Dopo questa scena il re, ancora corrucciato, si avviò verso il suo appartamento, seguito da Chicot che chiede-va da mangiare.
— Non ho appetito —– disse il re, varcando la soglia.
— Può darsi, ma io ho una fame rabbiosa – ribattè Chicot, – e non vedo l’ora di azzannare qualcosa, fosse anche un cosciotto di montone!
Come se non avesse nemmeno inteso, il re gettò il mantello sul letto e, avviandosi verso la stanza di Saint-Luc, separata dalla sua da una parete sottilissima, disse:
— Aspettami qui, buffone. Tornerò.
— Oh, non c’è bisogno che ti affretti, figlio mio — mormorò Chicot.
Poi, quando il rumore dei passi del re fu spento nel corridoio, chiamò un valletto.
— Il re ha cambiato idea – gli disse, – e vuole che si prepari una finissima cena, per lui e per Saint-Luc, avendo specialmente cura dei vini. Andate!
Quélus arretrò d’un passo, furibondo; Enrico aggrottò le ciglia, e Bussy, sempre imitando i comici italiani, fece una piroetta e uscì dalla galleria.
CAPITOLO IV.
LA VOCE MISTERIOSA
Dopo questa scena il re, ancora corrucciato, si avviò verso il suo appartamento, seguito da Chicot che chiede-va da mangiare.
— Non ho appetito —– disse il re, varcando la soglia.
— Può darsi, ma io ho una fame rabbiosa – ribattè Chicot, – e non vedo l’ora di azzannare qualcosa, fosse anche un cosciotto di montone!
Come se non avesse nemmeno inteso, il re gettò il mantello sul letto e, avviandosi verso la stanza di Saint-Luc, separata dalla sua da una parete sottilissima, disse:
— Aspettami qui, buffone. Tornerò.
— Oh, non c’è bisogno che ti affretti, figlio mio — mormorò Chicot.
Poi, quando il rumore dei passi del re fu spento nel corridoio, chiamò un valletto.
— Il re ha cambiato idea – gli disse, – e vuole che si prepari una finissima cena, per lui e per Saint-Luc, avendo specialmente cura dei vini. Andate!
Frattanto, Enrico era entrato nella stanza di Saint-Luc che, fingendo di essere ammalato, si era messo a letto, facendosi leggere delle preghiere da un suo vecchio ser-vo che, avendolo seguito, era stato fatto prigioniero con lui. Su di una poltrona dorata, in un angolo, il paggio condotto da Bussy dormiva profondamente, con la testa fra le palme.
Il re vide tutte queste cose in un solo colpo d’occhio.
— Chi è quel giovanetto? – chiese a Saint-Luc, non senza inquietudine.
— È che Vostra Maestà, trattenendomi qui, non mi vuol permettere di tenere un paggio?
— Ma certamente — rispose il re.
— Quand’è così – fece Saint-Luc, – ho, approfittato del permesso, che spero Vostra Maestà non mi vorrà ritirare.
— Nemmeno per sogno! Io son ben lieto se tu puoi distrarti per qualche poco. E dimmi: come stai?
— Sire, temo d’avere addosso una gran febbre.
— Sembra anche a me – disse Enrico. – Hai il viso arrossato. Fammi sentire il polso.
Saint-Luc tese il braccio di malumore.
— È davvero irregolare – disse il re. – Ti farò curare dal mio medico personale, e mi farò preparare un letto qui nella tua stanza. Così chiacchiereremo tutta la notte.
Ho un mucchio di cose da raccontarti.
— Ah! – gridò Saint-Luc, disperato. – Dite d’esser medico, giurate di essere mio amico, e volete impedirmi di dormire per tutta la notte!
— E vorresti restar solo tutta la notte?
Frattanto, Enrico era entrato nella stanza di Saint-Luc che, fingendo di essere ammalato, si era messo a letto, facendosi leggere delle preghiere da un suo vecchio ser-vo che, avendolo seguito, era stato fatto prigioniero con lui. Su di una poltrona dorata, in un angolo, il paggio condotto da Bussy dormiva profondamente, con la testa fra le palme.
Il re vide tutte queste cose in un solo colpo d’occhio.
— Chi è quel giovanetto? – chiese a Saint-Luc, non senza inquietudine.
— È che Vostra Maestà, trattenendomi qui, non mi vuol permettere di tenere un paggio?
— Ma certamente — rispose il re.
— Quand’è così – fece Saint-Luc, – ho, approfittato del permesso, che spero Vostra Maestà non mi vorrà ritirare.
— Nemmeno per sogno! Io son ben lieto se tu puoi distrarti per qualche poco. E dimmi: come stai?
— Sire, temo d’avere addosso una gran febbre.
— Sembra anche a me – disse Enrico. – Hai il viso arrossato. Fammi sentire il polso.
Saint-Luc tese il braccio di malumore.
— È davvero irregolare – disse il re. – Ti farò curare dal mio medico personale, e mi farò preparare un letto qui nella tua stanza. Così chiacchiereremo tutta la notte.
Ho un mucchio di cose da raccontarti.
— Ah! – gridò Saint-Luc, disperato. – Dite d’esser medico, giurate di essere mio amico, e volete impedirmi di dormire per tutta la notte!
— E vorresti restar solo tutta la notte?
— Non c’è, forse, il mio paggio, Giovanni?
— Lascia che io vegli con lui, non ti parlerò se non nel caso che ti veda desto.
— Oh, Sire! Dovreste perdonarmi le troppe scioc-chezze che direi.
— Vieni allora a tenermi compagnia finchè non sarò a letto. Poi ti permetterò di ritirarti.
— È una tirannia bella e buona! – borbottò SaintLuc.
– Ma dal momento che vi debbo rispetto e obbedienza, vi prometto d’essere da voi fra cinque minuti.
— E va bene! Ma non ti concedo più di cinque minu-ti, durante i quali voglio che tu trovi qualche storiella da raccontarmi, e che mi possa divertire.
La toeletta notturna del re non era davvero un affare da poco: seduto su di una seggiola d’ebano intarsiato in oro, con i piedi nudi sui petali di fiore che coprivano il pavimento, Enrico III, con sulle ginocchia una nidiata di cagnolini, si era affidato alle mani di due servitori, che pettinavano i suoi capelli, arricciandoli come quelli di una donna, e di un terzo che stava arricciandogli i baf-fetti volti all’insù e la barbetta rada.
Ad occhi chini, Enrico III lasciava fare e, voltosi al gentiluomo, chiese:
Ebbene, Saint-Lazo; come va il mal di capo?
Saint-Luc portò una mano alla fronte, ed emise un ge-mito.
Allora, si udì uno strano rumore, simile a quello che possono produrre le mascelle di una scimmia, attiva-mente occupate a divorare.
— Non c’è, forse, il mio paggio, Giovanni?
— Lascia che io vegli con lui, non ti parlerò se non nel caso che ti veda desto.
— Oh, Sire! Dovreste perdonarmi le troppe scioc-chezze che direi.
— Vieni allora a tenermi compagnia finchè non sarò a letto. Poi ti permetterò di ritirarti.
— È una tirannia bella e buona! – borbottò SaintLuc.
– Ma dal momento che vi debbo rispetto e obbedienza, vi prometto d’essere da voi fra cinque minuti.
— E va bene! Ma non ti concedo più di cinque minu-ti, durante i quali voglio che tu trovi qualche storiella da raccontarmi, e che mi possa divertire.
La toeletta notturna del re non era davvero un affare da poco: seduto su di una seggiola d’ebano intarsiato in oro, con i piedi nudi sui petali di fiore che coprivano il pavimento, Enrico III, con sulle ginocchia una nidiata di cagnolini, si era affidato alle mani di due servitori, che pettinavano i suoi capelli, arricciandoli come quelli di una donna, e di un terzo che stava arricciandogli i baf-fetti volti all’insù e la barbetta rada.
Ad occhi chini, Enrico III lasciava fare e, voltosi al gentiluomo, chiese:
Ebbene, Saint-Lazo; come va il mal di capo?
Saint-Luc portò una mano alla fronte, ed emise un ge-mito.
Allora, si udì uno strano rumore, simile a quello che possono produrre le mascelle di una scimmia, attiva-mente occupate a divorare.
Il re si volse, e vide Chicot che stava terminando la cena ordinata per due.
— Andate subito a chiamare il capitano delle mie guardie! – gridò il re. – Subito!
— E perchè? — chiese Chicot, leccando quanto era rimasto, di crema, nel fondo di una tazza.
— Perchè infilzi con la sua spada il corpo di Chicot e, per quanto magro sia, ne faccia fare un arrosto per i miei cani.
Chicot si levò, col berretto di traverso.
— Ah no, corpo di mille bombe! Dar carne di genti-luomo ai tuoi quadrupedi! Ebbene, venga pure, il tuo ca-pitano, e vedremo.
Ciò dicendo, sfoderata la sua lunga spada, si mise a tirar di scherma così comicamente contro il barbiere e gli altri servitori, che il re scoppiò a ridere.
— Ma adesso ho fame anch’io – disse poi con voce dolente. – e quel manigoldo si è mangiato da solo la no-stra cena.
— Sei troppo capriccioso, Enrico – disse Chicot. – Ti avevo detto di metterti a tavola con me, ma tu hai rifiu-tato. Però, c’è rimasto del brodo ed io, siccome non ho più appetito, me ne vado a letto.
— Anch’io – disse Sait-Luc, – altrimenti mi manche-rebbero i sensi. Sono tutto un brivido.
— Allora verrò a trovarti, questa notte, Saint-Luc. — disse il re, congedandolo.
— Oh, non venite, sire, ve ne supplico! Mi fareste ri-svegliare all’improvviso e ciò rende epilettici.
Il re si volse, e vide Chicot che stava terminando la cena ordinata per due.
— Andate subito a chiamare il capitano delle mie guardie! – gridò il re. – Subito!
— E perchè? — chiese Chicot, leccando quanto era rimasto, di crema, nel fondo di una tazza.
— Perchè infilzi con la sua spada il corpo di Chicot e, per quanto magro sia, ne faccia fare un arrosto per i miei cani.
Chicot si levò, col berretto di traverso.
— Ah no, corpo di mille bombe! Dar carne di genti-luomo ai tuoi quadrupedi! Ebbene, venga pure, il tuo ca-pitano, e vedremo.
Ciò dicendo, sfoderata la sua lunga spada, si mise a tirar di scherma così comicamente contro il barbiere e gli altri servitori, che il re scoppiò a ridere.
— Ma adesso ho fame anch’io – disse poi con voce dolente. – e quel manigoldo si è mangiato da solo la no-stra cena.
— Sei troppo capriccioso, Enrico – disse Chicot. – Ti avevo detto di metterti a tavola con me, ma tu hai rifiu-tato. Però, c’è rimasto del brodo ed io, siccome non ho più appetito, me ne vado a letto.
— Anch’io – disse Sait-Luc, – altrimenti mi manche-rebbero i sensi. Sono tutto un brivido.
— Allora verrò a trovarti, questa notte, Saint-Luc. — disse il re, congedandolo.
— Oh, non venite, sire, ve ne supplico! Mi fareste ri-svegliare all’improvviso e ciò rende epilettici.
E salutato il re, uscì. I valletti copersero il viso del re con una maschera di un tessuto finissimo, spalmato di una pomata soavemente profumata, e gli coprirono il capo con un berretto di seta coperto d’argento.
Dette le sue preghiere, e sollevate le coperte riscalda-te con braci di coriandolo, cannella e benzoino, final-mente Enrico III si coricò, ed i valletti, scopati i petali di fiori che coprivano il pavimento e che incominciavano, colle loro esalazioni, a rendere l’aria irrespirabile, aperte per qualche istante le finestre, si ritirarono, non senza, però, avere accesa una grande fiammata nel caminetto.
Ed il re si addormentò, ma il suo sonno non durò a lungo. Poichè non erano ancora trascorse due ore dac-chè egli aveva chiuso gli occhi, che un grido terribile ri-suonò per gli appartamenti reali.
E quel grido era uscito dalla stessa gola del re.
Poi si udì il rumore di un mobile rovesciato, quello di porcellane che si rompevano, e infine quello di passi di-sordinati che correvano qua e là. Tosto le luci tornarono ad accendersi, e varie voci si udirono.
— All’armi! All’armi! Tutti dal re!
Il capitano delle guardie, il colonnello degli svizzeri, i famigli, gli archibugieri di servizio, si precipitarono, come un sol uomo, nella stanza del re che tosto venti torce illuminarono.
E là, presso la seggiola d’ebano rovesciata, tra i cocci delle porcellane infrante, davanti al letto in disordine, Enrico III, grottesco e spaventoso nel suo abbigliamento notturno, si teneva ritto, coi capelli irti e gli occhi sbar-E salutato il re, uscì. I valletti copersero il viso del re con una maschera di un tessuto finissimo, spalmato di una pomata soavemente profumata, e gli coprirono il capo con un berretto di seta coperto d’argento.
Dette le sue preghiere, e sollevate le coperte riscalda-te con braci di coriandolo, cannella e benzoino, final-mente Enrico III si coricò, ed i valletti, scopati i petali di fiori che coprivano il pavimento e che incominciavano, colle loro esalazioni, a rendere l’aria irrespirabile, aperte per qualche istante le finestre, si ritirarono, non senza, però, avere accesa una grande fiammata nel caminetto.
Ed il re si addormentò, ma il suo sonno non durò a lungo. Poichè non erano ancora trascorse due ore dac-chè egli aveva chiuso gli occhi, che un grido terribile ri-suonò per gli appartamenti reali.
E quel grido era uscito dalla stessa gola del re.
Poi si udì il rumore di un mobile rovesciato, quello di porcellane che si rompevano, e infine quello di passi di-sordinati che correvano qua e là. Tosto le luci tornarono ad accendersi, e varie voci si udirono.
— All’armi! All’armi! Tutti dal re!
Il capitano delle guardie, il colonnello degli svizzeri, i famigli, gli archibugieri di servizio, si precipitarono, come un sol uomo, nella stanza del re che tosto venti torce illuminarono.
E là, presso la seggiola d’ebano rovesciata, tra i cocci delle porcellane infrante, davanti al letto in disordine, Enrico III, grottesco e spaventoso nel suo abbigliamento notturno, si teneva ritto, coi capelli irti e gli occhi
sbar-rati, muto dal terrore. Nessuno, davanti a quello spetta-colo, avrebbe osato rompere il silenzio se non fosse comparsa, vestita a metà e avvolta in un ampio mantel-lo, Luisa di Lorena, la dolce e bionda santa risvegliata dagli urli di terrore del suo sposo.
— Sire – chiese ella, tremando più di tutti, – che è dunque accaduto, per amor di Dio?
— Non... non... nulla! — rispose il re, senza muovere gli occhi che sembravano inseguire nel vuoto una visio-ne che egli solo poteva scorgere.
Ma il terrore era dipinto così visibilmente sui tratti del re, che tutti i presenti se ne sentirono presi.
— Oh, Sire! – insistette la regina. – Sire, in nome del cielo, non lasciateci in tanta angoscia! Volete che faccia-mo chiamare un medico?
— Un medico? – esclamò il re con voce cupa. – No, non è il corpo che è ammalato. È l’anima! Piuttosto che un medico... un confessore.
Gli astanti, attoniti, si guardarono gli uni con gli altri.
Poi i loro sguardi esplorarono le porte, le tende, il pavi-mento, il soffitto, ma a nessuno di essi fu dato di scorge-re ciò che tanto aveva spaventato il scorge-re.
Non appena Enrico III ebbe manifestata la sua volon-tà, un messaggero era balzato a cavallo e cinque minuti dopo Giuseppe Roulon, superiore del convento di Santa Genoveffa, strappato al suo letto, usciva per recarsi dal re.
All’arrivo del confessore, ogni tumulto tacque, il si-lenzio tornò a dominare sovrano.
rati, muto dal terrore. Nessuno, davanti a quello spetta-colo, avrebbe osato rompere il silenzio se non fosse comparsa, vestita a metà e avvolta in un ampio mantel-lo, Luisa di Lorena, la dolce e bionda santa risvegliata dagli urli di terrore del suo sposo.
— Sire – chiese ella, tremando più di tutti, – che è dunque accaduto, per amor di Dio?
— Non... non... nulla! — rispose il re, senza muovere gli occhi che sembravano inseguire nel vuoto una visio-ne che egli solo poteva scorgere.
Ma il terrore era dipinto così visibilmente sui tratti del re, che tutti i presenti se ne sentirono presi.
— Oh, Sire! – insistette la regina. – Sire, in nome del cielo, non lasciateci in tanta angoscia! Volete che faccia-mo chiamare un medico?
— Un medico? – esclamò il re con voce cupa. – No, non è il corpo che è ammalato. È l’anima! Piuttosto che un medico... un confessore.
Gli astanti, attoniti, si guardarono gli uni con gli altri.
Poi i loro sguardi esplorarono le porte, le tende, il pavi-mento, il soffitto, ma a nessuno di essi fu dato di scorge-re ciò che tanto aveva spaventato il scorge-re.
Non appena Enrico III ebbe manifestata la sua volon-tà, un messaggero era balzato a cavallo e cinque minuti dopo Giuseppe Roulon, superiore del convento di Santa Genoveffa, strappato al suo letto, usciva per recarsi dal re.
All’arrivo del confessore, ogni tumulto tacque, il si-lenzio tornò a dominare sovrano.
Poi, al mattino seguente, il re, dette le sue preghiere, e raccoltisi attorno a sè tutti gli amici – meno Saint-Luc il quale aveva protestato di sentirsi troppo male per potersi alzare – ordinò che, cinto ognuno il cilicio, si eseguisse, in segno di penitenza, una flagellazione generale, co-mandando che la giornata trascorresse nel digiuno e nel-la penitenza, e si effettuasse da tutti, a piedi e a torso nudi, a malgrado della neve e della brina, una processio-ne fino a Montmartre.
A sera, Enrico III rientrò al Louvre, ancora digiuno, con la schiena striata da lunghi segni violacei lasciati dalla disciplina.
Chicot, invece, dal canto suo, stanco e affamato per quello strano esercizio, poco dopo d’aver varcata la por-ta di Montmartre se la squagliò e, assieme a fratel Go-renflot, lo stesso frate che al mattino aveva assistito Bussy, e che era uno dei suoi amici, era andato ad acco-modarsi al tavolo di un’osteriola molto rinomata, dove aveva bevuto del buon vino caldo, e divorata un’anitra uccisa nella paludi della Grange-Batelière.
Ritiratosi nei suoi appartamenti, Enrico III si sentì stanco del digiuno e delle furibonde penitenze della giornata. Si fece servire una cenetta di magro e andò a visitare Saint-Luc che trovò riposato e di buon umore.
Ma, dalla notte antecedente, le idee del re si erano ri-volte verso la meditazione sulla caducità umana.
— Ah! – disse a Saint-Luc con un sospiro, – Dio ha veramente fatto bene, rendendoci la vita amara.
— E perchè, Sire? — chiese Saint-Luc.
Poi, al mattino seguente, il re, dette le sue preghiere, e raccoltisi attorno a sè tutti gli amici – meno Saint-Luc il quale aveva protestato di sentirsi troppo male per potersi alzare – ordinò che, cinto ognuno il cilicio, si eseguisse, in segno di penitenza, una flagellazione generale, co-mandando che la giornata trascorresse nel digiuno e nel-la penitenza, e si effettuasse da tutti, a piedi e a torso nudi, a malgrado della neve e della brina, una processio-ne fino a Montmartre.
A sera, Enrico III rientrò al Louvre, ancora digiuno, con la schiena striata da lunghi segni violacei lasciati dalla disciplina.
Chicot, invece, dal canto suo, stanco e affamato per quello strano esercizio, poco dopo d’aver varcata la por-ta di Montmartre se la squagliò e, assieme a fratel Go-renflot, lo stesso frate che al mattino aveva assistito Bussy, e che era uno dei suoi amici, era andato ad acco-modarsi al tavolo di un’osteriola molto rinomata, dove aveva bevuto del buon vino caldo, e divorata un’anitra uccisa nella paludi della Grange-Batelière.
Ritiratosi nei suoi appartamenti, Enrico III si sentì stanco del digiuno e delle furibonde penitenze della giornata. Si fece servire una cenetta di magro e andò a visitare Saint-Luc che trovò riposato e di buon umore.
Ma, dalla notte antecedente, le idee del re si erano ri-volte verso la meditazione sulla caducità umana.
— Ah! – disse a Saint-Luc con un sospiro, – Dio ha veramente fatto bene, rendendoci la vita amara.
— E perchè, Sire? — chiese Saint-Luc.
— Perchè l’uomo, stanco di soffrire, invece di temere la morte, la desidera.
— Perdonatemi, Sire – ribattè il giovane, – ma io non
— Perdonatemi, Sire – ribattè il giovane, – ma io non