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Deregolamentazione, concorrenza e fallimenti

Nel documento La finanza americana fra euforia e crisi (pagine 66-82)

È assai difficile e complicato stabilire un legame analitico e empirico tra la deregolamentazione e i crescenti problemi af-frontati da alcuni settori del sistema bancario e finanziario ame-ricano. Nessuno studio, fino a questo momento è stato in grado di avanzare spiegazioni rigorose e pienamente convincenti della relazione tra più ampie possibilità di scelta offerte agli agenti e aumento dei fallimenti.

Tuttavia, è ugualmente impossibile accogliere il punto di vista secondo il quale la deregolamentazione non ha niente a che

ve-dere con le accresciute incertezze e debolezze, così diffuse, ab-biamo visto, nel settore delle thrift sin dai primi anni Ottanta, nella borsa di New York nell'ottobre 1987, nel quasi fallimento di alcune grandi banche, nella sostanziale incapacità di molti paesi indebitati a riprendere un flusso costante di pagamenti di interessi sul debito. In effetti, quello che appare difficilmente confutabile è che la deregulation, nel suo significato più ampio, abbia decisamente aumentato il livello di concorrenza nel setto-re bancario e finanziario americano. Se ciò non corrispondesse al vero, diventerebbe arduo capire l'argomentazione, così di fre-quente avanzata dai sostenitori della deregolamentazione, che la concorrenza (e quindi anche un suo incremento) sia una fonte di vantaggi per il consumatore e le imprese; l'aumento della con-correnza che si ottiene tramite la deregolamentazione — così continua il ragionamento — può, in determinate circostanze, condurre a costi minori e ad un aumento delle scelte per il con-sumatore, maggiore flessibilità nella gestione delle attività e pas-sività per le imprese industriali e finanziarie. Tuttavia, e in pri-mo luogo, occorre osservare che un più alto livello di concorren-za, per sua stessa natura, significa (e ha sempre significato) che più rischi vengono assunti sul mercato, in particolare da parte di quella categoria di operatori che si rivela meno avversa al rischio; finanziare e/o intraprendere progetti più rischiosi, a loro volta associati a più alti tassi di rendimento, aumenta la proba-bilità che un fallimento possa verificarsi. In secondo luogo, dato che persone con identiche caratteristiche esistono solo nel mon-do ideale dei modelli con l'«agente rappresentativo», si rivela necessario prendere in considerazione la banale verità che alcuni tra gli operatori sono professionalmente più attrezzati (e/o esperti) di altri; in breve, vi sono persone che ottengono risultati miglio-ri di altre e, quasi sempre, vi è chi è in grado di capitalizzare dei guadagni e chi invece patisce delle «perdite», in modo parti-colare, in un ambiente che tende a diventare maggiormente con-correnziale; la «perdita», talvolta significa, in termini economi-ci, un fallimento.

Nei tre casi visti sopra, allorché la concorrenza aumenta sul mercato, è più probabile che si creino delle situazioni di disse-sto; se esse si verificano realmente e se tanto il funzionamento

dell'intero sistema finanziario (o di una sua parte) tanto gli inte-ressi dei depositanti sono minacciati, è probabile assistere a in-terventi governativi (della banca centrale in modo particolare) nei quali vengono prese tutte le misure necessarie per protegge-re i risparmi e la fiducia degli investitori e per fermaprotegge-re il rischio di diffusione dei fallimenti. Da questo punto di vista gli Stati Uniti non costituiscono un'eccezione: l'esistenza di autorità go-vernative pronte a intervenire e, inoltre, la sostanziale garanzia assicurata dai poteri fiscali e di creazione della moneta dell'am-ministrazione centrale, è stata capace, in tutte le circostanze viste sopra, di evitare che la presenza di situazioni di insolvenza potesse trasferire nuovi problemi e incertezze a altre istituzioni finanziarie.

Esiste una ben nota argomentazione in base alla quale, in diverse circostanze, è la stessa esistenza della rete di protezione governativa (o tramite il sistema di assicurazione federale sui depositi o attraverso il prestito di ultima istanza) a indurre al-l'intrapresa di eccessivi rischi. Tale argomentazione, basata sul concetto di moral hazard, è solidamente fondata e talvolta in effetti appare che la configurazione assunta dall'intervento go-vernativo per la salvaguardia dei mercati bancari e finanziari costituisca un incentivo a comportamenti più rischiosi. Questo appare senz'altro vero se ci si riferisce all'attuale struttura (e alla pratica) del sistema statunitense di assicurazione sui deposi-ti non a caso oggetto di un vasdeposi-tissimo dibatdeposi-tito concernente la sua riforma. Tuttavia, un'interpretazione di questo tipo non può essere neanche esagerata; in primo luogo, i piccoli rispar-miatori devono essere protetti (e pertanto anche un livello mini-mo di assicurazione sui depositi deve essere assicurato); in se-condo luogo, rimane il problema di come comportarsi quando, ad esempio, un'istituzione finanziaria (magari anche di notevoli dimensioni) si avvicina a una situazione di fallimento oppure quando un mercato di borsa non è lontano dal punto in cui nessuno dei partecipanti al mercato è in grado (o ha il desiderio) di andare avanti con gli acquisti di titoli utilizzando la propria liquidità. Soprattutto a partire dalla disastrosa esperienza del crollo del '29 e delle successive crisi bancarie, nelle circostanze più rilevanti, i governi, incluso quello americano, sono stati spinti

a intervenire nel tentativo di risolvere situazioni complicate e potenzialmente esplosive.

Pertanto, nel caso dei mercati bancari e finanziari, anche ne-gli Stati Uniti, spesso i «verdetti» del mercato vengono percepiti come (e probabilmente sono) eccessivamente onerosi sia per i segmenti di mercato direttamente interessati alle conseguenze della copertura di tali costi, sia per la società nel suo complesso. Un fenomeno come la deregulation che, oltre che numerosi van-taggi, ha anche i suoi costi, può quindi utilmente sfruttare in pieno tali vantaggi, almeno nella recente esperienza statuniten-se, solo nel caso in cui l'intervento pubblico esista e si manifesti prontamente allo scopo di ridurre la possibilità di incertezze e fallimenti crescenti. Se ciò corrisponde al vero, e tale è la nostra opinione, si dovrebbe evitare di vedere un'accentuarsi delle spinte alla deregulation e il rafforzamento della presenza governativa sui mercati finanziari come fenomeni l'uno opposto all'altro. Un efficiente intervento governativo si rivela necessario per poter godere pienamente dei vantaggi derivanti dalla rapida diffusione di nuove tecnologie, dai nuovi servizi finanziari e dall'aumento di possibilità di scelta per il risparmiatore42. Potrebbe darsi, na-turalmente, che una tale conclusione non sia necessariamente valida nel lungo periodo (del resto sarebbe anche poco auspica-bile per il taxpayer americano): dopotutto, la, deregolamentazio-ne e la rapida innovazioderegolamentazio-ne finanziaria, sono ancora fenomeni abbastanza recenti e un margine di tempo più lungo potrebbe rivelarsi necessario prima che un completo aggiustamento venga raggiunto nel settore finanziario. Forse, a quel punto, la rete di protezione governativa potrebbe, essere parzialmente solleva-ta; per il momento tuttavia, appare auspicabile che il processo di deregulation venga accompagnato da un più forte e efficace intervento governativo.

Note

1 Un ruolo di grandissima importanza è stato senz'altro giocato dall'aumento del-la concorrenza estera sui mercati finanziari statunitensi. Tale aspetto, peraltro ana-lizzato in grande dettaglio da Frieden e Dollar in questo stesso Quaderno, verrà trattato soltanto marginalmente.

HEISENBERG (1987), p . 24.

Ubid.

4 EDWARD KANE ha coniato nel 1977 l'espressione «dialettica regolatoria», diventa-ta ora di vastissimo uso; essa indica la regolamendiventa-tazione esistente e l'introduzione di nuovi provvedimenti legislativi come risposta alla (nonché come parziale accogli-mento della) innovazione finanziaria. In questo lavoro solamente il secondo aspetto di tale dialettica verrà preso in considerazione; condividiamo infatti l'opinione di Albert Wojnilower secondo il quale «alcuni osservatori hanno teso a vedere i mutamenti finanziari negli Stati Uniti come stimolati in primo luogo dal desiderio di aggirare l'intervento governativo. Si tratta in realtà di un punto di vista molto parziale. Il tentativo è stato di capitalizzare sui vantaggi della regolamentazione e di sfuggire ai suoi obblighi. Se il sistema di protezione governativa non fosse stato così diffuso, molte delle nuove caratteristiche del sistema finanziario

america-no america-non sarebbero state tentate». WOJNILOWER (1987), p. 10. 'SIMPSON (1988), p. 8.

6 Ciò è in parte il risultato raggiunto dai regulators internazionali e statunitensi

nelle Proposals for International Convergerne of Capital Requirement and Capital

Stan-dards: «Per considerare esplicitamente i problemi connessi al rischio nel valutare

l'adeguatezza del capitale, includendo i rischi associati all'insieme delle attività fuori bilancio»; da «Issues in Bank Regulation», Winter 1988.

7 Ad eccezione di alcune norme contenute nel Gam-St. Germain Act del 1982.

C f r . NELSON (1987), p. 13.

8 EISENBERG (1987), p. 39. 'SAVAGE (1987), p. 79.

1 0 II pronunciamento della Corte autorizzò «la penetrazione nel New England di

bank holding companies provenienti da altri stati, allo scopo di acquistare banche

operanti nello Stato, se gli stati in cui le istituzioni avevano il loro mercato princi-pale, avessero accordato gli stessi diritti alle banche del Connecticut e del Massa-chusetts». EISENBERG (1987), p. 39.

11 Buona parte della storia giuridica che circonda il problema della NBB è

conte-nuta in EISENBERG (1987), pp. 44-52 in particolare.

1 2 ROSENBLUM, SIEGEL e PAVEL (1983), p. 12.

13 Sulle tematiche concernenti il superamento del Glass-Steagall Act, si veda più avanti in questo Quaderno il contributo di G. Falchi.

14 La legislazione finanziaria del New Deal (in particolare il Securities and

Exchan-ge Act del 1934) «aveva esentato il NYSE da alcune norme della legislazione

anti-trust americana e fino agli Amendments del 1975, la borsa era stata libera, seppur soggetta all'autorizzazione della Securities and Exchange Commission, di fissare i livelli minimi delle commissioni sugli scambi di azioni». SCHWARTZ (1988), p. 491. È bene notare a questo punto, tuttavia, che il trend verso un sistema negoziato di commissioni era già incominciato nel 1968 quando i «.volume discounts vennero istituiti, su iniziativa del SEC, per transazioni superiori alle 1.000 azioni», SCHWARTZ (1988), p. 144. Successivamente, nel 1971 e nel 1972, la SEC decise che le com-missioni su quella parte di ordini eccedenti un certo ammontare (500.000 e 300.000 dollari) dovessero essere negoziate.

15 Tali norme sono incluse nel Title III del DA80, il Consumer Cbecking Account

Equity Act of 1980.

1 6 Si veda Title II del DA80, Depository Institutions Deregulation Act of 1980.

1 7 FEDERAL RESERVE BANK OF CHICAGO (1980), p. 14.

delle casse mutue di risparmio furono fissati a un livello del 4 % più elevato rispet-to ai limiti imposti sui depositi delle banche commerciali, con l'idea di «isolare le thrift institutions e il mercato dei prestiti ipotecari dalla concorrenza delle banche

commerciali»; c f r . FEDERAL RESERVE BANK OF CHICAGO ( 1 9 8 0 ) , p. 1 4 . La decisione del

1966 viene vista da molti come uno dei pochi interventi contrari alla deregolamen-tazione degli ultimi 25 anni.

19 L'eliminazione è stata completata il 31 marzo del 1986; gli interessi non posso-no essere ancora pagati sui depositi a vista. Per una «croposso-nologia degli eventi» sulla graduale eliminazione delle disposizioni previste dalla Regulation Q, si veda

GIL-BERT ( 1 9 8 6 ) , p. 3 1 .

20 Title V del DA80, State Usury Laws.

21 Gli stati tuttavia avevano la possibilità di ristabilire nuovi livelli degli usury

ceilings prima del 1 aprile 1983.

22 Title TV del DA80, Powers of Thrift Institutions ani Miscellaneous Provisions.

23 Le S&L venivano inoltre autorizzate a investire fino al 5% delle loro attività in prestiti per l'educazione.

24 Title I del DA80, Monetary Control Act of 1980. Questi aspetti della nuova

le-gislazione andrebbero naturalmente visti nel contesto dei cambiamenti attuali della Fed ai primi dell'ottobre 1979 nel monitoraggio e nel targeting degli aggregati mo-netari.

2 5 FEDRAL RESERVE BANK OF CHICAGO ( 1 9 8 0 ) , p. 7.

26 SAVAGE (1980), p. 445. In entrambe le circostanze almeno cinque membri del

Board dei governatori della Fed doveva esprimere la propria approvazione; nel

secondo caso invece anche il Congresso doveva essere fatto oggetto di consultazione.

27 Title I, inoltre diede alle banche non affiliate la possibilità di indebitarsi con

la c.d. discount window della Fed.

28 Secondo GARCIA e altri, «La legge Garn-St. Germain è prima di tutto un'ope-razione di salvataggio per le S&L e le mutuai savings banks», GARCIA e altri

( 1 9 8 2 ) , p . 6.

29 La nuova legge affermava esplicitamente che essi dovevano essere «direttamen-te equivalenti e compe«direttamen-tere con i money market mutuai funds».

30 Ad eccezione dei saldi medi al di sotto dei 2.500 dollari; in questo caso veni-vano applicati i «tetti» a cui doveveni-vano conformarsi i conti Now.

31 Le citazioni dagli articoli della legge sono tratte da GARCLA E altri (1982), p. 8.

3 2 GARCIA e altri ( 1 9 8 2 ) , p. 9.

33 Si veda GARCIA e altri (1983), p. 9.

34 Pochi mesi sono bastati tuttavia per mettere a nudo il corto respiro di tale strategia di intervento, di fronte ai problemi strutturali e alla dimensione del col-lasso finanziario delle thrifts. Per una critica serrata delle carenze nella gestione della crisi da parte degli organismi di supervisione delle S&L, si vedano le

afferma-zioni di DWIGHT JAFFEE a c o m m e n t o di BURNBAUGH-CARRON ( 1 9 8 7 ) .

35 La ricostruzione della storia della Continental Illinois si basa largamente su SPRA-GUE (1986).

3 6 SPRAGUE ( 1 9 8 6 ) , p. 1 5 1 .

3/ «[La corsa ai depositi] non si materializzò in file di depositanti alle porte della banca; si trattò piuttosto di ritiri di depositi di notevole ammontare da tutte le parti del mondo effettuati a velocità della luce tramite trasferimenti elettronici

di fondi». SPRAGUE ( 1 9 8 6 ) , p. 1 4 9 .

38 «[...] oltre duemila banche corrispondenti erano depositanti presso la Continen-tal e una parte di loro — si parlava di cinquanta fino a arrivare a duecento —

sarebbe stata minacciata o sarebbe crollata per via del collasso della Continental. (In seguito calcolammo che 179 banche avevano più del 50% del loro capitale impegnato nella Continental; 66 di queste erano al di sopra del 100%)». SPRAGUE

( 1 9 8 6 ) , p. 1 5 5 .

39 Cifre tratte da BURNBAUGH-CARRON (1987), p. 357.

4 0 Si vedano, tra i vari rapporti ufficiali, BRADY et al. (1988), e U.S. SECURITIES

AND EXCHANGE COMMISSION ( 1 9 8 8 ) .

41 Altri fattori giocarono un efficace ruolo stabilizzatore; ad es., l'esistenza di un vasto e efficiente mercato secondario delle obbligazioni e dei titoli di stato offrì una immediata alternativa ai capitali fuggiti dal mercato azionario.

42 Fermo restando, tuttavia, che se i costi sociali del salvataggio di istituzioni fi-nanziarie in difficoltà fosse eccessivo e/o che la probabilità dell'insorgere di crisi successive fosse legata al mantenimento della legislazione esistente, si potrebbe tranquillamente assistere ad una revisione in senso restrittivo di quella legislazione. Questo sembrerebbe il punto di vista dei rapporti, successivi alle indagini sul crollo di Wall Street, i quali suggeriscono leggi più severe per il funzionamento della Borsa di New York.

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THE POLITICAL ECONOMY OF FINANCIAL DEREGULATION IN THE UNITED STATES AND JAPAN

David Dollar, J e f f Frieden

The authors Louis Pauly, stibns.

would like to thank Hans Baerwald, Sebastian Edwards, and Frances Rosenbluth for helpful comments and

1. Introduction

A wave of financial deregulation is sweeping the industriali-zed world. From Japan to the European Community to North America, domestic regulatory structures are falling. Almost ali governments are reducing or removing geographical and func-tional barriers among financial markets and institutions.

This paper argues that this trend is not coincidental, but ra-ther reflects a common set of pressures on national politicai economies. The most important such pressure is the increasing global integration of financial markets.

International financial integration has driven the industriai countries toward domestic financial deregulation by way of two mechanisms. The first is the dramatic increase in innovative instruments and techniques used in international financial mar-kets, which have served to make it technically difficult to main-tain the market segmentation characteristic of previous dome-stic regulation. The second is the vigorously competitive nature of international banking itself, which penalizes banks with home-country regulations that run counter to the requirements of in-ternational financial competition.

International financial integration and competition are for-cing a reformulation of national regulatory environments throu-ghout the industriai world, but the contours of this reformula-tion are a funcreformula-tion of the interest-group pressures brought to bear within the politicai systems of the nations involved. Finan-cial institutions and other economie agents whom national regu-lations constrain fight to reform them, while those protected struggle to maintain existing regulations. In the United States this battle has pitted large internationally oriented banks, on the one hand, against small banks and some small businessmen and farmers, on the other. In Japan, large commercial banks and securities houses each struggle to preserve their protected markets.

The American and Japanese experiences show that, while the trend toward deregulation is general, its details and timing dif-fer across countries, often as a result of interest-group politics.

The resulting differences in national regulatory structures and practices in turn affect the competitive position of each coun-try's banks in international markets, as well as each nation's economie efficiency and social welfare.

Section 2 below presents a framework for the analysis of ef-fects of international financial trends on domestic policy forma-tion. Section 3 applies this framework to the development of American financial regulation over the past thirty years. Section 4 does the same for Japan, and a brief conclusion follows. 2. Analytical Framework:

Financial Internationalization and Domestic Regulation The most salient feature of contemporary financial markets is their increasing global integration. The ease with which funds flow across borders and oceans, coupled with the enormous size and extent of the offshore financial markets, is dissolving many of the boundaries among national financial systems.

This financial internationalization has made it increasingly dif-ficult for government authorities to maintain the country-specific market segmentation that has characterized most national finan-cial regulation. When depositors and borrowers have access to global banking services on overseas or offshore markets, natio-nal regulators can seldom restrict the services locai financial in-stitutions offer without seriously hampering their ability to

Nel documento La finanza americana fra euforia e crisi (pagine 66-82)