Quattro o cinque ore dopo i fatti che abbiamo narrato, alla pallida luce di un sole che stentava a perforare le nubi rossastre che coprivano il cielo, il Re Enrico III partiva per la grande caccia che doveva aver luogo a Fontainebleau il giorno seguente.
Era accompagnato da una vera processione, formata dalla sua corte quasi al completo, alla metà della quale to, non vivrà più che per voi. Ecco, vi rendo la chiave della vostra casa. Non la conserverò se non l’avrò rice-vuta dalle vostre mani, e vi giuro sul mio onore di genti-luomo che mai sorella avrà affidata la chiave del suo ap-partamento ad un fratello più devoto e più rispettoso.
— Mi fido della parola del valoroso Bussy – rispose Diana. – Ecco la chiave, signore.
— Signora – disse ancora Bussy, – fra quindici giorni sapremo chi sia, in realtà, il signor di Monsoreau.
E, salutata Diana con rispetto misto ad ardente amore e profonda tristezza, Bussy scomparve.
Diana tese l’orecchio verso l’uscio per sentire ancora i passi del valoroso giovane. E la loro eco si era già spenta da un pezzo, che ella, col cuore agitato e gli oc-chi bagnati di lacrime, ascoltava ancora!
CAPITOLO VII.
LA SCOPERTA DI CHICOT
Quattro o cinque ore dopo i fatti che abbiamo narrato, alla pallida luce di un sole che stentava a perforare le nubi rossastre che coprivano il cielo, il Re Enrico III partiva per la grande caccia che doveva aver luogo a Fontainebleau il giorno seguente.
Era accompagnato da una vera processione, formata dalla sua corte quasi al completo, alla metà della quale
incedeva la lettiera reale, trascinata da otto mule bardate con uno sfarzo che si sarebbe potuto chiamare orientale.
Questa lettiera era una specie di cocchio a quattro ruo-te, lungo quattro metri e mezzo e largo circa due e mez-zo, tutta piena di cuscini all’interno, e guernita con tendi-ne di broccato all’esterno. Nei passi più difficili, se tendi-ne staccavano le mule, che venivano sostituite da un numero indefinito di buoi, assai più lenti, ma capaci di trascinarla oltre ogni ostacolo. Tutti gli intimi del re vi potevano prender posto. Quel giorno, essa conteneva, oltre a Enri-co III, il suo mediEnri-co Mare Miron, il cappellano di Enri-corte, il buffone Chicot, Quélus, Schomberg, d’Épernon, d’O e Maugiron, chi seduto e chi sdraiato sui cuscini, oltre a due cani levrieri e a una nidiata di piccoli cani inglesi.
Chicot non aveva cessato un momento di tenere alle-gri tutti i compagni di viaggio con le sue buffonate, quando, oltre la piazza Maubert, all’angolo della via des Noyers, lo si vide lanciarsi a terra dalla lettiera per cor-rere ad inginocchiarsi al canto di una casa molto di bell’aspetto, dalla quale sporgeva sulla via un balcone sostenuto da travi di legno variopinte. Là, con le mani giunte, mentre il re lo ascoltava a tutt’orecchi, intonò questa preghiera:
— Dio buono! Dio giusto! Ecco la casa dove Chicot ha sofferto, se non per te, per una delle tue creature.
Chicot non ti ha mai chiesto di far vittima di qualche di-sgrazia il signor di Mayenne, suo torturatore, nè mastro Nicolas David, strumento del suo supplizio. No, Signo-re. Chicot ha saputo attendere, perchè è paziente benchè incedeva la lettiera reale, trascinata da otto mule bardate con uno sfarzo che si sarebbe potuto chiamare orientale.
Questa lettiera era una specie di cocchio a quattro ruo-te, lungo quattro metri e mezzo e largo circa due e mez-zo, tutta piena di cuscini all’interno, e guernita con tendi-ne di broccato all’esterno. Nei passi più difficili, se tendi-ne staccavano le mule, che venivano sostituite da un numero indefinito di buoi, assai più lenti, ma capaci di trascinarla oltre ogni ostacolo. Tutti gli intimi del re vi potevano prender posto. Quel giorno, essa conteneva, oltre a Enri-co III, il suo mediEnri-co Mare Miron, il cappellano di Enri-corte, il buffone Chicot, Quélus, Schomberg, d’Épernon, d’O e Maugiron, chi seduto e chi sdraiato sui cuscini, oltre a due cani levrieri e a una nidiata di piccoli cani inglesi.
Chicot non aveva cessato un momento di tenere alle-gri tutti i compagni di viaggio con le sue buffonate, quando, oltre la piazza Maubert, all’angolo della via des Noyers, lo si vide lanciarsi a terra dalla lettiera per cor-rere ad inginocchiarsi al canto di una casa molto di bell’aspetto, dalla quale sporgeva sulla via un balcone sostenuto da travi di legno variopinte. Là, con le mani giunte, mentre il re lo ascoltava a tutt’orecchi, intonò questa preghiera:
— Dio buono! Dio giusto! Ecco la casa dove Chicot ha sofferto, se non per te, per una delle tue creature.
Chicot non ti ha mai chiesto di far vittima di qualche di-sgrazia il signor di Mayenne, suo torturatore, nè mastro Nicolas David, strumento del suo supplizio. No, Signo-re. Chicot ha saputo attendere, perchè è paziente benchè
non sia immortale. E sono sei buoni anni, di cui uno bi-sestile, che Chicot accumula gli interessi di questo pic-colo conto pendente fra lui ed i signori di Mayenne e Nicolas David. Ora, al tasso legale del dieci per cento, tasso a cui il re si fa prestar denaro, gli interessi accu-mulati hanno raddoppiato il capitale. Fa dunque, Dio grande e giusto, che Chicot possa pazientare ancora per un anno, affinchè le cinquanta scudisciate ricevute da Chicot in questa casa per ordine di questo assassino di principe lorenese e di questo spadaccino d’avvocato normanno, che hanno tolto alle vene di Chicot una pinta di sangue, diventino due pinte e cento scudisciate per ciascuno di essi. Di modo che il signor di Mayenne, pur grosso com’è, e Nicolas David, tanto lungo, non abbia-no tanto sangue nè tanta pelle da ripagare Chicot, e che siano ridotti a fallire, morendo tra l’ottantesima e la no-vantesima scudisciata. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
— Amen — disse il re.
Chicot, con grande meraviglia di tutti coloro che assi-stevano a quella scena senza comprenderne il perchè, baciò la terra e tornò a salire nella lettiera.
— Chicot – gli disse il re severamente, non appena egli fu di nuovo al suo lato, – che cosa vuol dire questa buffonata?
— Che in questa casa, Sire – rispose il buffone, – Chicot aveva un’amante, una bella ed incantevole crea-tura, in fede mia! Ma, una notte in cui egli era venuto a trovarla, un certo principe geloso fece circondare la non sia immortale. E sono sei buoni anni, di cui uno bi-sestile, che Chicot accumula gli interessi di questo pic-colo conto pendente fra lui ed i signori di Mayenne e Nicolas David. Ora, al tasso legale del dieci per cento, tasso a cui il re si fa prestar denaro, gli interessi accu-mulati hanno raddoppiato il capitale. Fa dunque, Dio grande e giusto, che Chicot possa pazientare ancora per un anno, affinchè le cinquanta scudisciate ricevute da Chicot in questa casa per ordine di questo assassino di principe lorenese e di questo spadaccino d’avvocato normanno, che hanno tolto alle vene di Chicot una pinta di sangue, diventino due pinte e cento scudisciate per ciascuno di essi. Di modo che il signor di Mayenne, pur grosso com’è, e Nicolas David, tanto lungo, non abbia-no tanto sangue nè tanta pelle da ripagare Chicot, e che siano ridotti a fallire, morendo tra l’ottantesima e la no-vantesima scudisciata. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
— Amen — disse il re.
Chicot, con grande meraviglia di tutti coloro che assi-stevano a quella scena senza comprenderne il perchè, baciò la terra e tornò a salire nella lettiera.
— Chicot – gli disse il re severamente, non appena egli fu di nuovo al suo lato, – che cosa vuol dire questa buffonata?
— Che in questa casa, Sire – rispose il buffone, – Chicot aveva un’amante, una bella ed incantevole crea-tura, in fede mia! Ma, una notte in cui egli era venuto a trovarla, un certo principe geloso fece circondare la
casa, acchiappare Chicot, e ordinò che lo si bastonasse così duramente che egli, sfondando con un balzo la fine-stra che non aveva avuto il tempo di aprire, saltò dall’alto del balcone nella via. Ora, come è stato un miracolo che Chicot non si sia ucciso, tutte le volte che passa davanti a questa casa si inginocchia e prega, ringraziando il Si-gnore di averlo salvato in un momento tanto difficile.
— Dunque ti hanno malmenato, mio povero Chicot.
— Meravigliosamente, Sire. Ma non tanto quanto il signor di Mayenne avrebbe desiderato.
— Per i tuoi peccati?
— No, per i suoi, Sire.
— Ah, capisco! Tu vorresti che fosse reso a Cesare...
— Non a Cesare, Sire. Non confondiamo. Cesare è un valoroso guerriero, il fratello anziano, quello che vor-rebbe essere re di Francia. No, se quello ha dei conti da rendere, li deve rendere a Enrico di Valois, quindi è cosa che riguarda te: paga dunque i tuoi debiti, Enrico, figlio mio, ed io pagherò i miei.
Enrico III non amava che gli si parlasse di suo cugino di Guisa, così le parole di Chicot lo resero tanto pensie-roso che, giungendo a Bicètre, la conversazione non era ancora stata ripresa.
Per andare dal Louvre a Bicètre, c’erano volute tre ore buone, ma una volta uscito da Parigi, il corteo parve muoversi con maggiore speditezza. La mattinata era quasi discreta, il vento soffiava con minor violenza, ed il sole, riuscito finalmente ad aprirsi un varco fra le nubi, dava alla giornata un certo tono dolcemente ottobrino.
casa, acchiappare Chicot, e ordinò che lo si bastonasse così duramente che egli, sfondando con un balzo la fine-stra che non aveva avuto il tempo di aprire, saltò dall’alto del balcone nella via. Ora, come è stato un miracolo che Chicot non si sia ucciso, tutte le volte che passa davanti a questa casa si inginocchia e prega, ringraziando il Si-gnore di averlo salvato in un momento tanto difficile.
— Dunque ti hanno malmenato, mio povero Chicot.
— Meravigliosamente, Sire. Ma non tanto quanto il signor di Mayenne avrebbe desiderato.
— Per i tuoi peccati?
— No, per i suoi, Sire.
— Ah, capisco! Tu vorresti che fosse reso a Cesare...
— Non a Cesare, Sire. Non confondiamo. Cesare è un valoroso guerriero, il fratello anziano, quello che vor-rebbe essere re di Francia. No, se quello ha dei conti da rendere, li deve rendere a Enrico di Valois, quindi è cosa che riguarda te: paga dunque i tuoi debiti, Enrico, figlio mio, ed io pagherò i miei.
Enrico III non amava che gli si parlasse di suo cugino di Guisa, così le parole di Chicot lo resero tanto pensie-roso che, giungendo a Bicètre, la conversazione non era ancora stata ripresa.
Per andare dal Louvre a Bicètre, c’erano volute tre ore buone, ma una volta uscito da Parigi, il corteo parve muoversi con maggiore speditezza. La mattinata era quasi discreta, il vento soffiava con minor violenza, ed il sole, riuscito finalmente ad aprirsi un varco fra le nubi, dava alla giornata un certo tono dolcemente ottobrino.
Alle tre del pomeriggio la carovana reale giunse alle prime mura del chiuso di Juvisy, di dove si scorgeva già il ponte sull’Orge e il grande albergo della Corte-di-Francia, dalle cui cucine il vento rubava l’appetitoso ef-fluvio dei suoi arrosti allo spiedo, e l’allegro scoppietta-re delle fiammate nei suo caminetti.
Il naso di Chicot aveva afferrato a volo quelle emana-zioni culinarie: il buffone si sporse dalla lettiera e vide a distanza, sulla porta dell’albergo, varie persone, tutte avvolte nei loro mantelli. Tra costoro si teneva un indi-viduo piccolo e grasso, coperto da un cappello a larghis-sima tesa che gli copriva tutto il viso.
Vedendo apparire il corteo, questi uomini si affretta-rono a rientrare precipitosamente nell’albergo.
Ma quello piccolo e grasso non si era mostrato tanto svelto da non permettere a Chicot di riconoscerlo. Così, il Guascone saltò nuovamente a terra, si fece consegnare il cavallo dal paggio cui l’aveva affidato e, nascostosi in un angolo dove non poteva essere scorto, lasciò che il corteo si allontanasse nelle prime ombre della sera, ver-so Esver-sonnes, dove il re contava pernottare. Poi, quando l’ultimo cavaliere della scorta fu scomparso, uscì dal suo nascondiglio, fece il giro dei fabbricati, e si presentò alla porta dell’albergo come se fosse giunto dalla parte di Fontainebleau. Passando davanti alla finestra, Chicot aveva fatto in tempo a gettare uno sguardo rapido all’interno, e con suo gran piacere aveva scorto il grup-po di persone già notato prima, e fra di esse il personag-gio grasso al quale, a quanto pareva, si prodigavano par-Alle tre del pomeriggio la carovana reale giunse alle prime mura del chiuso di Juvisy, di dove si scorgeva già il ponte sull’Orge e il grande albergo della Corte-di-Francia, dalle cui cucine il vento rubava l’appetitoso ef-fluvio dei suoi arrosti allo spiedo, e l’allegro scoppietta-re delle fiammate nei suo caminetti.
Il naso di Chicot aveva afferrato a volo quelle emana-zioni culinarie: il buffone si sporse dalla lettiera e vide a distanza, sulla porta dell’albergo, varie persone, tutte avvolte nei loro mantelli. Tra costoro si teneva un indi-viduo piccolo e grasso, coperto da un cappello a larghis-sima tesa che gli copriva tutto il viso.
Vedendo apparire il corteo, questi uomini si affretta-rono a rientrare precipitosamente nell’albergo.
Ma quello piccolo e grasso non si era mostrato tanto svelto da non permettere a Chicot di riconoscerlo. Così, il Guascone saltò nuovamente a terra, si fece consegnare il cavallo dal paggio cui l’aveva affidato e, nascostosi in un angolo dove non poteva essere scorto, lasciò che il corteo si allontanasse nelle prime ombre della sera, ver-so Esver-sonnes, dove il re contava pernottare. Poi, quando l’ultimo cavaliere della scorta fu scomparso, uscì dal suo nascondiglio, fece il giro dei fabbricati, e si presentò alla porta dell’albergo come se fosse giunto dalla parte di Fontainebleau. Passando davanti alla finestra, Chicot aveva fatto in tempo a gettare uno sguardo rapido all’interno, e con suo gran piacere aveva scorto il grup-po di persone già notato prima, e fra di esse il personag-gio grasso al quale, a quanto pareva, si prodigavano
par-ticolari dimostrazioni di riguardo. Ma Chicot, il quale non aveva nessun interesse a farsi riconoscere da costui, invece di entrare nella stessa sala, si fece servire una bottiglia di vino nella stanza di faccia, sedendosi in ma-niera da poter tutto vedere senza venir scoperto.
— Non m’ero dunque ingannato, – si disse, – e quan-do poco fa pregavo in via des Noyers si sarebbe detto che subodorassi il ritorno di costui. Ma chissà perchè questo ritorno così clandestino?
Il gruppo sospetto non rimase a lungo all’albergo:
quando fu sicuro che il corteo reale fosse a buona di-stanza, tutti uscirono e soltanto allora, mentre gli sfila-vano davanti, Chicot potè notare un altro di costoro, tan-to lungo quantan-to l’altro era piccolo, tantan-to pallido quantan-to l’altro era paonazzo, e tanto ossequioso quanto il primo si mostrava arrogante.
—Ah, benissimo! – esclamò dentro di sè Chicot con un sorriso di gioia. – Anche tu ci sei, mastro Nicolas.
Questa volta, però, prima che ci separiamo, avremo il tempo di dirci due paroline!
Vuotò il bicchiere, pagò l’albergatore e si tenne pron-to a partire. E si avvide pron-tospron-to di aver presa una buona precauzione, poichè i sette non tardarono molto a paga-re, o meglio, il personaggio grasso e piccolo non tardò molto a pagare per tutti, e la piccola comitiva si rimise in viaggio verso Parigi.
— Bene – fece Chicot. – Quand’è così, tornerò anch’io a Parigi.
ticolari dimostrazioni di riguardo. Ma Chicot, il quale non aveva nessun interesse a farsi riconoscere da costui, invece di entrare nella stessa sala, si fece servire una bottiglia di vino nella stanza di faccia, sedendosi in ma-niera da poter tutto vedere senza venir scoperto.
— Non m’ero dunque ingannato, – si disse, – e quan-do poco fa pregavo in via des Noyers si sarebbe detto che subodorassi il ritorno di costui. Ma chissà perchè questo ritorno così clandestino?
Il gruppo sospetto non rimase a lungo all’albergo:
quando fu sicuro che il corteo reale fosse a buona di-stanza, tutti uscirono e soltanto allora, mentre gli sfila-vano davanti, Chicot potè notare un altro di costoro, tan-to lungo quantan-to l’altro era piccolo, tantan-to pallido quantan-to l’altro era paonazzo, e tanto ossequioso quanto il primo si mostrava arrogante.
—Ah, benissimo! – esclamò dentro di sè Chicot con un sorriso di gioia. – Anche tu ci sei, mastro Nicolas.
Questa volta, però, prima che ci separiamo, avremo il tempo di dirci due paroline!
Vuotò il bicchiere, pagò l’albergatore e si tenne pron-to a partire. E si avvide pron-tospron-to di aver presa una buona precauzione, poichè i sette non tardarono molto a paga-re, o meglio, il personaggio grasso e piccolo non tardò molto a pagare per tutti, e la piccola comitiva si rimise in viaggio verso Parigi.
— Bene – fece Chicot. – Quand’è così, tornerò anch’io a Parigi.
E risalito sul suo cavallo, si mise a seguirli a distanza, senza perdere di vista i loro mantelli grigi e sempre at-tento, quando non li vedeva più, allo scalpitare dei loro cavalli.
La comitiva, fatto un lungo giro, si recò al palazzo dei duchi di Guisa, il cui portone si chiuse subito alle loro spalle.
— Benissimo – osservò Chicot, mettendosi di vedetta all’angolo della via dei Quatre-Fils, – qui sotto non c’è solamente lo zampino del Mayenne, ma anche quello del Guisa. Aspettiamo e vedremo delle cose interessanti.
Infatti, per quanto avesse fame e freddo, ebbe la co-stanza di attendere una buona ora; fino a che la porta non tornò ad aprirsi per lasciar uscire, non già i sette cavalie-ri, ma sette frati di Santa Genoveffa che, coi volti coperti dai loro cappucci, sgranavano degli enormi rosari.
E Chicot seguì i frati, come aveva già seguito i cava-lieri, certo che si trattasse delle stesse persone. I religio-si attraversarono la Senna sul ponte di Notre-Dame, e ri-salirono per via Santa Genoveffa,
— Ah! – disse Chicot, dopo d’aver fatto tanto di cap-pello alla casa della via des Noyers dove al mattino aveva recitata quella strana orazione, – forse che torniamo a Fontainebleau? Ma no: se non erro, non andremo più in là.
Infatti, i monaci s’erano fermati alla porta dell’abba-zia di Santa Genoveffa, e scomparivano sotto il portone nella cui oscura profondità si teneva un altro frate occu-patissimo a fissare le mani di coloro che entravano.
E risalito sul suo cavallo, si mise a seguirli a distanza, senza perdere di vista i loro mantelli grigi e sempre at-tento, quando non li vedeva più, allo scalpitare dei loro cavalli.
La comitiva, fatto un lungo giro, si recò al palazzo dei duchi di Guisa, il cui portone si chiuse subito alle loro spalle.
— Benissimo – osservò Chicot, mettendosi di vedetta all’angolo della via dei Quatre-Fils, – qui sotto non c’è solamente lo zampino del Mayenne, ma anche quello del Guisa. Aspettiamo e vedremo delle cose interessanti.
Infatti, per quanto avesse fame e freddo, ebbe la
Infatti, per quanto avesse fame e freddo, ebbe la