantificazione dell'indennità, stabilendo che questa dovesse corrispondere alla media tra il valore venale del bene e il valore dominicale.

 Legge 1150/1942 in tema di procedimenti finalizzati al rilascio di concessioni edilizie.

 D.P.R 3/1957 in materia di procedimenti disciplinari nel pubblico impiego

L’assenza di una disciplina generale e di previsioni specifiche per questa materia, aveva dato luogo ad un’azione amministrativa caratterizzata da un’ampia discrezionalità, se non addirittura libertà e arbitrio, e negava qualsiasi diritto degli interessati a partecipare al procedimento amministrativo. La dottrina e la giurisprudenza hanno svolto in questo contesto una funzione supplente, cioè hanno elaborato principi e criteri, in alcuni casi oscillanti sino alla loro definitiva affermazione, che hanno consentito di individuare gli obiettivi ed i principi ispiratori della nuova disciplina ovviando quindi ai vuoti di tutela presenti nella stessa23.

Con la disciplina contenuta nella legge 241/1990 si cerca di garantire al cittadino un maggiore coinvolgimento nel procedimento amministrativo che lo riguarda e una maggiore trasparenza della Pubblica amministrazione, anche mediante una limitazione del potere discrezionale ad essa attribuito.

23 A. Crismani, Il procedimento amministrativo, 2018,

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2.2

I principi fondanti dell’azione amministrativa

L’agire amministrativo si inserisce nel quadro costituzionale che secondo Carlo Esposito, in tema di principi relativi all’agire della Pubblica Amministrazione coinvolge l’intera Costituzione e non si limita alla Sezione II, espressamente dedicata a “La Pubblica Amministrazione” (art. 97-98).

Tra i principi interessanti riguardanti la Pubblica Amministrazione occorre segnalare l’art. 81 della Costituzione riferito al Bilancio dello Stato, nel quale viene costituzionalizzato il vincolo dell’equilibrio di bilancio. La Legge Costituzionale del 20 aprile 2012, n. 1, le cui disposizioni sono applicate dal 2014, recepisce infatti l’intimazione dell’Unione Europea di far quadrare i conti dei bilanci pubblici. I Paesi membri, tra cui l’Italia, sebbene con considerevole ritardo hanno inserito il vincolo del principio dell’equilibrio di bilancio nelle proprie Costituzioni. In realtà, l’omessa previsione costituzionale dell’obbligo dell’equilibrio di bilancio non autorizza lo Stato, e in generale la Pubblica Amministrazione, a chiudere in deficit. Sebbene il principio dell’equilibrio di bilancio fosse implicito, la sua costituzionalizzazione ha dato un forte segnale di serietà del Paese verso i partner europei. La riforma costituzionale del 2012 ha sviluppato effetti non solo sull’articolo 81 della Costituzione ma anche su altri articoli, tra cui l’articolo 97, con l’introduzione di un nuovo comma 1 e lo slittamento dei commi già esistenti.

L’art. 97 comma 1 così come riformato, ribadisce lo stesso principio enunciato dall’articolo 81, prevedendo che le pubbliche amministrazioni in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea assicurino l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Tale vincolo è quindi previsto sia per lo Stato centrale (art. 81) sia per tutte le Pubbliche Amministrazioni, comprese quelle territoriali (art. 97, comma 1). Il vincolo dell’equilibrio dei bilanci pubblici è stato posto al primo comma dell’articolo 97, per evidenziarne l’importanza, anche rispetto ai principi dell’azione amministrativa, che sono enunciati al comma 2: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”

La violazione dei principi di cui all’articolo 97, comma 2, determina l’illegittimità dell’azione amministrativa e quindi la patologia dell’atto amministrativo. Al secondo

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comma sono quindi esposti il principio di legalità, il principio di imparzialità e il principio di buon andamento.

Il principio di legalità è contenuto nella seguente parte della norma: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge.”

L’espressione “organizzati” indica un riferimento più al profilo dell’organizzazione degli enti pubblici che al profilo dell’azione (procedimento che porta all’emanazione dell’atto amministrativo). L’organizzazione è la modalità con cui l’ente pubblico ripartisce le proprie funzioni al fine di un loro miglior funzionamento e non informa sull’operato degli organi e delle strutture organizzative. Il profilo dell’organizzazione si distingue fortemente dal profilo dell’azione.

L’espressione “secondo disposizioni di legge” indica una riserva di legge relativa: la legge deve dettare le norme in materia di organizzazione di pubblici uffici. Con la riserva di legge assoluta (espressione “in base alla legge”), la Costituzione riserva al Parlamento la regolazione dell’intera disciplina di una certa materia per cui sia necessaria una particolare garanzia. L’organizzazione degli uffici pubblici non è una materia così delicata da giustificare una riserva di legge assoluta; inoltre, nella prassi, la legge non potrebbe disciplinare dettagliatamente l’organizzazione di ogni singolo ente pubblico. Per il principio di riserva di legge relativa, le fonti normative di livello primario devono limitarsi a dettare i principi fondamentali dell’organizzazione degli enti pubblici, che saranno dettagliati dalle discipline interne di ciascun ente.

Il principio di legalità non si esaurisce al riconoscimento della riserva di legge relativa operante in materia di organizzazione dei pubblici uffici. La Dottrina rappresentata da Esposito ritiene di dover dare un’interpretazione estensiva dell’art. 97 comma 2, alla luce di altri principi costituzionali, in particolare il principio democratico (articolo 1 della Costituzione). In questo senso la Pubblica Amministrazione consente di esprimere il principio democratico, cioè la tendenziale coincidenza tra governanti e governati poiché dipende gerarchicamente dal Governo il quale rimane in carica grazie alla fiducia del Parlamento che è il risultato più nitido ed evidente di tale principio. E’ infatti la Pubblica amministrazione che emettendo provvedimenti amministrativi trasforma gli atti generali e astratti, emanati dal Parlamento in forma di legge e dal Governo in forma di regolamento, in atti concreti e puntuali che impattano sul cittadino.

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Il principio di legalità esprime la necessità che il provvedimento amministrativo si fondi sulla volontà del cittadino. La Pubblica Amministrazione è l’intermediario tra il cittadino, da un lato, e il Parlamento e il Governo, dall’altro; è l’anello che trasforma la volontà del popolo in atti favorevoli o pregiudizievoli nei confronti del singolo cittadino. Secondo il principio di legalità, poiché la sovranità appartiene al popolo, l’azione della Pubblica Amministrazione deve avere la sua radice nel popolo, attraverso la legge.

Per il combinato disposto dell’articolo 97, comma 2, e dell’articolo 1 della Costituzione, ogni azione della Pubblica Amministrazione deve avere fondamento nella legge, atto massimamente democratico: il risultato del combinato disposto non si riduce al principio di riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici ma giunge a definire il principio di legalità per il quale non solo l’organizzazione ma anche, e soprattutto, l’azione della Pubblica Amministrazione deve avere fondamento nella legge. Questo aspetto fortemente democratico del principio di legalità, è una reazione al periodo fascista nel quale la Pubblica Amministrazione rispondeva totalmente al Governo, mentre adesso dipende dalla legge e quindi dal popolo.

La legge deve indicare:

 le finalità: i fini dell’attività amministrativa;

 i mezzi: gli strumenti che la Pubblica Amministrazione ha a disposizione per perseguire i fini previsti dalla legge;

 Le competenze: il soggetto che deve perseguire quel certo fine con quei determinati mezzi.

Un’azione amministrativa è illegittima quando non rispetta i fini stabiliti dalla legge. La legge individua l’amministrazione competente a conseguire un determinato fine e le attribuisce i mezzi per poterlo raggiungere.

Dal rapporto tra legge e funzione amministrativa emerge il concetto della discrezionalità amministrativa e della discrezionalità tecnica.

La discrezionalità amministrativa consiste nella facoltà di scelta tra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico stabilito dalla legge

(27)

(Virga), o nella ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine all’interesse primario (Giannini).

La Pubblica Amministrazione, nell'esercizio di tale facoltà di scelta, deve effettuare una ponderazione comparativa tra l’interesse primario da curare, che è l'interesse pubblico, e gli altri interessi secondari, che possono essere pubblici o privati. L’esame degli interessi secondari da parte della Pubblica Amministrazione è necessario per evitare di incorrere in un cattivo uso della discrezionalità che sarebbe rilevabile dal giudice amministrativo. Mediante tale ponderazione è possibile raggiungere il fine stabilito dal legislatore con il minor sacrificio possibile degli altri interessi in gioco, e quindi nel rispetto del principio del minimo mezzo. La pubblica amministrazione quindi, durante la fase istruttoria di un procedimento amministrativo effettuerà una analisi degli interessi e sulla base delle risultanze sceglierà la soluzione che ritiene più opportuna e conveniente per il perseguimento dell’interesse primario24.

Al concetto di discrezionalità amministrativa è necessario affiancare il concetto di discrezionalità tecnica che si ha quando l'esame di fatti o di situazioni rilevanti per l'esercizio del potere pubblico necessita del ricorso a cognizioni tecniche o scientifiche di carattere specialistico. Pertanto, nell'esercizio della discrezionalità tecnica, la Pubblica Amministrazione compie una valutazione di fatti sulla base di canoni scientifici e tecnici, senza svolgere alcuna comparazione tra l'interesse pubblico primario e gli interessi secondari al fine di individuare la soluzione più opportuna per l'interesse da perseguire25

La questione che ancora oggi è oggetto di dibattito riguarda la possibilità di sindacare da parte di un giudice amministrativo le scelte compiute sulla base di valutazioni tecniche. La giurisprudenza infatti si è domandata il tipo di controllo che poteva essere effettuato da tale giudice. La giurisprudenza prevalente ritiene che il giudice debba valutare la legittimità del provvedimento amministrativo verificando se l’atto sia espressione di un potere esercitato in modo conforme alla norma che lo attribuisce. Il giudice amministrativo deve “solo stabilire se la valutazione complessa operata nell'esercizio del potere debba essere ritenuta corretta sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di

24 C. Cusumano, L’attività discrezionale della Pubblica Amministrazione, 2018, < www.diritto.it/lattivita-discrezionale-della-p/>

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contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità a parametri tecnici, che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato” (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 1274/2010) e “(…)al giudice non è certamente concesso un potere di sostituzione del proprio giudizio a quello dell’amministrazione (…). Ne segue, altresì, che il provvedimento deve reputarsi legittimo quando il giudizio tecnico (di applicazione del concetto giuridico indeterminato), anche a prescindere dalla intrinseca e sicura esattezza, è obiettivamente attendibile: ossia quando in una ragionevole percentuale di casi conduce ad un risultato corretto” (Consiglio di Stato, sent. 829/2006). La legge n. 205/2000 introduce la possibilità per il giudice amministrativo di disporre di una consulenza tecnica d’ufficio cioè di uno strumento che gli permette di verificare se l’operato della pubblica amministrazione è corretto sia riguardo al procedimento che riguardo agli esiti dello stesso. Un altro principio enunciato all’articolo 97 comma 2 della Costituzione è il principio di imparzialità. L’imparzialità ha delle peculiarità rispetto all’amministrazione tanto che, in merito, si è soliti scindere due aspetti relativi:

 All’azione amministrativa dove l’amministrazione è una parte in causa, perché ha uno scopo istituzionale imposto dalla legge di perseguire l’interesse pubblico. Quindi la Pubblica Amministrazione non tratta tutti gli interessi allo stesso modo, perché deve perseguire l’interesse pubblico, ma nel fare questo l’imparzialità fornisce un criterio: trattare gli interessi contrapposti dei privati in modo da non pregiudicarli ingiustificatamente. Di conseguenza se l’amministrazione può ripartire il peso della decisione su vari soggetti e non farla gravare su uno solo lo deve fare. Tutti questi interessi devono essere bilanciati dall’amministrazione, secondo il criterio di perseguire l’interesse pubblico, ma sacrificando il meno possibile gli interessi dei privati. Questo è il principio di imparzialità, che ha un significato peculiare nell’ambito del diritto amministrativo, mentre in tutti gli altri rami del diritto imparzialità corrisponde a non discriminazione.

 All’organizzazione. E’ l’unico campo del diritto amministrativo in cui imparzialità significa non discriminazione. L’articolo 97 ultimo comma prevede che “agli impieghi delle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”. Questo significa che deve essere seguito il principio di imparzialità inteso come principio di non discriminazione, secondo cui tutti devono partecipare a condizioni di parità.

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Ulteriore principio previsto dall’articolo 97 comma 2 della Costituzione è il principio di buon andamento. Il buon andamento era considerato inizialmente come un mero auspicio, cioè non era considerato un principio giuridicamente vincolante. Lo è diventato nel tempo, quando si è cominciato a capirne il significato. Il principio di buon andamento può acquisire un significato giuridico attraverso il collegamento che si instaura tra l’articolo 97 e le scienze non giuridiche. Infatti, nell’articolo 1 della legge n. 241/1990 si fa riferimento al principio di efficienza ed efficacia che sono principi tratti dalle scienze economiche e che, per il tramite dell’articolo 97 diventano principi giuridici fondamentali del procedimento amministrativo.

E’ possibile quindi affermare che siamo di fronte ad una buona gestione da parte dalla Pubblica Amministrazione quando questa svolge la sua attività in modo economico, efficiente ed efficace; tutte regole dell’economia che entrano nel mondo del diritto per il tramite del principio di buon andamento. Anche l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea fa riferimento al principio di buon andamento e di buona amministrazione.

La legge n. 241/1990 prevede che l’attività dell’amministrazione destinata alla realizzazione di un interesse pubblico si conformi a due corollari dell’articolo 97 comma 2 della Costituzione come:

 Economicità che si verifica quando l’amministrazione ottiene il massimo risultato impiegando le minori risorse possibili. Questo principio è strettamente connesso al principio di non aggravamento del procedimento; anch’esso previsto all’art. 1 comma 2 della legge n. 241/90 secondo il quale l’amministrazione non può rendere la sua attività più gravosa se non è stabilito dalla legge, a meno che non sia necessario26;

 Efficacia cioè la capacità di una singola amministrazione di perseguire i propri obiettivi e le proprie finalità nel miglior modo possibile rispetto ai piani prefissati. Ogni amministrazione deve quindi programmare la propria azione amministrativa tenendo in considerazione il riferimento temporale.

26 A. Crismani, Il procedimento amministrativo, 2018,

(30)

2.3

Le principali novità introdotte dalla legge n. 241/1990.

La legge n. 241/1990 intitolata: “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” introduce una novità assoluta, che è la figura del responsabile del procedimento, cioè un soggetto al quale è affidata la gestione del procedimento stesso. Questa figura è regolata al capo II della legge sul procedimento amministrativo, in particolare gli articoli 4 e 5 stabiliscono a quale soggetto spetti tale responsabilità:

Articolo 4: “Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti.”

In alcuni casi è quindi la legge stessa che stabilisce qual è l’unità organizzativa a cui deve essere attribuito quel procedimento, in altri casi, l’unità organizzativa viene individuata da un regolamento della Pubblica Amministrazione. Quando non è stabilito né dalla Legge, né da un regolamento è comunque compito delle Pubblica Amministrazione individuare una unità organizzativa di riferimento.

Articolo 5: “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale.

Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4.”

Dall’articolo 5 si evince che il responsabile del procedimento non è necessariamente il dirigente di una unità organizzativa. Infatti quest’ultimo può attribuire questa responsabilità a sé o ad altri dipendenti, individuando se questo è anche il soggetto competente ad emettere

(31)

il provvedimento finale. Nei casi in cui la legge, il regolamento, o il dirigente non abbiano individuato il responsabile del procedimento, viene individuato come tale il funzionario preposto all’unità organizzativa. Successivamente la legge n. 15/2005, introduce la possibilità che il responsabile del procedimento non sia il soggetto che adotterà il provvedimento finale; in questo caso è necessario che questi, terminata l’istruttoria rediga una relazione e la invii all’organo che dovrà emettere il provvedimento, il quale potrà discostarsene motivando tutti i “dati in fatto e in diritto” che lo hanno portato alla nuova valutazione e quindi assumendosene la responsabilità.

In precedenza la figura del responsabile del procedimento non era prevista nel nostro ordinamento e questo generava molteplici problemi, quale in primo luogo il rallentamento dell’azione amministrativa e la mancanza di trasparenza, ed in secondo luogo una irresponsabilità civile, amministrativa e penale per gli amministratori.

All’articolo 6 delle legge n. 241/1990 sono invece elencati i compiti del responsabile del procedimento:

“Il responsabile del procedimento:

a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento;

b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

c) propone l’indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all’articolo 14;

d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti

e) adotta il provvedimento finale, ove ne abbia la competenza, ovvero trasmette gli atti all’ organo competente per l’adozione.

(32)

Il responsabile del procedimento interviene quindi durante la fase istruttoria del procedimento amministrativo, che è la fase successiva alla fase dell’iniziativa, nella quale, o la pubblica amministrazione, mediante iniziativa d’ufficio, o il cittadino, mediante iniziativa di parte, danno inizio al procedimento amministrativo. La fase istruttoria è invece quella fase del procedimento amministrativo nella quale viene effettuata una ricognizione e valutazione dei fatti e degli interessi, pubblici e privati, oggetto di valutazione da parte della Pubblica Amministrazione ai fini dell’adozione di una decisione e della relativa motivazione27.

Un’altra delle principali novità introdotte dalla legge n. 241/1990 riguarda la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo. Quando si fa riferimento alla partecipazione al procedimento è importante partire dal principio di imparzialità stabilito dall’articolo 97 della Costituzione, che come già detto è uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo, che oltre ad avere la funzione di far adottare un comportamento paritario rispetto ai soggetti ai quali la Pubblica Amministrazione si trova di fronte, significa anche la capacità e il dovere da parte di quest’ultima di comparare sullo stesso piano tutti gli interessi coinvolti in un procedimento amministrativo (nonostante l’interesse pubblico prevalga sempre sull’ interesse privato). A questo fine si è cercato di introdurre delle forme di ingresso al procedimento che consentissero al privato ed altri soggetti di apportare all’interno del procedimento le proprie ragioni, non solo di prendere conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto su cui l’amministrazione si sta muovendo, ma anche di poter apportare le proprie ragioni e rappresentare i propri interessi, veicolando il più possibile a proprio favore l’azione dell’Amministrazione Pubblica.

Il primo momento in cui il privato rappresenta le proprie ragioni è il caso in cui il procedimento inizi su istanza di parte e quindi, a differenza del caso in cui vi sia un’iniziativa di ufficio, il privato fin da subito rappresenta quella che è la propria domanda all’amministrazione, che quindi darà il via sulla base di questa istanza ad un procedimento.

Nel momento in cui viene presentata istanza di parte, sulla base di un verbale, accertamento, delibera o altro, parte il procedimento amministrativo e il primo atto che il responsabile del procedimento è tenuto ad adottare è la comunicazione di avvio del procedimento. La comunicazione viene spedita per raccomandata o notificata per messo comunale salvo che i

27 M. Asprone, S. Martini, Il responsabile del procedimento amministrativo: l’istruttoria e i profili di responsabilità, 2010, < www.diritto.it>

(33)

soggetti coinvolti siano un numero particolarmente elevato, in questo caso saranno utilizzati altri mezzi di pubblicità come il sito web, Gazzetta o bollettini ufficiali.

Questa comunicazione deve essere inviata:

 ai soggetti nei confronti dei quali è destinata a produrre i suoi effetti che sono parti necessarie del procedimento;

 a tutti quei soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento, quindi vengono coinvolti tutti quei soggetti che in quell’ambito sarebbero chiamati ad emettere il loro parere più o meno vincolante a seconda dei casi;

 ad altri soggetti facilmente individuabili che possono in qualche modo avere un interesse al procedimento o meglio che possono ‘subire un pregiudizio’ dal procedimento (soggetti contro-interessati). In questi casi la giurisprudenza ha comunque reputato che non vi sia alcun obbligo.

In ogni caso, i soggetti che devono essere informati sono quelli che hanno il potere di intervenire sul procedimento, elencati all’art. 9 della Legge sul Procedimento: “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”. Si prevede quindi che la facoltà di intervenire spetti non solo ai privati ma eventualmente anche ad associazioni di categoria che rappresentino interessi nel procedimento, o altre amministrazioni, che potrebbero avere un interesse in conflitto. Si tratta chiaramente di parti eventuali del procedimento e non necessarie. Le parti necessarie del procedimento sono invece le amministrazioni direttamente coinvolte e il soggetto destinatario.

La comunicazione del procedimento deve avere i seguenti contenuti obbligatori ai sensi dell’articolo 8:

 Amministrazione competente  Responsabile del procedimento  Oggetto del procedimento

 Data entro la quale deve concludersi il procedimento (30 giorni di base che possono essere prorogati fino a 180, a seconda dei regolamenti interni delle singole amministrazioni)

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