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DIANA DI MÉRIDOR

Nel documento La signora di Monsoreau (pagine 86-115)

Erano le cinque della sera, quando tutta la corte mos-se da Vincennes per tornare al Louvre, attraverso il sob-borgo di Sant’Antonio. Mancava solamente il signor di Monsoreau il quale, dovendo organizzare per due giorni dopo una caccia nella foresta di Fontainebleau che non conosceva ancora perfettamente, preso congedo dai prin-cipi, si dirigeva con tutti i suoi equipaggi a quella volta.

Bussy, dal canto suo, accompagnato a casa il duca d’Anjou, ricevette da questi la chiave della casa miste-riosa e rientrò al suo palazzo dove cenò abbondante-mente; quindi, alle otto, scelta la migliore delle sue

spa-— È troppo bella.

— Ho capito, monsignore. E sono tanto compreso della situazione che sono disposto ad aiutarvi. Volete dirmi ciò che dovrò fare?

— Dovrai nasconderti ad una certa distanza, e se ve-dessi entrare qualcuno, seguirlo. Ti darò la chiave.

— Va benissimo. Ma se, per caso, sbagliassi uscio?

— Non ci sarà questo pericolo perchè, al ritorno, pas-sando per piazza della Bastiglia ti indicherò la porta. E questa sera incomincerai la tua fazione. Ma andiamo. La caccia è terminata e bisogna rientrare a Parigi.

CAPITOLO VI.

DIANA DI MÉRIDOR

Erano le cinque della sera, quando tutta la corte mos-se da Vincennes per tornare al Louvre, attraverso il sob-borgo di Sant’Antonio. Mancava solamente il signor di Monsoreau il quale, dovendo organizzare per due giorni dopo una caccia nella foresta di Fontainebleau che non conosceva ancora perfettamente, preso congedo dai prin-cipi, si dirigeva con tutti i suoi equipaggi a quella volta.

Bussy, dal canto suo, accompagnato a casa il duca d’Anjou, ricevette da questi la chiave della casa miste-riosa e rientrò al suo palazzo dove cenò abbondante-mente; quindi, alle otto, scelta la migliore delle sue

spa-de, e postesi nella cintola, contro il decreto reale che proibiva tali armi, due pistole, si avviò verso via Santa Caterina, giungendo al punto prefisso mentre suonavano le nove.

Non erano trascorsi più di dieci minuti da quando egli si era nascosto nel luogo scelto come posto d’osserva-zione, che vide giungere, dalla porta della Bastiglia, due cavalieri, uno dei quali, giunto presso il palazzo des Tournelles, mise piede a terra gettando le redini al com-pagno che, essendo probabilmente un suo lacchè, si af-frettò ad allontanarsi verso la parte da cui erano venuti con gli animali, mentre il primo si avvicinava alla casa che Bussy doveva sorvegliare, non senza scrutarsi attor-no per vedere se attor-non fosse spiato.

Poi, dopo di esser rimasto qualche istante sulla soglia, tendendo l’orecchio, scomparve dietro la porta.

Bussy, udì distintamente lo scatto della serratura, atte-se ancora un istante, temendo che il misterioso perso-naggio fosse ancora dietro all’uscio, in ascolto, e si de-cise: attraversò la strada, aperse la porta, e la richiuse senza far rumore. Una volta dentro, prese ad avanzare lentamente, tastando le pareti fino a che il suo piede ebbe incontrato il primo gradino dove si fermò per due motivi.

Il primo, si era che gli sembrava di sentir le gambe mancargli sotto per l’emozione, ed il secondo che aveva udita una voce dire, in tono imperativo:

— Gertrude, avvertite la vostra padrona che sono io, e che voglio entrare.

de, e postesi nella cintola, contro il decreto reale che proibiva tali armi, due pistole, si avviò verso via Santa Caterina, giungendo al punto prefisso mentre suonavano le nove.

Non erano trascorsi più di dieci minuti da quando egli si era nascosto nel luogo scelto come posto d’osserva-zione, che vide giungere, dalla porta della Bastiglia, due cavalieri, uno dei quali, giunto presso il palazzo des Tournelles, mise piede a terra gettando le redini al com-pagno che, essendo probabilmente un suo lacchè, si af-frettò ad allontanarsi verso la parte da cui erano venuti con gli animali, mentre il primo si avvicinava alla casa che Bussy doveva sorvegliare, non senza scrutarsi attor-no per vedere se attor-non fosse spiato.

Poi, dopo di esser rimasto qualche istante sulla soglia, tendendo l’orecchio, scomparve dietro la porta.

Bussy, udì distintamente lo scatto della serratura, atte-se ancora un istante, temendo che il misterioso perso-naggio fosse ancora dietro all’uscio, in ascolto, e si de-cise: attraversò la strada, aperse la porta, e la richiuse senza far rumore. Una volta dentro, prese ad avanzare lentamente, tastando le pareti fino a che il suo piede ebbe incontrato il primo gradino dove si fermò per due motivi.

Il primo, si era che gli sembrava di sentir le gambe mancargli sotto per l’emozione, ed il secondo che aveva udita una voce dire, in tono imperativo:

— Gertrude, avvertite la vostra padrona che sono io, e che voglio entrare.

E una voce femminile, dopo una breve esitazione, ri-spose:

— Favorite accomodarvi nel salone, signore. La si-gnora vi sarà tra poco.

Dopo di che Bussy udì il colpo di un’altra porta che si richiudeva.

Allora prese a salire, contando i dodici gradini e si trovò su quel pianerottolo sul quale si aprivano le tre porte. Trattenendo il fiato, e con le mani tese a sentire qualsiasi ostacolo, avanzò di due o tre passi, finchè le sue dita non trovarono il primo di quegli usci, quello da cui lo sconosciuto era entrato nell’appartamento. Prose-guì e, trovato il secondo, con la chiave tuttavia nella toppa, tutto tremante lo aperse, ed entrò in una stanza quasi completamente immersa nell’oscurità salvo che per un breve tratto dove giungeva, attraverso una porta aperta, il pallido riflesso delle luci accese nel salone.

Ma quel pallido riflesso gli fu sufficiente per ricono-scere il luogo: era, quella, la stessa stanza in cui era sta-to ricoverasta-to, ed ecco, davanti a lui, nell’ombra, balugi-nare il tenue chiarore del ritratto della sconosciuta.

Con un brivido di gioia Bussy si nascose fra le cortine del letto e si mise in ascolto.

Lo sconosciuto passeggiava impaziente nella stanza allato, arrestandosi di quando in quando. Poi un uscio si aperse e le orecchie di Bussy percepirono un fruscìo di vesti di seta, mentre una voce di donna, in cui si udiva-no risuonare contemporaneamente il timore e il disprez-zo, diceva:

E una voce femminile, dopo una breve esitazione, ri-spose:

— Favorite accomodarvi nel salone, signore. La si-gnora vi sarà tra poco.

Dopo di che Bussy udì il colpo di un’altra porta che si richiudeva.

Allora prese a salire, contando i dodici gradini e si trovò su quel pianerottolo sul quale si aprivano le tre porte. Trattenendo il fiato, e con le mani tese a sentire qualsiasi ostacolo, avanzò di due o tre passi, finchè le sue dita non trovarono il primo di quegli usci, quello da cui lo sconosciuto era entrato nell’appartamento. Prose-guì e, trovato il secondo, con la chiave tuttavia nella toppa, tutto tremante lo aperse, ed entrò in una stanza quasi completamente immersa nell’oscurità salvo che per un breve tratto dove giungeva, attraverso una porta aperta, il pallido riflesso delle luci accese nel salone.

Ma quel pallido riflesso gli fu sufficiente per ricono-scere il luogo: era, quella, la stessa stanza in cui era sta-to ricoverasta-to, ed ecco, davanti a lui, nell’ombra, balugi-nare il tenue chiarore del ritratto della sconosciuta.

Con un brivido di gioia Bussy si nascose fra le cortine del letto e si mise in ascolto.

Lo sconosciuto passeggiava impaziente nella stanza allato, arrestandosi di quando in quando. Poi un uscio si aperse e le orecchie di Bussy percepirono un fruscìo di vesti di seta, mentre una voce di donna, in cui si udiva-no risuonare contemporaneamente il timore e il disprez-zo, diceva:

— Eccomi, signore, che cosa volete ancora da me?

— Signora – rispose l’uomo, – siccome sono costret-to a partire per Fontainebleau domattina, sono venucostret-to a trascorrere la notte qui.

— Mi avete portato notizie di mio padre? – chiese la voce di donna. – Voi lo sapete, che era stato stabilito, prima che io acconsentissi a diventar vostra moglie, che, prima di tutto, o mio padre sarebbe venuto a Parigi, o io sarei andata da lui.

— Signora, immediatamente dopo il mio ritorno da Fontainebleau, noi partiremo. Ve ne do la mia parola d’onore. Frattanto...

— Signore, non chiudete quella porta. Sarebbe inuti-le. Io non passerò una sola notte sotto lo stesso tetto con voi, prima d’aver saputo ciò che è stato di mio padre!

E la donna che parlava con un tono così risoluto, sof-fiò in un fischietto d’argento. Subito la porta dalla quale era entrato Bussy tornò ad aprirsi per lasciar passare la camerista della signora: una ragazza dell’Anjou, alta e forte che si affrettava ad accorrere al richiamo della sua padrona.

— Gertrude – disse la dama, – questa notte, invece di coricarvi, vi terrete a portata della mia voce.

Senza dir nulla la ragazza si ritirò e Bussy si avvicinò lentamente all’uscio socchiuso che dava nel salone, per sbirciarvi dentro, ma per quanto cautamente camminas-se, una tavola dell’impiantito scricchiolò sotto ai suoi piedi. A quel leggero rumore la dama si volse e Bussy riconobbe la signora del ritratto. Ma l’uomo che pur non

— Eccomi, signore, che cosa volete ancora da me?

— Signora – rispose l’uomo, – siccome sono costret-to a partire per Fontainebleau domattina, sono venucostret-to a trascorrere la notte qui.

— Mi avete portato notizie di mio padre? – chiese la voce di donna. – Voi lo sapete, che era stato stabilito, prima che io acconsentissi a diventar vostra moglie, che, prima di tutto, o mio padre sarebbe venuto a Parigi, o io sarei andata da lui.

— Signora, immediatamente dopo il mio ritorno da Fontainebleau, noi partiremo. Ve ne do la mia parola d’onore. Frattanto...

— Signore, non chiudete quella porta. Sarebbe inuti-le. Io non passerò una sola notte sotto lo stesso tetto con voi, prima d’aver saputo ciò che è stato di mio padre!

E la donna che parlava con un tono così risoluto, sof-fiò in un fischietto d’argento. Subito la porta dalla quale era entrato Bussy tornò ad aprirsi per lasciar passare la camerista della signora: una ragazza dell’Anjou, alta e forte che si affrettava ad accorrere al richiamo della sua padrona.

— Gertrude – disse la dama, – questa notte, invece di coricarvi, vi terrete a portata della mia voce.

Senza dir nulla la ragazza si ritirò e Bussy si avvicinò lentamente all’uscio socchiuso che dava nel salone, per sbirciarvi dentro, ma per quanto cautamente camminas-se, una tavola dell’impiantito scricchiolò sotto ai suoi piedi. A quel leggero rumore la dama si volse e Bussy riconobbe la signora del ritratto. Ma l’uomo che pur non

aveva udito lo scricchiolio, vedendo volgersi la dama si volse esso pure.

Era il signor di Monsoreau.

— Ah! – mormorò Bussy. – La donna rapita sul ca-vallo nero!

Ora, li scorgeva entrambi. Ella stava in piedi, pallida e sdegnosa. Lui sedeva, non pallido, ma livido, agitando il piede della gamba accavallata sull’altra.

— Signora – disse alfine il signor di Monsoreau, – voi non continuerete già a rappresentare con me la parte della vittima. Ora siete a Parigi, ed in casa mia; e per di più siete la contessa di Monsoreau, mia moglie!

— Se sono vostra moglie, perchè, oltre a rifiutare di condurmi da mio padre, mi tenete nascosta agli occhi di tutti? Mi avevate promesso che, una volta vostra sposa, non avrei avuto più nulla a che temere dal duca d’Anjou.

— Lo so, signora, ma è tuttavia necessario che io prenda ancora qualche precauzione.

— Ebbene, signore, prendetela, e tornate da me quan-do l’avrete presa!

— Diana! – esclamò il conte pieno di collera. – Dia-na! Non fatevi giuoco del sacro legame che ci unisce. È un consiglio che vi do!

— Lo rispetterò, signore, quando non avrò più nulla a temere da mio marito!

— Questo è troppo! – gridò il conte esasperato. – E dovessi chiamare in mio aiuto tutte le potenze dell’infer-no, questa notte voi sarete mia!

aveva udito lo scricchiolio, vedendo volgersi la dama si volse esso pure.

Era il signor di Monsoreau.

— Ah! – mormorò Bussy. – La donna rapita sul ca-vallo nero!

Ora, li scorgeva entrambi. Ella stava in piedi, pallida e sdegnosa. Lui sedeva, non pallido, ma livido, agitando il piede della gamba accavallata sull’altra.

— Signora – disse alfine il signor di Monsoreau, – voi non continuerete già a rappresentare con me la parte della vittima. Ora siete a Parigi, ed in casa mia; e per di più siete la contessa di Monsoreau, mia moglie!

— Se sono vostra moglie, perchè, oltre a rifiutare di condurmi da mio padre, mi tenete nascosta agli occhi di tutti? Mi avevate promesso che, una volta vostra sposa, non avrei avuto più nulla a che temere dal duca d’Anjou.

— Lo so, signora, ma è tuttavia necessario che io prenda ancora qualche precauzione.

— Ebbene, signore, prendetela, e tornate da me quan-do l’avrete presa!

— Diana! – esclamò il conte pieno di collera. – Dia-na! Non fatevi giuoco del sacro legame che ci unisce. È un consiglio che vi do!

— Lo rispetterò, signore, quando non avrò più nulla a temere da mio marito!

— Questo è troppo! – gridò il conte esasperato. – E dovessi chiamare in mio aiuto tutte le potenze dell’infer-no, questa notte voi sarete mia!

Bussy portò la mano alla spada e fece per fare un pas-so avanti, ma Diana non gliene diede il tempo

— Ecco – disse traendo un pugnale dalla cintola, – come vi rispondo.

D’un balzo si gettò nella stanza dove si trovava Bussy e in un attimo chiuse l’uscio, tirando il catenaccio, men-tre Monsoreau picchiava, a pugni chiusi, sui due battenti.

— Signore – disse Diana, – se soltanto scheggerete uno di questi pannelli, mi troverete morta sulla soglia! E voi sapete che io mantengo sempre la mia parola!

— E state tranquilla, signora – mormorò Bussy strin-gendo la dama fra le braccia come per proteggerla, – che in tal caso trovereste un vendicatore.

Per quanto le sue parole fossero rassicuranti, Diana si trasse indietro, mentre Monsoreau, certo che Diana avrebbe messa in opera la sua minaccia, se ne andava sbattendosi violentemente la porta alle spalle. E, quando il rumore dei suoi passi si fu dileguato lungo il corrido-io, ella parlò.

— Ma voi chi siete, signore – chiese, – e come mai vi trovate qui?

— Signora – rispose Bussy riaprendo l’uscio del salo-ne e inginocchiandosi davanti a lei, – io sono l’uomo che voi avete conservato in vita. E come potreste voi credere che io possa nutrire dei malvagi disegni a vostro riguardo?

Grazie alla luce che ora rischiarava la nobile figura del giovane, ella lo riconobbe.

Bussy portò la mano alla spada e fece per fare un pas-so avanti, ma Diana non gliene diede il tempo

— Ecco – disse traendo un pugnale dalla cintola, – come vi rispondo.

D’un balzo si gettò nella stanza dove si trovava Bussy e in un attimo chiuse l’uscio, tirando il catenaccio, men-tre Monsoreau picchiava, a pugni chiusi, sui due battenti.

— Signore – disse Diana, – se soltanto scheggerete uno di questi pannelli, mi troverete morta sulla soglia! E voi sapete che io mantengo sempre la mia parola!

— E state tranquilla, signora – mormorò Bussy strin-gendo la dama fra le braccia come per proteggerla, – che in tal caso trovereste un vendicatore.

Per quanto le sue parole fossero rassicuranti, Diana si trasse indietro, mentre Monsoreau, certo che Diana avrebbe messa in opera la sua minaccia, se ne andava sbattendosi violentemente la porta alle spalle. E, quando il rumore dei suoi passi si fu dileguato lungo il corrido-io, ella parlò.

— Ma voi chi siete, signore – chiese, – e come mai vi trovate qui?

— Signora – rispose Bussy riaprendo l’uscio del salo-ne e inginocchiandosi davanti a lei, – io sono l’uomo che voi avete conservato in vita. E come potreste voi credere che io possa nutrire dei malvagi disegni a vostro riguardo?

Grazie alla luce che ora rischiarava la nobile figura del giovane, ella lo riconobbe.

— Oh, voi qui, signore? – esclamò giungendo le mani – Avete sentito tutto?

— Purtroppo, signora.

— Mi chi siete, dunque, in nome del cielo? Qual’è il vostro nome, signore?

— Signora, io sono Luigi di Clermont, conte di Bussy.

— Bussy? Voi siete l’eroico Bussy? – gridò ella, sen-za sapere la gioia che, a quelle parole, inondava il cuore del conte. – Ah, Gertrude, ora non ho più nulla da teme-re, poichè, da questo istante, metto il mio onore sotto la protezione del più nobile e del più leale gentiluomo di Francia.

Poi, tendendo la mano a Bussy:

— Rialzatevi, signore – aggiunse. – Io so chi voi sie-te. È dunque necessario che voi sappiate chi sono io!

Bussy si rialzò, ebbro di felicità, e passò con Diana nel salone da cui il conte di Monsoreau era uscito poco prima, senza levare gli occhi, pieni di meraviglia e di ammirazione, di dosso a Diana.

Ella non aveva più di diciotto o diciannove anni, ed era, perciò, ancora nel primo fiorire della sua bellezza.

Ora che nello sguardo di Bussy ella poteva leggere i sentimenti che lo agitavano, non aveva la forza di trarlo dalla sua estasi. Ma, comprendendo come fosse necessa-rio rompere quel silenzio che diceva troppe cose, di lì a poco disse:

— Sì, conte, vi debbo raccontare tutto. Il vostro nome è stato sufficiente per ispirarmi la più intera fiducia, poi-chè l’ho sempre sentito ripetere come quello d’un uomo

— Oh, voi qui, signore? – esclamò giungendo le mani – Avete sentito tutto?

— Purtroppo, signora.

— Mi chi siete, dunque, in nome del cielo? Qual’è il vostro nome, signore?

— Signora, io sono Luigi di Clermont, conte di Bussy.

— Bussy? Voi siete l’eroico Bussy? – gridò ella, sen-za sapere la gioia che, a quelle parole, inondava il cuore del conte. – Ah, Gertrude, ora non ho più nulla da teme-re, poichè, da questo istante, metto il mio onore sotto la protezione del più nobile e del più leale gentiluomo di Francia.

Poi, tendendo la mano a Bussy:

— Rialzatevi, signore – aggiunse. – Io so chi voi sie-te. È dunque necessario che voi sappiate chi sono io!

Bussy si rialzò, ebbro di felicità, e passò con Diana nel salone da cui il conte di Monsoreau era uscito poco prima, senza levare gli occhi, pieni di meraviglia e di ammirazione, di dosso a Diana.

Ella non aveva più di diciotto o diciannove anni, ed era, perciò, ancora nel primo fiorire della sua bellezza.

Ora che nello sguardo di Bussy ella poteva leggere i sentimenti che lo agitavano, non aveva la forza di trarlo dalla sua estasi. Ma, comprendendo come fosse necessa-rio rompere quel silenzio che diceva troppe cose, di lì a poco disse:

— Sì, conte, vi debbo raccontare tutto. Il vostro nome è stato sufficiente per ispirarmi la più intera fiducia, poi-chè l’ho sempre sentito ripetere come quello d’un uomo

di coraggio, alla cui lealtà si può tutto confidare. Dal poco, forse, che avete potuto sentire, avrete saputo come io sia la figlia del barone di Méridor, vale a dire dell’erede di uno dei più antichi e dei più nobili nomi di tutto l’Anjou.

— Ci fu – rispose Bussy, – un barone di Méridor che, pur potendo salvare la sua libertà a Pavia, volle rendere

— Ci fu – rispose Bussy, – un barone di Méridor che, pur potendo salvare la sua libertà a Pavia, volle rendere

Nel documento La signora di Monsoreau (pagine 86-115)

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