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Gli squilibri nel sistema finanziario statunitense

Nel documento La finanza americana fra euforia e crisi (pagine 60-66)

Negli ultimi anni il sistema bancario e finanziario statuniten-se è stato colpito da una statuniten-serie di crisi di notevole gravità. Le

thrifts in particolare sembrano essere in una situazione assai

dif-ficile, per quanto anche il numero dei fallimenti delle banche commerciali si manifesti come un nuovo fenomeno sin dalla crisi bancaria dei primi anni Trenta. Tuttavia, le cifre relative ai

dis-sesti da sole non danno una descrizione precisa delle tensioni e del senso di incertezza che ha caratterizzato recentemente il sistema bancario statunitense; infatti è necessario prendere in considerazione i salvataggi di banche di notevoli dimensioni (Con-tinental Illinois in primis) così come i problemi di molte grandi banche americane di fronte alla virtuale insolvenza di molti pae-si debitori del Terzo Mondo, latino-americani in particolare. Cia-scuna di tali vicende ha naturalmente una storia particolare: nel caso delle thrifts, ad esempio, l'indebolimento di alcune aree eco-nomiche degli Stati Uniti (il Sud-ovest in generale, il Texas e l'Oklahoma in modo particolare) è stato un fattore decisivo e aggravante mentre, in un altro esempio, l'incapacità (o, per me-glio dire, in alcuni casi, l'impossibilità) di molti paesi debitori a mantenere le loro economie a livelli sostenuti di crescita ha reso difficile il raggiungimento degli obiettivi di uno sviluppo più rapido e di un regolare ripagamento del debito estero.

Allo stesso tempo, in tutti i casi sopra menzionati, alcuni ele-menti comuni possono essere tuttavia rintracciati. L'aumento della concorrenza per via di nuove e (relativamente) poco rego-lamentate istituzioni finanziarie — assieme all'aumento dei tassi d'interesse alla fine degli anni Settanta e ai primi degli anni Ottanta — è probabile che abbia costituito l'origine di molte difficoltà per un numero rilevante di banche commerciali e di

thrifts, nonostante le nuove disposizioni contenute nei due

prov-vedimenti deregolatori sopra analizzati (graduale liberalizzazio-ne dei tassi di interesse, nuovi poteri di investimento per le S&L, ecc.) si sforzassero — peraltro in maniera contraddittoria — di rafforzare le capacità concorrenziali delle banche. L'altro aspetto comune a tutte le crisi finanziarie americane degli ultimi anni è l'importanza dell'intervento governativo, non solo da parte — nei casi delle crisi bancarie — delle istituzioni federali speci-ficamente destinate alla protezione del sistema bancario, ma an-che attraverso un ampio uso della funzione di prestatore di ulti-ma istanza della banca centrale e del governo più in generale. Esamineremo ora in maggior dettaglio il salvataggio della Conti-nental Illinois, la crisi nel settore delle thrifts e il crollo di borsa dell'ottobre 1987.

a) Continental Illinois. Il salvataggio della Continental Illinois National Bank da parte della FDIC è un esempio della impossi-bilità pratica per una grande banca di giungere a una situazione di totale bancarotta. La banca di Chicago era passata negli anni Settanta attraverso un periodo di alti profitti e di importanza crescente tra le più importanti banche americane; un'aggressiva politica dei crediti (in particolare nel settore dell'energia) era stata un successo, nonostante l'evidente rischiosità di alcuni di questi prestiti35.

Un primo freno all'ascesa della banca fu il fallimento della Penn Square (dell'Oklahoma) nel luglio del 1982; la Continental subì una perdita di un milione di dollari e un forte abbassamen-to nel prezzo delle sue azioni. Di colpo la situazione della Con-tinental non appariva più così brillante; il management della ban-ca tentò di fronteggiare la nuova situazione ban-cambiando radiban-cal- radical-mente politica: «la crescita-ad-ogni-costo venne abbandonata e la priorità nell'azione della banca divenne il reperimento ad ogni costo di fondi che potessero sostenere i prestiti più deboli già in sofferenza»36; nel frattempo era esplosa la crisi debitoria messicana e la Continental (assieme ad altre grosse banche ame-ricane) si trovava coinvolta pesantemente nell'esposizione verso il paese centro-americano. Nonostante questa sfavorevole con-giuntura, per circa due anni la 'situazione sembrò migliorare ma nel maggio 1984 la crisi si affacciò in tutta la sua portata. Voci sulla effettiva situazione economica della Continental comincia-rono a circolare e, inevitabilmente, cominciacomincia-rono le richieste di ritiro dei fondi depositati presso la banca. La Continental aveva contato molto sui fondi esteri dopo il fallimento della Penn Squa-re; non è sorprendente che forti ordini di ritiro dei depositi arrivarono sia dal Giappone che dall'Europa37; in poche ore tuttavia il panico investì sia Chicago che gli Stati Uniti. A parti-re da questo momento cominciò la ricerca di soluzioni che po-tessero evitare la diffusione della crisi ad altre sezioni del mer-cato bancario; diventò subito chiaro comunque che il coinvolgi-mento della Continental nel sistema bancario americano era tale che un fallimento della banca senza alcun intervento di sostegno avrebbe condotto a un disastro ancora più grave38. Il criterio dell'«essenzialità» fissato dal Federai Deposit Insurance Act del

1950 veniva in tal modo rispettato, sebbene, probabilmente per motivi differenti da quelli originariamente contemplati nella legge. La FDIC si mosse rapidamente e annunciò che tutti i deposi-ti (anche quelli superiori al limite massimo di 100.000 dollari) sarebbero stati coperti da assicurazione; contemporaneamente, la FDIC, la Fed, l'Office of the Comptroller of the Currency e un gruppo consistente di alcune tra le maggiori banche ameri-cane, avanzò una cifra superiore ai 7 milioni di dollari allo sco-po di rafforzare le risorse finanziarie della Continental. L'emor-ragia dei depositi, tuttavia, continuava e la situazione non era certo rischiarata dallo scarso entusiasmo che ciascuna delle gran-di banche mostrava rispetto alla possibilità gran-di farsi avanti e gran- di-ventare proprietaria della banca di Chicago. Nella soluzione che in conclusione fu adottata, la FDIC acquistò il controllo dell'80% delle azioni della banca (parte del capitale azionario consisteva in nuove azioni acquistate direttamente dalla F D I C ) ;

l'agenzia di assicurazione acquistò anche quasi 4 miliardi di cre-diti in sofferenza (seppure scontati al 50%). Venne nominato un nuovo management e la fiducia nella banca si ristabilì gra-dualmente, per quanto i suoi bilanci continuarono per diversi trimestri a mostrare i segni delle difficoltà incontrate. La so-stanziale nazionalizzazione della Continental scatenò un acceso dibattito centrato in particolare sul diverso trattamento che ve-niva riservato alle grandi banche da un lato e a quelle di minori dimensioni («autorizzate» a fallire) dall'altro. Ora, per quanto sia difficile stabilire rigidi criteri di intervento validi per affron-tare situazioni simili a quella della Continental non appare co-munque azzardato pensare che nel 1984, con gran parte delle grandi banche americane pesantemente esposte verso l'America Latina (e con voci di problemi finanziari che cominciavano a riguardare anche un'altra grande istituzione bancaria, Manufac-turers Hanover), fosse ampiamente giustificata la decisione e l'intervento delle autorità pubbliche a garanzia della sopravvi-venza della banca dell'Illinois.

b) Il settore delle thrifts. Come visto in precedenza, le due leg-gi di deregulation dei primi anni Ottanta nonché il CE87 furo-no in gran parte un tentativo di portare il settore delle thrifts

in condizione di poter rispondere alla sfida della nuova concor-renza proveniente dai M M M F e dall'aumento dei tassi d'interes-se. Sia le casse mutue di risparmio che le S&L registrarono pe-santi perdite nel 1981 e nel 1982; il numero di fallimento di

thrifts assicurate con la FSLIC passò da 35 nel 1980 a 252 nel 1982 e il valore delle attività coinvolte nei fallimenti saltò da 2,9 (1980) a 46,8 (1982) miliardi di dollari39. La diminuzione dei tassi d'interesse incominciata nel 1982 aijitò considerevol-mente il settore, assieme ai nuovi poteri attribuiti alle thrifts

dai DA80 e DA82. Nell'87 e nell'88, tuttavia, il numero e la

dimensione dei dissesti è nuovamente cresciuto a dismisura. Le analisi su questa nuova fase mettono l'accento sulla mancanza di adeguata supervisione e efficiente monitoraggio (da parte del-la FSLIC in modo particolare) e gli incentivi al moral hazard in-trinseci nell'attuale sistema di assicurazione dei depositi. Inol-tre, come accennato in precedenza, la gran parte dei fallimenti si concentra in aree geografiche colpite da pesanti crisi economi-che nelle quali i problemi strutturali economi-che accompagnano le thrifts (lento adattamento a un portafoglio più diversificato, ad esem-pio) oltre alla concorrenza proveniente da nuove istituzioni fi-nanziarie può essere molto più pericolosa. In considerazione del fatto che la FSLIC è quasi sull'orlo della bancarotta e che le fu-sioni tra (e le acquisizioni di) casse di risparmio in difficoltà finanziarie potranno coprire soltanto una parte dei costi totali, è facile comprendere perché il peso del salvataggio delle thrifts verrà inevitabilmente sopportato dal contribuente fiscale statu-nitense.

c) Il crollo dì Wall Street. Le vicende del crollo della Borsa di Wall Street sono ormai note e ben documentate40. Secondo la ricostruzione degli eventi data dal Rapporto Brady, il declino del prezzo delle azioni il 19 ottobre fu rafforzato in misura con-sistente da ordini di vendita legati alle c.d. portfolio insurance

hedging strategies di alcune istituzioni finanziarie; tali particolari

tecniche di copertura, basate interamente sull'uso di programmi computerizzati, dovrebbero essere in grado di difendere il valo-re degli stock in possesso di un investitovalo-re da diminuzioni nel prezzo delle azioni, tramite la vendita di strumenti futures legati

alle azioni stesse (stock index futures). Perché queste strategie di copertura funzionino occorre naturalmente che i due mercati (quello dei futures e quello delle azioni) siano efficacemente col-legati in modo che gli arbitraggisti possano compiere efficace-mente le loro operazioni. Il meccanismo dell'interazione tra i due mercati, così cruciale per l'esplodere della crisi dell'ottobre

1987, è a grandi linee il seguente: nel caso in cui i futures venga-no ceduti per coprire repentine diminuzioni del prezzo delle azio-ni, una volta terminata tale ondata di vendite, i futures stessi verranno venduti a uno sconto rispetto ai valori delle sottostanti azioni; ciò naturalmente spingerà gli arbitraggisti a acquistare i futures e a vendere le azioni. Nell'ipotesi che i futures vengano venduti facendo premio sulle azioni, queste ultime verranno nuo-vamente acquistate e i futures venduti. Tutta questa sequenza si verificò regolarmente la mattina del 19 ottobre 1987; la situa-zione del mercato sembrava stabilizzarsi allorché dei fortissimi ordini di vendita di futures partirono da una grossa banca di investimento, giunta alla conclusione che i prezzi delle azioni — nonostante il gioco riequilibratore degli arbitrageurs — sareb-bero continuati a calare. Di fronte alla possibilità che tale pro-spettiva si generalizzasse effettivamente, gli arbitraggisti stessi cessarono di acquistare i futures — che venivano a essere offerti a fortissimi sconti nei confronti delle azioni — creando quindi una cesura tra mercato per le azioni da un lato e mercato per i futures dall'altro. Nello stesso tempo, la domanda di azioni ristagnava — con forte prevalenza quindi delle vendite — per il semplice motivo che ciascun operatore si aspettava che gli arbitraggisti avrebbero continuato a far scendere il prezzo delle azioni date le dimensioni del discount di cui «godevano» i

futu-res. Ciò naturalmente non poteva accadere proprio perché i due

mercati erano oramai indipendenti l'uno dall'altro.

L'indice Dow-Jones crollò, com'è ben noto, di oltre 500 pun-ti; fu però il giorno successivo, il 20 ottobre, che la situazione giunse vicina al disastro più totale, con la presenza sul mercato, a un certo punto delle contrattazioni, di soli venditori e quindi il concreto pericolo di una caduta libera dell'indice azionario. Fu a quel punto che la Fed assicurò il suo intervento in maniera decisa e credibile, irrorando di liquidità le casse delle banche

d'investimento e quindi, indirettamente, finanziando debitori tal-mente esposti da correre il rischio di immediate bancarotte con, oltretutto, incalcolabili domino e f f e c t s . Il comunicato di A. Green-span e l'azione della Fed, riportato sulla prima parte di questo lavoro, diedero enorme fiducia al mercato azionario che, per quanto in maniera molto incerta, riprese il suo funzionamento. L'intervento pubblico, nella forma, in particolare, del prestito di ultima istanza, si rivelò pertanto un elemento essenziale nel-l'evitare un collasso finanziario di proporzioni incalcolabili41.

Non è facile connettere crollo di borsa (e salvataggio del mer-cato da parte della Fed) con la deregulation finanziaria. Le stesse conclusioni del Rapporto Brady e di altri studi sul crollo dell'ot-tobre 1987, però, inducono a ritenere che la mancanza di norme più strette sui margini di copertura per l'acquisto di azioni (so-prattutto nel caso dei futures per i quali i margini si trovavano a livelli bassissimi), l'assenza di un'unica unità di supervisione per i diversi mercati e la mancanza di coordinamento tra i mec-canismi di limitazione delle contrattazioni (blocco degli scambi per le azioni, limiti sui prezzi per i futures), si siano tutte rivela-te come rilevanti carenze regolatorie. Appare plausibile ipotizza-re che esse, unite a un mercato molto più concoripotizza-renziale (e, in parte almeno, in fase di alta speculazione), caratterizzato da altissimi volumi di scambi, possano aver condotto ai momenti di panico finanziario dell'ottobre 1987, unitamente ai fattori contingenti sopra descritti.

Nel documento La finanza americana fra euforia e crisi (pagine 60-66)